Nave dei veleni, qualcosa si muove. A processo la dottoressa del caso De Grazia.
C’è un’imputata che lega il suo nome indissolubilmente a uno dei misteri più fitti che interessano la Calabria nell’inchiesta per presunte irregolarità nella stesura di relazioni necroscopiche ad Imperia: Simona Del Vecchio.
La dottoressa – ex direttrice di Medicina legale d’Imperia – è a processo davanti al Tribunale di Imperia con l’accusa di aver firmato certificati di morte senza aver ispezionato i cadaveri. Avrebbe firmato almeno quarantasei verbali di visite necroscopiche, secondo la Procura ligure, «nonostante non avesse svolto tali attività e tali fatti non fossero veritieri».
Un nome, quello della dottoressa, che riporta indietro le lancette del tempo a dicembre del 1995 quando alla Del Vecchio venne affidato il compito di effettuare l’autopsia sul corpo esanime del capitano di fregata Natale De Grazia. L’ufficiale era la punta di diamante del pool della Procura della Repubblica di Reggio Calabria che indagava sulle cosiddette “navi a perdere” e proprio mentre si stava recando a La Spezia per approfondire la vicenda morì subito dopo aver consumato un pasto con due carabinieri in missione come lui nella città ligure.
Lì avrebbe dovuto incontrare alcune persone che conoscevano particolari delicati di quel presunto traffico di scorie radioattive, rifiuti industriali e armi che interessavano da vicino la Calabria. Stando a quanto ricostruito in quell’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Francesco Neri, alcune navi sarebbero colate a picco nei mari calabresi con il loro carico di veleni. De Grazia aveva rinvenuto riscontri a quelle ipotesi e quel viaggio, interrotto a Nocera Inferiore il 12 dicembre del 1995, avrebbe potuto restituire un altro tassello ad un’inchiesta scomoda.
Da qui il sospetto su quella morte che portò la procura della Repubblica di Nocera prima e Reggio dopo ad aprire un fascicolo d’indagine delegando appunto la dottoressa Del Vecchio ad effettuare l’autopsia. La relazione della dottoressa – finita ora nei guai ad Imperia – sentenziò che quella morte era dovuta a «cause naturali». Parlò espressamente di «morte improvvisa dell’adulto» dovuta presumibilmente a un infarto. Una tesi ribadita anche successivamente nel corso della nuova inchiesta aperta a Reggio nella quale la stessa dottoressa fu incaricata dal pm come consulente per effettuare la nuova autopsia sul cadavere di De Grazia.
Tesi però mai accettata dalla famiglia del capitano e totalmente ribaltata nel 2013 dalla commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti. Proprio passando in rassegna le relazioni delle due autopsie, il professor Giovanni Arcudi – direttore dell’istituto di medicina legale dell’università di “Tor Vergata” – bollò quel lavoro come: «Le indagini sono state del tutto inappropriate». Nella perizia consegnata alla commissione presieduta da Gaetano Pecorella, il professore sentenziò che la morte del capitano era da riferire a «una causa tossica», escludendo categoricamente le conclusioni a cui era arrivata la dottoressa Del Vecchio.
In altre parole De Grazia, stando a questa valutazione, sarebbe stato avvelenato. Ora alla luce delle accuse di confezionare referti falsi mosse alla dottoressa che effettuò entrambe le autopsie sul capitano medaglia d’oro al merito, più di un dubbio s’insinua sulla vera causa di morte di De Grazia. Un nuovo tassello sulla già complessa vicenda delle navi dei veleni.
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