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‘ndragheta

#lamicodeglieroi secondo Ada

wpid-dellutri1.jpgScrive Adamantia che ha deciso di produrre insieme a noi il progetto L’amico degli eroi perché:

Dunque, perché ho deciso di credere in questa produzione “sociale”. 
In ordine sparso: 
* perchè da un po’ di anni ti leggo e ti vengo a sentire e mi hai sempre convinto e informato
* perchè sei costruttivo, genuino e incazzato al punto giusto
* perchè passarci uno straccio per logorare una macchia lercia dà più soddisfazione che vederlo fare dalla platea.
Un abbraccio da una Milano piovosa.
Ada

Anche voi potete essere nostri produttori partecipando qui.

Gli ho messo io l’anello alla Madonna

Attenzione a credere che la ‘ndrangheta sia solo “colletti bianchi”, attenzione ad illuderci che l’istituzionalizzazione delle cosche calabresi in fondo ci renda tutti meno colpevoli perché abbiamo a che fare con “alte sfere” irraggiungibili. Oggi la ‘ndrangheta (e la perversione religiosa per condonarsi dai propri crimini) è anche quella che sta nelle parole di Simone Pepe, ‘ndranghetista di terza generazione dall’accento ormai romanissimo.

La religione è portatrice di un rito da ripetere a memoria riadattato all’affiliazione, la madonna è il vibratore della propria prepotenza da esibire. Vale la pena ascoltare questa intercettazione per rendersi conto (per l’ennesima volta, ma serve eccome) come l’ignoranza, la banalità e la tragicomica etica degli uomini d’onore ci rendano, in fondo, ancora più colpevoli quando decidiamo di non interessarsi, di non sapere o peggio di accettare:

Se la mafia costruisce le caserme dei carabinieri. Al nord.

Ne scrive Biagio Simonetta per Il Sole 24 Ore:

Così a Dueville, comune di 13mila anime in provincia di Vicenza, soffia un brutto vento di ‘ndrangheta sull’appalto per la costruzione della nuova caserma dei Carabinieri. La costruzione di quella struttura che dovrà ospitare la tenenza potrebbe essere finita in mano a un’impresa edile vicina a una famiglia calabrese con un pedigree criminale di tutto rispetto: i Iannazzo di Lamezia Terme. Questo, almeno, secondo l’inchiesta del Ros (il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, ndr) di Padova.

Nei giorni scorsi i militari, coordinati dalla Dda di Venezia che ha in mano le indagini, si sono presentati nella sede della impresa lametina “Elle due costruzioni”, a Vicenza, e hanno portato via computer e incartamenti relativi alla caserma di Dueville. E oggi si apprende che i titolari dell’azienda edile Domenico, Gennaro e Pasqualino Longo (tutti e tre calabresi) sono indagati per corruzione e turbativa d’asta, con l’aggravante di aver agito con metodi mafiosi.

Succede in Veneto ma è successo anche a Milano, in Lombardia: la mafia che entra nel “cuore” di chi la combatte, che fabbrica caserme o edifici pubblici, che gestisce il bar sotto al tribunale (succedeva a Torino con i Belfiore assassini di Bruno Caccia) o che si riunisce negli ospedali (il caso dell’ospedale Niguarda a Milano).

Non stupisce tanto l’infiltrazione (ci abbiamo fatto il callo, l’abbiamo capita e comunicata abbastanza, no?) ma colpisce il valore simbolico del reato e l’importanza di prenderne atto: ci sono luoghi e ruoli che non possono essere lasciati alla mafia perché suonerebbe la musica del disarmo, della resa e della desistenza.

Il medico servo delle cosche

Da amico dei Lampada e dei Valle a relatore antimafia in un convegno organizzato dal “Museo della ‘ndrangheta” a Reggio Calabria. Da stamattina è in carcere il medico Gabriele Quattrone, primario del Policlinico della Madonna della Consolazione, con l’accusa di aver falsificato alcune perizie psichiatriche, disposte dal Tribunale di Catanzaro, sul boss Antonio Forestefano certificando la sua incompatibilità con il regime carcerario. Un favore per il quale lo specialista di igiene mentale sarebbe stato pagato 5mila euro dalla cosca di Cassano dello Jonio. L’operazione è stata condotta dai Carabinieri del Ros di Cosenza. 

Può capitare che mafia e antimafia incrocino i loro destini. A volte consapevolmente, altre in maniera del tutto casuale. Il risultato non cambia: la distanza tra i due mondi può ridursi grazie a soggetti come il medico Quattrone oggi arrestato nell’operazione “Villa verde” per i suoi rapporti con le cosche, ma ieri relatore in un convegno in cui è intervenuto sulla “comunicazione mafiosa all’interno della famiglia”. Un tema delicatissimo affrontato dal professionista davanti a magistrati e forze dell’ordine. Gli stessi inquirenti che, pochi mesi più tardi, ritroveranno il nome del primario del Policlinico nelle carte dell’inchiesta “Infinito 2” della Direzione distrettuale di Milano.

Quando si fatica a spiegare i “colletti bianchi” e i professionisti al servizio delle mafie. L’articolo di Lucio Musolino racconta bene l’asservimento dei professionisti.

Lo stesso gip Gennari aveva avuto, “per la prima volta, cognizione dell’esistenza del neurologo Quattrone – ricorda il magistrato – quando veniva presentata (nel novembre del 2010) una istanza di scarcerazione per Valle Maria, all’epoca sottoposta a misura cautelare nel procedimento Valle. In quel contesto il sottoscritto – respingendo l’istanza fondata, su asserite patologie psichiatriche di cui avrebbe sofferto la giovane Valle – aveva evidenziato la singolarità della consulenza di parte redatta da Quattrone, la quale, dietro toni apparentemente ineluttabili, appariva del tutto inconsistente dal punto di vista scientifico. Ebbene, leggendo la informativa della Questura reggina, fa piacere apprendere che quello che sembrava solo un sospetto era una fondatissima constatazione”.

Perché dubitare, in questo campo funziona.