Cara Guidi, la “sguattera del Guatemala” è un premio nobel
«Le definizioni qualificano i “definitori”, non i “definiti”» ha detto di recente all’Economist la scrittrice premio Nobel Toni Morrison. La definizione «sguattera del Guatemala» ha richiamato nella mente di molti – ovviamente per contrasto – un altro premio Nobel (per la Pace, nel ’92), Rigoberta Menchu Tum. Migrante, bracciante, domestica, attivista dei diritti umani, Rigoberta ha ricevuto il riconoscimento per il suo operato volto a promuovere «la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto per i diritti delle popolazioni indigene».
La parola “sguattero” (con la “s” iniziale rafforzativa di “guattero”) deriva probabilmente dal longobardo wathari, guardiano, e che questo termine ha la stessa radice della parola acqua in inglese, water. Nel senso etimologico del termine, è una sguattera Rigoberta e lo è chiunque agisca prendendosi cura della collettività e delle risorse, tutti i custodi dell’acqua e della terra. Che cos’è e come si qualifica chi utilizza in termine spegiativo questo termine lo spiega bene la stessa attivista guatemalteca nel suo “Mi chiamo Rigoberta Menchu”, quando racconta chi è «l’eletto» nella sua comunità.
«Forse la maggior parte delle cose che facciamo è basata su quel che facevano i nostri antenati. Per questo abbiamo l’eletto, che è la persona che riunisce in sé tutti i requisiti, ancor validi, che i nostri antenati sapevano riunire. È la persona più importante della comunità, i figli di tutti sono suoi figli, insomma è quello che deve mettere in pratica tutto quanto. E più di tutto, è il rappresentante dell’impegno nei confronti dell’intera comunità. In questo senso, quindi, tutto quel che si fa lo si fa tenendo presenti gli altri»
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