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Scusa, Cuba

Ve lo ricordate il 22 marzo 2020? 53 medici cubani della Brigata internazionale Henry Reeve arrivarono in Lombardia, c’erano medici, epidemiologi, anestesisti, rianimatori e infermieri specializzati in terapia intensiva. La Lombardia in quel momento era l’epicentro mondiale della pandemia nel mondo e i medici cubani, specializzati nel trattamento delle malattie infettive, vennero spediti nell’ospedale da campo di Crema. Gli “hermanos de Cuba” li chiamavano affettuosamente i colleghi italiani. La sindaca di Crema Stefania Bonaldi disse: «Ci sentiamo fortunati. All’alba siamo saliti sul loro autobus con la bandiera di Cuba tra le mani e con gli occhi lucidi per ringraziarli ancora una volta – raccontò ancora la sindaca -, ma ci piace pensare che sia stato solo un arrivederci e non un addio, perché continueremo a fare cose belle insieme». Se andate a cercare le dichiarazioni ufficiali del governo invece sono poche, rare.

Alcuni sostennero quei medici cubani addirittura come candidati al Nobel per la Pace. Peccato che l’arrivederci affettuoso che abbiamo riservato ai cubani sia uno schiaffo in faccia: nel Consiglio dei diritti umani cinque giorni fa è stata votata una risoluzione, inappuntabile giuridicamente dal punto di vista del diritto internazionale, che rilevava il pesante impatto negativo che le sanzioni, ovvero, con termine più tecnico, le misure coercitive unilaterali hanno sui diritti umani. Tra questi ovviamente c’è anche l’anacronistico embargo che gli Usa impongono a Cuba dal 1962. 59 anni di sanzioni durissime con cui lo Stato più forte impone sofferenze durissime a uno Stato più debole per piegarlo alle proprie decisioni, un bombardamento senza bombe per imporre la propria politica estera.

La risoluzione è ovviamente passata ma l’Italia è riuscita a farsi notare votando contro, in nome di un becero atlantismo che risulta assolutamente fuori tempo e che sembra essersi dimenticato dell’aiuto ricevuto in questi ultimi mesi. Un voto infame (che al momento non ha spiegazioni ufficiali) e di cui ci sentiamo di chiedere scusa. L’embargo durante la pandemia tra l’altro in campo sanitario mette a rischio anche l’approvvigionamento di macchinari indispensabili per affrontare il virus. «Potrebbe mancare qualsiasi cosa – spiegava l’Ambasciatore Josè Carlos Rodriguez Ruiz -: un componente di un apparecchio sanitario, una tecnologia o un principio attivo che potremmo reperire negli Stati Uniti, ma che non può raggiungere Cuba a causa del blocco. In quel caso saremmo costretti a rivolgerci altrove a costi molto più alti ma con grandi difficoltà. Un esempio: se volessimo acquistare una macchina della multinazionale tedesca Siemens dotata di una porzione di tecnologia statunitense non potremmo farlo…».

Scusa Cuba.

Buon martedì.

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Luigi de Magistris: «La Calabria non sarà più la periferia d’Europa»

Luigi de Magistris, a pochi mesi dalla fine del suo doppio mandato come sindaco di Napoli, è pronto a ributtarsi in un’altra sfida politica che appare impossibile: diventare presidente della Calabria così sempre uguale a se stessa e farlo da ex magistrato che proprio lì, in Calabria, ha vissuto i suoi momenti più difficili. Gli abbiamo chiesto sensazioni e prospettive.
De Magistris, perché questa decisione di candidarsi come presidente proprio in Calabria?
È stata una scelta imprevedibile e imprevista. Non era nei programmi. Poi, a dicembre dell’anno scorso, sono arrivate una serie di sollecitazioni da persone che conosco e che mi hanno conosciuto nel corso degli anni, da amici, e hanno cominciato a chiedermi se fossi disponibile. Devo ammettere che all’inizio non ci pensavo molto, poi ho cominciato a rifletterci. La condizione vera è il mio amore per la Calabria: una terra a cui sono legato fin da bambino, in cui ho vissuto dieci anni e in cui per nove anni ho lavorato come pubblico ministero. È una scelta di passione e di amore legata a un progetto politico, all’idea di un laboratorio che possa realizzare la rottura di un sistema e la costruzione di un buon governo credibile attraverso storie e persone con le quali ci stiamo connettendo giorno dopo giorno. La definirei una scelta di profondo amore legato alla Calabria.
Però vista anche la sua vicenda personale, ciò che la Calabria le ha portato in passato, vedendo anche i risultati delle tornate regionali, non le viene il dubbio, come dicono alcuni, che sia una terra irredimibile?
No. È una terra fertile che una certa politica ha voluto desertificare rendendola arida e incoltivabile. Io credo che la Calabria – l’ho visto con i miei occhi e quindi ne sono testimone – sia ricca di storie personali e collettive straordinarie; penso al mondo della cultura, dell’impresa, dell’agricoltura, dell’artigianato. Penso all’impegno forte nel campo dell’ambientalismo e della lotta alle mafie. È una ricchezza che non ha mai trovato, soprattutto a livello regionale, un’adeguata rappresentanza politica.
A proposito di lotta alle mafie, c’è in corso in Calabria un processo storico come Rinascita-Scott e la sensazione è che ci sia intorno un evidente calo di attenzione non solo da parte dei media ma anche da parte dei cittadini. L’antimafia è passata di moda?
Che ci sia un calo di attenzione lo registro soprattutto a livello politico nazionale, il tema non fa parte più di un’agenda prioritaria. Rinascita-Scott è un processo molto importante. Che per tanti anni si sia abbassata l’attenzione, lo dimostra il fatto che uno dei principali imputati di quel processo, l’avvocato Pittelli, fu da me coinvolto in maniera forte nelle due indagini che mi furono sottratte illegittimamente, Poseidone e Why not, e anche all’epoca avevamo ricostruito il suo ruolo di anello di collegamento tra settori della criminalità e settori delle professioni, delle istituzioni, della politica e della magistratura. Ora siamo a 13 anni dopo. Pensate quanto questo personaggio avrà fatto in questi 13 anni. Se 13 anni fa ci fu un potere che ci fermò significa che c’è stato un clima…

L’articolo prosegue su Left del 26 marzo – 1 aprile 2021

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Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega

Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega

La bellezza dei numeri è che stanno là, non si possono piegare, ed è sempre buffo quando qualcuno prova a invertirli come se fossero propaganda, malleabili alle bugie. I numeri della Lombardia sulla capacità di contenimento del virus e sulla capacità di vaccinazione sono sotto gli occhi di tutti, erano settimane che lampeggiavano evidenti nonostante il clan di Fontana fosse concentrato a impantanarli con quintali di fondotinta, e non è un caso che alla fine la narrazione “vincente e operosa” usata come scudo sia crollata sotto gli strilli di Bertolaso, di Letizia Moratti e infine di Fontana stesso.

Una bugia non può durare per sempre: prima o poi ci si infiltrano i numeri e alla fine crolla. In Lombardia la Giunta regionale ha puntato il dito contro una partecipata voluta dalla Giunta stessa, sperando di scaricare la propria responsabilità su conto terzi.

Non sta funzionando, non funzionerà e non sarà un successo nemmeno il finto pugno di ferro di Salvini che promette punizioni esemplari che si sono risolte nella morbida richiesta ai vertici di Aria di dimettersi. Non li hanno nemmeno cacciati, questi che vorrebbero essere i giustizieri della notte: hanno detto loro “Per favore ve ne andate? Che dite? Vi sembra una buona idea?”.

Ma i numeri dicono che la media nazionale delle somministrazioni dei vaccini è all’82,4% delle dosi che sono state consegnate. E i numeri dicono che le Regioni governate dalla Lega di Salvini sono di fatto tutte sotto la media nazionale.

Insomma, non è questione solo di Lombardia ma qui sorge più di un legittimo dubbio che si tratti proprio di un’incompetenza diffusa: la Sardegna di Solinas (indipendente ma sostenuto dalla Lega e sponsorizzatissimo da Salvini) brilla all’ultimo posto con il 70,5% delle dosi somministrate, la Liguria di Giovanni Toti (un altro che Salvini ci pone da sempre come esempio di capacità amministrativa) si attesta più o meno sulla stessa percentuale, la Calabria di Spirlì (che Salvini vorrebbe addirittura come candidato presidente) sta al 71,5%, al 78,3% la Lombardia, 80,1% per il Veneto di Zaia, 81,6% per l’Umbria di Donatella Tesei e 82% per Fedriga in Friuli Venezia Giulia.

Sono tutti, tutti, sotto la media nazionale. Sarà sfortuna? È un terribile complotto ordito dai poteri forti? Le fiale del vaccino sono comuniste e scappano dalle mani degli infermieri nelle Regioni governate dalla Lega? Su questo sarebbe bello sentire la risposta di Salvini. Ma Salvini, vedrete, non risponderà. Al massimo twitta la foto di lui con un panino.

Leggi anche: È ora di commissariare la Sanità lombarda: lettera al ministro Speranza

L’articolo proviene da TPI.it qui

Lamorgese peggio di Salvini, il Pd scelga: Travaglio o accoglienza?

Tenetevi forte perché manca poco al ritorno dello spettro dei migranti clandestini, degli sbarchi sconsiderati e di tutta quell’orrenda narrazione contro le Ong nel Mediterraneo lasciato sguarnito in modo criminale dall’Europa. E preparatevi perché se è vero che conosciamo già perfettamente alcuni personaggi in commedia, a partire da quel Salvini che già da qualche giorno è tornato sull’argomento per provare a frenare lo scontento tra quei suoi elettori affamati di cattivismo e ancora di più incattiviti dalla pandemia, e a ruota ovviamente Giorgia Meloni per occupare quello spazio politico, soprattutto tornerà alle origini quel Movimento 5 Stelle che si è ammantato di solidarietà per incastrarsi nel secondo governo Conte ma che ora è pronto al ritorno delle sue radici peggiori.

La tromba della carica l’ha suonata ovviamente Marco Travaglio in uno dei suoi editoriali che sostituiscono da soli le assemblee di partito e che ha usato tutto l’armamentario del razzismo con il colletto bianco per puntare il dito contro le Ong, per irridere le “anime belle” (che per Travaglio sono la categoria di tutti quelli che non la pensano come lui ma che non possono essere manganellati con qualche indagine trovata in giro) e mischiando come al solito le accuse con le sentenze, gli indagati con i colpevoli, le ipotesi dei magistrati come “fatti” e gli stantii pregiudizi come acute analisi. Così la chiusura delle indagini della procura di Trapani per un presunto reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel caso Iuventa basta al suggeritore dei grillini per richiamare tutti alle armi: picchiamo sui migranti, bastoniamo le Ong e chissà che non si riesca spremere qualche voto anche da qui.

E fa niente che sia dimostrato dai dati (e da anni) che “gli angeli delle Ong” (come li chiama Travaglio per mungere un po’ dalla vecchia accusa di “buonismo”) non “attirano e incoraggiano il traffico di esseri umani”: Travaglio trova terribilmente sospetto che delle organizzazioni dedite al soccorso in uno spicchio di mare conoscano perfettamente quel mare e i luoghi dei naufragi. La competenza del resto da quelle parti è vista con diffidente apprensione. Ma agli osservatori più attenti, quelli che semplicemente non si sono fatti infinocchiare dallo storytelling del Conte bis, forse non sarà sfuggito che Di Maio sia proprio quel Di Maio che discettava allegramente delle Ong come “taxi del mare” quando c’era da accarezzare l’alleato Salvini e Giuseppe Conte sia proprio quel Giuseppe Conte, nessuna omonimia, che partecipava allegramente alla televendita dei Decreti Sicurezza che andarono alla grande durante la stagione della Paura.

Ovviamente nessuna parola sull’omesso soccorso in violazione del Diritto internazionale del Mare che è un crimine di cui il governo italiano e l’Europa si macchiano almeno dal lontano 2014 quando il governo Renzi decise di stoppare l’operazione Mare Nostrum della nostra Marina militare e niente di niente su quella Libia (e qui invece ci sono tutte le prove e tutte le condanne per farci una decina di numeri di giornale) che è un enorme campo di concentramento a forma di Stato, così amico del governo italiano. Ma la domanda vera è chissà cosa ne pensa il Pd, questo Pd che ci promette tutti i giorni che domattina si risveglierà più umano e attento ai diritti e che è sempre pronto (giustamente) per opporsi sul tema a Salvini ma che è stato così terribilmente distratto con i tanti Salvini travestiti che ci sono qui intorno.

Il Pd che ci ha indicato come “punto di riferimento riformista” il presidente del Consiglio che fece di Salvini il più splendente Salvini, il Pd che ancora fatica a riconoscere le responsabilità del “suo” ministro Minniti, il Pd che con il precedente governo prometteva “un cambio di passo” sui diritti dei migranti fermandosi solo alla sua declamazione, mentre la ministra dell’Interno del Conte bis, lo racconta il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, bloccava contemporaneamente ben sette barche delle Ong tra il 9 ottobre e il 21 dicembre 2020 riuscendo a fare meglio perfino di Salvini, rispettando in tutto e per tutto la linea d’azione del leader leghista stando con la semplice differenza di non rivendicarla sui social insieme a pranzi e gattini.

Se il nuovo Pd di Letta vuole recuperare credibilità forse è il caso che ci dica parole chiare su questa irrefrenabile inclinazione dei suoi irrinunciabili alleati perché alla fine Salvini rischia di risultare onestamente feroce in mezzo a tutti questi feroci malamente travestiti.

L’articolo Lamorgese peggio di Salvini, il Pd scelga: Travaglio o accoglienza? proviene da Il Riformista.

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Papa Francesco in Iraq ha fatto politica. Quella che non sanno fare i potenti

Forse ci metteremo anni a capire l’importanza storica della visita di Papa Francesco in Iraq e chissà che non si possa imparare in fretta come la diplomazia, parola sgraziata e scarnificata in questi anni di commercio con una spolverata di finti diritti, è un esercizio serissimo che richiede il coraggio di andare controvento.

Papa Francesco è atterrato in Iraq e in pochi giorni ha infilato il dito nelle ingiustizie di quella parte di mondo che pochi si prendono la briga di raccontare, in mezzo alle macerie che stanno lì ma che sono partorite da tutto l’Occidente. Gli avevano sconsigliato di andare, i venditori di morte occidentali, fingendosi consiglieri apprensivi ma non riuscendo a non apparire ipocriti.

È entrato a pregare in Mosul, l’ex capitale delle milizie del Califfato da cui il Daesh ha sparso morte e ha ripetuto a voce alta che non esiste nessuna possibile guerra in nome di nessun Dio, che non è consentito “odiare i fratelli” e che non bisogna cedere ai “nostri interessi egoistici, personali o di gruppo”.

Al di là del credo di ognuno quelle parole sono un atto politico potentissimo. Così come rimarrà nella storia l’incontro con Ali al Sistani, la massima autorità religiosa sciita del paese, in una stanza spoglia che profuma di sala d’attesa, e in cui si è stretto l’impegno di una collaborazione tra comunità religiose che troppo spesso la politica gioca a brandire l’una contro l’altra.

Sono due uomini che si battono contro le divisioni e che riportano il discorso finalmente a un livello più alto, abbandonando i bassifondi di un razzismo religioso che anche dalle nostre parti si è acuito sempre di più. È il viaggio in cui Papa Francesco ha ascoltato le parole del padre di Alan Kurdi, naufragato su una spiaggia turca nel settembre del 2015 mentre con la madre e con il fratello tentava di raggiungere l’Europa.

Una foto che ha fatto il giro del mondo ma di cui ancora nessuno ha chiesto scusa, nemmeno tra i responsabili politici di una tragedia che ancora oggi continua a rinnovarsi. Le cronache raccontano di un Papa che “ha ascoltato, più che parlare”: quella è una storia che va ascoltata e raccontata, ascoltata e raccontata.

Papa Francesco, comunque la si pensi, si è preso una responsabilità politica enorme gettando luce là dove molti vorrebbero convenientemente mantenere il buio esercitando la diplomazia nel suo senso più alto, guardando negli occhi e quindi legittimando le vittime. Mentre tutti sono concentrati sul proselitismo ascoltare diventa perfino un atto rivoluzionario.

Leggi anche: 1. La prima volta di un Papa in Iraq: Francesco va nei luoghi che furono dell’Isis per costruire la pace

L’articolo proviene da TPI.it qui

Tecnici dappertutto, perfino da asporto

Per capire quale sia la china che ha preso spedito il governo Draghi conviene mettere in fila un paio di cose… Come la scelta di affidare un incarico alla società di consulenza McKinsey per il Recovery Plan

Poiché sono in molti a fingere di non vedere e di non capire quale sia la china che ha preso spedito il governo Draghi allora conviene mettere in fila un paio di cose, impegnarsi ostinatamente nel controbattere ai minimizzatori o auto finti distratti che in queste ore sono tutti impegnati nel convincerci che tutto vada bene e che tutto sia normale perché basta annusare l’aria che c’è fuori per farsi un’idea sul progetto che c’è dietro.

Mario Draghi continua a rimanere sotto vuoto silenzioso nel suo caveau, mentre qui fuori si accavallano le predizioni sulla terza ondata in cui sembra di essere già finiti dentro. Che i Dpcm fossero uno strumento simbolo di “dittatura sanitaria” e che di Dpcm siamo ancora qui a dilagare ne abbiamo già scritto qualche giorno fa ma che qui tutte le regioni (se non addirittura taluni comuni) stiano andando per conto loro sembra sotto gli occhi di tutti. I vaccini continuano a mancare e anche le vaccinazioni faticano. Insomma: ci siamo liberati delle inutili primule, abbiamo tutte le mattine una bella adunata con tromba militare ma la “guerra” alla pandemia continua a sciogliersi nei rivoli di esperti dappertutto, è cambiato solo il mesto silenzio del governo.

In questi giorni si discute parecchio della scelta da parte di Draghi (l’ha scelto lui? Chi l’ha scelto? Come? Perché?) di affidare un incarico alla società di consulenza McKinsey, per aiutare il ministero dell’Economia nella fase di stesura del Recovery Plan. Destrorsi e turboliberisti ci sgridano perché ritengono questa polemica una cosa “da cialtroni”. Curioso che siano gli stessi che criticarono Conte per la sua intenzione di affidare i 209 miliardi del Recovery Plan a un gruppo di manager pescati dalle società controllate dal Tesoro. Curioso anche ricordare che un senatore toscano disse che c’era da fare cadere un governo che voleva decidere con gli esperti e ora rimane zitto zitto. Volendo vedere è anche piuttosto curioso che il governo dei competenti e dei super tecnici abbia bisogno di altri tecnici da asporto.

Pensare che il ministero delle Finanze ha anche un eccellente centro studi (a proposito di meritocrazia) e volendo ben vedere di competenze è anche pieno il centro studi di Banca d’Italia. Ma niente. Ieri Fabrizio Barca ha ricordato la sua esperienza personale: «Quando entrai nel ’98 al Tesoro – ha dichiarato in un’intervista al Fatto – insieme a tante persone di valore, provammo a liberarci di questa sudditanza strategica a consulenze di terzi, rafforzando l’amministrazione pubblica con contributi esterni, e quando necessario selezionando con cura consulenze specialistiche».

Quelli si difendono dicendo che si tratta di una consulenza praticamente gratis, solo 25mila euro e che questo dovrebbe bastare per tenerci tranquilli: peccato che il tema vero sia a quali informazioni avrà accesso la società di consulenza. Dicono: state tranquilli, è quasi gratis ma quando un servizio è gratis il prodotto sei tu, ormai l’abbiamo imparato tutti. L’ha scritto benissimo Stefano Feltri: «Nel fare consulenza a un governo, McKinsey può influenzare il contesto di regole che rendono possibile o vietano quel nuovo business, e quindi creare o meno le opportunità che poi potrà aiutare clienti aziendali a sfruttare». Non dovrebbe essere difficile per tutti questi grandi esperti di mercato, no?

A proposito di aria che si annusa: c’è un comunicato di Confindustria a proposito dello sciopero dei portuali di Genova che in un Paese normale avrebbe provocato dei brividi. «Si ricordino che una giornata di lavoro oggi costituisce un privilegio», ha scritto l’associazione degli imprenditori. Un comunicato stampa che sembra una testa di maiale lasciata appesa alla porta di casa. Il partito che avrebbe potuto alzare la voce per ora è senza dirigenza però ha dei ragazzini in tenda che si fanno fare delle foto bellissime per i loro profili social.

Tutto bene?

Buon lunedì.

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A volte ritorna

Siamo passati dall’avere un governo con il centrosinistra e il M5s all’avere 2/3 di centrodestra al governo con figure apicali nei ministeri e tra i sottosegretari. E Salvini che si muove di nuovo da capo politico concedendo all’alleata Giorgia Meloni di avere mano libera nel bombardare dalla comoda posizione dell’opposizione

C’è in giro una barzelletta spassosissima eppure tragica, fomentata soprattutto dagli ultrà renziani, per cui nel “capolavoro” del governo Draghi rientrerebbe anche l’avere danneggiato o comunque tarpato Matteo Salvini e il suo partito. È la barzelletta di riserva che arriva subito dopo “il governo dei migliori”, un’altra enorme bugia che è stata utilizzata giusto il tempo di leggere con un certo affanno la lista dei ministri e soprattutto dei viceministri e soprattutto dei sottosegretari: non potendo più insistere sulla qualità dei componenti di governo, sarebbe stato troppo persino per loro, il nuovo messaggio da veicolare in massa è quello di un Salvini che uscirebbe “depotenziato” da questo governo per chissà quali strani alchimie. La politica però, per la fortuna di chi si ritrova a commentarla, è fatta di numeri e quegli stessi numeri dicono che (ma dai?) la Lega di Salvini in questi primi di giorni abbia già cominciato ad aumentare i consensi. Allora forse converrebbe fare qualche passo indietro, alla caduta del primo governo Conte, quando Salvini e i suoi fans imperversavano su tutti i giornali (e alle direzioni dei telegiornali) rimanendo al centro del dibattito praticamente su qualsiasi punto politico si sollevasse quotidianamente. Erano i tempi in cui sembrava praticamente impossibile riuscire ad abbattere il muro della Bestia leghista sui social network e in cui Salvini dettava l’agenda politica ad ogni passo, perfino pubblicando foto con l’ultimo piatto del suo ultimo pranzo. Forse converrebbe ripartire da quel periodo per rendersi conto che gli errori successivi del leader leghista, a partire dalle sue presuntuose follie nell’estate del Papeete, hanno permesso al Paese di uscire dal terrificante reality show in cui era caduto e di ripristinare perlomeno una discussione politica che fosse qualcosa di più alto dell’odio sparso contro i fragili, che fossero migranti o qualsiasi altra categoria.

Il secondo governo Conte in fondo nasce proprio con quella missione: Partito democratico, Leu e persino Renzi hanno accettato la mediazione di un governo che sicuramente non è mai stato il governo dei sogni per riuscire ad arginare una decadenza umanitaria e una tossicità del dibattito che ha partorito obbrobri giuridici (a partire dai cosiddetti decreti Sicurezza) che hanno riportato indietro il Paese di decenni. Ora, al di là delle speranze politiche che qualcuno può riporre nella figura di Mario Draghi nuovo presidente del Consiglio, è un fatto sotto gli occhi di tutti che non solo Salvini sia prepotentemente rientrato nella compagine di governo e quindi nell’alveo della visibilità che governare concede, ma che addirittura ci sia riuscito non rompendo l’alleanza di centrodestra di cui continua a proporsi come capo politico, per di più concedendo alla sua alleata Giorgia Meloni di avere mano libera nel bombardare il governo dalla comoda posizione dell’opposizione e quindi presumibilmente riuscendo anche a “mantenere” i malpancisti. Per questo…

L’articolo prosegue su Left del 5-11 marzo 2021

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Tutti esaltano il silenzio di Draghi, ma se il Governo non parla si rischia solo più confusione

Nell’ubriacatura generale per l’arrivo di Draghi, quando qualcuno evidentemente poco abituato ai meccanismi di una democrazia parlamentare voleva convincerci che sarebbe bastato Draghi per risolvere tutti i problemi del Paese, per rilanciare l’economia, per bloccare l’epidemia, per impennare i vaccini, tra le varie inginocchiature che abbiamo avuto la sfortuna di leggere c’era il grido di giubilo per il nuovo “silenzio” che Draghi avrebbe imposto come forma di misura e di contenimento.

“Evviva!”, scrivevano tutti sui social. Tutti contenti che Draghi non usasse i social e nessuno sfiorato dall’idea che una buona comunicazione politica non debba per forza passare dal silenzio rivenduto come riserbo.

E così siamo passati dalle sparate quotidiane di membri del Comitato tecnico scientifico, dalle ramanzine regolari del turbo-commissario Arcuri, dalle puntualizzazioni cicliche di Speranza e dalle veline passate ai giornalisti alla sparizione completa dell’analisi dei dati.

In giro c’è un silenzio da lockdown addirittura rispettato. E qualcuno ci dice che, piuttosto che sentire “troppo”, sia meglio non sentire “niente”. Sarà, non mi convince.

Il fatto che le vaccinazioni in Italia e le consegne in Europa, solo per fare un esempio, siano molto in ritardo rispetto alle ottimistiche previsione di qualche settimana fa è un tema che forse qualcuno dovrebbe affrontare e su cui ci meriteremmo di ascoltare qualche spiegazione, qualche intenzione per invertire la tendenza, almeno qualche reclamo sugli accordi non rispettati.

Che Arcuri, per fare un altro esempio, non ci ammorbi con le sue conferenze stampa tronfie (e spesso che non rispondevano alle domande) non rischiara comunque i dubbi su una campagna di vaccinazione nazionale che meriterebbe qualche parola sullo stato attuale.

Che i numeri quotidiani dei contagi non vengano raccontati e interpretati per definire i possibili scenari futuri rischia di essere un boomerang in mano ai polemici per professione.

E infatti la voce che si leva oggi, quella che svetta per il silenzio tutto intorno, è quella del solito Salvini, che fa l’opposizione al governo di cui fa parte e che comincia con la tiritera della Pasqua che non merita restrizioni, con la solita superficialità che serve a solleticare le pance.

Mi chiedo: siamo sicuri che sia un valore “comunicare poco” quando invece basterebbe “comunicare bene”, essere coordinati, univoci nelle decisioni e nelle interpretazioni?

Siamo passati dal pollaio al deserto: attendiamo con ansia di trovare il senso della misura.

Leggi anche: 1. Tutti pazzi per Draghi, ma già a giugno i partiti potrebbero voltargli le spalle (di L. Zacchetti) / 2. Caro Renzi, ora chiarisca una volta per tutte i suoi rapporti con l’Arabia Saudita (di G. Cavalli)

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La mattanza non percepita

Provate a immaginare cosa scriverebbero certi giornali se dei terroristi, meglio ancora se islamici ché funzionano meglio, ogni 5 giorni ammazzassero qualcuno in Italia…

Provate a immaginare se dei terroristi, meglio ancora se islamici ché funzionano meglio, ogni 5 giorni ammazzassero qualcuno in Italia. Ogni 5 giorni esce una notizia sulle pagine di cronaca contro questa violenza che, sono sicuro lo scriverebbero così, “mette in pericolo il nostro Paese”. Oppure immaginate un’etnia, preferibilmente nera ché funziona meglio, che ogni 5 giorni uccida una donna, una “nostra” donna come scriverebbero sicuramente certi giornali e provate a prevedere cosa direbbe la politica, certa politica. Oppure immaginate di mettere certe morti tutte in fila, una dopo l’altra. Così:

11 gennaio: Sharon ha 18 mesi e vive a Cabiate, in provincia di Como. Muore per una stufa che le cade addosso in casa. La Procura di Como scopre che la bimba però era stata maltrattata e violentata e ha disposto l’arresto del compagno della madre, Gabrile Robert Marincat, che ora si trova in carcere. La madre nutriva dei sospetti.

16 gennaio: Victoria Osagie, 34 anni, è stata uccisa dal marito nel tardo pomeriggio all’interno della propria abitazione a Concordia Sagittaria in provincia di Venezia. L’uomo l’ha colpita più volte con un coltello al termine di un litigio. I tre figli hanno assistito alla scena.

24 gennaio: Roberta Siragusa. Il corpo della diciassettenne al momento del rinvenimento si presentava parzialmente carbonizzato e nudo nella parte alta, con i pantaloni abbassati, il volto tumefatto, il cranio ferito e parte dei capelli rasati (da stabilire se di proposito o a causa delle bruciature).‍ Per recuperare i resti della ragazza sono dovuti intervenire sul posto i Vigili del fuoco. È stato arrestato Pietro Morreale, 19 anni, fidanzato della vittima. I due litigavano spesso: un mese prima la vittima aveva un occhio tumefatto.

29 gennaio: Teodora Casasanta, 39 anni e il figlio Ludovico di 5 anni sono stati uccisi dal marito e padre Alexandro Vito Riccio a Carmagnola. Il gesto sarebbe stato premeditato, poiché sul posto è stato ritrovato un biglietto su cui il trentanovenne avrebbe espresso l’intenzione di togliere la vita alla coniuge e al bambino. Lei aveva espresso la volontà di separarsi. L’esame autoptico ha rilevato circa 15 fendenti sul corpo della moglie e 8 su quello del figlio. L’aggressore avrebbe prima accoltellato le vittime nel letto, poi si sarebbe accanito su di loro pestandoli con diversi oggetti presenti in casa, tra cui il televisore.‍

1 febbraio: Sonia Di Maggio, 29 anni, è stata uccisa a Minervino di Lecce. La vittima si trovava in strada, nella frazione di Specchia Gallone, insieme al fidanzato quando all’improvviso è stata aggredita da un individuo: era Salvatore Carfora, 39 anni, ex compagno della giovane. Armato di coltello, ha sferrato numerosi fendenti alla ventinovenne. Il fidanzato ha tentato di difenderla, ma nulla ha potuto contro la furia dell’aggressore. Sonia si è accasciata al suolo in un lago di sangue. Vani i tentativi dei sanitari giunti sul posto che hanno provato a rianimarla, ma le lesioni erano troppo gravi.

7 febbraio: Piera Napoli, cantante di 32 anni e madre di tre figli, è stata uccisa la mattina del 7 febbraio 2021 all’interno dell’abitazione in cui risiedeva a Palermo, nel quartiere Cruillas. Il marito della donna, Salvatore Baglione, 37 anni, dipendente di una ditta che trasporta carni, intorno alle ore 13.00 si è costituito dai Carabinieri alla caserma dell’Uditore per confessare il delitto. Circa un mese prima la donna aveva richiesto l’intervento della Polizia dopo un’ennesima lite in casa con il coniuge, ma alla fine non se l’era sentita di sporgere denuncia.

7 febbraio: Luljeta Heshta, 47 anni, è una donna originaria dell’Albania, da 10 anni in Italia e regolare sul territorio, morta nel pomeriggio del 7 febbraio 2021 all’ospedale Humanitas di Rozzano in provincia di Milano. È stato arrestato il convivente della donna. Il gesto sarebbe stato compiuto a causa della presenza di un presunto amante nella vita della donna. La stessa nei giorni precedenti avrebbe lasciato l’abitazione che condivideva con il compagno per separarsi da lui.

12 febbraio: Lidia Peschechera, 49 anni, è stata trovata morta durante il pomeriggio del 17 febbraio 2021 all’interno della sua abitazione in zona Ticinello a Pavia. In carcere c’è il suo ex convivente Alessio Nigro. Il ventottenne, senza fissa dimora, si definiva un clochard e aveva problemi legati alla dipendenza dall’alcol. La donna si era offerta di aiutarlo, ospitandolo anche in casa, ma l’individuo non aveva fornito segnali di ripresa, anzi, in un’occasione lei aveva anche dovuto chiamare la Polizia per sedare una lite, al termine della quale non se l’era sentita di denunciare. Successivamente però la stessa aveva intimato al giovane l’intenzione di volerlo mandare fuori dall’abitazione a causa dei suoi comportamenti violenti, sfociati poi nell’omicidio.

19 febbraio: Genova. Clara Ceccarelli, 69 anni, è stata uccisa dall’ex compagno Renato Scapusi, 59 anni. Si parla di circa 100 coltellate. La donna è stata uccisa al termine del proprio turno di lavoro. All’inizio del 2020 si erano lasciati e da quel frangente sarebbero iniziate una lunga serie di aggressioni e persecuzioni messe in atto dall’uomo. La donna da giorni si era pagata il funerale e aveva provveduto a organizzare l’assistenza per il padre anziano e il figlio disabile. Sapeva di morire.

Ieri, 22 febbraio: Deborah Saltori, 42 anni, è stata uccisa in località Maso Saracini a Cortesano, frazione della città di Trento. La vittima sarebbe stata colpita con un’accetta dall’ex marito Lorenzo Cattoni, 39 anni, in una zona di campagna dove lui stava lavorando. Ad allertare i soccorsi sarebbe stato un passante che, durante il pomeriggio, ha notato i corpi esanimi dei due ex coniugi, riversi al suolo (l’uomo avrebbe infatti tentato di togliersi la vita). Secondo le prime ricostruzioni, Cattoni era già stato ammonito due volte dal questore della città per violenza domestica, anche verso la sua precedente compagna. Lo stesso era sottoposto agli arresti domiciliari a casa dei genitori nel comune di Terre d’Adige (Trento) perché, nel corso degli ultimi anni, era ricorso più volte a violenze fisiche e psicologiche nei confronti della vittima.

Sempre ieri, 22 febbraio: Rossella Placati, 51 anni, è stata trovata morta e sanguinante nel suo appartamento di Bondeno, Ferrara. Per ora non ci son arresti ma il suo compagno si è presentato in caserma raccontando di una discussione avvenuta la sera precedente e di essersi allontanato.

Questo è il punto in cui siamo.

Buon martedì.

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Un governo per niente impolitico

Il governo Draghi, quello che fa sognare i portatori d’acqua delle élite e i nuovi feticisti del merito usato come termometro personale per poter giudicare il mondo, ha già fissato un nuovo record: i suoi ministri hanno cominciato a litigare tra di loro quarantotto ore dopo il giuramento, due giorni prima addirittura di ottenere la fiducia, nemmeno il tempo di tornare a casa e svestirsi dei vestiti di ordinanza che erano serviti per apparire sobri. Tolti i vestiti, tolta la sobrietà. Il punto dirimente è stata la chiusura all’ultimo momento delle piste da sci alla luce dei nuovi dati sanitari (tra l’altro l’ennesimo colpo a un’economia che prova faticosamente e costosamente a rialzarsi e poi si ritrova con le gambe spezzate dal virus) ma non preoccupatevi perché sarebbe potuto accadere su un tema qualsiasi e accadrà, vedrete, su un altro milione di punti. Comunque è bastato il decreto firmato dal ministro Speranza (che mica per niente fino all’altro ieri era il capo della “dittatura sanitaria” strillata da destra) per accendere le voci di chi ha corso per scrollarsi di dosso la responsabilità e per apparire critico del governo per sembrare dalla parte dei lavoratori. In prima fila, ovviamente, ci sono stati i leghisti che sono quelli che più di tutti hanno meno da perdere nel fare gli sfascisti dall’interno e continuare a ondeggiare tra l’essere critici e responsabili, sovranisti e europeisti, patrioti e cosmopoliti.

Le bordate di Salvini, dei presidenti di Regione e dello Stato maggiore del partito avevano un unico obiettivo: scaricare su Speranza tutta la responsabilità, promettere che con loro queste cose non sarebbero mai più accadute e lanciare a Draghi il chiaro messaggio che loro no, non staranno tranquilli. Tant’è che proprio Palazzo Chigi (e hanno scritto tutti “Palazzo Chigi” perché gli tremano le dita a scrivere “Draghi”) ha dovuto smentire la fiumana critica che stava montando chiarendo che la decisione era stata condivisa in Consiglio dei ministri. Ovvero: questi fanno finta di non sapere e invece sono responsabili durante le riunioni con la maggioranza e poi si fanno esplodere appena gli capita davanti un microfono. E sarà così, sarà sempre così, sarà sempre di più così. Spiace anche vedere in giro gente che esulta confidando veramente sul fatto che Draghi riesca a tenere a bada i suoi ministri e i suoi sottosegretari: potrà anche accadere (sarà ben difficile, secondo me nemmeno questo accadrà) ma Draghi non potrà mai permettersi di zittire i partiti e sarà proprio dai partiti che arriveranno le bordate e non è un caso che i leader di partito si siano tenuti ben attenti tutti le mani libere. Ora da questo piccolo ma significativo episodio si può subito capire una cosa ben chiara: siamo di fronte a un governo con una connotazione fortemente politica (il “governo di quasi tutti i partiti”, altro che il governo dei tecnici) e noi dobbiamo valutarlo per questo. E allora che governo è il governo Draghi? La squadra di governo statisticamente disegna l’identikit di un maschio 55enne lombardo-veneto con 6 ministri di centrodestra (3 ciascuno per Lega e Forza Italia), 4 del M5s, 3 del Pd, 1 di Leu e 1 di Italia viva. Bastano le statistiche per capire di cosa stiamo parlando? Siamo di fronte a un governo con una maggioranza di ministeri dati al centrodestra (i numeri parlano) con il più promettente partito di destra, Fratelli d’Italia che presto volerà nei sondaggi, a capo dell’opposizione, con tecnici che provengono da una cultura bancaria a occupare le altre caselle, con una forte impronta cattolica (se non addirittura omofobi di derivazione ciellina) e con idee tutte’altro che progressiste in tema di diritti civili. Un governo, per intendersi, che dalle urne sarebbe uscito se la coalizione di Salvini e Berlusconi e Meloni avesse ottenuto la maggioranza dei voti e avesse potuto godere dell’appoggio esterno del presunto centrosinistra.

Questa è l’impronta, questa è la storia delle persone che sono al comando e non si capisce per quale ragione da un composto del genere dovrebbero uscire idee totalmente opposte ai loro curriculum. Allora forse conviene fare un patto, almeno con i lettori, e decidere che sia subito il caso di uscire da questo messianismo che ha immobilizzato un bel pezzo dell’opinione pubblica e che si cominci da subito a valutare il governo Draghi con lo stesso occhio clinico e attento che si userebbe per un governo di cui temiamo le mosse. Questo non per un miope pregiudizio di ideali (chi non si augurerebbe di vivere in un Paese che abbia la fortuna di trovare un ottimo governo?). Ma perché se continuiamo a rimanere imbrigliati nel tranello di considerare questo esecutivo “impolitico” allora saremo sempre pronti a digerire qualsiasi sua azione come “la meno peggio delle mediazioni possibili”. È un governo larghissimo? Sì, è vero, ma la responsabilità di tutta questa ampiezza se la sono presa Draghi e il presidente della Repubblica e se davvero siamo nell’epoca del “merito” allora se ne assumeranno tutte le responsabilità.

L’articolo prosegue su Left del 19-25 febbraio 2021

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