Conoscere per deliberare: l’ordinanza d’arresto dei Laudani (LIDL e vigilantes). Operazione Security.
Ecco qui. C’è dentro anche qualche politico, noto. Cercate bene.
ordinanza-lidl(questo l’articolo di Repubblica Milano)
MILANO – Le mani del clan catanese Laudani sulla società di vigilantes che lavora in tribunale a Milano, ma anche sulla catena dei supermercati Lidl e sugli appalti nelle scuole. E’ il bilancio dell’ultima operazione del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e del pm Paolo Storari, che ha fatto finire ai domiciliari anche una dirigente del Comune di Milano, Giovanna Rosaria Maria Afrone, responsabile del Servizio gestione contratti trasversali. “A Milano la corruzione è un fenomeno dilagante”, dice Boccassini.
I soldi alle famiglie del clan. Le ordinanze di custodia cautelare sono 15 – sono firmate dal gip Giulio Fanales – e parlano di associazione a delinquere, favoreggiamento e corruzione. “Sono stati seguiti i passaggi di denaro – precisa Boccassini – il denaro raccolto a Milano veniva consegnato alla famiglia Laudani, ritenuta il braccio armato di Nitto Santapaola”. La presunta associazione per delinquere avrebbe funzionato “da serbatoio finanziario del clan”: i soldi delle attività al Nord servivano per aiutare economicamente le famiglie dei detenuti, cui veniva chiesto di sottoscrivere “una ricevuta”.
Gli arrestati. Cinque imprenditori di origine siciliana, da anni residenti al Nord, avevano creato consorzi di cooperative nel settore della logistica e della vigilanza privata, alle quali la Lidl Italia ha appaltato commesse per gli allestimenti e la logistica dei punti vendita sia al Nord sia in Sicilia, e che avevano vinto gare per gestire la sicurezza anche del tribunale di Milano. In carcere, in particolare, sono finiti Luigi Alecci, Giacomo Politi e Emanuele Micelotta, titolari del consorzio Sigi Facilities da 14 milioni di fatturato nel 2014 (poi Sicilog srl), che aveva vinto una serie di gare con il colosso della grande distribuzione tedesco. In manette sono finiti anche i fratelli Nicola e Alessandro Fazio, titolari del gruppo Securepolice, che oltre a lavorare con Lidl, si era anche aggiudicato ad esempio il contratto con il Comune di Milano per la sorveglianza del tribunale.
I supermercati. In particolare sono state poste in amministrazione giudiziaria quattro direzioni generali della società di grande distribuzione Lidl – una in Lombardia, due in Piemonte e una in Sicilia, a Misterbianco – cui afferiscono circa 200 punti vendita. La società non risulta indagata e il meccanismo dell’amministrazione giudiziaria punta a ripulirla da infiltrazioni mafiose. Nell’ordinanza il gip Fanales parla di “stabile asservimento di dirigenti Lidl Italia srl, preposti all’assegnazione degli appalti, onde ottenere l’assegnazione delle commesse, a favore delle imprese controllate dagli associati, in spregio alle regole della concorrenza con grave nocumento per il patrimonio delle società appaltante”. Precisa Boccassini: “Sapevano quali fossero le persone giuste da corrompere, pescavano in un laghetto sicuro”.
La società dei vigilantes del tribunale. Nel mirino degli investigatori della Dda ci sarebbero anche alcune società del consorzio che ha in appalto la vigilanza privata del tribunale di Milano, si tratterebbe di società che forniscono i vigilantes del Palazzo di giustizia. La società è indagata per la legge 231. Sarebbero emersi stretti rapporti tra alcuni dirigenti delle società coivolte (e messe, anche in questo caso come per le 4 sedi Lidl, in amministrazione giudiziaria) e alcuni personaggi ritenuti appartenenti alla famiglia dei Laudani. Le indagini della Dda non avrebbero, allo stato, pregiudicato la sicurezza del Palazzo di giustizia o delle sue attività. Parlando del provvedimento di amministrazione giudiziaria preso nei confronti della società, i magistrati hanno precisato: “Abbiamo chiesto l’amministrazione giudiziaria proprio per tutelare i 600 dipendenti”.
I contatti con la politica. Tra i filoni dell’inchiesta ce n’è anche uno che riguarda un ex dipendente della Provincia di Milano, Domenico Palmieri, con una lunga esperienza nella pubblica amministrazione. Per i pm, sarebbe stato lui a mettere a disposizione dei referenti del clan Laudani una serie di rapporti con esponenti di amministrazioni pubbliche. Il compenso si aggirava intorno ai mille euro al mese. Proprio lui aveva contattato la funzionaria del Comune di Milano Giovanna Afrone, che oggi è finita agli arresti domiciliari.
La dirigente del Comune ai domiciliari. La dirigente, si legge in un passaggio del provvedimento del giudice, si sarebbe impegnata ad aggiudicare agli imprenditori coinvolti, tramite la procedura di affidamento diretto, la gara da 40mila euro per le pulizie degli edifici scolastici comunali, per avere in cambio un posto di lavoro presso il settore bilancio della Provincia di Milano nonché il trasferimento della cugina al settore informatico sempre di Palazzo Marino. Giovanna Afrone, 53 anni, entrata in Comune nel 2003, ha una carriera tutta interna fino all’attuale ruolo di funzionario nella Direzione facility management come responsabile della gestione amministrativa e contratti.
Gli altri coinvolti. Figure di spicco per facilitare gli appalti della Sigi logistica, controllata attraverso prestanome dal boss Orazio Salvatore Di Mauro, sarebbero stati Orazio Elia e Domenico Palmieri, “associati” all’organizzazione e “soggetti già facenti capo della pubblica amministrazione sanitaria e provinciale”. I due, secondo l’accusa della Dda e del pm Storari, “sfruttano a pagamento, le proprie relazioni con esponenti del Comune di Milano, di sindaci e assessori, al fine di ottenere commesse e appalti da proporre ai propri clienti”. Tra i nomi elencati nell’ordinanza dal gip vengono elencati i presunti contatti dei due. I nomi sono – oltre a quello di Afrone – quelli di Alba Piccolo, settore Servizi generali del Comune di Milano, Graziano Musella, sindaco di Assago, rieletto con Forza Italia nel 2014, Angelo Di Lauro, consigliere comunale a Cinisello Balsamo e, infine, Franco D’Alfonso, “consigliere comunale in Comune a Milano”, ex assessore della giunta Pisapia, che non sarebbe comunque nell’elenco degli indagati.