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Eccallà: commercialista e beneficenza

Ecco come si giustificano alcuni amministratori locali della Lega che hanno fatto richiesta del bonus di 600 euro

“Sono socio in uno studio di tributaristi – ha detto Forcolin in una intervista al Corriere della Sera -. Senza che lo sapessi la mia socia ha presentato domanda per tutti, dove possibile. Il dato di fatto però è che non ho visto un centesimo, lo sottoscrivo col sangue”. Gianluca Forcolin è vicepresidente della Regione Veneto, il vice di Zaia: “Resto a disposizione del partito – ha detto Forcolin  -. Voglio augurarmi che cinque anni di integrità e impegno etico e morale non siano messi a repentaglio da una semplice pratica”.

“Ho preso il bonus ma l’ho restituito” C’è anche un consigliere regionale del Piemonte, sempre della Lega, tra quelli che hanno percepito il bonus per le partite Iva. “Ho già provveduto allo storno delle cifre all’Inps restituendo i due bonus – ha detto Claudio Leone, eletto lo scorso anno per la prima volta nella Lega -. I contributi erano destinati alle società di cui faccio parte per il periodo di chiusura dei negozi – spiega -. Sentito il commercialista, entrambe rientravano nelle attività alle quali spettavano gli aiuti. Ne ho parlato con i soci e abbiamo deciso di chiedere il bonus. L’ho fatto a cuor leggero forse, certo che fosse consentito. La politica non c’entra nulla”. Come nei gialli, solo che questa volta la colpa è del commercialista. Vedrete che il commercialista in questi giorni sarà il nuovo maggiordomo come nei classici gialli.

“Ho dato tutto in beneficenza“. Ubaldo Bocci, coordinatore del centrodestra nel Consiglio comunale di Firenze, che nel 2019 sfidò Dario Nardella nella corsa a sindaco del capoluogo toscano, ha chiesto e percepito il bonus. Bocci, ex dirigente Azimut, come riportano oggi i quotidiani locali, spiega di non aver problemi di finanze ma di averlo fatto “per dimostrare che il governo stava sbagliando non dando soldi ad hoc per disabili e tossicodipendenti” e di aver dato tutto in beneficenza, assicurando di avere i bonifici che lo testimoniano. “È vero ho preso quei soldi ma non li ho tenuti per me – rivela Bocci -. Il commercialista mi disse che avrei potuto averli anche io visto che si trattava di denari a pioggia, dati in maniera sbagliatissima, senza distinguere reddito e posizione di ciascuno. E allora pensai che potevo richiederli per donarli a chi ne aveva davvero bisogno. E così ho fatto”. Bocci ha una dichiarazione dei redditi da 270mila euro. La beneficenza con i soldi degli altri è un livello superiore: si sapeva che anche questa sarebbe stata un classico.

L’aspetto più comico e patetico è che sai già come si trincereranno, dietro quali scuse. Però c’è da registrare un fatto mica da poco: si giustificano. Si giustificano (male) ma si giustificano. E così rendono tutto ancora più aberrante e ridicolo.

E viene in mente quando per un politico (così come un personaggio pubblico) era di moda il senso dell’opportunità, del non fare qualcosa perché inopportuno, del non sentire una schiera di quelli che ora vorrebbero insegnarci (proprio loro) come scrivere le leggi giuste. Siamo il Paese con il mito degli antifurti progettati da ladri, solo che sono ladri che continuano a operare.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La parità degenere

In Puglia l’ostruzionismo di Fratelli d’Italia ha impedito che la doppia preferenza di genere fosse inserita nella legge elettorale, come previsto da una norma nazionale del 2016. Così il governo ha dovuto metterci una pezza

Che gran brutta figura che ha rimediato il Consiglio regionale della Puglia. La notizia è passata sottobraccio eppure è una notizia di portata storica perché vede il governo, con il presidente Conte, intervenire per decreto lì dove i consiglieri regionali sono riusciti a dare il peggio di se stessi.

Partiamo dall’inizio: il Consiglio regionale pugliese nell’ultima occasione utile non riesce a introdurre la doppia preferenze di genere così come stabilito dalla legge nazionale, la n.20 del 2016, riuscendo addirittura a farsi bloccare da qualche migliaio di emendamenti da parte di Fratelli d’Italia, quelli della famiglia tradizionale che evidentemente le donne le vorrebbero vedere solo a casa a stirare e accudire i bambini. Che una Regione non riesca a mettersi in regola, dopo oltre quattro anni, con una legge così importante e non riesca a garantire la parità di genere e soprattutto per fare qualcosa di concreto per la partecipazione politica delle donne è la fotografia di un Paese in cui l’autopreservazione (degli uomini) è e rimane uno degli ostacoli principali.

Il governo ha provato a richiamare i consiglieri regionali alle loro responsabilità ma l’invito è caduto nel vuoto: la brama di qualche maschietto di non perdere il posto alle prossime elezioni evidentemente ha contato di più di principi che vengono annunciati e poi mai messi in pratica. Così alla fine è dovuto intervenire il presidente Conte con una mossa che ha qualcosa di storico: il governo ha nominato il prefetto di Bari Antonia Bellomo commissario straordinario con la funzione di provvedere «agli adempimenti strettamente conseguenti per l’attuazione del decreto sulla doppia preferenza di genere nelle Regionali in Puglia». Poche ore dopo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto legge.

Ha ragione la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti quando scrive: «Affermiamo così che la parità di genere è un principio da tutelare in tutto il Paese, in maniera uniforme, perché in maniera uniforme va tutelato il diritto alle pari opportunità. Avevo anticipato negli scorsi giorni la volontà di utilizzare questo strumento inusuale, sperando tuttavia che le istituzioni pugliesi si adeguassero autonomamente. Non avendolo fatto, non abbiamo avuto altra scelta che questa per garantire i diritti e la legalità. Ho chiesto e insistito per un commissario straordinario che sia garante della piena applicazione del decreto e lo abbiamo individuato nella persona del Prefetto di Bari».

È un gesto enorme. E giusto. E dimostra invece la parità degenere della politica quando si occupa solo di sopravvivere.

Ben fatto.

Buon lunedì.

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Quei migranti che il Governo e l’Europa considerano carne da macello. Proprio come Salvini

Fuori da quelle navi dovrebbero attaccarci un cartello, avere il coraggio di farlo davvero, e scriverci su “carne da maneggiare con cura”. Le persone che continuano a essere alla deriva in questo Mediterraneo così tristemente uguale a se stesso non sono persone come tutti gli altri, non sono gente con un passato e con un presente o chissà perfino un futuro, quelle persone sono carne che non è buona nemmeno da mangiare ma che torna utilissima per il carpaccio della retorica politica e per essere lanciata a fette contro l’avversario di partito.

Se arrivano in Italia, come accade da 12 giorni alla Ocean Viking con a bordo 180 persone, allora sono carne pronta per essere addentata da Salvini e dai suoi amici per raccontare la solita invasione che non c’è e che non c’è mai stata, il tutto condito anche con il terrore del Covid che intanto viaggia per tutto il Veneto nella tasca di un dirigente d’azienda che ha giocato a fare il super eroe. Ma sono carne da macello anche per i partiti di governo, per quelli che vigliaccamente hanno paura di essere considerati troppo buoni, per quelli che invece i migranti li vorrebbero usare come fa certa destra ma non possono per equilibri di governo. E sono carne da macello anche per il presidente del Consiglio, che non riesce a trovare nessuna opportunità fotografica per potersi permettere di parlarne.

Sono carne da maneggiare con cura anche per la ministra Lamorgese, quella che ha usato la ferocia invisibile sui social per contrastare il feroce che è dappertutto sui social: stessi temi, stessi modi, stesso punto di vista ma atteggiamenti diversi che vorrebbero essere rivenduti come una qualità. Che qualità vacua, invece. Sono carne da maneggiare con cura anche i 52 migranti che sono a bordo del mercantile Talia che ha avuto l’ardore di ritardare la consegna del carico per salvare le persone, pensa un po’.

Quella foto di un macchinista che sorregge sulle braccia uno scheletrico profugo molle come un orologio di Dalì è il manifesto dell’Europa che tace e acconsente, che continua a fare i conti per i soldi da sparpagliare in giro ma che non ne vuole sapere di quella carne che arriva dal mare, quella carne che, disdetta, scappa ai carnefici libici che pure paghiamo così tanto e così bene. Non sono più persone, non sono più nemmeno numeri: sono carne da conservare perché non diventi rancida e non puzzi troppo alzando lo sdegno e sono carne a cui trovare un angolo dentro il congelatore senza spostare troppo tutto il resto.

Leggi anche: 1. Salvini e i suoi poliziotti: ma mio figlio ha il coraggio delle sue idee (di Selvaggia Lucarelli) / 2. Beppe Sala a TPI: “Se tornassi indietro, parlerei di meno. Non so se mi ricandido a sindaco di Milano” / 3. Stabilimenti balneari, il Parlamento si inventa il “condono”: concessioni a prezzi irrisori e senza gare

4. Meloni a TPI: “Mentre gli italiani muoioni di fame, il governo pensa a regolarizzare i clandestini” / 5. In Italia crolla la vendita di mascherine: “Calo di due terzi, mentre i contagi aumentano” / 6. Camici per medici forniti da ditta della moglie di Fontana: Procura indaga per turbativa d’asta

L’articolo proviene da TPI.it qui

Dire “è colpa mia” ma non voler toccare nulla nei rapporti con l’Egitto (armi incluse) è una presa in giro

Conte ha detto che è colpa sua. “Ho incontrato sei o sette volte il presidente Al-Sisi. Parlarci di persona e guardarlo negli occhi, poter esercitare un’influenza diretta durante un colloquio vis-à-vis non ha portato risultati, non sono stato capace”, ha detto il presidente del consiglio durante l’audizione alla commissione d’inchiesta sull’uccisione di Giulio Regeni, ammettendo di fatto il fallimento delle trattative diplomatiche con l’Egitto e lo stallo delle trattative. L’audizione di ieri, da cui ci si aspettava di avere un chiarimento sulle eventuali evoluzioni e sulle strategie da adottare è diventata un’opportunità di comunicazione per il governo ma non ha aggiunto nulla allo sconcerto che i genitori di Regeni da mesi fanno emergere insieme a tutta la loro insoddisfazione per la mancanza di significative novità.

Che un presidente del consiglio riconosca le proprie responsabilità è, di questi tempi, una rarità da salutare con sorpresa e perfino una certa ammirazione ma nelle parole di Conte manca un punto sostanziale: quindi cosa si ha intenzione di fare con l’Egitto? Come si ha intenzione di smuovere il sultanato di Al-Sisi che continua a essere sordo? Come si pensa di sbloccare la rogatoria internazionale della magistratura italiana che da un anno giace inascoltata in qualche cassetto di qualche ufficio egiziano? Su questo nulla.

Il governo dice di sperare che qualcosa possa accadere il primo luglio quando ci sarà l’incontro tra le Procure del Cairo e di Roma. Ammettiamolo: che l’unica strategia sia quella della speranza sembra davvero pochino per poter confidare che arrivi una giustizia che ormai da anni rimane appesa. “E se quell’incontro del primo luglio dovesse saltare?”, chiedono a Conte e lui serafico risponde “a mio avviso non siamo ancora quel punto”. Ma non si sa bene a che punto siamo.

Una cosa certa c’è: da quando Conte è presidente del consiglio l’Egitto è passato dal quarantaduesimo Paese con cui l’Italia commerciava armi fino al decimo posto del 2018 e fino al primo posto di quest’anno. Italia e Egitto hanno intensificato la loro amicizia commerciale, alla faccia di Giulio Regeni. E forse non è un caso che nell’audizione di ieri non si sia trovato il tempo di parlare le due fregate Fremm e i 9 miliardi di armamenti che ancora sono sul tavolo: quella commessa è stata il convitato di pietra ma Conte non ha voluto accennarne.

In fondo la storia di Regeni è come tutte le storie in cui la verità fa a pugni con il profitto: si leggono dalle cose non dette.

Leggi anche: 1. L’Egitto acquista 2 navi militari italiane e tappa la bocca all’Italia sul caso Regeni / 2. Regeni, 4 anni dopo: tutta la fuffa della politica che ci ha preso in giro (di L. Tomasetta) / 3. Patrick Zaky, gli affari con l’Egitto possono diventare un’arma per l’Italia (di A. Lanzetta)

L’articolo proviene da TPI.it qui

È che ci vuole il fisico, per sapere non fare la guerra

Angelino Alfano, ministro agli Esteri: «L’Italia comprende le ragioni di un’azione militare USA proporzionata nei tempi e nei modi, quale risposta a un inaccettabile senso di impunità nonché quale segnale di deterrenza verso i rischi di ulteriori impieghi di armi chimiche da parte di Assad, oltre a quelli già accertati dall’ONU».

Paolo Gentiloni, Presidente del Consiglio: «L’azione ordinata dal presidente Trump. È una risposta motivata a un crimine di guerra. L’uso di armi chimiche non può essere circondato da indifferenza e chi ne fa uso non può contare su attenuanti o mistificazioni».

Nicola La Torre, senatore del PD, presidente della Commissione Difesa al Senato: «L’azione USA è un’opportunità. Obama con Mosca sbagliava strategia. Ogni sforzo diplomatico era azzerato. L’attacco ha fermato la china criminale e può riaprire il negoziato».

Queste le dichiarazioni. E il commento, alla fine, non c’è nemmeno bisogno di scriverlo perché l’ha già detto come meglio non si poteva dire George Orwell nel 1938:

(continua su Left)

Innocenti fino al terzo grado di paraculo

Succede a Lecco in questi giorni, ma poco fa accadeva in Piemonte e bene o male succede un po’ dappertutto: quando si scopre che qualcuno si fingeva buon cittadino ma in fondo è un boss (spesso di ‘ndrangheta) tutti i politici che hanno avuto buoni rapporti con lui si nascondono dietro al giudizio della magistratura. “Decideranno i tre gradi di giudizio”, ci dicono e invece in un Paese in cui non è un reato essere amico di un mafioso dovrebbe esistere il pregiudizio dell’opportunità. E’ opportuno che un uomo politico (e in generale la classe dirigente) non coltivi amicizie pericolose. A casa mia addirittura è una regola che vale per i miei figli. Pensa te.

Opportunità e colpevolezza

Ho passato i miei ultimi anni provando a riaccendere il senso di opportunità che abbiamo banalmente tralasciato sostituendolo con l’eventuale condanna o assoluzione (senza nemmeno riuscire a raccontare per bene cosa sia la prescrizione). Ne parlo ovunque: negli spettacoli, nei libri, nelle scuole. Tra i risultati nefasti di questa sclerotizzazione del senso di opportunità (e ovviamente inopportunità) c’è anche l’impunità politica di cui godono politici come Schifani, Formigoni (solo per citarne un paio, ma sono tantissimi) che nonostante siano talvolta stati assolti risultano chiaramente, carte alla mano, inopportuni in alcune loro amicizie e in alcuni loro comportamenti. Per questo credo che valga la pena leggere Alessandro Gilioli oggi su L’Espresso:

Ecco, da noi vent’anni di berlusconismo e antiberlusconismo, nonché di serrato confronto fra cosiddetti ‘garantisti’ e cosiddetti ‘giustizialisti’, ci hanno privati del giudizio politico. Siamo tutti lì incatenati ai tre gradi di decisioni togate, come se (almeno in alcuni casi) non potessimo esprimere un giudizio di opportunità politica a prescindere dalle sentenze.

E mi permetto di consigliare, a proposito di false innocenze, il mio libro qui.

(Autopromozione, sì.)

Buongiorno maestro: insegna il sindaco del comune sciolto per mafia

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Aldredo Celeste incontra una straordinaria personalità dell’intellighenzia politica lombarda.

Di Alfredo Celeste mi è capitato spesso di scriverne. Ne ha scritto benissimo (e continua a farlo) la brava Esther Castano che insieme ad Ersilio Mattioni (autore dell’articolo per L’Espresso che riporto qui sotto) l’ha marcato ad uomo ricevendone spesso insulti e reazioni scomposte (oltre a sconvenienti avvisi di vigili esageratamente ligi). Ora il buon Celeste continua tranquillamente ad insegnare presso il liceo europeo di Arconate e ovviamente qualcuno storce il naso. Più di qualcuno. Curia esclusa. E allora si ripropone il vecchio dovere dell’opportunità che in questo Paese (profondo nord incluso) sembra così difficile da esercitare. Leggere per credere:

Lo scontro è impari, una piccola scuola di provincia contro la Curia di Milano. Il motivo è assai serio: la nomina a insegnante di religione di Alfredo Celeste, l’ex sindaco del primo comune in Lombardia sciolto per mafia. Che oggi è imputato per corruzione in un processo sui rapporti tra la politica e la ‘ndrangheta ed è sottoposto alla richiesta di “sorveglianza speciale per tre anni con obbligo di soggiorno, in quanto soggetto socialmente pericoloso”, misura voluta dalla Direzione distrettuale antimafia. Tutto questo perché Celeste ha per anni frequentato persone accusate di appartenenza o vicinanza con i clan calabresi.

Una brutta tegola sulla testa di Ermanno Puricelli, preside del liceo europeo di Arconate, comune di 6 mila abitanti in provincia di Milano. Che reagisce: “La scuola è stata messa in una situazione inaccettabile. Qui c’è un problema di grande rilievo: non si tratta di una lite di condominio, ma del primo comune lombardo sciolto per infiltrazioni mafiose. La Curia torni sui suoi passi. C’è un confine culturale che merita di essere presidiato: Insegniamo la legalità, ai nostri studenti dobbiamo garantire docenti che siamo al di sopra di ogni sospetto. Nel caso del professor Celeste questa condizione non è data”.

Il primo round, però, è stato vinto dell’imputato. La Curia ha fatto orecchie da mercante e il professore è già tornato in classe, fra l’imbarazzo di studenti e genitori, “perché i fatti contestati – spiega il preside Puricelli – non sono accaduti su Marte, bensì nel nostro territorio, a Sedriano, a pochi passi da qui. Mandare Celeste in questa scuola è stato un errore evidente”. Alla diocesi di Milano, invece, sembrano cadere dalle nuvole e l’ufficio comunicazioni sociali rende un’unica stringata dichiarazione: “Stiamo raccogliendo informazioni a proposito di quanto ci segnale. Vi contatteremo presto. Cordiali saluti”. Eppure la presidenza del liceo aveva già messo tutto nero su bianco, inviando alla Curia una lettera dai toni netti e ipotizzando per il docente l’incompatibilità ambientale: “Abbiamo espresso il nostro disagio, ricordando la vicenda e la storia di questo insegnante. Dalle informazioni finora disponibili e dalle prove raccolte è chiaro che stiamo mandando in classe una persona non totalmente credibile. Abbiamo interpellato la Curia già due volte. Attendiamo risposte”.

E’ difficile pensare che la diocesi sia all’oscuro di tutto. Il 10 ottobre 2012, quando Celeste fu arresto nell’ambito dell’inchiesta sui rapporti politica-mafia, la Curia lo sospese dall’insegnamento. Ma se all’epoca il professore era un semplice indagato, ora è un imputato, gli sono piovuti addosso altri due procedimenti giudiziari e il ‘suo’ comune, il 16 ottobre 2013, è stato sciolto per mafia.

Come se non bastasse, settimana scorsa, il capo del settore finanziario di Sedriano, Albertina Grassi, ha reso in tribunale a Milano (nell’ambito del procedimento sulla richiesta di sorveglianza speciale) una testimonianza importante sulle pressioni ricevute dall’ex sindaco per favorire un imprenditore locale attivo nel campo dei vivai, la cui azienda navigava in cattive acque avendo contratto ingenti debiti sia con il comune sia con l’erario. Si tratta di Aldo De Lorenzis, imparentato con i Musitano, definiti dai magistrati di Milano “una famiglia mafiosa dominante nei comuni dell’hinterland”.

Celeste, tra il 2009 e il 2012, ha intrattenuto rapporti amichevoli con altre due persone sospettate di vicinanza alla ‘ndrangheta. Uno è Eugenio Costantino (la cui giovane figlia, Teresa, fu consigliere Pdl a Sedriano), in carcere con l’accusa di essere un ‘boss’ della mafia calabrese: avrebbe procurato 4 mila voti all’ex assessore regionale Domenico Zambetti al prezzo di 200 mila euro. Per Costantino – che fu ‘reclutato’ nel servizio d’ordine a tutela di Nicole Minetti, invitata dall’ex sindaco come “madrina della creatività femminile” – Celeste organizzò pure una festa di compleanno, affittando un salone dell’oratorio. L’altro è Marco Scalambra, chirurgo della Humanitas e marito dell’ex capogruppo Pdl a Sedriano, accusato di essere stato il collettore di voti per le cosche alle elezioni comunali di Rho nel 2011, arrestato e adesso imputato a piede libero. Famoso un suo sms, inviato a un candidato: “Fammi sapere entro domani se ti interessano i voti delle lobby calabresi”.

Celeste, nel frattempo, ostenta sicurezza: ha liquidato con un’alzata di spalle i timori del preside del liceo, ha fatto ricorso al Tar del Lazio contro lo scioglimento per mafia di Sedriano e si gode i tempi lunghi dei tribunali italiani. A causa di un errore tecnico in un capo d’imputazione il suo processo più delicato, quello per corruzione, non è ancora cominciato a due anni dall’arresto.

La sentenza di primo grado appare lontana, mentre la prescrizione (ridotta a sette anni e mezzo da una legge del governo Berlusconi nel 2005) è un’ipotesi plausibile. Non contento, Celeste annuncia la sua ricandidatura a sindaco. Dopo la spaccatura del Pdl ha scelto di stare con Silvio. Dice di provare “vergogna per la giustizia” e di confidare “solo nel buon Dio”.

Adesso aspetta il via libera di Forza Italia, anche se Mariastella Gelmini, coordinatrice dei berlusconiani in terra lombarda, ignora chi sia: “L’ex sindaco di Sedriano? E chi è?” Poi, fatta mente locale, chiosa: “Non è un problema nostro, Celeste è esponente del Nuovo Centrodestra, vicino al consigliere regionale Alessandro Colucci”. Peccato che il professore di religione prestato alla politica abbia aperto, qualche mese fa, un club ‘Forza Silvio’. I conti non tornano.

Se non imparerò a fare lo stronzo

Impegnati, mi dicono. Impegnati a diventare uno stronzo per sapere cosa pesare e cosa invece no, mettendo sulla bilancia la merce che conviene e invece tutto il resto pesarlo nelle tasche dell’opportunità. Impegnati ad appoggiare i presunti buoni contro i sicuramente cattivi: è la via più facile, la più comoda e la più comprensibile (perché sai, in tempi di comunicazione, la comprensibilità è tutto nonostante tutto). Quindi oggi dovrei abbassare le mutande e andare per le scuole a dire che la mafia è cattiva mentre lo Stato è buono e fanculo alla mafia che senza politica non esisterebbe così come riesce ad essere oggi. Mi chiedono di rispettare tutti quelli da rispettare, quelli delle associazioni istituzionali e soprattutto i loro professori eccellenti nonostante siano i peggiori figli dei loro padri mentre esercitano ego sotto le mentite spoglie dell’antimafia. Mi chiedono di esultare anche per le poche copie di Roberto (abbasso Saviano detto al bar solo con la sicurezza delle telecamere spente) perché la leccata in pubblico è obbligatoria mentre la delazione in privato è la vittoria del carrozzone antimafioso. Mi chiedono, altresì, di ringraziare sempre le forze dell’ordine, sempre, nonostante tutto, nonostante questa nostra storia ne conosca di indegne e anch’io ne abbia incrociato qualcuno. D’altro canto mi chiedono di osteggiare le forze dell’ordine, tutte, nonostante tutto e nonostante qualcuno probabilmente mi abbia salvato la vita. Noi siamo solo per le tinte forti: così siamo fantasticamente comprensibili.

Impegnati per dire che sei di sinistra, ma non del pd, e di una nuova sinistra, mi dicono, nonostante io conosca (e riconosca) in Civati molto di quello che vorrei e in Vendola molto di quello che avrei (avrei voluto) credere possibile. Ma accarezza i grillini, mi dicono, senza chiamarli così perché si offendono, nonostante siano in molti migliori del proprio (brutto) vate e alcuni proprio improponibili.

Insomma: antimafioso scassaminchia ma senza essere troppo poco istituzionale e politicamente moderato nella sinistra radicale.

Ah, mi dicono, fai lo scrittore e l’attore per le serate in teatro ma rivendica un ruolo politico in altre sedi. E quando chiedi dei manifestanti invece no, ti rispondono, che invece no, non devi confonderti ma al massimo appoggiarli: appoggio esterno, al massimo su twitter.

Se imparerò a fare lo stronzo mi toglierò la soddisfazione di prendervi a calci nel culo solo per mostrare la vacuità fognaria dei vostri troni. Maestri a rendere.

Ci danno dei perduti perché sono dei perdenti

Marina la chiama lotta per la restanza e rende benissimo l’idea:

L’informazione: “Siete la generazione perduta” è definitivamente introiettata. Una delle più sporche e riuscite operazioni di propaganda di questo secolo. Come dire: siete degli zombie, siete già mezzi morti, siete dei cagnetti randagi, accontentatevi delle ossa che vi lanciamo.

Non è vero niente. Resistete soprattutto a questa falsa informazione. Non siete affatto la generazione perduta. Siete una generazione che avrà moltissimo da inventare. Una nuova civiltà economica. Una nuova civiltà politica. Un altro modo di studiare e di lavorare. Caricatevi di tutta l’energia che serve per questo compito gravoso e bellissimo.

“Chi definisce chi una generazione perduta?”, si domandava Hemingway. Risposta (mia) chi ha tutto l’interesse a mantenere lo status quo, e a bassissimo costo.