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opposizione

Quella sinistra che dice No a Draghi: così l’opposizione non è un’esclusiva di Giorgia Meloni

Da qualsiasi lato la si guardi, è un’ottima notizia che l’Assemblea nazionale di Sinistra Italiana abbia approvato a maggioranza la relazione del suo segretario Nicola Fratoianni per votare contro la fiducia al Governo Draghi, prendendosi la responsabilità di stare all’opposizione e di votare di volta in volta i provvedimenti che verranno valutati singolarmente.

È un’ottima notizia, almeno per chi crede ancora nel valore democratico del dibattito e dell’opposizione in un Parlamento che così largamente appoggia il governo e per chi non si lascia ammorbare dalle sirene di una politica appiattita sull’uomo solo al comando.

E, sia chiaro, è un gran bene anche per lo stesso Draghi, che potrà usufruire di un’opposizione che lo pungoli da entrambe le parti (Meloni a destra e Sinistra Italiana dall’altra parte) con due visioni completamente differenti.

Un governo “tecnico” nel senso di “non politico” non esiste, nonostante in questi giorni questa favola venga raccontata da più fonti e a più riprese. Soprattutto un governo che si ritrova a gestire una montagna di soldi che arrivano dall’Europa e si ritrova a dover decidere come spenderli: non c’è nulla di più politico del decidere le priorità e le fasce di popolazione da salvare.

Fino a ieri eravamo di fronte a un governo con una maggioranza di ministri di centrodestra (piaccia o no) e un’opposizione completamente delegata alla destra di Fratelli d’Italia. Oggi si può dire che il bilanciamento, almeno nell’opposizione, garantisce un equilibrio di voci.

Ieri Fratoianni ha pronunciato parole chiare: “Questo non è il governo dei migliori, è un governo più di destra e che rischia di portare indietro le lancette dell’orologio del Paese. Oggi più che mai dobbiamo proteggere chi è più debole dentro questa crisi”.

C’è qualcuno che contesta il fatto che comunque Sinistra Italiana abbia dichiarato di voler continuare a lavorare alla coalizione di centrosinistra: anche questo è speculare all’atteggiamento di Fratelli d’Italia nel centrodestra.

Poi ci sarebbe da discutere della decisione dei parlamentari (2 su 3) che hanno già comunicato che voteranno il Governo Draghi in contraddizione alle decisioni prese in maggioranza dal partito. Ma qui, ancora una volta, si ritorna alla scissione dell’atomo di una sinistra in cui ognuno sogna di essere una corrente.

Da amanti delle regole democratiche del Paese, comunque, che ci sia un po’ di sinistra all’opposizione, con un po’ di destra, è una buona notizia.

Leggi anche: 1. Donne del PD, ora basta: sfondiamo le porte che altrimenti resteranno chiuse (di Monica Cirinnà) / 2. Anche SuperMario avrà bisogno della signora Pina (di Roberto Bertoni)

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Facce toste

Tra i politici, in questi giorni, è tutto uno smentirsi senza nemmeno avere qualche remora. Senza nemmeno sentirsi in dovere di spiegare. E non è un bel vedere

Sono giorni frizzanti questi perché, mentre il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi continua il suo giro di consultazioni, abbiamo l’occasione di toccare con mano lo spessore politico dei partiti in Parlamento, quei partiti che da anni vorrebbero perfino essere portatori di etica e che si combattono dando lezioni di moralità uno contro l’altro mentre poi nel loro piccolo cortile riescono a dare il peggio di sé.

Ieri l’europarlamentare Antonio Rinaldi, il fondatore e uomo di punta della corrente “no euro” della Lega di Salvini, è riuscito a rilasciare un’intervista alla giornalista Annalisa Chirico in cui candidamente afferma di non avere «mai detto di voler uscire dall’euro». Una roba immonda che racconta perfettamente come sotto il paravento di una “responsabilità” fasulla (che poi consiste nell’occasione di ambire a mettere le mani sui miliardi che arriveranno dall’Europa) i partiti siano disposti addirittura a rinnegare se stessi. Dice Rinaldi che le sue panzanate contro l’euro erano «solo una speculazione accademica», che «dall’euro non si esce» e parlando della Lega afferma: «Non siamo noi a esserci avvicinati all’Europa. È l’Europa che si è avvicinata a noi».

Pensare che in questo video (uno tra i tanti) dichiarava che dalla moneta unica europea si dovesse uscire subito e che per farlo sarebbe bastato un decreto. A proposito: quel video è sulla pagina del Movimento 5 stelle Europa, sì, quando anche loro insistevano tutti belli felici sull’antieuropeismo per riuscire a racimolare qualche voto degli arrabbiati. Vi basta fare un giro in rete per ritrovare centinaia di eventi (di Lega e di M5s) contro l’euro. Ora vi stanno dicendo che era tutto falso, niente di niente. Chissà che ne pensano gli elettori, sempre a proposito della “crisi di fiducia verso la politica”.

Badate che contro l’euro, nonostante in questi giorni siano pochi a ricordarlo, si scagliava simpaticamente anche Silvio Berlusconi: nel gennaio del 2018 in un’intervista al Corriere dell’Umbria l’ex Cavaliere disse (sempre per solleticare gli sfinteri degli elettori): «Rispetto a 24 anni fa, l’Italia è peggiorata per colpa dell’euro. L’introduzione della moneta unica con quelle modalità e a quei valori, improvvidamente accettati da Romano Prodi, ha dimezzato i redditi e i risparmi degli italiani». E questo concetto l’abbiamo sentito ripetere migliaia di volte in questi anni tanto che è arrivato intonso fino a noi.

Notevole anche la dichiarazione di Carlo Sibilia, ex sottosegretario per il M5s, il partito che avrebbe dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e non allearsi con nessuno, che dice candidamente: «Abbiamo digerito Lega e Pd, possiamo digerire anche Berlusconi in maggioranza con noi». La scatoletta di tonno ormai se la sono mangiata e non hanno nemmeno avuto bisogno della citrosodina per sistemarsi lo stomaco.

E così via: è tutto uno smentirsi senza nemmeno avere qualche remora. Meno di un mese fa, ospite da Gruber alla trasmissione Otto e mezzo, il democratico Andrea Orlando (attenzione, meno di un mese fa), rispondendo a una domanda del direttore di Domani Stefano Feltri che gli chiedeva se il Pd fosse disposto a governare con Salvini nell’ipotesi di un governo Draghi, il parlamentare Pd rispose sornione e bello convinto: «Nemmeno se venisse Superman». Chissà cosa ne pensano gli elettori.

Ora, vedete, il problema non è cambiare opinione (come succede nella vita e nella politica quando cambiano le situazioni e i contesti). Ciò che lascia basiti è che non assistiamo a un’onesta narrazione di se stessi in cui i politici dicono di dover prendere una decisione inattesa per questo o quel motivo: questi addirittura si rinnegano senza nemmeno sentirsi in dovere di spiegare. E non è un bel vedere.

Infine: ieri Giorgia Meloni si è lanciata nella sempre ridicola proposta di una “flat tax progressiva” che è un ossimoro indecente. Ha ragione Civati quando scrive che ora le manca solo “una patrimoniale per i senza tetto” e poi siamo al punto massimo della ridicolaggine. Ma c’è un aspetto che conviene sottolineare: allo stato attuale a Fratelli d’Italia, che risulta essere l’unico partito all’opposizione, spetterebbero i presidenti delle commissioni Vigilanza Rai, Copasir, e vigilanza su Cdp. Qualcuno ci ha pensato?

Buon mercoledì.

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Moltiplicano i pani, i pesci e i Salvini

Non serve nemmeno frugare troppo in giro per ritrovare ciò che pensava di Draghi Matteo Salvini fino a dieci minuti prima di diventare draghiano e europeista e addirittura così “responsabile” da chiedere per sé il Ministero dell’istruzione. Il 6 febbraio del 2017 diceva «L’euro non è irreversibile come sostiene Mario Draghi. Mi spiace ci sia un italiano complice della Ue che sta massacrando gli italiani e l’economia italiana». E quando qualcuno gli parlava dello spread e dell’Europa (che sarebbero tra i motivi che oggi hanno convinto il leader della Lega all’ennesima giravolta) disse letteralmente: «Noi vogliamo che l’Italia torni a scegliere, a decidere, a sperare nel futuro. Il ricattino dello spread lo abbiamo già visto 5-6 anni fa, non ci casca più nessuno. Non sono tre banchieri, tre massoni o tre finanzieri a tenere in ostaggio il popolo italiano». E, sempre nel 2017, quando fu Berlusconi a fare il nome di Draghi al governo (questo a dimostrare da quanto il nome di Draghi veleggi e da quei lidi fosse invocato) Salvini rispose: «Non se ne parla nemmeno. Mario Monti bis. E la fotocopia di Mario Monti non mi interessa».

Salvini dunque ha cambiato idea ed è vero che sono gli stupidi che non cambiano mai idea ma ci sono anche quelli che scambiano l’opportunismo per responsabilità e si impegnano in queste ore a esercitare una narrazione che vorrebbe convincerci che sia addirittura un privilegio avere un governo con “tutti dentro” come se la politica fosse davvero una livella che tiene tutti a cuccia, basta trovare l’uomo giusto per zittire. E questi strani frequentatori della democrazia che ritengono il ruolo dell’opposizione semplicemente come quelli “che sono stati fuori dal giro delle poltrone” incensano lo splendore di un governo in cui tutti diventano potabili, in cui tutte le idee accettano di essere piallate e in cui le differenze vengono dimenticate: sognano uno studio associato di segretari del commercialista da poter rivendere come Parlamento. È il loro obiettivo. Che la Lega in Europa si sia astenuta sul Recovery Fund nel dicembre del 2020, che abbia votato no ai Coronabond, no alla condanna di Putin per il caso Navalny (a settembre 2020) e tanto altro rientra semplicemente nelle “gag” leghiste che ora siamo disposti a tollerare.

Lo scriveva bene ieri il blog satirico Spinoza: «Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa farmi entrare nel tuo governo». E ora anche Salvini diventa uno statista poiché è stato bacchettato sulle dita da Confindustria e ha deciso di rimettersi a cuccia, ovviamente solo per il tempo di trovare uno spiraglio per scassare tutto appena i sondaggi gli diranno di andare a elezioni.

Qualcuno nel delirio di questa desertificazione che chiamano “responsabilità” in questi giorni tenta anche irresistibili confronti con il passato. Ieri proprio Salvini per giustificare il suo ingresso al governo ha tirato fuori il governo guidato da Alcide De Gasperi dal 10 dicembre 1945 al 14 luglio 1946 che teneva insieme Dc, Pci, Partito d’azione, Psiup, Pli e Partito del lavoro. Peccato che abbia dimenticato di dire che tutti quelli avessero lottato contro il fascismo e ne avessero subito la persecuzione. Ma anche l’antifascismo, se notate bene in giro, è un argomento “disturbante” per l’unità nazionale. Avanti così.

Ma il vero capolavoro politico sono quelli che esultano per l’operazione in corso che poi sono gli stessi che esultavano per la scorsa operazione politica “capolavoro” che ci avrebbe dovuto liberare da Salvini: il capolavoro, lo scrivevamo qualche giorno fa ora è Matteo che ha riabilitato Matteo. Segnatevelo: sono gli stessi che fra poco si stupiranno delle differenze che usciranno in Parlamento e le chiameranno intralci. Del resto qualcuno sogna da tempo una politica senza Parlamento, senza partiti, che semplicemente vada tutte le mattine sullo zerbino di Draghi per lasciare giù i voti e ritirare le comande.

Avanti così.

Buon lunedì.

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Il divertente spettacolo della Lega, che per non stare fuori dai giochi si scopre europeista

La strada è stretta, strettissima per Matteo Salvini, che sull’ipotesi di un governo Draghi si ritrova con un partito spaccato (come ultimamente gli accade troppo spesso) ed è di fronte al difficile bivio di rispondere all’appello di Mattarella accontentando Giorgetti (e molti dei suoi grandi elettori del nord) oppure insistere sulla sua ala populista mettendosi all’opposizione.

Se sceglierà di essere della partita potrà vantarsi (anche lui) del suo “senso di responsabilità” ma certo scontenterà l’ala No Euro a cui ha guardato con molto interesse in questi mesi. Insomma Salvini si ritrova a scegliere e lui odia scegliere perché in fondo la politica per lui è solo un profluvio di social e di dichiarazioni che seguono lo stomaco del suo Paese e invece gli tocca fare politica.

Ieri, piuttosto imbarazzato di fronte ai palazzi romani, è riuscito addirittura a ritirare fuori la questione dei “porti aperti”: “Se Draghi vuole chiudere i porti noi siamo con lui” ha dichiarato ieri di fronte a un’esterrefatta platea di giornalisti che lo osservavano straniti come se si trovassero di fronte a un leader di partito scongelato da un lungo sonno.

Ma Salvini si sa, alle giravolte ci è abituato e la credibilità non è mai stata un suo problema, così dalla Lega cominciano a sentirsi cose impensabili solo fino a qualche ora fa come Giorgetti che definisce Draghi “un Ronaldo che non possiamo tenere in panchina” (con un metafora calcistica, ovviamente, per non correre il rischio di non essere compresi), con Bagnai (quello che diceva “l’euro è una strozzata” e tutti lo applaudivano) che ora si impegna in una patetica retromarcia definendo Draghi “un collega economista, come me” (e riuscendo addirittura non sentirsi ridicolo) e prova a trovare similitudini per essere pronto ad appoggiarlo.

Anche il prode rivoluzionario Borghi ora si è camomilizzato e lancia un sondaggio tra i suoi follower per preparare il terreno (“fare opposizione è troppo facile” dice dimenticandosi che la Lega faceva opposizione anche mentre era al governo). I nemici del’Europa si sono già cambiati in un batter d’occhio e sono pronti a reinventarsi europeisti per non rimanere fuori dai giochi.

E intanto Giorgia Meloni si gusta la scena, si chiama fuori e ha già cominciato la sua opposizione interna per scalzare Salvini nella leadership del centrodestra: “Salvini dice a Draghi di scegliere tra M5s e Lega. Quindi Pd e LeU vanno bene?”, ha già tuonato dall’Aventino. E sarà un logorio lento e continuo.

Leggi anche: 1. Renzi ha fatto saltare Conte “per i contenuti” ma ora prende Draghi a scatola chiusa / 2. Basta assurdi egoismi, rendiamo pubblici i brevetti per produrre i vaccini anti-Covid

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Non gli resta che intralciare

La mossa del cavallo non gli è riuscita, nemmeno stavolta. Ne sta sbagliando parecchie ultimamente Matteo Renzi ma la crisi di governo che alla fine non è andata a buon fine rimane una delle sue imprese più deprimenti per modalità, per l’accrocchio di motivazioni e per l’esito finale. Ma esattamente cosa ha ottenuto Renzi? Voleva ancora una volta essere lo spiffero che apriva una crepa per potersi intestare un eventuale nuovo governo e rivendicare un ruolo d’azionista, continuando a galleggiare con un peso politico dopato che esiste solo in Parlamento (perché bisognerebbe ricordare che il numero di parlamentari che Italia Viva ha ora sono solo il frutto di meccanismi di palazzo che non hanno nessuna corrispondenza nelle proporzioni nel mondo reale) e invece si ritrova ad essere all’opposizione con Meloni e con Salvini sempre più solo, circondato perfino dal malumore dei suoi uomini che ora gli presentano il conto del risultato rancido.

Renzi avrà avuto forse la soddisfazione di avere indebolito Conte e il governo (ma può essere un obiettivo politico destabilizzare un governo senza nemmeno la forza di farlo cadere?) ma sostanzialmente cosa ha ottenuto? Niente, zero, nisba. E infatti non è un caso che già ieri qualcuno dei suoi abbia cominciato a proporre aperture al governo e abbia cominciato a parlare dell’esigenza “di ricostruire”.

E ora che faranno Renzi e i renziani? Faranno gli intralciatori, ovvio, per farsi notare, per non sparire mentre fanno ciao ciao con la manina e nella giornata politica di ieri si è già avuto un assaggio significativo: durante il voto sulle misure contro la pandemia (misure discusse e decise quando Italia Viva era ancora in maggioranza) la capogruppo in Senato Laura Garavini ha annunciato il voto di astensione (per la discussione della pregiudiziale di costituzionalità ndr) con parole che sarebbero degne di una Meloni o di un Salvini qualsiasi: “stiamo assistendo ad una inedita modalità di produzione normativa. Un modo di procedere che non solo crea confusione tra i cittadini, a causa della sovrapposizione tra i diversi testi. Ma che viola le regole democratiche dei rapporti tra le fonti normative”, ha detto Garavini. Peccato che solo tre giorni fa il renziano Rosato dicesse: “la nostra è una rottura responsabile. Voteremo il decreto ristori, mercoledì in Aula voteremo lo scostamento di bilancio, giovedì e venerdì anche il decreto sul Covid, così come continueremo a sostenere tutte le misure che aiuteranno il nostro Paese nella lotta al coronavirus“. Niente, promessa mancata.

Ora continueranno così, pronti a essere l’elemento disturbante per potersi fare notare, pronti a fare pesare il loro (debole) peso per intralciare ogni cosa, almeno per certificare la propria esistenza. IV: intralciatori vivi. Segnatevelo ogni volta che sentirete Renzi parlare di “responsabilità”.

Buon mercoledì.

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Demolition man

Basta mettere in fila un po’ di commenti internazionali sull’ultima mossa politica di Renzi per capire quanto sia pessima l’opinione di lui che hanno i giornali esteri

Vi ricordate quando Renzi e i renziani volevano convincerci che la stampa internazionale impazzisse per lui e che solo grazie a lui l’Italia brillava nel mondo? Bene, ecco. Oggi proviamo solo a mettere in fila un po’ di commenti internazionali sull’ultima mossa politica di Renzi, perché ne vale la pena, perché rende l’idea e perché in fondo così il buongiorno si scrive praticamente da solo.

Demolition man Renzi mette sotto sopra Roma” è il titolo del Financial times, che scrive: «La crisi italiana minaccia di ostacolare il Recovery plan di Bruxelles». E poi aggiunge: «La mossa di Renzi potrebbe essere stata pensata per rafforzare il potere di interdizione del suo piccolo partito e la sua stessa immagine personale, ma potrebbe facilmente ritorcersi contro di lui, mentre il Paese combatte la pandemia».

Il Guardian scrive che la manovra «largamente impopolare» di Renzi arriva «nel momento peggiore possibile per l’Italia» e «lascia gli osservatori perplessi riguardo alle motivazioni». Nonostante siano stranieri hanno ben in mente i motivi della crisi: «La sua popolarità è crollata da quando ha dovuto dimettersi da premier dopo il fallito referendum del 2016. Italia viva nei sondaggi ha meno del 3% dei voti».

Andiamo avanti. El Paìs scrive di un «momento delicatissimo e difficile da spiegare». Il settimanale tedesco Die zeit scrive: «Con richieste sempre nuove» Renzi «ha portato alla caduta della coalizione di governo in Italia. Dietro c’è un calcolo di potere: il suo partito è basso nei sondaggi». «Renzi – conclude l’articolo – vuole far parte del prossimo governo», sia esso una riedizione «della coalizione precedente» sia nella forma di «una soluzione di tutti i partiti». «Ma se questo accadrà è scritto nelle stelle. È anche concepibile che Conte cerchi nuovi sostenitori tra i piccoli partiti di centro in Parlamento – e Renzi sederebbe poi all’opposizione senza alcuna influenza. O che si arrivi a nuove elezioni – e Italia viva lascerebbe quasi certamente il Parlamento. Renzi potrebbe allora passare alla storia come qualcuno che si è suicidato per paura della morte».

In Francia Le Figaro scrive: «Chi si assumerà la responsabilità della caduta del governo italiano in un momento in cui l’Italia sta attraversando una crisi senza precedenti?».

Insomma, un successo per Matteo. Pensate che aspirava alla Nato. Direi che anche questa missione è miseramente fallita.

Intanto la ministra Bonetti, quella che è stata dimessa da Renzi in una conferenza stampa che è stata tutto un attacco, ieri ha dichiarato: «Le mie dimissioni sono lo spazio perché questo tavolo si apra per le risposte da dare al Paese. Noi sgombriamo il campo, adesso si faccia la politica, noi ci stiamo». Aggiungendo di essere disposti a rimanere in maggioranza. Ettore Rosato, vicepresidente della Camera e presidente di Italia viva, è riuscito perfino a dire: «Se ci sono risposte concrete non abbiamo preclusioni rispetto a Giuseppe Conte».

Sempre peggio.

Buon venerdì.

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L’assessore di FdI in Veneto canta “Faccetta nera” alla radio. C’è una destra ormai oltre la vergogna

L’ultimo è stato Guido Crosetto, giusto oggi, che in un’intervista dice “noi con il fascismo abbiamo già fatto i conti a Fiuggi, all’epoca di AN”. In Fratelli d’Italia è tutta una corsa a dire e non dire, a affermare e smentire, a prendere le distanze e poi rituffarsi: del resto per loro il fascismo è un qualcosa di cui si deve sentire solo il profumo, quel che basta per non perdere quei voti e in modo abbastanza furbo da non esser attaccabili.

Un equilibrio ipocrita e precario che poi ovviamente viene smentito appena si gratta poco poco la superficie. Come è accaduto con l’assessora all’Istruzione (badate bene: all’Istruzione) di Regione Veneto Elena Donazzan, ovviamente di Fratelli d’Italia, che ospite della trasmissione radiofonica “La zanzara” ci ha tenuto a dirci che lei tra “Bella ciao” e “Faccetta nera” preferisce la seconda e poi ha pensato bene di intonare tutta allegra la prima strofa.

Anzi, a ben vedere ne ha intonato solo le prime parole perché quelli innamorati della “storia” (non è questa la scusa che usano per mascherare il proprio revisionismo?) poi alla fine non conoscono nemmeno ciò di cui stanno parlando. Presa dall’euforia della pessima figura che stava collezionando, Donazzan ha pensato bene anche di elogiare la scelta dello zio Costantino, militare fascista, e il suo non rinnegare mai il fascismo.

Quando il conduttore David Parenzo le ha ricordato che per colpa di persone come suo zio la sua famiglia ebrea è stata costretta a fuggire in Svizzera, l’assessora veneta ha balbettato qualcosa e poi tutti giù a ridere. E via. Ovviamente si è levato il coro di sdegno di tutta l’opposizione e di tutti quelli che conoscono poco poco la Costituzione ma alla fine, vedrete, verrà tutto derubricato a uno “scherzo” male interpretato, quisquilie, cose di cui non tenere conto.

Ora voi provate a immaginare un’assessora di un Land tedesco che canticchi in una trasmissione una canzone nazista, immaginate quanto immediatamente verrebbe rimossa dal suo incarico e come la questione verrebbe presa seriamente. E poi notate come dalle nostre parti, incessantemente e soprattutto negli ultimi anni, il revisionismo continui a passare per momento “pop” occasionale su cui discutere un poco, accendere un tenue scontro politico, e poi dimenticarsene subito.

Un cumulo di provocazioni che giorno dopo giorno vengono lanciate da figure istituzionali e vengono lasciate cadere. E intanto, sotto sotto, condensano.

Leggi anche: 1. L’ultima vergogna della destra italiana: Roberto Fiore e Susanna Ceccardi compiangono i martiri pro-Trump / 2. Ora non dite che sono solo quattro patrioti sballati 

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La stagione dei No

La schizofrenia dei messaggi in questa emergenza pandemia è causata anche dalla peggiore opposizione possibile, quella che sul no basa la propria retorica

La pandemia, tra i suoi mille malanni, si porta dietro anche la lente di ingrandimento sulla schizofrenia di una classe dirigente che non riesce a confrontarsi elaborando una proposta. Non è una roba da poco perché la schizofrenia dei messaggi è causata sicuramente da un certo lassivo comportamento da certe stanze di palazzo Chigi (quelle che fanno uscire le anticipazioni per vedere l’effetto che fa) ma anche dalla peggiore opposizione possibile, quella che sul no basa la propria retorica.

Basta solo qualche esempio per rendersene conto?

Scuole aperte? Quelli dicono che le scuole sono pericolose e che non manderanno a scuola i propri figli.

Scuole chiuse? Quelli, sempre gli stessi, dicono che chiudere le scuole è una sconfitta.

Ristoranti aperti? Quelli dicono che bisogna evitare i contagi.

Ristoranti chiusi? Quelli, sempre gli stessi, dicono che i ristoratori sono allo stremo.

Teatri aperti? Quelli dicono che la cultura non è indispensabile e si deve fermare.

Teatri chiusi? Quelli, guardate che sono sempre gli stessi, dicono che il mondo della cultura muore.

Decide il governo? Quelli gridano alla dittatura.

Il governo fa decidere alle regioni? Quelli stessi della dittatura dicono che il governo non vuole prendersi le sue responsabilità.

Diminuiscono i contagi? Il virus non esiste più.

Aumentano i contagi? Il virus è stato sottovalutato, dicono quelli per cui non esisteva più.

Il governo non coinvolge le opposizioni? Ecco, non ci chiedono mai, dicono.

Il governo coinvolge le opposizioni? Troppo tardi, dicono.

È lo spessore della politica a cui assistiamo. Ogni giorno, tutti i giorni. Mentre sale la paura e mentre servirebbero decisioni convinte e tempestive. E, sia chiaro, questo senza nulla togliere alle responsabilità del governo. Ma così diventa davvero tutto difficile. Tutto.

Buon lunedì.

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La nemesi di Salvini: quello che mangia in diretta tv contestato anche dai ristoratori

 

 

L’errore sta nel ritenerlo un politico, che ragiona da politico, che agisce da politico, mentre Matteo Salvini è solo un influencer, che infila delle serie ragguardevoli di stecche, che annusa il vento e che immagina la sua posizione semplicemente all’opposto rispetto alle decisioni del governo. Come se fare opposizione sia sbattere i piedi, dire no no no e ripetere che il pallone è suo e che alla fine non si gioca, se non si gioca come dice lui.

Così accade che, se lo spazio vuoto diventa quello dei No Mask o dei negazionisti, lui ci si butta subito dentro, analizzando i logaritmi dei social e proponendosi come padre adottivo di temi che infiammano la rete. Non è nemmeno un influencer, a pensarci bene, nemmeno quello: un influencer piazza un prodotto e invece Salvini non ha nemmeno il prodotto. Semplicemente cavalca qualcosa che già c’è sotto traccia e ci si siede sopra per covarlo con l’ambizione di rappresentarlo.

Così si ritrova, confidando nella memoria breve dei suoi elettori, a dire nel giro di qualche ora che non ci sarà nessuna seconda ondata e, quando l’ondata del virus arriva, cambia rotta accusando gli altri di essere irresponsabili, quella stessa irresponsabilità che ha vomitato per mesi. Un marchettaro dalle mille facce che, non avendo idea, deve per forza fotografarsi con i prodotti e con le idee degli altri fingendo che siano sue, come un avvoltoio sempre pronto a fiutare qualche nuovo malcontento per cavalcarlo senza nessun senso di responsabilità.

E le sue figuracce si moltiplicano, a dismisura. Negli ultimi giorni qualcuno sperava che almeno si nascondesse, che chiedesse scusa, che guardasse i numeri della “sua” Lombardia e che ci spiegasse per bene cosa stia avvenendo. E invece eccolo qui, ancora, che prova a dare lezioni mentre sta accadendo per l’ennesima volta l’esatto contrario di quello che aveva previsto.

Ma la parabola di Salvini si potrebbe spiegare con il suo rapporto con il cibo, quello è un manifesto perfetto: ha cominciato fotografando cibo tutti i giorni, si è fatto immortalare mentre sbaffava cibi italiani in nome del  patriottismo culinario e ieri, nel Paese dei cuochi, è riuscito perfino a farsi cacciare dai ristoratori.

Immaginate una Ferragni che viene rincorsa mentre le lanciano dietro le sue scarpe: potrebbe accadere? No, a un influencer no, ma a Salvini sì. E non se ne vergogna nemmeno un po’. Ma, in fondo, i cuochi che cacciano l’aspirante food blogger è l’ennesima fotografia di quello che Salvini vale.

Leggi anche: 1. Salvini contestato in piazza dai ristoratori: “Buffone, vai via!” | VIDEO / 2. Divorare ciliegie mentre si parla di bambini morti: non c’è da ridere, c’è da avere paura (di G. Cavalli) / 3. Mentre a Catania la terra torna a tremare Matteo Salvini pubblica un selfie in cui mangia pane e Nutella

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Concorso in spostamenti pericolosi

I sindacati della scuola avevano chiesto che il concorso straordinario venisse sospeso, ma la ministra Azzolina si è opposta. Costringendo gli insegnanti a spostarsi nei giorni in cui tutti dicono che non bisognerebbe farlo

Mi scrive Alessandra:

«Si parla tanto della inopportunità del concorso stesso in piena pandemia, ma la ministra ormai abbiamo capito che non lo sposterebbe nemmeno se venisse uno tsunami combinato Adriatico-Tirreno o se un meteorite si abbattesse su Roma. E vabbè. Quello di cui non si parla è l’estrema superficialità con cui sono stati fatti gli abbinamenti candidati-sedi concorsuali, che obbligheranno 64mila persone a girare come trottole per l’Italia. E non parlo solo di chi dovrà spostarsi di regione perché nella sua il concorso non si svolge (dalla Sardegna al Lazio, dalla Sicilia alla Campania; dico: la Campania), ma di chi dovrà viaggiare anche se una sede concorsuale l’avrebbe sotto casa. Io sono stata destinata a Firenze, quindi prenderò un treno e poi un autobus, mentre con la bici sarei potuta arrivare tranquilla tranquilla (e sicura sicura, nell’ottica del contagio) all’Itc di Piombino. Dove invece nello stesso giorno sono attesi una quindicina di altri candidati, alcuni dei quali vivono a Firenze, magari vicino alla scuola dove farò io la prova».

Sul maxi concorso per la scuola che è iniziato proprio in questi giorni in effetti c’è qualcosa che andrebbe registrato e messo a posto. I sindacati hanno chiesto a lungo che il concorso venisse sospeso ma la ministra Azzolina ha adottato la tecnica della fermezza. Certo questi spostamenti proprio nei giorni in cui tutti dicono che non bisogna spostarsi sollevano più di qualche dubbio. «Si apre nel caos. Ci sarà una miriade di contenziosi, se non permettiamo agli insegnanti trovare una via di uscita con una prova suppletiva», dice Maddalena Gissi (Cisl).

E in effetti non si capisce cosa accadrà per quelli che per motivi di positività al Covid, di isolamento o quarantena non potranno partecipare alle prove. Il caso limite, ad esempio, è a Arzano, in Campania, che da giorni è zona rossa (quindi è vietato entrare e uscire) e proprio ad Arzano c’è una sede per gli esami. Che si fa? Qualcuno chiede una prova suppletiva ma la ministra ha chiarito che il parere della Funzione pubblica è stato negativo. Niente da fare? Sarà lunga, molto lunga perché i ricorsi saranno moltissimi. Secondo quanto riferisce l’Adnkronos il Tar del Lazio si è espresso già sulla richiesta di una docente che non potrà essere presente alle prove perché bloccata dall’emergenza sanitaria aprendo al diritto di avere una sessione suppletiva. Si attende la sentenza il 17 novembre.

Poi c’è la questione politica: l’opposizione si oppone (e vabbè) ma anche il Partito democratico ha espresso seri dubbi. Curioso il caso del Movimento 5 stelle che al governo parla di “strumentalizzazioni politiche” sul concorso mentre in Lombardia vota con la Lega una mozione per sospendere il concorso.

Una cosa è certa: “mischiare” le persone in giro per l’Italia non è una buona idea. Proprio no.

Buon venerdì.

Per approfondire il tema, leggi l’articolo di Donatella Coccoli su Left del 23-29 ottobre 2020

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