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Dopo carabiniere e vigile del fuoco, Salvini fa il virologo e invoca un farmaco anti-Covid. Ma Burioni lo zittisce

Salvini invoca rimedi al Covid, Burioni lo zittisce

Una delle cose che ci ricorderemo di questa pandemia quando (speriamo il prima possibile) sarà finita saranno i politici che non conoscendo nemmeno il principio attivo della Tachipirina hanno dispensato all’AIFA e alla comunità scientifica consigli medici su come affrontare la pandemia. E, badate bene, lo fanno senza avere nemmeno il minimo dubbio, con la sicumera dell’ignorante che ha il dono della superficialità senza fare i conti con la complessità. E così mentre la scienza si nutre dei suoi dubbi (che sono, come in tutti i campi, le condizioni per evolversi) i politici del mondo insistono nello sventolare questo o quel farmaco come soluzione definitiva.

Curioso poi che le soluzioni mediche siano riferibili a una parte politica specifica: solo questo dà l’idea della povertà culturale. Da Bolsonaro a Trump è tutto un fioccare di soluzione fai da te che dovrebbero essere miracolose e che conoscono solo loro, come se salvare le vite non fosse un obbiettivo generale (e in effetti i negazionisti si nutrono proprio di questo) e così oggi si sveglia Salvini che in calo di consensi prova a fotocopiare in modo sbiadito i suoi miti internazionali (a partire dal presidente USA) e sui suoi profili social, come se fosse un gioco per bambini propone la soluzione: “l’Agenzia italiana del farmaco deve riattivare il protocollo di cura domiciliare con l’utilizzo di idrossiclorochina o antinfiammatori idonei sospeso il 26 maggio scorso. Si tratta di farmaci che possono agire efficacemente contro il Covid, evitando il ricovero nella stragrande maggioranza dei casi. Il governo non può perdere più tempo. Inoltre, che fine ha fatto la cura al plasma iperimmune? La burocrazia sta rallentando tutto e umiliando il lavoro di medici come il professor De Donno”, scrive Salvini.

Tra i primi a riprenderlo interviene il virologo Roberto Burioni: “Segnalo all’On. Salvini che le evidenze scientifiche sono concordi nel dimostrare la NON EFFICACIA della idrossiclorochina nella cura di COVID-19 e che non esistono prove solide (nonostante studi internazionali su decine di migliaia di pazienti) riguardo all’efficacia del plasma iperimmune”. Siamo ancora qui: ai virologi e i farmaci usati come strumento di battaglia politica mentre un Paese intero si ritrova destabilizzato da ciò che accade e da quello che potrebbe accadere. Senza rendersi conto della pericolosità e dell’irresponsabilità di tutto questo.

Leggi anche:1. La mega-truffa dei finti tamponi in Campania. L’audio shock: “Che me ne fotte se i test sono falsati”; // 2. In Italia servono medici specialisti, ma la graduatoria è bloccata: “Ritardo grava su ospedali”; // 3. La videolettera di Riccardo Bocca: “Caro Conte, le non decisioni fanno calare il consenso”; // 4. Reportage TPI – Roma, Pronto Soccorso bloccati dal virus: “Qui la situazione è già esplosa. Chiuderemo gli ospedali, sarà tutto Covid”

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E alla fine il Re tornò a Palazzo: Salvini commissaria Fontana: “No al coprifuoco in Lombardia”

Aveva la penna in mano pronto per firmare ma la telefonata del suo capo l’ha rimandato a cuccia. Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, pronto a firmare il decreto che avrebbe previsto il divieto durante le ore notturne di spostamenti non autorizzati e che avrebbe segnato la stretta sui grandi centri commerciali nei weekend, è stato stoppato da Matteo Salvini, probabilmente spaventato dai logaritmi della sua propaganda che ciancia a vanvera di libertà da mesi nella sua quotidiana lotta contro il governo, che si traduce in una contestazione continua, senza capire bene quali siano le sue proposte.

E quindi? Quindi abbiamo una Regione appesa a Salvini, che “vuole capire” e che, in visita papale, decide di citofonare direttamente alla sede della Regione per farsi dare ripetizioni di pandemia. E fa niente che intanto i numeri salgano e che gli ospedali si riempiano. Deve capire, lui.

Eppure nella frase con cui Salvini annuncia lo stop c’è dentro tutta l’irresponsabilità che si coglie in questi mesi del virus. Ha detto, testualmente, il leader della Lega: “Il Governo respinge tutte le nostre richieste e a noi tocca portare la croce, imponendo misure impopolari che fanno infuriare i cittadini?”. Tradotto significa: perché dovremo prendere noi le misure impopolari a difesa della salute quando potremmo rimbalzarle al governo?

E dentro c’è tutta la strategia di chi antepone il consenso alla responsabilità della salute pubblica e c’è tutto il succo della politica salviniana che continua a essere semplicemente un sondaggio perpetuo che tende a inseguire le sensazioni istantanee dei suoi sostenitori per riuscire a sfamarle. Badate bene: un capo di partito, senza rendersi conto, lamenta “l’impopolarità” delle misure senza nemmeno fare un cenno alla salute pubblica. Non basta come prova evidente?

Poi, volendo, c’è anche tutta la retorica dell’autonomia lombarda sventolata proprio dal presidente Fontana. Quello stesso Fontana che per mesi si è messo di traverso con il governo Conte per speculare un po’ sulla pandemia, proprio nei mesi peggiori, e che ci ha sempre detto che la sua regione non ha bisogno di prendere ordini da nessuno. Ecco, quello lì stamattina si è messo buono buono nel suo ufficio a farsi sgridare dal suo capo per decidere come aggiustare decisioni già prese in nome di qualche like in più sulla pagina Facebook del Capitano.

Davvero, presidente Fontana, ci vuole dare lezioni di autonomia dopo una mattinata del genere? Davvero i pareri e gli studi di tutti i suoi esperti rimangono incagliati sulla riunione di partito? Dai, facciamo i seri, su.

Leggi anche: 1. Salvini stoppa Fontana e fa slittare il coprifuoco in Lombardia: “Prima voglio capire” / 2. Milano, il direttore dell’Ats: “I tamponi non ci salveranno, bisogna stare a casa e tagliare attività non essenziali”

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Lombardia, M5s-PD a TPI: “Coprifuoco? Il Covid si diffonde in famiglia perché la Regione non sa dove mettere i positivi”

La Lombardia prepara le nuove restrizioni in accordo con il governo: “coprifuoco” a partire dalle 23 alle 5 del mattino. La misura è stata condivisa all’unanimità dai sindaci di tutti i Comuni capoluogo della Lombardia, dal presidente dell’Anci, Mauro Guerra, dai capigruppo di maggioranza e di opposizione e dal governatore Fontana. Per l’opposizione in Consiglio Regionale però si potrebbe e si dovrebbe fare di più: “La crescita dei contagi – dice a TPI Massimo De Rosa, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Lombardia – impone una seria riflessione sulla peculiarità della Lombardia nell’affrontare il virus, anche alla luce delle sollecitazioni del comitato tecnico scientifico locale. Un maggior sforzo oggi tutelerà il tessuto economico e lo sviluppo di domani. Pretendiamo che questa volta la Regione non si faccia cogliere impreparata e abbia il coraggio di prendere decisione chiare e immediate. Decisioni attraverso le quali dare certezze ai cittadini, garantire l’agibilità per le imprese, e ridurre il numero di contagi”.

“Le soluzioni non per forza devono penalizzare la socialità e il commercio. Le istituzioni hanno il dovere di garantire mirate tutele ai commercianti e, più in generale, a chi ha compiuto sforzi, anche economici, per lavorare in sicurezza. Il Movimento Cinque Stelle insiste da tempo sulla necessità di test diagnostici rapidi per l’immediato tracciamento dei casi ed eventuali chiusure mirate. Auspichiamo che il dialogo, che sembra essersi instaurato, con la maggioranza riesca a portare a risultati, attraverso i quali arginare l’andamento esponenziale della curva dei contagi. I cittadini sono pronti a fare la loro parte”.

Critica invece Carmela Rozza, del Partito Democratico, che a TPI sul coprifuoco dice: “È una misura necessaria e spero utile. Ma non basta. La Regione continua a fare finta che non esistano le infezioni familiari e spesso i positivi si ritrovano in isolamento in appartamenti non adeguati. E noi non abbiamo più delle strutture dove poter isolare delle persone che non si possono isolare a casa. La Regione ha mollato il tema all’ATS, che fa gare in cui non si riescono a trovare alberghi adeguati come invece accadeva in primavera, ma ci deve essere la politica e devi convincere il proprietario dell’albergo del fatto che non avrà ricadute. Invece la Regione Lombardia ha affidato tutto alla burocrazia. Ma se tu mandi la gente a casa e la lasci infettare senza isolarla, succederà quello che è successo a Bergamo con la gente che muore dentro casa”.

Anche Carlo Borghetti, consigliere regionale del Partito Democratico, si augura che questa mossa non sia un alibi: “Chiamiamolo lockdown notturno dalle 23, non coprifuoco – dice a TPI – Utile, vista la crescita del contagio in Lombardia, ma non sia un alibi per Fontana e soci. La Regione è colpevole di averci portato fin qui senza aver potenziato davvero la sanità territoriale, strategica per arginare il contagio: sostegno ai medici di famiglia, tracciamento, USCA, alloggi di sorveglianza… Tutto rimasto al palo da 8 mesi. Per non parlare dell’errore drammatico già visto a marzo: stanno mischiando pazienti Covid e non-Covid negli ospedali lombardi. Hanno avuto soldi e autonomia da Roma, ora si diano una mossa”.

Leggi anche: 1. Coprifuoco in Lombardia: cosa cambia adesso / 2. Lombardia, i numeri che hanno deciso il coprifuoco: “600 persone in rianimazione entro fine mese e 4 mila ricoverati” / 3. Covid, l’allarme dell’Ats Milano: “Non riusciamo più a tracciare i contagi e a isolare i positivi”

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Spiegateci perché gli esperti che minimizzavano il virus ora imperversano in tv (di Giulio Cavalli)

Spiegateci perché gli esperti del virus “clinicamente morto” imperversano in tv

Il virus non è morto, anzi, purtroppo per noi è in ottima salute: sfondati i 10mila positivi con 150mila tamponi, 55 deceduti, 4.343 ricoverati in più di cui 52 in terapia intensiva. Stanno benissimo però anche quelli che nei mesi scorsi vedevano psicotici e allarmisti dappertutto, quelli che ci avvisavano che ormai era tutto alle spalle e che addirittura si innervosivano se qualcuno provava a chiedere un po’ di precauzione in vista dell’autunno. Fu Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele, che lo scorso 31 maggio ci annunciò nel corso del programma Mezz’ora in più che “il virus clinicamente non esiste più”.

Zangrillo poi provò a correggere il tiro, certo, ma rimane lo studio del San Raffaele di Milano che parlava (a maggio) di “pochi pazienti e tutti con sintomi lievi” dovuti al fatto che il virus aveva perso la propria capacità replicativa e che risultava essere “enormemente” indebolita rispetto a quella registrata a marzo. “Ha ragione il mio amico Alberto Zangrillo: clinicamente il Covid-19 non c’è più, è morto, ho più degenti con infezioni batteriche”, disse Paolo Navalesi, direttore dell’Istituto di Anestesia e Rianimazione dell’Azienda ospedaliera di Padova e della Scuola di specialità, che si espresse anche sul futuro: “In base all’esperienza maturata in questi tre mesi, posso dire che se siamo riusciti ad affrontare in pochi giorni un’emergenza completamente sconosciuta, oggi saremmo in grado di rispondere nel giro di qualche ora, perciò mi sento tranquillo”.

“Chi parla di seconda ondata fa terrorismo”, disse ad agosto Matteo Bassetti, direttore della Clinica malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, che parlò addirittura di una “psicosi per una malattia ormai sotto controllo“. Sempre Bassetti lo scorso 9 settembre ci assicurava anche che in Campania non c’era “nessuna seconda ondata” ma semplicemente una “coda, peraltro prevedibile”. Eh, già. “Non ci sarà la seconda ondata” diceva anche Giorgio Palù, professore emerito di microbiologia e virologia dell’Università di Padova e già presidente della Società europea di virologia.

“Non ci sarà una seconda ondata, l’autunno sarà come adesso, il virus si sta adattando all’uomo, magari farà un ping pong con il pipistrello, cioè ce lo ripasseremo tra specie, ma non se ne andrà fino al vaccino”, disse il 6 agosto Massimo Clementi, professore ordinario di virologia al San Raffaele. E ora? Ora quegli stessi “esperti” che hanno minimizzato e hanno addirittura deriso chi temeva l’autunno tornano a essere considerati “affidabili” e a imperversare nei media. Ma siamo sicuri che non sia il caso di chiedere conto delle dichiarazioni che sono state rilasciate? Almeno un accenno di spiegazioni, basterebbe anche solo un “sì, scusate, mi sono sbagliato”. No? Ora teneteli bene a mente perché saranno quelli che cominceranno a strepitare contro il governo per le mancate misure. Scommettiamo?

Leggi anche: 1. Allarme terapie intensive: ecco la situazione regione per regione. Se i casi aumentano non siamo pronti / 2. “Ora fermiamoci 3 settimane”: parla Crisanti / 3. E alla fine lo hanno fatto: gli sceriffi governatori scavalcano il governo e chiudono le scuole (per colpa loro) – di Luca Telese / 4. Negazionisti contro empiristi: la guerra tra i virologi che decide se siamo liberi o no

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L’altra salute (oltre al Covid)?

Quasi un milione di interventi chirurgici rimandati, molte visite oncologiche saltate, la digitalizzazione degli ospedali ancora in alto mare. No, la sanità italiana non è in crisi solo sul fronte della lotta al coronavirus

C’è un’altra sanità, oltre alla questione Covid, su cui forse conviene fare una riflessione. Sono numeri spaventosamente alti che aggravano una situazione endemica che già esisteva: le liste di attesa degli interventi chirurgici si sono inevitabilmente allungate all’infinito e i numeri nel mondo sono spaventosi. Ora finalmente se ne ricomincia a parlare dopo che il viceministro Sileri ha confermato le stime che giravano già da mesi e il dibattito, badate bene, merita tutta la nostra attenzione perché dietro ai numeri ci sono sempre le persone. E allora parliamone.

Un’analisi dell’Università di Birmingham già lo scorso maggio stimava che, nel periodo di 12 settimane del picco epidemico che ha portato all’interruzione di molti servizi ospedalieri, gli interventi chirurgici elettivi annullati o rinviati potrebbero essere stati 28,4 milioni in tutto il mondo, cioè il 72,3% di quelli pianificati.

La situazione italiana era sulla stessa linea: Nomisma aveva contato circa 410mila interventi chirurgici rimandati a causa del dirottamento di anestetisti e infermieri verso i reparti Covid e della necessità di ridurre il rischio di esposizione al virus. Si va dal 56% dei ricoveri per interventi legati a malattie e disturbi dell’apparato cardiocircolatorio alla quasi totalità dei ricoveri per patologie afferenti all’otorinolaringoiatria e al sistema endocrino, nutrizionale e metabolico, oltre l’area ortopedica con 135mila ricoveri rimandati.

E, secondo Sileri, la situazione si sarebbe poi ulteriormente aggravata. «Abbiamo purtroppo un numero importantissimo, vicino al milione, di interventi chirurgici saltati e ovviamente rinviati, e un numero importantissimo di indagini e visite ambulatoriali saltate e rinviate, intorno ai 20 milioni», ha dichiarato il viceministro della Salute a fine settembre, in occasione della presentazione del rapporto annuale sull’innovazione in campo sanitario e farmaceutico dell’Istituto per la Competitività.

Le diagnosi di tumore e le biopsie, inoltre, sempre a maggio erano calate del 52% e nei reparti di oncologia si era registrata una diminuzione del 57% delle visite: gli oncologi dichiaravano che in media prima dell’insorgenza del Covid-19 visitavano circa 80 pazienti alla settimana, ma che nell’ultima settimana presa in esame ne hanno visitati 34. Ancora: il 45% dei malati oncologici aveva rimandato la chemioterapia. E nulla fa pensare che questa emergenza si sia risolta.

Volendo poi c’è il cronico problema della mancata informatizzazione del nostro sistema sanitario: un sistema che non dialoga con gli altri ospedali e che spesso addirittura non riesce a dialogare tra reparti e che nel mondo invece è considerato determinante per migliorare le cure e per diminuire gli sprechi (le ripetizioni di esami già fatti è solo un esempio).

C’è anche altra salute, oltre al Covid.

Buon mercoledì.

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I numeri e De Luca

Il presidente regionale nei mesi scorsi ha alimentato la propria immagine da inscalfibile sceriffo di ferro. Ma il Covid non si combatte con i siparietti, come indicano gli ultimi dati sull’emergenza dalla Campania

Ha funzionato tantissimo il personaggio di De Luca sceriffo durante il Covid. Non solo lui, gli sceriffi ultimamente piacciono a tanti, soprattutto se si atteggiano ma poi invece lasciano fare, ma De Luca che dava al governo lezioni di muscolare arroganza e racimolava consensi con battute divertenti contro Salvini e la sua banda è diventato un trend anche sui social, anche tra i giovani: ogni conferenza stampa aveva una drammaturgia perfetta per diventare un filmato da fare girare fino allo sfinimento. I lanciafiamme da usare per sgomberare gli assembramenti, paternalismo à gogo e quell’immagine da inscalfibile sceriffo di ferro che si porta dietro fin dai tempi in cui era sindaco di Salerno.

Ieri i nuovi contagi in Campania (quelli intercettati dal tampone) erano 757, il giorno precedente 544 e se davvero dobbiamo scavare a fondo nelle responsabilità che stanno dietro i numeri (perché questo dovremmo fare, mica solo quando c’è da impallinare giustamente Fontana e Gallera) allora si potrebbe dire anche che in Campania i tamponi continuano a essere pochi, pochissimi: una media di 7.000 tamponi al giorno con un rapporto tra testati e positivi che è in continuo aumento. Con un rapporto così alto tra persone testate e positivi evidentemente qualcosa non sta funzionando e molto probabilmente qualcosa sta pericolosamente sfuggendo.

Code chilometriche di cittadini preoccupati che aspettano fino a otto ore sotto la pioggia, gente che si presenta di prima mattina per riuscire a ottenerlo, gente che infine rinuncia. La coda di fronte al Frullone, struttura dell’Asl Napoli 1, addirittura intralcia l’ingresso dei dipendenti. Eppure la Campania dall’inizio dell’emergenza ha speso in appalti qualcosa come 204 milioni tra il primo gennaio e il 30 aprile (lo dice l’Anac in una relazione depositata in Parlamento) spendendo più del Veneto, quarta regione dopo Lombardia, Toscana e Piemonte.

Dei 3 ospedali Covid solo quello di Napoli è perfettamente operativo mentre a Salerno e a Caserta tutto per ora tace mentre la Procura indaga per turbativa d’asta e frode in pubbliche forniture, in relazione alle procedure di aggiudicazione e di esecuzione dei lavori.

Insomma il Coronavirus non si sconfigge con le parole e nemmeno con i siparietti (e tantomeno negandolo) ma organizzando seriamente la solita vecchia storia delle 3 “t” che qualcuno sembra avere già dimenticato: testare, tracciare, trattare.

La campagna elettorale è finita, come direbbe De Luca “le parole stanno a zero” e forse sarebbe il caso di spiegare e di rispondere. A proposito di rispondere: il presidente della Campania qualche giorno fa ha vietato agli operatori sanitari di parlare con i giornalisti. Un po’ meno tifo, per favore, e un po’ più di governo. Perché il populismo è ammaliante per tutti, a destra e a sinistra.

Buon venerdì.

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Aborto, in Piemonte Fratelli d’Italia usa il corpo delle donne per una becera propaganda politica

Il trucco è sempre lo stesso e forse sarebbe il caso di smontarlo una volta per tutte: prendi un argomento che faccia presa sulla pancia dei tuoi elettori, lancia una proposta che non è nemmeno una proposta ma è una sterile provocazione, decidi di prenderla con una di quelle categorie che funzionano sempre nella guerra ideologica e poi mischi tutto per farne un bel pastone e riuscire a meritarti qualche spazio sui giornali. Questa volta tocca alla Regione Piemonte che per mano del suo assessore regionale alla semplificazione Maurizio Marrone (di Fratelli d’Italia) che decide di scagliarsi contro la decisione del governo dei primi d’agosto con cui il ministro Speranza aveva abolito l’obbligo di ricovero per le donne che scelgono l’aborto farmacologico.

Ai tempi la decisione venne presa per contrastare un altro blitz della destra che aveva deciso di obbligare le donne che volevano ricorrere all’aborto farmacologico a un ricovero ospedaliero che ovviamente (non ci vuole un genio per capirlo) avrebbe aumentato lo stress psicologico e fisico, l’esposizione e le difficoltà delle donne. Non avendo la possibilità di combattere con lealtà le proprie idee, del resto, questi sono abituati a disincentivare scientemente le idee degli altri, come se fosse normale, come se la sottrazione dei diritti fosse l’unico modo per immaginare un modo di governo e una propria identità politica.

E la scienza? No, no, a loro la scienza non interessa per niente e il fatto che il Consiglio di Sanità e le società di ginecologia e ostreticia abbiano espresso sulla questione un parere univoco (e favorevole alla decisione del ministero) non intacca minimamente l’assessore Marrone, che ovviamente si sente sicuro delle proprie idee con la stessa sicumera che hanno sempre quelli che giocano a fare politica sulla pelle della libertà di scelta (preferibilmente le donne) e che sanno solo attaccare il corpo per fingere di avere delle idee.

Non è un caso, no, è una lucida strategia che si inventa qualsiasi passaggio punitivo pur di scoraggiare un atto che non hanno il coraggio di discutere deliberatamente faccia a faccia con le donne. E infatti appena si alza il polverone si tirano indietro e dicono che era solo una proposta, solo un’idea che al momento non c’è nessuna ipotesi di calendarizzazione ma intanto sono già riusciti a frugare gli intestini dei loro elettori e a meritarsi un po’ di spazio sui giornali. Fino al prossimo giro, fino al prossimo timido tentativo. Sempre avanti così.

Leggi anche: 1. Salvini, usa me se vuoi fare propaganda sull’aborto (di Selvaggia Lucarelli)

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Cecilia Strada ha ragione: i negazionisti del Covid non si meritano il servizio sanitario nazionale

No, la questione dei negazionisti che manifestano a Roma contro la dittatura sanitaria, la combriccola di quelli che ci dicono insistentemente che il Covid non esiste, che è tutta un’invenzione, il patetico ritrovo di quelli che vorrebbero abolire l’ordine dei medici e poi ne cercano in fretta e furia uno perché un manifestante viene colto da un malore (un contrappasso da film, roba che nemmeno un drammaturgo riuscirebbe a scrivere così tragicamente comica), non è solo questione di virus, di poteri forti e di complotti orditi da un misterioso ordine mondiale.

Si tratta subito di un attacco frontale al sistema sanitario nazionale, quello stesso sistema che garantisce la cura e la salute esattamente anche a loro, indipendentemente dai loro atteggiamenti irresponsabili e dal loro ammassarsi senza mascherine. L’ha scritto lucidamente Cecilia Strada (che di cure e di salute se ne intende, avendoci dedicato una vita intera): “Ho visto la manifestazione dei negazionisti a Roma. Ammassati, senza mascherine. Non ve lo meritate il Sistema sanitario nazionale. Vi cureranno sempre, ogni paziente ‘con eguale scrupolo e impegno, indipendentemente dai sentimenti che esso mi ispira’, ma non ve lo meritate”. E tanto per bloccare qualsiasi mala interpretazione Cecilia Strada ha anche aggiunto: “Oh, chiariamoci, ché forse sono stata ambigua: non dico che non dovrebbero ricevere cure. Chiunque ha diritto alle cure. Anche se non rispetta chi lo cura e la comunità che lo circonda. In questo senso, ‘non se lo meritano’: perché non lo rispettano, né il SSN, né la comunità”·

Se i negazionisti nostrani credono davvero che l’opera di medici e di infermieri in questi ultimi mesi in Italia sia un’orrida messa in scena per controllare il popolo e se davvero credono che le mascherine non siano dispositivi di protezione ma museruole utilizzate per silenziare la libertà dei cittadini allora ci dicano, se ne prendano la responsabilità, che nel caso in cui si ammalano non si consegneranno nelle mani del nemico ma addirittura rifiuteranno le cure. Non accedano al servizio sanitario che con tanta fatica questo Paese e tutti i suoi cittadini tengono in piedi e si affidino alle cure dei loro falsi profeti. Questo sarebbe coerente. Questo sarebbe normale. Senza poi vederli stipare ospedali (spesso di gran lusso) per combattere il male che non avrebbe dovuto esistere.

Leggi anche: Lettera ai negazionisti: “Venite a Lodi a tenere i vostri comizi davanti a orfani del Covid”

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Conte ci spieghi perché Alzano e Nembro non si potevano chiudere, ma tutto il territorio nazionale sì

C’è più di qualcosa che va spiegato alla luce dei verbali che fioccano pubblicati sui giornali in queste ore. Qualcosa che va spiegato per bene perché la politica sta tutta nella responsabilità del prendere decisioni ma anche e soprattutto spiegarle, le decisioni, raccontarne il filo logico, rendere pubblico il dibattito e il ragionamento che sta dietro a certe scelte e motivarle anche, come succede in questo caso, a posteriori. Se c’è stato un tempo delle prese di posizioni urgente ora è il tempo dell’analisi delle responsabilità. È evidente.

Allora partiamo dalla cautela, che per qualcuno è stata troppa e per qualcuno è stata troppo poca, che appare piuttosto schizofrenica su due decisioni contrapposte prese nel giro di pochi giorni. Il 3 marzo nella bergamasca la situazione è ormai precipitata: nella provincia di Bergamo si registrano 372 contagiati, 56 a Nembro e 26 ad Alzano Lombardo e il Comitato tecnico scientifico si riunisce e scrive: “Nel tardo pomeriggio sono giunti all’Istituto Superiore di Sanità i dati relativi ai Comuni di Alzano Lombardo e Nembro. Al proposito è stato sentito per via telefonica l’assessore Gallera e il direttore generale Cajazzo che confermano i dati relativi all’aumento. I due Comuni si trovano in stretta prossimità di Bergamo e hanno una popolazione rispettivamente di 13.639 e 11.522 abitanti. Ciascuno dei due paesi ha fatto registrare attualmente oltre 20 casi, con molte probabilità ascrivibili a un’unica catena di trasmissione. Ne risulta pertanto che l’R0 è sicuramente superiore a 1, il che costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio. In merito il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della zona rossa al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue”.

Il governo e Regione Lombardia non prendono decisioni: rimane tutto aperto. Conte davanti ai magistrati dichiara addirittura di non avere “mai visto” quel documento. La linea è quella del rischio calcolato. Il 7 marzo il Comitato tecnico scientifico propone al governo di “adottare due livelli di misure di contenimento: uno nei territori in cui si è osservata maggiore diffusione del virus, l’altro sul territorio nazionale”. Due giorni dopo viene deciso il lockdown nazionale. La linea è quella dell’eccesso di cautela.

Cos’è cambiato nella linea del governo? Perché si è deciso di adottare due così diversi comportamenti nei confronti delle osservazioni del Comitato tecnico scientifico? Perché si è deciso di non chiudere ad Alzano e Nembro e invece si è deciso, pochi giorni dopo, di chiudere addirittura tutto il territorio nazionale quando le zone a rischio erano limitate al nord? In sostanza: non notate una diversa cautela nella chiusura delle zone industriali del nord rispetto a un sud che segue a ruota invece il settentrione pur non avendo numeri a alto rischio? Le risposte possono essere molte, molto condivisibili e figlie di due diversi ragionamento. Il tema però è fortemente politico: qualcuno deve spiegare perché il “supporto” del Comitato tecnico scientifico sia stato usato così diversamente. È il senso della politica, questo.

Leggi anche: 1. E se il focolaio fosse stato al sud, la Lombardia avrebbe chiuso tutto?  / 2. “Su Alzano e Nembro toccava a Conte chiudere, ma Fontana doveva insistere”: a TPI parla il consigliere lombardo che ha divulgato il verbale Cts 

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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Gli stra-ordinari pazienti di Gallera

Il magico mondo della Sanità privata visto con gli occhi dell’assessore al Welfare con delega alla Sanità della regione più devastata dalla pandemia

«Gli ospedali sono stati sommersi da pazienti Covid e il privato ha aperto le sale di terapie intensive e le loro stanze lussuose a pazienti ordinari che venivano trasferiti dal pubblico. Il nostro compito è mantenere questo equilibrio». Sono le parole dell’assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera, uno che ogni volta che parla riesce a mostrarsi perfettamente per quello che è e per quello che pensa. In fondo è una fortuna avere politici così: non c’è nemmeno bisogno di grattare la superficie per trovarci già tutto bell’e pronto.

Nella frase c’è tutto, basta avere voglia di analizzare con calma.

Ci sono i lussuosi ospedali privati. Gente che riesce con soldi pubblici a puntare all’esclusività come caratteristica. Ora alzi la mano chi si sente rassicurato dall’abitare in una regione in cui la sua eventuale malattia ha la possibilità di svolgersi nel lusso, come se gli ospedali siano resort da giudicare per i servizi annessi e connessi in un Paese (e in una regione) in cui ci si mette mesi a accedere a esami specialistiche con lunghissime liste d’attesa. Eccola la sanità lombarda, il modello di cui tutti ci parlano da decenni: ospedali lussuosi pagati con soldi pubblici che tolgono denaro e energie agli ospedali pubblici che annaspano. Glorificare un ospedale perché lussuoso è un po’ come magnificare un salame perché è veloce oppure lodare un architetto perché cucina ottimi tortellini. Una cosa così.

Poi ci sono i pazienti ordinari. E siccome l’italiano non è un’opinione quella frase ci dice che ci sono anche pazienti straordinari, inevitabilmente. Non si sfugge. Che esistano pazienti di serie a e di serie b in una regione che ha trasformato la cura in un business è cosa risaputa. Non si tratta solo di chi può permettersi la sanità (così come la scuola) privata alla faccia di chi deve affidarsi al servizio pubblico che ogni tanto non c’è: si tratta di avere l’accidente giusto, in sostanza avere la fortuna che la propria malattia possa interessare a livello di fatturato e quindi si diventa improvvisamente ottimi clienti. Perché è tutto un enorme supermercato dei malati, pagato con i soldi di tutti, in cui guadagnano in pochi.

Complimenti per la sincerità, Gallera.

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