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«Figurati se andiamo a prendere una di Palermo»

Dicono che la mail sia partita per errore. Può essere, per carità. È piuttosto oggettivo però che le mail non si scrivano da sole e quindi qualcuno l’ha scritta e probabilmente ha pensato bene anche prima di scriverla e potrebbe essere che ci abbia fatto sopra una grassa risata con qualche collega. Quelle belle risate che sbrodolano rabbia, quelle razziste. E infatti, il finale, dopo ci arriviamo, è sempre quello.

La storia la racconta Erminia Muscolino, 30 anni, di Muscarazzi, Palermo, biologa pronta a specializzarsi in biotecnologia medica e medicina molecolare:

«Prima di terminare un altro corso di alta formazione in ricerca chimica missione Cra che sto seguendo – ha detto la giovane – ho mandato vari curricula in centri in Italia che si occupano di ricerca clinica fra cui uno l’ho spedito in provincia di Pordenone in Fvg, naturalmente essendo disponibile ad andare fuori anche a titolo gratuito, e per sbaglio ho ricevuto una risposta da questa struttura dove c’era scritto: “giù ricevuta anche io…. Figurati se andiamo a prendere una da Palermo”. Era una comunicazione interna arrivata a me per errore come ho potuto appurare essendo la mail indirizzata ad un’altra persona ma che faceva riferimenti alla mia richiesta».

Erminia non l’ha presa benissimo, ovviamente, e ha voluto che questa storia si raccontasse in giro il più possibile. Ovviamente. Quelli si sono scusati dicendo che si è trattato di un errore e ovviamente si dissociano dal contenuto. Come vi dicevo prima: queste storie di razzistelli finiscono sempre con qualcuno che frigna di codardia e non ha nemmeno il fisico per tenere il ruolo.

Ma l’insegnamento vero è un altro. Noi ora crediamo di vivere in un Paese dove si odiano i negri. Ma non è vero. Ora sono i negri. Ieri e domani i negri sono i terroni. Poi l’odio avrà sempre più fame perché da sempre l’odio ha sempre fame e alla fine verranno a toccare qualcuno vicino a noi, non addirittura qualcuno di noi. E lì sarà troppo tardi accorgersi che le radici velenose danno frutti mortiferi.

Buon mercoledì.

L’articolo «Figurati se andiamo a prendere una di Palermo» proviene da Left.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2019/02/13/figurati-se-andiamo-a-prendere-una-di-palermo/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

«Figurati se andiamo a prendere una di Palermo»

Ma l’insegnamento vero è un altro. Noi ora crediamo di vivere in un Paese dove si odiano i negri. Ma non è vero. Ora sono i negri. Ieri e domani i negri sono i terroni. Poi l’odio avrà sempre più fame perché da sempre l’odio ha sempre fame e alla fine verranno a toccare qualcuno vicino a noi, non addirittura qualcuno di noi. E lì sarà troppo tardi accorgersi che le radici velenosi danno frutti mortiferi.

Palermo, il delitto del mercato: ucciso per uno schiaffo

Salvo Palazzolo per Repubblica:

Quando ancora Palermo dorme, qualcuno già litiga al Capo. Voci, spintoni, insulti. Due uomini litigano senza esclusione di colpi. E poi, all’improvviso, il silenzio. Pochi attimi prima dell’arrivo di una pattuglia dei carabinieri, inviata dalla centrale dopo una telefonata anonima. Sono le sette, in via Porta Carini ci sono pochissime persone. Il fruttivendolo Andrea Cusimano, uno di quelli che hanno discusso animatamente (ma questo ancora nessuno lo sa), sta aprendo la sua bancarella, che è la prima del mercato. Ha il tempo di sistemare qualche cassetta di ortaggi. Tutto sembra tranquillo, la pattuglia va via. Ma 45 minuti dopo, arriva un giovane robusto, ha una pistola in mano. Cusimano lo conosce, è il figlio dell’uomo che ha affrontato poco prima, con uno schiaffo, racconterà un testimone. È in quel momento che Cusimano comprende di essere diventato la vittima predestinata. E allora prova a scappare fra le bancarelle. Mancano una manciata di minuti alle otto.

Corre, Andrea Cusimano, è un giovane di 30 anni. Non ha scampo. Uno, due, tre colpi di pistola lo stendono per terra. Il sicario si avvicina, forse vuole pure infliggere il colpo di grazia con la sua Lebel calibro 38, una pistola di fabbricazione francese. Quale offesa ha mai fatto quel fruttivendolo? Di sicuro c’è solo che l’esecuzione della condanna a morte decisa nel giro di una manciata di minuti deve essere esemplare. Poco importa che in quel momento ci siano già diverse persone attorno. Commercianti, turisti. Ci sono anche un maresciallo e un appuntato del nucleo Investigativo dei carabinieri, sono in borghese. Inizia un inseguimento fra le bancarelle: l’assassino prova a liberarsi della pistola, lanciandola dentro un deposito. Poi, si infila dentro una Smart nera guidata da un complice, che aspetta in via Volturno. Il carabiniere lo tira fuori a forza. L’auto fugge, ma l’assassino è in manette. È un giovane di 23 anni, Calogero Piero Lo Presti, suo padre è Giovanni, nel 2002 finì in carcere pure lui con l’accusa di aver ucciso un parente, Salvatore Altieri, al culmine di una drammatica lite. In realtà, passò una settimana prima che Lo Cascio fosse individuato, perché i familiari avevano scelto di sacrificare il figlio della vittima pur di salvare il vero assassino. E non è un caso. Lo Presti è un cognome pesante nella geografia di Cosa nostra. Un dato che è subito balzato all’attenzione dei carabinieri. Lo Presti junior è nipote del boss Calogero Lo Presti, uno dei ras di Cosa nostra che comandano su Porta Nuova, ma anche cugino di secondo grado di Tommaso Lo Presti, altro autorevole padrino.

La dignità dell’errore. E delle scuse

Filippo Chiarello aveva 38 anni, due bambini piccoli e un intervento da fare alla colecisti in laparoscopia. Nell’ospedale Santa Sofia di Palermo ci è entrato con l’idea di doverne uscire in pochi giorni, pronto ad affrontare una di quelle operazioni che di questi tempi sono routine. E invece è morto. E fino a qui sembrerebbe l’ennesima storia di malasanità pronta a finire sui giornali (locali, perché la sanità è sempre argomento molto poco pop) e ad aprire una sequela giudiziaria tra cartelle cliniche, scarichi di responsabilità e assicurazioni trincerate in difesa.

Invece qui le porte della sala operatoria si sono aperte davanti alla faccia addolorata di un medico che si è dichiarato colpevole di un errore: «Ho spalancato le porte della sala operatoria, ho allargato le braccia e ho detto che era colpa mia. Mi sono sentito morire dentro, sulle facce dei parenti ho visto la disperazione – racconta il medico che ha fatto l’intervento – e mi assumo la responsabilità ma ci tengo a far sapere che non ero distratto, ero concentrato. La verità è che può capitare e i rischi degli interventi in laparoscopia sono dietro l’angolo».

 

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Il PD? «Un partito prostrato», parola del ministro Andrea Orlando

Ecco il video raccolto da Alberto Sofia per Il Fatto Quotidiano:

Utile per chi, in queste ore, sta parlando del caso di Palermo con la “sufficienza” di chi ci vorrebbe insegnare che “in politica servono i numeri” senza tenere conto del valore delle idee.

Spendete un minuto. Ne vale la pena.

Indovina con chi va il Pd? Con Angelino Alfano. A Palermo, intanto

Nonostante sia un copione liso e scontato, provoca il sorriso la testardaggine con cui questi si ostinano a smentirla: a Palermo, in vista delle prossime elezioni amministrative, il Pd sosterrà l’attuale sindaco Leoluca Orlando (a cui, dicono, hanno fatto opposizione dura in questi ultimi cinque anni, per dire) insieme agli alsaziani (quel che ne resta) e ai rimasugli dell’Udc.

Ne esce una lista (dal nome appetitosissimo “Democratici e Popolari”) che richiama lontanamente i colori e le grafiche del Partito Democratico e di Alternativa Popolare (la neonata creatura di Angelino Alfano) senza però citarli; Leoluca Orlando, del resto, da mesi continua a spiegare un po’ dappertutto che Fassino ha perso proprio per “colpa” del partito. Quindi? Quindi tutti civici per finta con la pretesa di riuscire a darcela a bere. Democratici e popolari. Appunto.

 

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A Palermo il PD si fonde con Angelino Alfano. Stupiti?

Ne scrive Giuseppe Pipitone:

Erano tutti o quasi d’accordo: con Angelino non andremo mai più, dicevano. E invece non solo il Pd torna ad allearsi con Alfano, ma addirittura è costretto a occultare il suo simbolo per fondersi con Alternativa Popolare, il neonato partito del ministro degli Esteri. Succede in Sicilia, infaticabile laboratorio politico nazionale, dove lunedì gli esponenti dem hanno presentato la loro lista in vista delle amministrative di Palermo. Dopo cinque anni all’opposizione del sindaco Leoluca Orlando, infatti, il partito del sottosegretario Davide Faraone – sconfitto alle primarie nel 2012 – ha ben pensato di riporre in archivio centinaia di dichiarazioni al vetriolo contro il primo cittadino palermitano per sostenerne la ricandidatura in mancanza di concorrenti più credibili.

Solo che Orlando – eletto sindaco per la prima volta nell’ormai lontanissimo 1985 – non è certo l’ultimo arrivato. “Piero Fassino a Torino ha perso non perché ha amministrato male, ma perché è diventatosimbolo dei partiti“, ha ripetuto fino allo sfinimento il professore ai suoi fedelissimi. Ed è proprio per evitare di fare la fine di Fassino – cioè essere battuto clamorosamente dal Movimento 5 Stelle – che Orlando ha dato il suo ultimatum al Pd: sì all’alleanza ma senza alcun simbolo di partito.

I dem – come ha raccontato ilfattoquotidiano.it – ci hanno riflettuto non poco: poteva il partito che governa a Roma con Paolo Gentiloni e in Sicilia con Rosario Crocetta rinunciare alla sua lista proprio nella principale città chiamata alle urne per le amministrative della prossima primavera? Poteva quella che è – o punta ad essere – la prima forza politica del Paese nascondere il proprio simbolo sotto il tappeto, manco si trattasse di un marchio di cui vergognarsi, a pochi mesi dalle elezioni politiche? In teoria no, non poteva. In pratica, però, Lorenzo Guerini, numero due del Nazareno, non ha potuto fare altro che piegarsi al diktat di Orlando, ordinando ai suoi di contenere ogni orgoglio di sorta. Per raccogliere qualche consigliere, e magari qualche assessore, a Palermo i dem saranno costretti a fare finta di non essere dem: negare se stessi in nome di qualche voto.

Ma non solo. Perché sulla rielezione del quattro volte sindaco di Palermo non punta le sue fiches solo il Pd. Al contrario anche le cosiddette forze moderate – e cioè gli alfaniani e quel che resta dell’Udc – sono ben consapevoli di non avere scelta: o con Orlando o fuori dal consiglio comunale del capoluogo siciliano. È per questo motivo che alla fine è nata Democratici e Popolari, la lista civica del Pd, degli alfaniani che hanno appena chiuso il Nuovo Centrodestra per convertirlo in Alternativa Popolare, e degli ex Udc che hanno seguito Giampiero D’Alia nella scissione a colpi di “cocainomani” e “mafiosi” dalla corrente di Lorenzo Cesa.

Un’occhiata al simbolo vale più di qualsiasi manuale di trasformismo politico: il Partito Democratico sacrifica la sua P, a beneficio di Alternativa Popolare che invece fa a meno della A. I colori, invece, ci sono tutti: il rosso e il verde dei dem, il blu degli alfaniani, persino quattro stellepescate chissà dove, che però di questi tempi vanno tanto di moda. In pratica un simbolo marmellatache raffigura in maniera efficace la fusione tra il partito di Matteo Renzi e quello di Angelino Alfano. “Questa è un’alleanza alla pari ci saranno 20 candidati indicati dal Pd e 20 dall’area popolare”, rivendica il deputato Dore Misuraca, leader degli alfaniani che sostengono Orlando, mentre Francesco Cascio, ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana, punta ad appoggiare l’altro candidato Fabrizio Ferrandelli. “Daremo un contributo decisivo alla vittoria del centro sinistra e di Leoluca Orlando alle prossime elezioni amministrative. Il simbolo che abbiamo presentato tiene dentro le istanze dei nostri alleati, del sindaco ma soprattutto dei tanti iscritti e militanti del Pd che ci hanno spronato a tenere insieme unità e identità”, annuncia anche Antonio Rubino, responsabile dell’organizzazione del Pd in Sicilia.
E dire che fino a pochi giorni fa, una nuova alleanza con Alfano era vista come fumo negli occhi ai piani alti del Nazareno. “Siamo al governo insieme perché nel 2013 non abbiamo vinto le elezioni e per andare avanti ci siamo alleati con forze a noi alternative. Ma è abbastanza evidente che un partito che si chiama Nuovo centrodestra difficilmente si può alleare con un partito di sinistra”, diceva appena il 7 febbraio il presidente del partito Matteo Orfini, rispondendo dal palco del Lingotto a Giuliano Pisapia. “Un listone unico con il Pd e Alfano? Per me, e non solo per me, sarebbe un incubo“, aveva detto l’ex sindaco di Milano, mettendo in mostra – suo malgrado –  sorprendenti doti divinatorie.  Sono bastate poche settimane, infatti, per stimolare il repentino cambio di passo di Orfini e soci: contrordine compagni, con Angelino non solo bisogna allearsi ma occorre addirittura fondersi. La scomparsa di quell’ingombrante locuzione – “Nuovo Centrodestra” – e i sondaggi che danno il nuovo-vecchio partitino di Alfano addirittura al 3,4 percento hanno fatto il resto. In attesa di capire se l’incubo di Pisapia sia destinato a diventare realtà soltanto a Palermo.

(fonte)

La mafia dell’antimafia e i meriti di Telejato e Pino Maniaci

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A Palermo sta succedendo un bordello. Quando tra gli indagati c’è un presidente di una sezione del tribunale (in questo caso Silvana Saguto che si occupa di misure di prevenzione) significa che qualcosa di odioso sta accadendo: arricchirsi sui beni confiscati è un tradimento triplo: alla legge, all’etica e a Pio La Torre.

Eppure questa storia che riempi i giornali è stata raccontata per la prima volta da Pino Maniaci e la sua piccola Telejato. E non ho potuto non ricordarlo in questo articolo:

Eppure ricordo benissimo i sorrisini che accompagnavano le denunce di Pino Maniaci come se in fondo un giornalista così poco pettinato, così puzzolente di sigarette e fuori dall’antimafia borghese avesse una credibilità tutta da dimostrare. Non bastano le minacce, non bastano le inchieste: nel salotto buono dell’antimafia ci entri solo se hai imparato le buone maniere, le cortesie istituzionali e la moderazione. Mica per niente uno come Peppino Impastato ci avrebbe pisciato sopra all’antimafia di maniera che va forte in questi anni. E anche Pino Maniaci, certamente. Ora che l’indagine è in corso (ed è “terribilmente seria” come ci dice qualcuno dagli uffici appena perquisiti nel Tribunale di Palermo) partirà la solita litania dei contriti che piangeranno lacrime di polistirolo.

Il resto è qui.

La chiacchierona Rosy Bindi ha perso la voce su Lo Voi

Il presidente della commissione antimafia Rosi Bindi cerca di silenziare le polemiche; il suo vice, Claudio Fava, al contrario, lancia un provocatorio invito pubblico al nuovo procuratore di Palermo. La nomina di Franco Lo Voi alla guida dell’ufficio inquirente palermitano spacca per l’ennesima volta i vertici di Palazzo San Macuto. Da una parte Fava, che nel day after della nomina di Lo Voi, mette sul tavolo l’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia. “Al netto dei curricula – dice il parlamentare siciliano – vorrei essere certo che il nuovo procuratore capo appoggi e dia sostegno all’inchiesta sulla Trattativa”. Passano 24 ore, e la Bindi rilascia una dichiarazione che sembra indirizzata proprio al suo vice: “Forse sarebbe bene, ogni tanto, partire senza polemiche. Magari questo aiuterebbe…”. E se Fava aveva puntato il dito sulle modalità di elezione di Lo Voi, il primo procuratore nominato dal Csm con una maggioranza di voti laici, la Bindi la pensa in modo diametralmente opposto.“So che il nuovo Procuratore di Palermo è stato scelto, dall’organo che doveva sceglierlo, con procedure corrette. Penso che fosse un confronto da tre grandi persone, tre grandi magistrati”.

La posizioni di Bindi e Fava, insomma sono assolutamente in antitesi sulla nomina del nuovo procuratore. Più o meno come era accaduto pochi mesi fa, quando la commissione antimafia si era occupata del Protocollo Farfalla, l’accordo segreto siglato dal Sisde di Mario Mori e dal Dap di Gianni Tinebra. “Questo protocollo non esisteva,  magari esistevano dei comportamenti che giustamente ad un certo punto si è sentito la necessità di regolare” diceva la Bindi il 30 luglio scorso, mentre negli stessi giorni Fava si chiedeva: “Dobbiamo capire il perché sia stato creato un documento del genere, perché interessavano particolarmente i detenuti al 41 bis, con quale scopo si sarebbero dovuti incontrare certi personaggi, con quale obiettivo, e se si volesse in quel modo ottenere o proporre qualcosa”. Alla fine il Protocollo Farfalla esisteva davvero e oggi è depositato agli atti dell’inchiesta sulla Trattativa. La stessa inchiesta che per Fava, dovrebbe essere sostenuta pubblicamente dal nuovo procuratore capo di Palermo. Ma che la Bindi, invece, neanche nomina, limitandosi a fare gli auguri di rito a Lo Voi.

(fonte)