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Fingeranno sempre di passare lì per caso

Il governo ha deciso di chiudere le piste da sci sulla base dei dati del Cts sui contagi. Apriti cielo. Da Salvini a Zingaretti si levano voci sdegnate. E a parlare così sono i politici di quegli stessi partiti che hanno ministri nell’esecutivo Draghi. Ecco cosa c’e dietro il “governo dei sogni”

Giornata interessante, quella di ieri. Giornata significativa anche per quelli che da qualche giorno sospirano petali di rosa sognanti per un Draghi taumaturgo che avrebbe il potere di cancellare i partiti, la politica, la mediocrità di certi leader e soprattutto i normali meccanismi democratici di un Parlamento.

Accade che il governo decida di chiudere le piste da sci che invece avrebbero dovuto aprire. Accade che lo faccia all’ultimo momento: l’ultimo momento del resto è il primo momento utile con i nuovi dati che arrivano dal Comitato tecnico scientifico e volendo ben vedere anche il primo giorno utile da un governo che è naufragato per regalarci il governo dei sogni, il governo dei migliori, il governo che avrebbe cambiato tutto. Accade che di fronte i dati dei nuovi contagi (perché la curva non si abbassa più e anzi in modo preoccupante tende a rialzarsi probabilmente a causa delle varianti del virus) si decide di tenere chiuse le piste sciistiche. Apriti cielo: ogni volta che qualcuno tocca un settore qualsiasi ovviamente (e giustamente) si levano voci sdegnate. Ma badate bene, qui non si tratta delle voci dei lavoratori, che si sono ritrovati nella pessima situazione di dover cancellare una riapertura programmata che è costata organizzazione, soldi, fatica e che inevitabilmente costa moltissimo in termini economici e di spirito. No, qui si levano le voci sdegnate dei politici.

«I ministri hanno la nostra fiducia. ma serve cambiare qualche tecnico – ha avvertito Salvini – La comunità scientifica è piena di persone in gamba». Il presidente di Regione Lombardia, il leghista Fontana dice: «Trovo assurdo apprendere dalle agenzie di stampa la decisione del ministro della Salute di non riaprire gli impianti sciistici a poche ore dalla scadenza dei divieti fin qui in essere, sapendo che il Cts aveva a disposizione i dati da martedì, salvo poi riunirsi solo sabato». «Sono allibito da questa decisione che giunge a poche ore dalla riapertura», dice il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio. Piste da sci aperte in Friuli Venezia Giulia dal 19 febbraio anche per gli sciatori amatoriali. Il governatore Massimiliano Fedriga ha firmato l’ordinanza urgente n. 4/2021 con cui apre anche agli sciatori amatoriali, a decorrere dal 19 febbraio e fino al 5 marzo, gli impianti nelle stazioni e nei comprensori sciistici. «Per noi viene prima di tutto la salute dei cittadini ma è raccapricciante e imbarazzante vedere un’ordinanza che proroga la chiusura degli impianti da sci pubblicata 4 ore prima di mezzanotte», dice il presidente veneto Luca Zaia. Ma badate bene, non è mica solo la Lega: «Il danno per l’economia dello #sci e della #montagna è davvero immenso. Il Governo si adoperi subito per indennizzi e ristori a chi è stato colpito. Questa è la priorità assoluta», spara il segretario del Pd Zingaretti. «Non posso non esprimere stupore e sconcerto, anche a nome delle altre Regioni, per la decisione di bloccare la riapertura degli impianti sciistici a poche ore dalla annunciata e condivisa ripartenza», dice il presidente dell’Emilia-Romagna e della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini. Italia Viva (figurarsi) chiede “un cambio di passo”. E via così.

Tant’è che a un certo punto si diffonde l’opinione che la decisione sia stata presa dal ministro Speranza, da solo rinchiuso nella sua stanzetta e che loro non ne sapessero niente. Peccato che a metà giornata Palazzo Chigi (quindi Draghi) fa sapere all’Agi che la decisione sugli impianti sciistici è stata adottata in base alle informazioni fornite dal Cts e condivisa dal governo e dal presidente del Consiglio Mario Draghi. Cioè la decisione è stata discussa con tutti i ministri e quindi si presume che i ministri abbiano avvisato i segretari del proprio partito e quindi si presume che sia tutta una posa, una finta sorpresa, un giochetto facile facile: questi fingeranno sempre di essere presi alla sprovvista perché appoggeranno il governo nella comoda posizione di chi comunque si sente un battitore libero. E continueranno a sparare cannonate perché Draghi potrà (forse) riuscire a tenere a bada i ministri e non i partiti, com’è normale che sia.

Ora capite perché la favola del “governo tecnico” è una bufala? Questi continueranno a fingere di passare di lì per caso, in Consiglio dei ministri, rimanendo stupiti tutte le volte, ognuno per proprio tornaconto elettorale. Il “governo dei sogni” è un governo che ha messo sul palcoscenico tutte le mediocrità, nessuna esclusa, e che rende facilissima la vita agli “oppositori interni”, quelli che sfasciano tutto per sentirsi vivi. Un capolavoro, insomma.

Buon martedì.

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Eccoli “i migliori”

Cosa hanno fatto e detto in passato alcuni ministri del nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi, il cosiddetto governo dei migliori

Renato Brunetta in un Paese normale, in un Paese capace di esercitare il muscolo della memoria almeno per qualche anno, sarebbe considerato un politico “finito”, uno di quelli che incassa con dignità le sue sconfitte e silenziosamente si ritira a fare altro. In Forza Italia, nella Forza Italia che si è sgretolata in questi ultimi anni, lui ha mantenuto invece la qualità politica che più conta da quelle parti, la fedeltà al capo e ad esserne lo scherano e così ce lo ritroviamo estratto dal cilindro. Brunetta fu già ministro nel terzo governo Berlusconi, proprio alla Pubblica amministrazione, ve lo ricordate? Fu quello che si presentò additando come «fannulloni» i dipendenti pubblici (e se ci fate caso quel vento sta tornando di moda, bravissimo Draghi a fiutarlo, chapeau) e pensò bene di installare dei tornelli negli uffici (voleva metterli anche nei tribunali) per risolvere il problema dell’assenteismo. Capite vero? Il governo dei migliori che dovrebbe farci dimenticare i banchi con le rotelle ha ripescato dal cassetto dei giocattoli rotti il ministro dei tornelli. Fu il Brunetta che si scagliava contro i magistrati che «lavorano due e tre giorni alla settimana» (ma per difendere Berlusconi bisogna per forza odiare i magistrati) e che aveva definito alcuni poliziotti dei «panzoni passacarte». La sua riforma che avrebbe dovuto rivoluzionare la pubblica amministrazione non ha cambiato nulla, nulla. In compenso Brunetta fu quello che accusava le donne di usare «gli ammortizzatori sociali per fare la spesa» e che, tanto per farsi un’idea dello spessore culturale, disse: «Esiste in Italia un culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Pae­se ed è quello che si vede in que­sti giorni alla Mostra del Cine­ma di Venezia». Un migliore, senza dubbio.

Mariastella Gelmini fu la ministra all’Istruzione che per quelli della nostra generazione ha lasciato come ricordo le macchie di un incubo. Tanto per stare sui numeri: un taglio in tre anni di 81.120 cattedre e 44.500 Ata (il personale non docente). È la sforbiciata complessiva di 125.620 posti dal 2009 al 2011 che avrebbe dovuto far risparmiare all’Erario poco più di otto miliardi di euro. Otto miliardi e 13 milioni, per la precisione, stima il Tesoro nel «Def 2011». Parte di queste risorse, il 30%, servivano a recuperare gli scatti stipendiali bloccati nel luglio 2010 da Giulio Tremonti. Da buona efficiantista non sognava una scuola migliore ma ambiva a tagliare “gli sprechi”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di fronte ai tagli alla ricerca, era però dovuto intervenire a gamba tesa nel 2009 invitando la ministra a «rivedere alcuni tagli indiscriminati». Delle donne disse che sono delle «privilegiate» se scelgono di assentarsi dal lavoro dopo la gravidanza. Nel 2009 pensò anche a un tetto del 30%, per ridurre il numero degli stranieri in classe. Una migliore, applausi.

Erika Stefani è ministra alle disabilità. Già il fatto che per le disabilità venga messo in piedi un ministero senza sapere e senza capire che il tema attraversi tutte le competenze ha la forma di un’elemosina, lo ha spiegato benissimo Iacopo Melio in questo articolo per Repubblica, ma uno si aspetterebbe che in quel ministero lì ci sia una persona empatica, inclusiva, con testa e cuore larghi. Erika Stefani è stata ministra con il primo governo Conte ma se la ricorda solo Wikipedia. Fino a qualche giorno fa aveva come copertina della sua pagina Facebook la sua foto in Parlamento mentre strillava con un cartello “No ius soli”. Era una di quelli che proponevano le gabbie salariali ovvero «alzare gli stipendi al Nord e abbassarli al centro-Sud». Una migliore, complimenti.

Poi c’è Giorgetti, sempre della Lega, come Stefani. Giorgetti è in Parlamento dal 1996 e ha il grande “pregio” di aver sempre seguito i potenti, passando indenne da Bossi a Maroni fino a Salvini. Parla poco perché quando parla dice cose che rimangono impresse a fuoco come quella volta che disse che i medici di famiglia non servono più. Infatti nella sua Lombardia i medici di famiglia sono stati disarticolati e la Covid ha preso piede con grande libertà. Un capolavoro. Giorgetti è uno di quelli stimati perché non parlano mai e rischiano di sembrare intelligenti, come Guerini nel Pd, sempre pronti ad attaccarsi alle braghe del potente giusto per risultare pontieri mentre invece sono solo camerieri. Giorgetti era uno di quelli che ci spiegò che i mercati europei attaccavano la Lega perché «i mercati sono popolati da affamati fondi speculativi che scelgono le loro prede e agiscono», disse proprio così. Ora è europeista. Che migliore, davvero.

Questo è solo un assaggio. Nei prossimi giorni li raccontiamo per bene tutti. Evviva i migliori. Evviva.

Buon lunedì.

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“Bene il ministero verde, ma il M5S in questi tre anni ha fatto solo danni all’Ambiente”: la portavoce di Green Italia a TPI

Quindi ora si esulta per il super ministero per la Transizione ecologica, come l’ha chiamato con enfasi Beppe Grillo. Ma serve davvero? Come siamo messi con le politiche ambientali? Ne abbiamo parlato con Annalisa Corrado, portavoce del movimento Green Italia, ingegnera meccanica specializzata in Ricerca Energetica, che si occupa di impianti alimentati da fonti rinnovabili, di efficienza energetica, di gestione virtuosa di rifiuti e sotto-prodotti e di  valutazione degli aspetti ambientali dei sistemi energetici.

Ora torna di moda l’ambientalismo. Grillo dice di avere ottenuto da Draghi un super ministero per la Transizione ecologica e il tema esplode sui media. È comunque un bene o rischia di essere l’ennesimo fuoco di paglia che passerà presto?
A Grillo ha fatto molto comodo intestarsi questa proposta con un colpo di teatro. Ma, avendo avuto a disposizione tre anni con il primo partito in Parlamento, avrebbe potuto fare molto se ci avesse tenuto tanto. Contano i fatti: i fatti dicono che non solo i Cinque Stelle non hanno fatto molto, ma anche che, di tutte le cose che si sono intestati come battaglie politiche sull’ambientalismo, non hanno fatto praticamente nulla, se non alcuni danni piuttosto importanti.

Fa un po’ sorridere che adesso l’ambientalismo emerga come una vittoria di Grillo, anche se il fatto che abbia spinto anche lui su questa soluzione torna comunque utile, soprattutto perché finalmente se ne parla nel dibattito politico e mediatico, cosa che non accade quasi mai. A mio avviso l’istituzione di questo ministero è un’ottima notizia: tutto si giocherà su quali deleghe avrà il ministero, su chi lo guiderà e con quale visione, con quali risorse e con quale sostegno politico.

Noi avevamo chiesto addirittura una cabina di regia in sede alla Presidenza del Consiglio perché combattere il cambiamento climatico prevede un’interdisciplinarietà tale che rende insufficiente un dipartimento del ministero dell’Ambiente com’è ora. Ci vuole delega sull’Energia, sui Trasporti, sulla Mobilità, sull’Industria, sull’Allevamento, sull’Innovazione, sulla Cultura, sulla Formazione, praticamente tutto deve essere organizzato per essere sinergico. Se il nuovo ministero sarà così, allora sarà esattamente quello che serve. Solo dall’annuncio comunque c’è stato un dibattito culturale e politico sicuramente positivo.

Qualcuno fa notare che al ministero esistesse già un dipartimento che avrebbe dovuto occuparsi proprio di questo. Ritiene utile che venga creato un ministero appositamente?
Sì, esiste un dipartimento, ma è totalmente insufficiente anche perché il ministero per l’Ambiente in Italia non ha deleghe forti, non ha disponibilità e importante e non ha una struttura forte. Basti pensare che al ministero per l’Ambiente non è mai stato fatto un concorso specifico: sono tutti funzionari e dirigenti che vengono da altre realtà e tutti i tecnici sono stati consulenti esterni con contratti super precari, con un turnover spaventoso per cui metterci le mani adesso è complicato. È un ministero super depotenziato che quando andava a interloquire con altri ministeri non ne aveva la forza.

Come valuta il governo Conte dal punto di vista delle politiche ambientali?
La valutazione è piuttosto desolante, anche se il M5S aveva fatto promesse e creato consenso intorno a temi come l’abolizione dei sussidi alle attività dannose per l’ambiente o i sussidi alle fossili. Nei due governi in cui il M5S avrebbe avuto modo di agire non ha fatto nulla,. Solo ipotesi, i soldi sono sempre tutti là belli fermi. Anche perché quando c’è da fare una battaglia meno comprensibile per le persone, penso alla plastic tax, ci si tira immediatamente indietro.

Ma soprattutto il M5S ha fatto danni rispetto all’economia circolare, che è un tema da loro molto cavalcato, perché ogni volta che in un territorio c’è un loro comitato contro un qualsiasi tipo di impianto sono sempre in prima linea. C’è una grande ambiguità tra il consenso popolare e le cose che si devono fare. La rivoluzione verde non sarà indolore: prevede uno stravolgimento importante delle nostre abitudini, del modo di fare produzione, di fare industria, di spostarsi. Tutte le rivoluzioni vanno costruite con attenzione ai più fragili, alle disuguaglianze sociali, però sono stravolgimenti che vanno spiegati e compresi con competenza e che vanno governati.

Noi abbiamo perso molti treni come tessuto industriale proprio perché non siamo stati in grado di capire che questa era la nuova direzione in tutta Europa. Faccio un esempio: ora che la plastica monouso è messa da parte, l’industria del nord Italia, che produce il 70% del monouso che viene venduto in Europa, è in crisi. Quando 15 anni fa gli ecologisti dicevano di investire in economia circolare li guardavano tutti come dei pazzi. Forse adesso un poco lo stiamo comprendendo.

Quali dovrebbero essere le priorità del governo Draghi sul tema, anche in previsione dei soldi che arriveranno dal Recovery Fund?
Serve una visione sistemica, mancano gli indicatori, manca una visione complessiva, mancano gli strumenti e mancano le indicazioni delle riforme per portare a termine gli obbiettivi. Noi già siamo in difficoltà nella gestione ordinaria delle risorse europee figuriamoci in una situazione del genere. C’è troppo poco sulle fonti rinnovabili, pensando solo a un potenziamento del bonus sull’edilizia residenziale.

Servirebbe una riconversione di tutto il sistema industriale verso l’economia circolare, che non può essere solo una nicchia: l’economia circolare è la lente attraverso cui progettare tutta la filiera industriale italiana. Ad esempio: vogliamo tornare a contare nell’automotive? Dobbiamo convertire le nostre produzioni, ancorate a un modello vecchissimo per i soliti interessi fossili che ci hanno penalizzato.

Ci sono tante voci scoperte e non c’è un sistema di rendicontazione dei risultati. Poi non si può dire “il 37% va alle rinnovabili e il resto lo mettiamo dove ci pare”: serve una strategia complessiva che nemmeno un euro vada contro l’obbiettivo della de-carbonizzazione. L’altra priorità di Draghi deve essere l’infrastrutturazione di questo Paese, un welfare che crei una salubrità come concetto molto più profondo del semplice concetto sanitario e poi la ristrutturazione sociale per l’emersione della parità di genere e dei talenti femminili. Non dimentichiamoci che l’approccio ecologista segue l’agenda 2030 dell’Onu quindi il Pnrr deve essere illuminato da quel documento.

Com’è messa l’Italia in termini di politiche ambientali nello scacchiere europeo?
Siamo messi male, molto male. Abbiamo procedure d’infrazione su tantissimi temi come la qualità dell’aria e la gestione dei rifiuti. Le cose in Italia succedono solo quando le procedure d’infrazione diventano insostenibili: vedi la chiusura della discarica di Malagrotta. C’è stato un breve periodo in cui abbiamo fatto parecchio per le rinnovabili a cavallo del 2010 dopodiché ci siamo completamente fermati.

Abbiamo un territorio dove servono moltissime bonifiche, abbiamo zone aggredite dall’industria dove le industrie se ne sono andate e sono rimasti i danni. I numeri epidemiologici a causa dell’inquinamento sono spaventosi e le politiche non sono all’altezza. Ci sono nazioni che hanno uno sguardo molto più alto del nostro, come la Francia, la Germania e i Paesi del nord. Addirittura a prescindere dal colore del governo del momento.

Ritiene che quella stessa parte politica che per anni ha negato i cambiamenti climatici possa ora ravvedersi in nome della “responsabilità” invocata da Mattarella?
No, quella parte politica che nega i cambiamenti climatici con battute di spirito cambi le sue posizioni che sono sempre state sui fossili e sulla conversazione. Sono anche partiti antiscientifici, l’abbiamo visto anche per il Covid. Non credo cambieranno improvvisamente idea. Potrebbe essere ora che intuiscano che anche negli interessi dei loro interlocutori (industriali, piccole e medie imprese) è ora di mettere al centro la sostenibilità e la conversione ecologica.

Vince chi investe su questo e si fa trovare preparato alle crisi e i numeri dicono che sopravvivono le aziende più indipendenti dal punto di vista energetico, più pronte a affrontare un mercato che sta cambiando. Sta diventando un tema anche economico, con le linee guida dell’Europa bisogna sviluppare questa visione. In Germania i temi della transizione sono bipartisan, a parte Trump anche negli Usa i repubblicani parlano di carbon tax da anni.

Leggi anche: Verdi tedeschi contro Grillo: “Un partito che insulta le donne e fa annegare i migranti non sarà mai come noi”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Ora per Italia Viva il Mes “non è imprescindibile”: svelato l’inganno, Renzi voleva solo la testa di Conte

Ogni tanto conviene esercitare la memoria, anche quella più breve, anche in un momento di eccitazione politica, almeno per una questione di igiene intellettuale, perché ognuno possa giudicare senza farsi travolgere dalle mistificazioni.

Ieri Maria Elena Boschi, esponente di spicco dei renziani, ha dichiarato in scioltezza che Italia Viva non ha mai preteso il Mes: “Abbiamo sempre detto che non era per noi imprescindibile”, dice l’ex ministra. E tutti che fanno sì sì, senza nemmeno porre qualche domanda.

Badate bene: è la stessa Boschi che lo scorso 12 gennaio disse che Italia Viva aveva “chiesto al governo di prendere il Mes”. “Servono soldi per la sanità, non poltrone per noi”, diceva.

È lo stesso partito che il 13 gennaio, in piena crisi politica, disse per bocca del suo padrone Matteo Renzi: “Qual è il punto decisivo per la rottura? Tanti. Ma su tutti, il Mes. Noi chiedevamo più soldi per la sanità, attivando il Mes”.

Il 17 gennaio fu sempre Renzi, ospite di Lucia Annunziata, a dire: “Non voterò mai un governo che si ritiene il migliore del mondo e di fronte a 80mila morti non prende il Mes”.

E fu sempre Renzi che disse: “La mancata attivazione del Mes sarà pagata dai dottori, dai ricercatori, dai malati e dalle loro famiglie”.

E quindi? Quindi il punto centrale della rottura di Italia Viva con il Governo Conte nel giro di pochi giorni è diventato precipitosamente un’inezia su cui si può soprassedere senza nessun problema.

Per carità, non stupisce: in questa fase politica, sotto il nome della “responsabilità”, stiamo assistendo alle più inaspettate (e poco dignitose) acrobazie per giustificare inversioni delle proprie fedi politiche: i sovranisti sono diventati europeisti, i nemici delle banche si sono innamorati di un banchiere, gli appassionati dei programmi scritti hanno acceso una smisurata passione al buio, i cultori dei passaggi democratici si scocciano ad avere a che fare con questo Parlamento.

Ma una domanda, una, sorge spontanea: il Matteo Renzi che per settimane ci ha detto che non fosse un problema di nomi e di persone ma che tutto il suo agitarsi fosse figlio di un’irrefrenabile coerenza per i suoi contenuti politici cosa ci dice ora del Mes, di Arcuri che dovrebbe rimanere dov’è, del reddito di cittadinanza che probabilmente non verrà toccato e di un governo che nasce proprio su un nome, su una persona?

Perché altrimenti avrebbe potuto dire che il problema era Conte, solo Conte e la pazza idea di governare (ancora) con il centrodestra. La sincerità è una virtù. Lo diceva anche Confucio.

Leggi anche: La videolettera di Riccardo Bocca: Caro Draghi, lei è il medico del pronto soccorso ma è la politica che deve resuscitare

L’articolo proviene da TPI.it qui

La sostanziale differenza

Lasciando perdere il centrodestra c’è dall’altra parte, nel presunto centrosinistra ormai da anni tendente al centro centro centrodestra, in quello che potremmo definire un centrocentrocentrocentrosinistra una spaccatura che emerge ancora di più in queste ore ma che è andata a consolidarsi in tempi lunghi, sostanzialmente dalla nascita del Movimento 5 Stelle e che ora esplode in previsione dell’insediamento del prossimo governo.

Ci sono i cultori della competenza, che si fanno chiamare così ma sono sostanzialmente quelli che mal sopportano i grillini, che trovano indecenti certi loro dirigenti politici, che non ne condividono la struttura padronale, che ne criticano la volatilità delle posizioni, che ne sottolineano la predisposizione ad allearsi con chiunque e che trovano tutto questo gravemente insopportabile. Un pezzo di dirigenti politici (e plausibilmente anche di elettori) sta giocando in questi giorni la sua battaglia contro il Movimento 5 Stelle (e contro Conte) e simula (spesso male) di volerne fare una questione di principio. Peccato che i valori e i principi, comunque vada, ne usciranno inevitabilmente piuttosto deboli in un governo che vede “dentro tutti”: pensare a un “governo della competenza” che contenga Lega e Forza Italia è qualcosa che sarebbe stato inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Eppure i “cultori della competenza” ci dicono che sia meglio un Salvini e un Berlusconi voltafaccia piuttosto che il Movimento 5 Stelle accusato di avere voltato la faccia. E quindi a questi gli tocca perfino adorare la competenza di un Giorgetti per spazzare un Di Maio. E avranno una maggioranza con dentro Giorgetti e Di Maio. Vai a capire.

Dall’altra parte ci sono quelli che si ricordano ancora cosa sia la neodestra della Lega, che sanno esattamente che sventura sia stata il berlusconismo al potere, che ricordano con un certo fremito le macellerie sociali innescate da certi governi tecnici che si sono potuti permettere di bastonare i poveri in nome dell’impolitica e che trovano indigeribile la normalizzazione di una destra che probabilmente è una delle peggiori destre di sempre. Anche questi in fondo hanno una battaglia personale da combattere: ritengono indigeribile Salvini e i suoi scherani e ritengono inaccettabile la riabilitazione di Berlusconi e le oscure trame del suo partito. Ritengono che “quelli che hanno governato con Salvini” non possano essere peggiori del Salvini stesso e che la credibilità di una maggioranza si disegna anche da chi ne resta escluso. Confidano in Draghi (che ha l’interesse primario di tenere in maggioranza più partiti possibili) per sperare che escluda qualcuno che loro stessi non riescono a escludere. Sanno perfettamente però (almeno ce lo auguriamo) che non accadrà nulla di tutto questo e che il governo che si insedierà sarà un tiepido compromesso. E fanno il pesce in barile. Vai a capire.

Sopra a tutti c’è un presidente del Consiglio incaricato che deve provare a tenere insieme questi due blocchi contrapposti (più ovviamente la porzione di destra che ha già assicurato il suo sostegno) cercando di non scontentare nessuno, almeno di scontentarli il meno possibile, sapendo bene che sia impossibile accontentarli.

Il governo che nasce è questa cosa qui, legato con mani e piedi alla differenza sostanziale che ogni giorno si esercita nei politici, nei giornalisti, tra gli opinionisti. E allora viene normale aspettare almeno i programmi, almeno per elevare il dibattito dalla disputa che sembra ormai una questione di tifo e per tornare a parlare di temi. Ogni volta che qualcuno sommessamente fa notare che i programmi saranno dirimenti (ma non bastano i “titoli” di un vago programma) le due fazioni ricominciano a prendersi a pesci in faccia: “come vi permettete di chiedere i programmi voi che siete indegni perfino di stare dentro questa maggioranza” gridano gli uni agli altri. E sono giorni tutti così.

Buon giovedì.

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Finalmente un po’ di programma

Scuola, lavoro, ambientalismo, vaccini… Si comincia a fare politica e finalmente usciamo dall’agiografia giornalistica. E adesso, finalmente, calano le maschere

Forse finalmente ci prepariamo ad uscire da questo nauseante fardello di agiografia giornalistica che negli ultimi giorni si è spremuto sul pasticciere di Draghi, sulla corsetta mattutina di Draghi, sulle opinioni dei compagni di classe di Draghi, sui gusti culinari di Draghi, sul “quanto è bello il silenzio compito della moglie di Draghi”, sulle analisi dei completi indossati da Draghi e si torna a parlare di politica. Finalmente, vedrete, ci farà bene, farà bene a tutti.

Nel secondo giro di consultazioni il Presidente del Consiglio incaricato sta presentando ai gruppi parlamentari un’idea di programma per il governo che potrebbe essere e si potrà testare quali siano le idee e soprattutto quale potrebbe essere l’apporto dei partiti. Per ora, com’è naturale che sia, siamo solo ai titoli declamati ma da questo possiamo partire per aprire un dibattito e delle riflessioni. È un passo in avanti, certo.

Ieri si è parlato un po’ dappertutto dell’ipotesi del prolungamento della scuola: secondo Draghi gli studenti hanno perso troppi giorni e occorre intervenire con una revisione del calendario scolastico fino a fine giugno. Draghi ha insistito anche sulla necessità di farsi trovare pronti per la ripresa dell’anno scolastico 2021-2022 per risolvere l’annoso problema delle 10mila cattedre vacanti di questo inizio di anno scolastico. Declinato così, ovviamente, questa idea sembra un colpo facile su cui presumibilmente saranno tutti d’accordo. Chissà che sia la volta buona che questo impegno non rimanga nel cassetto dei sogni. Anche perché proprio ieri una ricerca ha confermato quello che sappiamo da tempo: nell’Italia delle disuguaglianze una famiglia su tre ha difficoltà a sostenere e seguire il proprio figlio in Dad.

Poi c’è l’ambientalismo. Anche questo è un punto che si è sventolato spesso e che invece ha bisogno di azioni concrete e rapide. Ora sappiamo che il 37% delle risorse del Recovery finirà lì. Draghi ha ripetuto più volte che bisogna puntare sull’ambiente in modo trasversale, puntando il dito sull’inquinamento di zone d’Italia come la Lombardia (a proposito del “modello lombardo”) dichiarando di pensare all’ambiente anche come occasione di sviluppo e di crescita. Anche qui, certo, siamo ai titoli iniziali, ma la sfida è già una priorità di molti Paesi europei. Chissà che non diventi un tema prioritario anche qui, anche nelle agende dei partiti.

Poi c’è la campagna dei vaccini. Mentre Salvini riesce a sfiorare il ridicolo proponendo il “modello Lombardo” e il “modello Bertolaso” (con la Lombardia che svetta per numero di morti e con Bertolaso che per ora si è limitato a comporre un po’ di slide), l’idea di Draghi sarebbe quella di proporre il “modello inglese”. Per ora si parla di poco o niente, come abbiamo avuto occasione di vedere ciò che conta in una campagna vaccinale sono i numeri. Chissà almeno che non ci si liberi delle primule di Arcuri. C’è un aspetto che lascia un po’ perplessi: Draghi avrebbe anche chiesto di cambiare il “clima” generale della narrazione. Se così fosse sarebbe un peccato: l’ottimismo dopato dalla narrazione è una truffa, l’ottimismo si costruisce offrendo opportunità. Ma avete notato anche voi come sia già cambiata la percezione del virus in questi giorni nonostante le preoccupazioni delle varianti? Curioso, vero? Non è un bel segnale.

Poi c’è ovviamente l’atlantismo, ovvero il riposizionarsi con convinzioni sulle posizioni degli Usa di Biden in un quadrante geopolitico ben definito. Qui il terreno è molle: il confine tra alleanza e servitù è sottile.

Poi c’è il quadro degli aiuti per il lavoro (ci torniamo più largamente nei prossimi giorni) e su questo circolano già alcune parole chiave: niente «contributi a fondo perduto», si dice, e attenzione perché nella definizione del «fondo che si è perduto» si gioca la sostanziale differenza tra chi vuole sostenere le imprese o i lavoratori. Sul punto di equilibrio si definisce la posizione politica del governo che sarà (nonostante si finga che non ci sia connotazione politica). Se gli aiuti alle imprese che vengono sventolati finiranno ancora una volta a salvare il culo dei padroni mentre macellano i lavoratori non sarà un buon momento, no. E viste le facce che sostengono il governo viene da pensar male. Si dice che non ci sarà spazio per la proroga del blocco dei licenziamenti. Quindi che si farà? Questo è un bivio fondamentale. Ah, ci saranno consistenti aiuti per gli istituti di credito (che continuano a non dare credito). Chissà perché non ci stupisce.

Parole da prendere bene con le pinze sul fisco: si parla di una riforma strutturale per «alleggerire il ceto medio» in un Paese in cui il ceto medio esiste sempre meno e in cui il problema è la povertà, mica la piccola borghesia. E anche su questo la tiritera del governo senza colore politico cadrà inesorabilmente. Aspettiamo, con parecchia ansia.

Poi, come governo tecnico che si rispetti, si parla di “infrastrutture”. Anche qui la partita è semplice: siamo ancora il Paese che considera infrastruttura il ponte sullo Stretto o siamo il Paese capace finalmente di considerare le infrastrutture sociali che modernizzerebbero davvero il sistema Stato?

Insomma, si comincia a fare politica e finalmente l’aria si dipana, anche tutto questo sistema gassoso e fideistico che ormai ci ha annoiato. E adesso, finalmente, calano le maschere.

Buon martedì.

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Gazebo e mascherine inutili: gli sprechi (milionari) di Arcuri, che ora dovrà risponderne davanti a Draghi

Immaginatevi la scena: di fronte al compito Draghi, da sempre abituato al nocciolo delle questioni e al loro funzionamento, il super turbo commissario Domenico Arcuri sfoglia l’album delle figurine con i suoi bei gazebo a forma di primule dove doveva partire di grancassa il piano vaccinale anti Covid che invece è già iniziato.

Mentre gli racconterà dell’effetto petaloso della sua grande idea forse sarà la volta buona che qualcuno finalmente si renda conto dell’enorme e pericoloso spreco di un padiglione che costerà circa 400mila euro e a questa modica cifra è in grado di fare 6 vaccinazioni alla volta e quindi impiegare tre mesi per vaccinare meno di 30mila persone, un piccolo centro di provincia, spendendo “solo” 10 volte tanto rispetto a un punto vaccini di analoga portata nella sala civica, in quella parrocchiale, nella palestra, sotto la tenda degli alpini e via dicendo. Chissà che Draghi non si accorga anche che il commissario Arcuri ha in testa di ordinarne “fino a 1.200”, dice così il bando, per una cifra mostruosa che si aggira sul mezzo miliardo di euro, sempre per quella vecchia storia della credibilità verso l’Europa su come spendiamo i nostri soldi.

E a proposito di soldi spesi chissà se Arcuri risponderà almeno a Draghi, visto che non lo fa con noi giornalisti, di quelle mascherine cinesi acquistate lo scorso 11 settembre (molti mesi dopo l’inizio della pandemia, quindi con tutto il tempo per compiere la scelta migliore) dalla società olandese YQT Health Care B.V. (con un solo dipendente, costituitasi a marzo dell’anno scorso): 105 milioni di euro per 100 milioni di mascherine, 1,05 euro a mascherina, mentre l’azienda ospedaliera «Ospedali riuniti Marche Nord» di Pesaro ne ha comprate 2 milioni riuscendo a pagarle 37 centesimi l’una (umiliando le presunte capacità commerciali del nostro commissario) o addirittura il Gruppo San Donato che è riuscito a comprale prodotte in Italia a 0,91 centesimi l’una.

E chissà che magari Draghi riesca a sapere da Arcuri come sia successo che il bando del 27 luglio per l’acquisto di attrezzature e ventilatori ci abbia messo ben 5 mesi e mezzo ad arrivare alle aziende ospedaliere. E magari tanto che ci siamo si potrebbe avere anche qualche risposta sulla fornitura da 10 milioni di euro per l’acquisto di 157 milioni di siringhe di precisione «luer lock» su cui ha messo gli occhi anche la Corte dei Conti per capire se sia fondato il sospetto che avrebbero potuto essere comprate siringhe decisamente meno costose.

E poi c’è il ritardo di consegna dei famosi banchi a rotelle (perché, chissà, deve essere difficile prevedere che dei banchi servano entro la data d’inizio delle scuole) e poi ci sono i medici e gli infermieri per il vaccino (nelle famose primule) che sono stati reclutati male (con un bando andato deserto in prima battuta) e in ritardo. E chissà che senza più Conte finalmente ci si possa anche liberare di un commissario che sarebbe già stato licenziato mesi fa in una qualsiasi azienda che non fosse di Stato. Sempre a proposito di quella meritocrazia che viene sempre evocata quando riguarda gli altri.

L’articolo Gazebo e mascherine inutili: gli sprechi (milionari) di Arcuri, che ora dovrà risponderne davanti a Draghi proviene da Il Riformista.

Fonte

Messianismo, ancora

Il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi inizia oggi il suo giro di consultazioni. Le premesse non sono facili e questo è un punto politico, ci torneremo, ma ciò che conta che ad oggi Draghi l’abbiamo visto arrivare ai vari incontri istituzionali (i presidenti della Camera e del Senato e il presidente del Consiglio uscente), l’abbiamo ascoltato per qualche manciata di secondi in conferenza stampa mentre comunicava di accettare l’incarico con riserva e ne abbiamo potuto osservare l’eleganza del completo e la fulminante capacità di indossare correttamente la mascherina sopra al naso. Oggi inizierà a “fare politica”, oggi.

Eppure fin dalle prime ore di ieri mattina in Italia è scoppiato il messianismo e ancora una volta abbiamo assistito allo sport preferito di certa classe dirigente e di certo mondo dell’informazione: genuflettersi al prossimo leader, anche se ancora con riserva, e affidare a lui tutti i nostri vizi e le nostre fobie come se fosse uno psicoterapeuta e soprattutto comportarsi nel modo che abbiamo sempre criticato ai nostri avversari. Quelli che volevano il programma stampato con tutte le specifiche e i progetti declinati in centinaia di pagine ieri sono diventati barzotti per pochi secondi di discorso di circostanza: “ha sorriso!”, dicono, e in quel sorriso ci stanno infilando in queste ore tutto un ripieno di considerazioni politiche e finanche antropologiche, perfino il fatto che Draghi abbia sbagliato il lato dell’uscita dopo l’incontro con i giornalisti è diventato “un errore che lo rende più umano” come ha avuto il coraggio di scrivere qualcuno. Se fosse stato un avversario politico fino a due giorni fa ci avrebbero fatto un meme con una bella frase da sfottò. Poi ci sono quelli che per mesi ci hanno detto che “contano i fatti” e invece ora strepitano sul fatto che non dare la fiducia a Draghi sarebbe un sacrilegio: non si sa ancora un’idea che sia una di come Draghi abbia intenzione di portarci fuori dalla palude, sono gli stessi che ripetevano il ritornello del “contano le idee non le persone” e oggi si sono inzerbinati alle persone. Perché in fondo ciò che conta è l’atavica e feroce pulsione di gioire nella speranza della sparizione degli avversari, solo quella, solo per quello, un movimento di stomaco come il populismo che dicono di combattere.

In mancanza di temi veri la stampa ieri ha intervistato un centinaio di compagni di classe di Mario Draghi, un autorevole quotidiano che vorrebbe darci lezioni di giornalismo misurato ha scritto un lungo articolo su Mario “alunno brillante che non rinunciava alle battaglie con i cannoli e agli assalti ai prof con le pistole a riso”, Giancarlo Magalli è diventato un testimonial d’eccezione (come Salvini quando riporta le parole di Red Ronnie sul Recovery Fund), ovviamente ci si è buttati a pesce sulla moglie come curioso oggetto ornamentale da raccontare in tutti i suoi angoli d’osservazione. Agiografie dappertutto come se piovesse. Occhi puntati sui mercati come se fossero i giudici supremi della politica (perché è così che piace a molti di loro). Le agenzie di stampa battono convulse: “#Governo, look istituzionale per #Draghi”. Se lo aspettavano in braghette corte e anello al naso, probabilmente. Evviva, evviva. Dovremmo essere felici perché Draghi ha intenzione di relazionarsi con “rispetto” al Parlamento, evviva evviva. Anzi i più sfegatati invitano addirittura Draghi a “spazzare via tutti gli incompetenti in Parlamento”, qualcuno dice che dovrebbe “metterli a cuccia” e dire “faccio io”. Un delirio di incompetenza politica e di miseria istituzionale di un popolo perdutamente innamorato dell’uomo solo al comando, quello che da solo dovrebbe salvare l’Italia e che poi nel caso torna utilissimo da odiare in fretta e furia. Quelli che contestavano i “pieni poteri” che reclamava Salvini oggi vorrebbero un DPCM per affidare “pieni poteri” a Draghi: l’uomo forte al comando è un’idea che ha sempre germi che non portano a nulla di buono. 

Solo che oggi si comincia a fare sul serio e torna in campo il Parlamento, la politica, i partiti. Il primo capolavoro è avere resuscitato Salvini che era scomparso e ora è l’ago della bilancia. Non mi pare davvero una buona notizia. Anche questa volta la possibilità che si possa lavorare per ricostruire un centrosinistra seppur sgangherato sembra andare in frantumi, sarà per la prossima. C’è da trovare una maggioranza in Parlamento con quello che c’è e quel Parlamento è l’espressione democratica di quello che siamo noi. Ora siamo alla luna di miele ma quando ci sarà da parlare di soldi finirà questa tregua fatata e si ricomincerà di nuovo. È un moto circolare: ieri era l’ora dell’inno a Renzi che ci ha liberato da Conte, che ci aveva liberato da Salvini, che ci aveva liberato da Gentiloni, che ci aveva liberato di Renzi. Sempre con la soddisfazione bassa di avere eliminato qualcuno. E vorrebbero essere costruttori.

Ah, per i tifosi che leggono senza intendere: questo non è un articolo di critica preventiva verso Draghi di cui, vale la pena ripetere, al momento non conosciamo le proposte. Questo è un articolo per un pezzo di mondo che chiede “serietà” agli avversari e poi infantilmente tratta la politica come un reality show, anche senza Casalino.

Buon giovedì.

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L’impolitica

La sola idea che basti il nome di Mario Draghi perché l’Italia torni a volare è il sintomo più lampante della decadenza di una classe politica che si è fatta implodere e di una classe culturale eternamente appesa al prossimo salvatore

C’è un’aria frizzante questa mattina tra politici e commentatori, quasi tutti felici per avere demolito l’esistente e tutti subito attaccati alle braghe del commissario, tutti con quella felicità della classe che ha appena scoperto che oggi ci sarà il supplente e quindi sicuramente non interroga, non controlla i compiti fatti a casa e forse se va bene non si fa nemmeno lezione.

La giornata di ieri del resto è stata una convulsa regressione verso il gnegneismo che si possa ricordare. Tutti in fila a dare il peggio di sé dentro una trattativa politica che è stata uno spettacolo indecente: i Cinquestelle con Vito Crimi (il pro tempore più duraturo nella storia delle reggenze politiche) issato a difendere perfino l’indifendibile, il Partito Democratico come spesso accade trascinato dalla corrente, Renzi e la sua ciurma a fare finta di trattare come a una recita di fine anno mentre alzava la posta in gioco ogni minuto che passava e divertendosi come un matto. Uno spettacolo indecoroso mentre là fuori morivano le solite 500 persone a cui ci siamo abituati come se fossero brina mattutina.

E così quelli che per settimane ci hanno sfrantumato dicendo che la politica si fa con le idee e non si fa con i nomi ieri sera sono andati a dormire tutti esultanti perché sono riusciti a demolire gli avversari e si sentono rassicurati dall’arrivo del nuovo logo Mario Draghi, come se bastasse un’etichetta per nobilitare un Parlamento farcito di capetti viziati e capricciosi che si sono litigati la merenda fino all’ultimo minuto dell’intervallo e che ora esultano per un probabile governo verde loden. La sola idea che basti il profumo di Draghi perché l’Italia torni a volare è il sintomo più lampante della decadenza di una classe politica che si è fatta implodere, di una classe culturale eternamente appesa al prossimo salvatore e di un giornalismo rassicurato dall’essere fedele al prossimo padrone.

Alla fine in mezzo ai bambini è arrivato il Presidente Mattarella che ormai appare l’unico adulto là dentro e che prova tutti i giorni a metterci una pezza a questa immatura inconcludenza. Ma è lo stesso Mattarella che ieri nel suo discorso ha parlato di un governo «che non debba identificarsi con alcuna formula politica» e vedere esultare la politica per un governo impolitico rende perfettamente l’idea della crisi di rappresentanza democratica che sforna soluzioni costituzionalmente legittime ma che sono tutt’altro che una vittoria. Mario Draghi inevitabilmente perseguirà, com’è nell’anima di ogni governo, interessi e valori che probabilmente riusciranno a cementare una certa idea di centro (tendente a destra) che tanto piacciono a Renzi, a Berlusconi, a Calenda e a tutta quella compagnia di giro ma forse in mezzo a tutta questa esaltazione varrebbe la pena ricordare che le scorie del governo Monti portarono all’esplosione del populismo e di certa destra salviniana. Esulterei un po’ meno, ecco tutto.

Se invece il gioco è quello di convincerci che peggio di com’eravamo messi non potrebbe andare e quindi bisogna esultare perché “un governo Draghi non può fare peggio di questo governo” allora si rientra nel campo del fideismo da tifoserie e nell’infantile speranza che riesce ad accendersi solo quando vede le macerie. E si torna al punto di partenza: un impolitico gioco di specchietti per le allodole. Manca la politica, appunto.

Buon mercoledì.

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Partoriranno il topolino

Rimarrà (a noi) il dubbio che per risolvere la crisi sarebbe bastato (a loro) parlarsi, di persona, senza spararsi palle incatenate sui giornali e in televisione

Se le cose andranno come sembra che potrebbero andare qualcuno dovrà rispondere dell’avere provocato una crisi politica che è solo un rimpasto travestito da duello finale tanto per aggiungere pathos e meritarsi un po’ di visibilità. Anche perché di pathos, quello vero, quello ruvido che sanguina e che strozza la gola, qui intorno ce n’è già parecchio e non avevamo proprio bisogno di aggiungerci una montagna che partorisce un topolino e che sta tenendo tutto sospeso e tutto bloccato per svolgere una trattativa politica che una politica seria, quella che tende più alla politica che allo spettacolo, avrebbe risolto come le risolvono le maggioranze responsabili.

Anche perché se si annusano gli ultimi venti di questa aria che tira intorno al governo che non c’è sembra che si assisterà all’ennesima trasformazione di una metamorfosi da cui ne escono tutti peggiori. Si è partiti con un presidente del Consiglio che teneva insieme il M5S (quelli che avevano spergiurato di non allearsi mai con nessuno) e Salvini e tutti a braccetto ci dicevano che erano fieri di essere populisti e di essere sovranisti. Quel primo Conte addirittura rivendicava la presenza del sovranismo all’interno della Costituzione e si prendeva scroscianti applausi. Dall’altra parte il Partito democratico ripeteva come un mantra che non si sarebbe mai alleato con il M5S, mai e poi mai, mentre il M5S diceva del Partito democratico che erano un partito di gaglioffi, di pedofili, che rapivano i bambini e che erano il peggio del peggio che si fosse mai visto. Fino a quando il Pd e il M5S (quello che aveva spergiurato di non allearsi mai con nessuno) non si sono presi a braccetto e hanno rinnovato il primo Conte che è diventato il secondo Conte trascinando con loro anche Matteo Renzi che ce l’aveva a morte con chi esce dal Pd per farsi il proprio partito e si è fatto il suo partito e ce l’aveva a morte con i «partitini che provocano la crisi» e ha provocato la crisi. Ora siamo agli stessi attori in campo (più qualche transfugo che avrebbero chiamato «traditore» e che invece ora è diventato «responsabile e costruttore») che vorrebbero fare un governo, loro, per arginare il populismo e il sovranismo.

Ieri hanno discusso di un programma scritto che però hanno deciso di non scrivere. Renzi ha alzato la posta (ma va?) chiedendo più soldi sulle infrastrutture e visto che ci sono hanno anche chiesto il ministero. Poi hanno parlato del Mes, non riescono a mettersi d’accordo sul Mes ma fanno filtrare che sono stati fatti “passi avanti”. Poi hanno parlato di legge elettorale. Eh sì, la legge elettorale: ricordate che avevano rassicurato tutti dopo il taglio dei parlamentari dicendo che era urgente pensare una buona legge elettorale che garantisse l’equilibrio di rappresentanza? Si erano scordati. Ieri al tavolo delle trattative gli è tornata in mente. Poi, siccome dovrebbero essere l’argine di Salvini e dei populisti che vorrebbero governare con l’emotività spicciola, Matteo Renzi ha pensato bene di sparare un tweet che dice così: «A quelli che dicono: “Ma che bisogno c’era di fare la crisi adesso?” Rispondete mostrando una foto dei vostri bambini che giocano in un asilo. Noi oggi stiamo decidendo il loro futuro, i loro debiti». A proposito di bambini e di emotività spicciola. Il più lucido alla fine è parso Tabacci (eh sì, il M5S è stato con Salvini, con Zingaretti, con Renzi e ora anche con Tabacci) che ha fatto notare che forse il programma si dovrebbe discutere con un presidente del Consiglio che per ora non c’è. Pensa te.

Potrebbe finire insomma che si spartiscano le poltrone. Ve lo ricordate quello che all’inizio di tutta questa crisi diceva che non sarebbe finita così? Ecco, sta finendo più o meno così. E se la soluzione sarà questa rimarrà il dubbio che sarebbe bastato parlarsi, di persona, senza spararsi palle incatenate sui giornali e in televisione. Ma vuoi mettere come si sono divertiti? Loro.

Buon martedì.

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