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Eccoli i migliori /3

La sottosegretaria alla Cultura che non legge libri, quello all’Interno che rivendica i decreti Sicurezza e quello all’Istruzione che scambia Topolino per Dante. Ecco a voi la pattuglia delle nuove nomine leghiste

Ormai frugare tra l’elenco dei migliori nel governo dei migliori rischia di diventare una rubrica quotidiana ma ci tocca e lo facciamo. Ieri c’è stata una sorta di presentazione alla stampa dei sottosegretari leghisti, capeggiati da un Salvini euforico che nel frattempo continua indisturbato a fare opposizione al governo di cui fa parte, come se nulla fosse, portando avanti la sua prevedibilissima strategia che continuerà irresponsabilmente a usurare il governo per non farsi usurare troppo da Giorgia Meloni. Anche questo purtroppo è uno dei tanti nodi di un governo che tiene dentro quasi tutti e quindi lascia la libertà di non tenere dentro praticamente nessuno a livello di responsabilità.

C’era ovviamente Lucia Borgonzoni, di cui tanto si sta scrivendo e si sta parlando in queste ore, quella che è diventata sottosegretaria alla Cultura e che candidamente ammette di non leggere libri. Meglio: nel luglio 2018 ammise di averne letto uno in tre anni e probabilmente con questa media è risultata la più assidua lettrice di tutto il suo partito e per questo è stata messa lì. Del resto il mondo della cultura, già in sofferenza acuta per la pandemia, ormai è pronto a tutto: per loro la prima ondata non è mai finita.

C’era Stefania Pucciarelli, andata al ministero della Difesa, già presidente della commissione Diritti umani del Senato, già travolta dalle polemiche per un like lasciato a un commento pubblicato sulle sue pagine social e nel quale si inneggiava ai forni crematori per i migranti che richiedevano una casa popolare. Ieri ha detto di non avere fatto altri errori facendo intendere di sentirsi assolta. A posto così. Del resto per loro il razzismo è un problema solo se sbrodola in giro, mica se si porta con fierezza.

Viceministro delle Infrastrutture e trasporti è Alessandro Morelli, quello che si definisce “aperturista” perché vuole riaprire tutto ma non si capisce bene come vorrebbe fermare il contagio, ex direttore de La Padania e de Il Populista: si ritroverà a lavorare a fianco a fianco con Teresa Bellanova (un’altra grande esperta di infrastrutture, immagino) e ha già rilanciato l’idea del ponte sullo stretto di Messina. «Noi abbiamo utilizzato per tanto tempo lo slogan delle ruspe, oggi le ruspe servono per costruire», ha detto ieri. Che ridere, eh?

Nicola Molteni è sottosegretario al ministero dell’Interno. Ieri ha detto: «Rivendico i decreti Sicurezza con orgoglio e dignità perché sono stati strumenti di legalità e di civiltà». Vedrete che (brutte) sorprese in tema di solidarietà.

Sottosegretario all’Istruzione è Rossano Sasso. Sasso nel 2018 partecipò a un flash mob contro i migranti a Castellaneta Marina. Una ragazza era stata violentata e il nuovo sottosegretario aveva già trovato il colpevole, uno straniero definito un «bastardo irregolare sul nostro territorio». Peccato che sia stato assolto con formula piena. Per non farsi mancare niente pochi giorni fa era convinto di citare Dante scrivendo una frase di una versione della Divina Commedia a fumetti apparsa su Topolino. All’istruzione, per capirsi. «Può capitare, è stato uno scivolone, sono sincero non sapevo che si trattasse di Topolino – ha detto ieri – vorrà dire che dovrò approfondire i miei studi classici e se mi sentisse il mio professore del liceo mi tirerebbe le orecchie».

Sottosegretario all’Economia è Claudio Durigon, il padre di Quota 100 nonché il cantore della Flat tax, a proposito di equità fiscale, che quando serve diventa addirittura “progressiva”. «Sappiamo che questo è un governo tecnico e non politico», ha detto ieri. Chissà come se la rideva intanto sotto i baffi.

Buona fortuna e buon venerdì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il regalo a Salvini

Il Parlamento, si sa, è fatto di numeri. Con i 15 espulsi del M5S che non si sa se saranno espulsi, in Senato il centrodestra è diventato decisivo. Quel centrodestra che era fuori gioco nella maggioranza parlamentare precedente ora è fondamentale per la tenuta del governo Draghi: tutti gli altri non sarebbero maggioranza o comunque si tratterebbe di una maggioranza talmente pericolante da non poter nemmeno essere presa in considerazione.

Cosa significa questo? Che Draghi bene o male è appeso a Salvini e alle sue decisioni, soprattutto con Forza Italia che da tempo è a ruota del leader leghista per sopravvivere e con Berlusconi che sa benissimo che tra i suoi sono in molti, in casi di spaccatura, ad essere pronti ad accasarsi da Salvini o Meloni. C’è di più: un pezzo fondamentale del centrodestra in forte ascesa come Giorgia Meloni e il suo partito si può addirittura permettere il lusso di restare all’opposizione. E all’opposizione Fratelli d’Italia svuoterà ancora di più il bacino di consensi di Salvini e per questo è inimmaginabile che la Lega accetti di farsi svuotare.

Posto che Draghi, nonostante sia Draghi, dovrà occuparsi di mantenere in equilibrio la sua maggioranza in Parlamento questo significa che le concessioni alla Lega saranno molto più corpose di quello che pensiamo e tutti coloro che esultano per il disfacimento del gruppo parlamentare grillino forse non si rendono conto che questo si rivelerà un enorme regalo a destra.

E se qualcuno pensa che Salvini accetti silenziosamente di farsi logorare dai Giorgetti del suo partito, che Salvini accetti di farsi schiacciare da Giorgia Meloni o che Salvini possa fingere a lungo di essere europeista significa non avere capito nulla del personaggio e nulla della sua retorica populista.

Sempre a proposito del capolavoro politico che qualcuno continua a cianciare. E badate bene: qui Draghi c’entra poco o niente perché il presidente del Consiglio semplicemente deve nuotare tra i numeri che ha a disposizione. E non sarà una traversata facile.

Buon lunedì.

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Il divertente spettacolo della Lega, che per non stare fuori dai giochi si scopre europeista

La strada è stretta, strettissima per Matteo Salvini, che sull’ipotesi di un governo Draghi si ritrova con un partito spaccato (come ultimamente gli accade troppo spesso) ed è di fronte al difficile bivio di rispondere all’appello di Mattarella accontentando Giorgetti (e molti dei suoi grandi elettori del nord) oppure insistere sulla sua ala populista mettendosi all’opposizione.

Se sceglierà di essere della partita potrà vantarsi (anche lui) del suo “senso di responsabilità” ma certo scontenterà l’ala No Euro a cui ha guardato con molto interesse in questi mesi. Insomma Salvini si ritrova a scegliere e lui odia scegliere perché in fondo la politica per lui è solo un profluvio di social e di dichiarazioni che seguono lo stomaco del suo Paese e invece gli tocca fare politica.

Ieri, piuttosto imbarazzato di fronte ai palazzi romani, è riuscito addirittura a ritirare fuori la questione dei “porti aperti”: “Se Draghi vuole chiudere i porti noi siamo con lui” ha dichiarato ieri di fronte a un’esterrefatta platea di giornalisti che lo osservavano straniti come se si trovassero di fronte a un leader di partito scongelato da un lungo sonno.

Ma Salvini si sa, alle giravolte ci è abituato e la credibilità non è mai stata un suo problema, così dalla Lega cominciano a sentirsi cose impensabili solo fino a qualche ora fa come Giorgetti che definisce Draghi “un Ronaldo che non possiamo tenere in panchina” (con un metafora calcistica, ovviamente, per non correre il rischio di non essere compresi), con Bagnai (quello che diceva “l’euro è una strozzata” e tutti lo applaudivano) che ora si impegna in una patetica retromarcia definendo Draghi “un collega economista, come me” (e riuscendo addirittura non sentirsi ridicolo) e prova a trovare similitudini per essere pronto ad appoggiarlo.

Anche il prode rivoluzionario Borghi ora si è camomilizzato e lancia un sondaggio tra i suoi follower per preparare il terreno (“fare opposizione è troppo facile” dice dimenticandosi che la Lega faceva opposizione anche mentre era al governo). I nemici del’Europa si sono già cambiati in un batter d’occhio e sono pronti a reinventarsi europeisti per non rimanere fuori dai giochi.

E intanto Giorgia Meloni si gusta la scena, si chiama fuori e ha già cominciato la sua opposizione interna per scalzare Salvini nella leadership del centrodestra: “Salvini dice a Draghi di scegliere tra M5s e Lega. Quindi Pd e LeU vanno bene?”, ha già tuonato dall’Aventino. E sarà un logorio lento e continuo.

Leggi anche: 1. Renzi ha fatto saltare Conte “per i contenuti” ma ora prende Draghi a scatola chiusa / 2. Basta assurdi egoismi, rendiamo pubblici i brevetti per produrre i vaccini anti-Covid

L’articolo proviene da TPI.it qui

Kamala Harris

Trump ha perso. Insieme a Trump perde anche quel sovranismo populista condito di niente che ha attraversato il mondo, quel modo muscolare di fare politica pescando nel torbido per non affrontare i problemi, quella politica che ancora si innamora dell’uomo forte per potersi concedere di non occuparsi dei deboli che sono da sempre i nemici di certa destra. Diritti e dignità, forse, ce lo auguriamo tutti, trovano almeno uno spazio nel dibattito pubblico dopo essere stati oscurati come inutili lamentosi che avrebbero solo potuto rallentare la produttività del Paese.

Dagli Usa arriva anche la storia della prima vicepresidente donna, finalmente, una donna che non è moglie di qualche ex vicepresidente e che ha una storia da portare con fierezza. Kamala Harris è donna, nera, figlia di una biologa indiana e di un economista giamaicano, sposata con un bianco ebreo. Qualcuno dice che potrebbe “oscurare” Biden. Ma magari.

In lei molti elettori e elettrici democratici hanno intravisto il futuro di un Paese che sta diventando sempre più diversificato dal punto di vista razziale, sognando un’America inclusiva, integrata e progressista. Ex procuratore distrettuale di San Francisco, è stata la prima donna nera a essere procuratorice generale della California. Quando è stata eletta senatrice degli Stati Uniti nel 2016, è diventata la seconda donna nera nella storia della Camera. Una donna di legge che contraria alla pena di morte, favorevole ai diritti gay, sostenitrice della sanità pubblica, impegnata nel movimento Black Lives Matter.«Ogni volta che ho corso ero la prima a vincere. La prima persona di colore. La prima donna. La prima donna di colore. Ogni volta», diceva nel 2019.

Nel suo discorso inaugurale ha detto: «Penso alle donne, alle donne nere, asiatiche, bianche, ispaniche, nativo americane, che nel corso della storia di questo paese hanno aperto la strada per questo momento, si sono sacrificate per l’uguaglianza, la libertà e la giustizia per tutti noi; penso alle donne nere che troppo spesso non sono considerate, ma sono la spina dorsale della nostra democrazia. Penso a tutte le donne che hanno lavorato per garantire il diritto di voto e che ora nel 2020 con una nuova generazione hanno votato e continuano a lottare per farsi ascoltare. Stasera voglio riflettere sulle loro battaglie, la loro determinazione, la loro capacità di vedere cioè che sarà a prescindere da quello che è stato. E questa è una testimonianza della personalità di Joe, che ha avuto il coraggio di buttare giù uno dei muri che continuavano a resistere nel nostro paese scegliendo una donna come vicepresidente. Anche se sono la prima a ricoprire questa carica, non sarò l’ultima. Ogni bambina, ragazza che stasera ci guarda vede che questo è un paese pieno di possibilità. Il nostro paese vi manda un messaggio: sognate con grande ambizione, guidate con cognizione, guardatevi in un modo in cui gli altri potrebbero non vedervi. Noi saremo lì con voi».

È un buon vento, quello di Kamala Harris.

Buon lunedì.

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Due terzi degli americani non credono all’Olocausto: sondaggio shock negli Usa

Mentre nell’Italia dove un cantante in discesa rinchiuso nella casa del Grande Fratello Vip si sollazza a elogiare Mussolini in diretta televisiva, tra l’altro basandosi ovviamente su notizie false (Leali ha parlato ancora di pensioni, che molti revisionisti addebitano come merito a Mussolini ma il primo sistema pensionistico italiano è del 1895, ben 27 anni prima del fascismo, e tutti gli italiani presero la pensione dal 1919, tre anni prima della Marcia su Roma) The Guardian pubblica i dati di un sondaggio condotto sui cittadini statunitensi tra i 18 e i 39 anni ci dice che due terzi dei giovani adulti USA sono ignari dei 6 milioni di ebrei uccisi nell’Olocausto, affermando che quel periodo storico sarebbe un “mito”, che sia stato “esagerato nel ricordo” oppure di non conoscerne i contorni.

Quasi la metà degli intervistati (il 48 per cento) non conosceva il nome di un campo di concentramento o di un ghetto durante la seconda guerra mondiale. Il 23 per cento ha affermato di credere che l’Olocausto sia un mito. Uno su otto (il 12 per cento) ha affermato di non avere mai sentito parlare di Olocausto nella sua vita. Più della metà (il 56 per cento) ha affermato di aver incrociato simboli nazisti durante la frequentazioni social e ben il 49 per cento è incappata in articoli di negazione o distorsione dell’Olocausto online.

“I risultati sono sia scioccanti che tristi, e sottolineano perché dobbiamo agire ora mentre i sopravvissuti all’Olocausto sono ancora con noi per esprimere le loro storie”, ha detto Gideon Taylor, presidente della Conference on Jewish Material Claims Against Germany (Claims Conference) che ha commissionato il sondaggio.

Taylor ha aggiunto: “Dobbiamo capire perché non stiamo facendo meglio nell’educare una generazione più giovane sull’Olocausto e le lezioni del passato. Questo deve servire come un campanello d’allarme per tutti noi e come una road map su dove i funzionari governativi devono agire “. E questi numeri che arrivano dall’altra parte dell’oceano ci interessa perché siamo nella patri di Trump, il re di quella stessa propaganda populista (che funziona così bene anche qui da noi) che sulla distorsione (se non addirittura sulla negazione) della realtà costruisce tutto il suo consenso.

Ed è normale che un negazionismo partorisca poi altri negazionismi, così, a catena, a riprova di un metodo che funziona applicato su tutto. L’era della post-verità è già qui ed è un tempo che riesce a nascondere sotto il tappeto 6 milioni di cadaveri, il più grande crimine del ventesimo secolo. Buona fortuna. Agli USA e a noi.

Leggi anche: L’inquietante sfida di TikTok: imitare i deportati ebrei nei lager nazisti

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Referendum, Nespolo (Anpi) a TPI: “Tagliare i parlamentari per risparmiare? No, si riducano gli stipendi”

Carla Federica Nespolo, 77 anni, ex parlamentare del Pci e del Pds, è la prima donna a presiedere l’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia). Con lei discutiamo del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, in calendario il 20 e 21 settembre. L’Anpi si è schierata per il No.
Nespolo, come risponde al movimento anti-casta, secondo cui il No è la posizione dell’arroccamento?
Più che di “movimento anti-casta” io parlerei esplicitamente e francamente di pensiero populista. Al fondo del quale, inutile girarci attorno, c’è il rifiuto della democrazia come partecipazione e diritto del popolo a scegliersi i propri rappresentanti. Se per “uomini rinchiusi nei palazzi” i fautori del Sì intendono anche i 183 costituzionalisti italiani che si sono dichiarati per il No, dimostrano di non aver capito nulla di quello che, nel colpevole silenzio di tanti, oggi è in gioco.

Cosa c’è in gioco?
Si tratta, sostanzialmente, di un attacco alla democrazia rappresentativa. Non dimentichiamoci che uno dei primi atti del Governo, dopo il 25 Aprile 1945, fu quello di dare a tutti (uomini e donne) il diritto di voto. E dopo 75 anni si vorrebbe tornare indietro e privare persino alcune Regioni del diritto di essere pienamente rappresentate in Parlamento? Inaccettabile. Altro che “casta”: la “casta” è proprio dei “notabili” di partito che, non a caso, sembrano tutti uniti  – ma con molti problemi interni – a votare Sì.

I motivi principali per cui l’Anpi ha deciso di esprimersi per il No: quali sono i valori da difendere?
La difesa della democrazia per cui, 75 anni fa, un’intera generazione si è sacrificata, ha combattuto e vinto. E oggi troppi se ne dimenticano. Mi lasci citare un terribile verso di Giorgio Caproni: “I morti per la Libertà, chi l’avrebbe mai detto, i morti. Per la Libertà, Sono tutti sepolti”. Ecco. L’Anpi è in campo per questo. Perché la democrazia, che tanto sacrificio e tante lotte è costata, non venga oscurata e vilipesa da chi la considera un ostacolo alla propria ascesa politica.

Si insiste molto sul risparmio dei costi, come già avvenuto nell’ultimo referendum costituzionale. Non teme che questo argomento possa essere una spinta difficile da arginare?
Quella dei costi è una sciocchezza che non merita neppure una risposta. Vogliono davvero ridurre i costi del Parlamento? I parlamentari si riducano lo stipendio. Punto e basta. Ma non possiamo nasconderci che questo tema ne nasconde un altro. E cioè la poca stima che l’opinione pubblica ha verso un certo ceto politico. In questo senso condivido la frase del comandante De Falco: “Non voglio essere rappresentato meno, voglio essere rappresentato meglio”.

Il Pd sembra non volersi esprimere o esprimersi molto blandamente a proposito di questo referendum. Che consiglio darebbe al partito di governo?
Non è compito dell’Anpi dare un consiglio ad alcun partito. E tanto meno al Pd. Certo la contraddizione tra aver votato per tre volte contro e ora votare a favore è lampante. Insomma, non sempre sacrificare sull’altare della governabilità la propria coerenza è un buon calcolo. Comunque ho grande rispetto per il travaglio che sta attraversando il Pd. Ma non è un tema che ci vede protagonisti.

In questi giorni circola molto un’intervista in cui Nilde Iotti dichiara che il numero dei parlamentari italiani è eccessivo e dal fronte del Sì sono in molti a ripetere che la riduzione del numero dei parlamentari sia una battaglia storica della sinistra. Come risponde?
Alla citazione di Luigi Di Maio rispetto alla posizione di Nilde Iotti ha già risposto esaurientemente Livia Turco, presidente della Fondazione Iotti. Quello che la presidente Iotti proponeva era un intero nuovo impianto istituzionale, a cominciare da una nuova legge elettorale. Separare la rappresentanza dalla sua funzione è quanto di più volgarmente tattico si possa fare. Mai la presidente Iotti lo avrebbe affermato.

Come ha intenzione l’Anpi di occuparsi di questa campagna referendaria? Con quali mezzi? Come arrivare a più gente possibile, tra l’altro in un periodo difficile come questo in piena pandemia?
L’Anpi sta facendo il suo dovere. Le nostre sezioni territoriali stanno illustrando in ogni parte d’Italia le nostre ragioni e il 10 settembre alla Sala della Protomoteca in Campidoglio, a Roma, faremo il punto con importanti giuristi sulle ragioni del nostro No. Prevediamo anche un intervento di un rappresentante delle Sardine. Inoltre, siamo e saremo attivi anche sui social network. Invitiamo tutti ad andare a votare No. E mi lasci chiudere con una nota di ottimismo.
Prego.
Ce l’abbiamo fatta nel 2016. Ce la faremo anche nel 2020.

Leggi anche:  1. Taglio parlamentari, il costituzionalista Ceccanti a TPI: “Chi votò Sì alla riforma Renzi dovrebbe rifarlo oggi. Ma preferisce attaccare il M5s” / 2. La politologa Urbinati a TPI: “Taglio dei parlamentari? Così il M5S favorisce la casta” / 3. Taglio dei parlamentari: ecco cosa prevede la riforma e come funziona il referendum

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Il problema non sono i furbetti dei 600 euro, ma i leader che li hanno portati in Parlamento

Guardare il dito e la luna. È una storia che comincia come una barzelletta: ci sono tre leghisti, c’è un Cinque Stelle e uno di Italia Viva, la caccia ai nomi sarà lo sport della giornata e forse anche dei prossimi giorni. Che in mezzo ai richiedenti ci siano anche presidenti di regioni (che certo non hanno stipendi inferiori ai parlamentari) sembra essere sfuggito ai più. L’importante sono i parlamentari, gli obiettivi sono i parlamentari, tutti addosso ai parlamentari. Sia chiaro: che i cinque siano l’antitesi di quella disciplina e di quell’onore che sono richiesti dalla Costituzione a chi si ritrova a governare la cosa pubblica è fuori da ogni dubbio.

Chiedere 600 euro nella comodissima posizione dell’essere parlamentare è un gesto infimo, siamo d’accordo ma una riflessione ragionata e ampia dovrebbe spingerci a porci domande e allargare la discussione. Una norma, ad esempio, che prevede un contributo a pioggia, senza limiti di reddito, a tutti è politicamente sbagliata e praticamente inutile ai fini dell’uguaglianza sociale: i parlamentari hanno sfruttato una falla nella legge (e fanno schifo anche per questo) che ha permesso a molti benestanti di usufruire di un bonus di cui non avevano bisogno. Diciamolo: dare 600 euro a tutti è stata una pessima idea, forse dettata dall’emergenza, ma una pessima idea. Il buon legislatore scrive le leggi (e i decreti) perché siano funzionali ai più bisognosi e perché sbarrino la strada ai furbi. In questo caso non è successo, diciamolo chiaramente.

Poi dell’epoca Covid sarebbe da raccontare anche quella parte di imprenditori che hanno usufruito della cassa integrazione senza avere nessuna riduzione di fatturato, sarebbe da parlare dei cassintegrati che hanno continuato a lavorare normalmente per qualche imprenditori che si ritene particolarmente furbo, sarebbe da parlare di chi in nome dell’emergenza si è addirittura arricchito usufruendo comunque degli aiuti di Stato. Facendo due conti siamo di fronte a un dissanguamento di denaro pubblico enormemente più grave di quel gruzzolo di 600 euro. Sarebbe bello che l’INPS ci parlasse anche di questo, no?

E infine un punto strettamente politico: quanto comodo fa all’antipolitica (quell’antipolitica che ci ha trascinati in questo gretto populismo) che dei parlamentari vengano sventolati come prova della fallacia di una legge che invece ha favorito una platea ben più vasta? Quanto gioca tutto questo per il prossimo referendum (populista) che ancora una volta punta sulla quantità e non sulla qualità? E soprattutto: ma chi ha scelto quei parlamentari, quelli che dovrebbero formare la classe dirigente di questo Paese, non ha nulla da dirci? Perché quei nomi li sappiamo già: Matteo Salvini, Gianroberto Casaleggio e Matteo Renzi. Loro non hanno nulla da dirci?

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