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prefazione

Liliana Segre è una farfalla appoggiata sul filo spinato

(Ho avuto l’onore di scrivere la prefazione di un libro di Liliana Segre, “Scegliete sempre la vita – La mia storia raccontata ai ragazzi”, Edizioni Casagrande, e oggi ho pensato che forse fosse il caso di appoggiarne l’inizio qui, perché Liliana Segre è una persona che dobbiamo coltivare con cura, perché ieri ha festeggiato il suo compleanno sotto scorta e perché la memoria è un muscolo che va allenato con cura)

Liliana Segre è una farfalla appoggiata sul filo spinato e per questo è preziosa, è un fiore da preservare con cura e dovrebbe essere un gioiello non solo per i contenuti ma anche per i modi, per la visione d’insieme e per l’insegnamento di “cura del nostro tempo” che da anni impartisce in mezzo ai ragazzi. È anche un personaggio pubblico profondamente normale che ci costringe a riflettere sul ruolo dei testimoni in un tempo in cui tutto si fa spettacolo, tutto diventa tifo organizzato e tutto viene smisuratamente impugnato come clava per diventare arma bianca contro l’avversario politico di turno. Leggendo queste sue parole ai ragazzi, parole talmente lucide e misurate da sembrare un testo scritto recitato a memoria e non il contrario, ci si accorge di un’ecologia lessicale oltre che intellettuale a cui siamo completamente disabituati e che è il modus da cui ripartire per fronteggiare lo sbiadimento di un periodo storico che non ha a che vedere solo con il passato ma è l’antidoto a un presente che si ripresenta con altre facce, con un’alta capacità di simulazione e con punte ammorbidite degli stessi becchi che hanno portato una bambina, che era Liliana ma erano milioni di persone allo stesso modo, ad essere colpevole di essere nata.

Ciò che colpisce, innanzitutto, di Liliana Segre è la delicatezza che non si è fatta inquinare da ciò che ha vissuto: è la sua lezione più grande, quella che sarebbe da smontare per osservarne i meccanismi e i bulloni e capire come sia possibile rimanere ferocemente umani in questo tempo in cui riflettere sulla sentimentalità della vita (ovvero di come la vita sia spesso una questione di pressioni che la Storia sembra volere mettere nel cassetto delle cose passate e concluse) viene considerato un segno di debolezza. Liliana Segre è la prova vivente che ci sono purezze di sguardo e saldezza di valori (che ultimamente vengono chiamati in senso dispregiativo “buonismo”) che riescono ancora a essere le fondamenta su cui costruire uno sguardo diverso del presente e del futuro. Lei bambina, lei separata dal padre, la sua speranza di fuga che si infrange contro i calcoli sbagliati di chi sperava di salvarsi sono la metafora di un mondo in cui il “diritto a salvarsi” sembra ormai essere solo una concessione da dare a determinate categorie umane come se non esistesse un’unica razza umana.

Buon venerdì.

*-*

Per approfondire:

Liliana Segre, il futuro della memoria, Left dell’11 settembre 2020

La forza di Liliana Segre, Left del 15 novembre 2019

Liliana for President, Left del 7 giugno 2019

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La mia prefazione per “Grande Raccordo Criminale”

romadi Giulio Cavalli – 6 febbraio 2014
C’è qualcosa di peggio dell’ignoranza sulle mafie: l’indifferenza. L’abbiamo letto e sentito mille volte nei libri, nelle campagne elettorali, nei convegni e, se siamo fortunati, nelle cerchie di amici anche tra i discorsi da aperitivo. Eppure l’indifferenza che sta sopra Roma e il Lazio in generale è un’indifferenza come la trovi solo qui: ostile, arrabbiata, confusa, infastidita. Proprio mentre al Nord gli arresti e la società civile aprono finalmente una lucida discussione sulle mafie senza fermarsi alle negazioni e agli allarmi, mentre nel Sud sono centinaia i focolai di rivoluzione e bellezza, Roma cova silenziosamente le proprie braci mafiose come se fosse stata saltata a piè pari dalla scossa della consapevolezza nazionale.
Ecco perché questo libro di Floriana Bulfon e di Pietro Orsatti abbiamo il dovere (noi, cittadini di questo centro d’Italia) di farlo diventare essenziale: non c’è bisogno di previsioni o di sospetti poiché le mafie della Capitale sono già tutte nelle cronache quotidiane, tra gli articoli che nessuno vuole prendersi la briga di mettere in fila o tra le storie che troppo in fretta abbiamo deciso che sono terminate.

Grande Raccordo Criminale collaziona finalmente le famiglie facendo i nomi e i cognomi, andando a riprendere i protagonisti della banda della Magliana che si sono riciclati in anelli di raccordo con la criminalità organizzata, reinserisce i Casamonica in un contesto più ampio e smette (finalmente) di considerare Ostia un’enclave criminale apolide così come le confische del centro città romano come piccoli “avvertimenti” da sbattere in prima pagina per un paio di giorni. Serve tirare le fila, serve mettersi con dovizia, intelligenza e amore (perché c’è tutto l’amore che si potrebbe trovare in un romanzo sulla difesa della propria terra, in questo libro) a studiare, scriverne e farne parlare. Quando le mafie si attorcigliano tra politica, estremismi e pezzi di istituzioni diventano qualcosa difficile da raccontare e descrivere, cominciano a contare su un’impunità culturale oltre che troppo spesso giudiziaria: così le sparatorie in giro per la città, la condanna di Carmine Fasciani posto al 41bis oppure la colonizzazione dei bagni al lido di Ostia (senza dimenticare l’emblematico caso Fondi) non riescono a scuotere le coscienze soprattutto grazie ad una mancata coesione sociale sul tema (quella politica facciamo che per ora non ce l’aspettiamo nemmeno). Roma e il Lazio hanno bisogno di un’evoluzione consapevole e veloce, devono tirare le fila di un’antimafia sociale, politica e culturale che decida per davvero di mettersi in gioco per strutturare un presidio antimafioso di studio e di racconto che spalanchi gli occhi su una città sommersa tra le slot machine, i compro oro pubblicizzati finanche all’interno degli ospedali, le discariche come percolato della legalità, i bingo e il gioco d’azzardo che tengono lati interi di strade al limite del raccordo, di ipermercati che non hanno giustificazione di mercato e un’edilizia selvaggia com’è selvaggia l’edilizia al soldo del riciclaggio; poi c’è la droga (e finalmente se ne parla) che per chissà quali strani percorsi dell’informazione sembra diventa roba calabrese e lombarda dimenticando quanto la capitale sia snodo fondamentale per i commerci: droga finalmente riportata anche qui, dove l’attività giudiziaria la racconta sempre in transito; poi le minacce: negozi bruciati, uomini gambizzati, usurai fuori dai bar come nei sottofondi di qualche città sudamericana e invece si è appena di qualche chilometro in periferia. Questo libro è un primo fondamentale avviso: le mafie ci sono, stanno bene, godono di ottima salute e continuano a saccheggiare Roma per riciclare soldi, fare soldi e costruire alleanza. Se le mafie in un territorio stanno bene quindi significa che lo Stato (in tutte le sue forme da quelle politiche a quelle civilissime e sociali) non le combatte abbastanza o addirittura ha trovato l’accordo.
Per questo la speranza di questo libro è che si accenda qualcosa dopo, appena sfogliata l’ultima pagina, per riappropriarsi della propria terra e tirarla fuori finalmente da questo alone di incompetente nebbia che è scesa (o salita) fino a qui.

Tratto da: granderaccordocriminale.wordpress.com

* La prefazione di Giulio Cavalli al libro “Grande Raccordo Criminale” di Floriana Bulfon e Pietro Orsatti per Imprimatur editore (marchio Aliberti Editore) in uscita nella seconda metà di febbraio