Vai al contenuto

prefettura

A Catania chi difende gli Ercolano?

Una bella domanda (e ben posta) di Claudio Fava:

Chi protegge la famiglia Ercolano?” Se lo chiede l’onorevole Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia, in un’interrogazione rivolta al ministro dell’Interno Angelino Alfano, dopo aver appreso che la prefettura di Catania ha iscritto nella propria white list l’impresa Sud Trasporti di Angelo Ercolano, cugino dell’ergastolano Aldo Ercolano e nipote del defunto Pippo Ercolano che è stato il capo di una delle famiglie più irriducibili di Cosa Nostra in Sicilia.

La Sud Trasporti, ricorda Fava nella sua interrogazione, era stata colpita pochi mesi fa da un provvedimento della Procura di Catania per un giro di false fatturazioni da cinque milioni di euro e aveva subito in quell’occasione un sequestro preventivo per diversi milioni di euro.

“Come è possibile – si chiede Fava – che un’azienda legata, sia pure attraverso un nipote incensurato, a una delle più famigerate famiglie di mafia, un’azienda che ha appena subito un sequestro preventivo e che è accusata di pesantissime frodi fiscali possa essere impunemente iscritta nella white list della prefettura, con titolo per partecipare a ogni pubblica gara d’appalto?”.

“L’episodio – continua Fava – ricorda, nella sua gravità, la recente decisione, per fortuna revocata, di togliere dal regime del 41 bis il cugino di Angelo, il capomafia Aldo Ercolano, nonostante la Dia continui a ritenerlo il reggente della cosca mafiosa dei Santapaola”.

“La sensazione – afferma il vicepresidente dell’Antimafia nel suo atto ispettivo – è che una parte delle istituzioni imprenditoriali e politiche di Catania continui a manifestare una intollerabile e incomprensibile subalternità nei confronti della famiglia Ercolano che ha segnato nel sangue, è bene non dimenticarlo, la storia di Cosa Nostra in quella città”.

Mafia messinese dentro EXPO

expo-internaDopo gli allarmi, le conferme. L’Expo si ritrova in casa un’azienda sospettata di avere rapporti poco chiari con uomini legati a Cosa nostra. Risultato: la Prefettura di Milano ha emesso un’interdittiva per la Ventura spa di Furnari, paese non lontano da Barcellona Pozzo di Gotto. Mafia messinese, dunque, da sempre alimentata da un brutto impasto tra criminalità, massoneria e grigi settori della buona borghesia locale. La ditta ha un’importante sede milanese nel comune di Pieve Emanuele.

Attualmente la società siciliana fa parte di un’associazione temporanea d’impresa che si è aggiudicata l’appalto fino ad ora più goloso di Expo, vale a dire la costruzione della cosiddetta piastra sulla quale sorgeranno gli edifici dell’esposizione. Il tesoretto ammonta a 165 milioni e 130mila euro, portato a casa con un ribasso del 43%. Una percentuale pazzesca che ha fatto drizzare le antenne della procura di Milano. A tirare il gruppo è la veneta Mantovani, come venete sono la Silev e la Coveco, dopodiché c’è la romana Socostramo e quindi la Ventura, società quest’ultima iscritta alla Compagnia delle opere, il braccio finanziario del movimento cattolico Comunione liberazione.

All’azienda, seguendo una prassi ormai consolidata, verrà sospeso il certificato antimafia e dunque anche la possibilità di operare per Expo. Sospensione, si badi, che sulla carta può essere temporanea, visto che l’interdittiva può essere impugnata davanti al Tar. Così come fece la milanese Edil Bianchi, colosso del cemento al quale nel 2008 il Prefetto tolse la possibilità di operare dopo che le indagini certificarno l’affidamento di diversi subappalti a ditte calabresi in odore di ‘ndrangheta. Una decisione che fu però ribaltata dal Tribunale amministrativo che rimise in moto i camion della società. Questo per dire che, naturalmente, la scelta del Prefetto non qualifica la Ventura spa come ditta mafiosa, ma solo indica un sospetto ed evidenzia un rischio d’infiltrazione.

Un rischio che va cercato nelle carte dell’indagine Gotha tre, la maxi-operazione del Ros che nel luglio scorso ha portato in carcere dodici persone, tra cui l’avvocato Rosario Cattafi, oggi pentito e ritenuto uno degli uomini chiave per svelare finalmente i segreti della trattativa Stato-mafia. La Dia e il prefetto di Milano, però, non si sono spinti così in alto. Molto più banalmente, analizzando tutte le carte di quell’indagine, hanno incrociato più volte il nome della ditta Ventura. Ditta che, va detto, non sarà mai coinvolta penalmente in quell’operazione. A inguaiare gli imprenditori saranno,però, le dichiarazioni di alcuni testimoni verbalizzate dagli investigatori. Saranno loro, infatti, a coinvolgere la Ventura nel giro delle imprese collegate ai boss e alla grande spartizione degli appalti pubblici in tutto il Messinese.

Protagonista e puparo del gioco è Salvatore Sam Di Salvo, origini canadesi, ma curriculum (mafioso) tutto messinese. E’ lui, secondo la ricostruzione dei carabinieri, ad avere i rapporti con i Ventura. E così si scopre che nel 2003, durante una perquisizione in casa di Di Salvo i magistrati trovano una serie di certificati Soa, alcuni intestati alla ditta Ventura. Ma agli atti viene messo anche altro: e cioè la partecipazione della ventura a un consorzio temporaneo di imprese composto da ditte tutte (o quasi) riconducibili ai Ventura.

Racconta, invece, l’imprenditore Maurizio Marchetta: “Salvatore Di Salvo mi ha invitato, tra il fine 2002 ed i primi mesi del 2003 (…) a partecipare ad una riunione presso gli uffici dell’impresa Ventura Giuseppe. A questa riunione (…) Aquilla e Di Salvo (…) dicevano di voler organizzare in maniera più attenta, cioè più precisa, le turbative delle aste. Loro volevano coinvolgere Ventura e Scirocco per le sue conoscenze di altri imprenditori siciliani e del Nord. Infatti a loro interessava raccogliere un numero maggiore di offerte per condurre la turbativa con minimi margini di errore ed aggiudicarsi con maggiore certezza gli appalti di loro interesse (…) Sia io che Pippo Ventura abbiamo espresso le nostre perplessità in ordine alla riuscita di questa organizzazione delle turbative”.

Nel dicembre 2012, un’inchiesta dell’Espresso aveva già messo in luce i rapporti opachi della Ventura con i professionisti dei clan. All’epoca, il numero del settimanale uscì il 6 dicembre, i vertici di Ventura risposero con un secco comunicato stampa dove si precisava “che non risulta coinvolgimento alcuno e ad alcun titolo di suoi soci o amministratori nelle indagini condotte dalle Procure della Repubblica evidenziate; come d’altro canto certificato da tutti gli organismi deputati allo scrutinio dei rigidi requisiti richiesti per l’aggiudicazione di gare d’appalto di tale rilevanza”. Una rigidità nel controllo, rivendicata nei giorni successivi, dalla stessa società che gestisce Expo 2015. Anche in quel caso si fece appello agli alti livelli di controllo. Conclusione: pochi giorni fa la decisione del Prefetto di escludere la Ventura per sospetti legami con i clan.

(di Davide Milosa da Il Fatto Quotidiano)

Perché questo silenzio su EXPO?

La domanda non è retorica. Ne abbiamo scritto qui e qui. SOS FORNACE rilancia e (al di là di qualche condizionale in più che avrei usato) i collegamenti e i fatti ci sono tutti e dovrebbero aprire il dibattito. Visti anche tutti i comitati, sotto comitati e gli esperti che dovrebbero essere sul pezzo.

A guardare gli intrecci tra le società che hanno partecipato alla gara d’appalto, le società subappaltatrici e alcuni politici lombardi già
indagati per aver preso mazzette da queste società sembrerebbe di si.
Nell’elenco delle società subappaltatrici figura la ‘Testa Battista &  c.‘ di Ghisalba (BG), da anni in affari con il gruppo Locatelli e coinvolta nell’inchiesta per una tangente di 50.000 euro versata all’allora vicepresidente di Regione Lombardia Nicoli Cristiani, per “ammorbidire” i controlli sulla realizzazione di una discarica di amianto a Cappella Cantone (Cremona).

Proprio a partire da quella stessa inchiesta , pochi giorni fa la procura di Milano ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di turbativa d’asta sul primo appalto di Expo, quello per la “rimozione delle interferenze”.
La Locatelli SPA nella gara d’appalto al massimo ribasso aggiudicatasi  da CMC era arrivata terza, ma per qualche strana alchimia ai loro soci d’affari “Testa Battista & c.” è stato affidato un subappalto per lavorare all’interno del cantiere.

Ma la “Testa Battista & c.” non è l’unica fra le società subappaltatrici ad aver dato mazzette a consiglieri regionali.

Come abbiamo già denunciato tra le società subappaltatrici c’è anche il Consorzio Stabile Litta il cui vicepresidente Nicola Di Rosario è indagato per una tangente di 30.000 euro data all’ex consigliere regionale Angelo Giammario per l’affidamento di appalti per la manutenzione e sistemazione del verde pubblico in Brianza.

Perché la CMC subappalta i lavori di Expo 2015 a società che hanno dato mazzette a consiglieri regionali? Casualità?

Alla fine di Ottobre del 2011 Formigoni durante la visita di Loscertales a Milano, inaugurava in pompa magna i lavori in un cantiere
ancora fittizio, pochi giorni dopo Locatelli, escluso dal primo appalto, chiedeva allo stesso Formigoni tramite Nicoli Cristiani un incontro con Paolo Alli, sottosegretario di Regione Lombardia con delega a Expo 2015.

Seppur a detta di Formigoni quell’incontro non è mai avvenuto oggi è comunque chiaro che uno dei compari di mazzette di Locatelli lavora nel cantiere di Expo 2015.

A peggiorare ulteriormente il quadro Venerdì 1 Giugno 2012 si è avuta la notizia che una seconda inchiesta riguarda un’altra delle società subappaltatrici, la Elios SRL, società piacentina implicata in un’inchiesta nel novarese per traffico illecito di rifiuti con tentativo di infiltrazione mafiosa. La prefettura di Milano sta valutando di revocarle la certificazione antimafia.

Il 23 Maggio la Direzione Investigativa Antimafia di Milano ha effettuato un sopralluogo nel cantiere di Expo, mentre nei giorni scorsi l’ASL di Rho ha bloccato 3 camion che stavano portando nel cantiere dei carichi di terra di riporto già inquinati come avvenuto di recente lungo il tragitto di Bre.Be.Mi. nonché lungo il tracciato della TAV Milano-Torino.
Una pratica tipicamente mafiosa.

Qualcuno che dice una parolina? Vale anche una smentita. Documentata, ovviamente.

Negato il permesso di entrare al CIE. Di nuovo.

Comunicato Stampa.

“Un altro ingresso negato al Cie di via Corelli. Dopo che lo scorso marzo la Prefettura aveva impedito l’accesso di una giornalista di Redattore Sociale, oggi la storia si ripete a fronte della nostra richiesta congiunta di visitare il Centro nella giornata del 25 aprile, nell’ambito della campagna “LasciateCI Entrare”, promossa per la settimana in corso dall’Arci.

E il paradosso è che le motivazioni addotte non coincidono.

A Cavalli è stata comunicata l’impossibilità di accedere alla struttura trattandosi di un giorno festivo. Che fa anche un po’ sorridere, se si pensa a centri commerciali e negozi aperti, mentre un amministratore locale viene ostacolato nel suo legittimo ruolo di vigilanza e controllo sulla situazione all’interno del Cie.

All’Arci hanno detto invece che la loro richiesta è stata inoltrata al Ministero dell’Interno per le verifiche del caso e che quindi la data di ingresso è differita.

Fatto sta che mercoledì, non si potrà entrare in via Corelli. E il punto, al di là del dettaglio che da una parte o dall’altra non la si conta giusta, è proprio questo: la difficoltà enorme – e inaccettabile – di avere libero accesso a una struttura nella quale persone che non hanno commesso alcun reato vengono trattenute in condizioni, per quanto si è potuto in passato più volte verificare, lesive della dignità umana.

Il Cie si conferma un luogo per nulla trasparente, sottratto alle visite esterne addirittura più di un carcere. Ma noi non intendiamo arrenderci e invieremo subito un’ulteriore istanza di ingresso. Intanto, al corteo del 25 aprile sfilerà lo striscione Aprire gli occhi, aprire Corelli!”.

Milano, 23 aprile 2012

Nel CIE di Milano il pericolo pubblico è il giornalista

Nel Cie di via Corelli a Milano la situazione è talmente tesa e drammatica che nessuno può visitarlo. È la Prefettura ad ammetterlo, tanto da metterlo nero su bianco nella risposta inviata a Ilaria Sesana, giornalista freelance, che per Terre di mezzo – street magazine ha chiesto più volte di entrare nella struttura. “A seguito di disordini avvenuti di recente, presenta alcune parti inagibili, che hanno reso necessario l’avvio di lavori di ristrutturazione”, premette la Prefettura, che poi nega alla giornalista l’accesso al Cie per ragioni di sicurezza: “Il Ministero dell’Interno, interessato al riguardo da questa Prefettura, ha perciò espresso parere che, per prevenire il ripetersi di nuovi episodi, per il momento non possa essere consentito l’ingresso nella struttura ad estranei”. Questo vizio per cui l’informazione possa creare disordini (là dove il caos sta nei diritti) ha il retrogusto di altri tempi. E la cappa del “governo tecnico” sembra potersi permettere di svicolare da questi temi in nome di altre priorità in nome di uno sviluppo che deve correre veloce non potendosi permettere di includere tutti. Oggi chiederemo di visitare (come già abbiamo fatto) il CIE di Milano per capire se nella civilissima città di questo civilissimo stato esistono isole di sospensione di diritto e di umanità, se davvero vogliamo accettare recinti fatti per custodire persone come percolato umano a causa di una legge che andrebbe cancellata dall’ONU, se  ci siamo dimenticati che sarebbe il caso di restare umani. Anche qui.

D’armi, di Prefetti e di Pavia

Non mi piace la polemica che si è innescata contro Peg Strano Materia dopo il suo trasferimento da Prefetto di Lodi a Prefetto di Pavia. Non mi piace nemmeno che l’accusa che le si muove sia quella di “avere tolto la scorta a Giulio Cavalli” come se fosse un assoluto che disegni tutto il resto. La questione delle tutele non ha da muoversi sui giornali o nelle chiaccheratelle da osterie, è un delicato meccanismo di diverse istituzioni che dovrebbero (ognuna) fare il proprio dovere. Mentirei se dicessi che con il Prefetto tutto sia sempre andato liscio e tutto sia sempre stato chiaro ma mi sembra (e lo dico con tutta la sincerità del momento) troppo facile e troppo comodo per tutti gli altri vendere lei come unica responsabile. Anche perché salveremmo troppa gente che non merita proprio per niente di essere salvata. E soprattutto (ad onor del vero) l’ex Prefetto di Lodi è sempre stata l’unica che mi ha parlato in faccia e con cui ho avuto confronti trasparenti. Pezzano è stato rimosso, la mia tutela è stata assicurata all’unanimità dalla Regione Lombardia (con alzata di mano di alcuni che veramente sono da discutere e non tralasciare) e convenientemente Strano Materia ha una nuova collocazione. Sarebbe meglio augurarle un buon lavoro (sempre osservata e pungolata come si deve a tutte le istituzioni) e non tralasciare altri insediati tranquilli nel lodigiano che hanno più di qualcosa da spiegare. E che non mancheranno di ritrovarsi a doverlo fare.