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primo maggio

Draghi, Lega, ddl Zan: il male non è fare politica al Primo Maggio ma i partiti che controllano la Rai

Le domande giuste e le domande sbagliate, a prima vista, sembrano sempre più o meno la stessa cosa. La differenza è che le domande sbagliate di solito vengono poste per non ottenere risposte, ma per aumentare la polvere e la schiuma e inevitabilmente per ottenere più coinvolgimento. Più dibattito confuso, più viralità, più clic, più introiti pubblicitari e più popolarità.

Le domande sbagliate sono quelle che oggi si attorciglieranno su Fedez, come in una guerra tra galli in cui si chiede di parteggiare per il cantante o per Salvini, con Fedez o con la Rai, e infatti già scivolano le battute sulla Lamborghini, sui soldi, perfino sulla pubblicità visibile del marchio del suo cappellino.


Le domande giuste, invece, sarebbero da porre alla politica tutta, a destra e a sinistra, su un sistema che ottunde, ammortizza, diluisce tutto quello che deve passare in televisione, sulla televisione pubblica italiana, non tanto per censura ma più per una sorta di autocensura che tiene in piedi il carrozzone dell’informazione italiana in cui il primo obiettivo è quello di non incrinare relazioni che valgono molto più delle competenze per la propria carriera in Rai.

Qualcuno fa notare che non c’è stata censura poiché Fedez ha potuto comunque parlare [qui il testo integrale del suo discorso] ma si dimentica di osservare la cappa che sta sulla testa di quelli che, senza i mezzi e senza la potenza di fuoco, invece, non arrivano nemmeno allo scontro e si allineano.

Uscendo dalla diatriba tra Fedez e gli altri, allora, rimangono due punti fondamentali. Primo: che la televisione pubblica e la politica si siano adagiati su questa abitudine vigliacca di credere che i diritti vadano celebrati senza essere esercitati è la fotografia perfetta di un Paese senza coraggio.


Il Primo Maggio è la festa dei diritti ed è doveroso, ognuno secondo le proprie idee, esercitare e reclamare diritti. Altrimenti chiamatelo concerto e non ammantatelo di altri significati.

Secondo: che la politica ogni volta, ciclicamente, faccia finti di stupirsi di quel mostro che è la Rai, che la politica stessa ha creato, è un’ipocrisia intollerabile. Quello che accade a Fedez accade ai conduttori, ai giornalisti, ai collaboratori (ancora di più).

Un’azienda che ha dirigenti il cui merito è sempre quello di essere “diligenti” più che capaci è ovvio che vada a finire così e la responsabilità è tutta politica, è tutta della politica. Questa scena dei piromani che si disperano per l’incendio ce la potreste anche risparmiare, almeno per il gusto della verità e della dignità.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Il colloquio di lavoro

(Ripensavo a un testo per questo primo maggio e per questo lavoro piuttosto deteriorato e mi è venuto in mente un capitolo del mio romanzo Santamamma. Ora, non è mai bello autocitare un romanzo, suona sempre come mossa promozionale, eppure è una scena che contiene molte delle cose che ho vissuto io che sono di quella generazione a cavallo tra il “lavoro” come lo intendevano i nostri genitori e poi il “lavoro” come sarebbe diventato. Eccolo qui)

«Carlo Gatti»

«Sì, buongiorno. Eccomi.»

«Titolo di studio?»

«Maturità classica.»

«E basta?»

«Già, sì.»

«Strano, una maturità classica senza università…»

«Ho preferito cominciare a lavorare.»

«Sì. Ma non ha cominciato a lavorare visto che è qui per il colloquio.»

«Ho fatto il benzinaio.»

«Con la maturità classica. Un po’ pochino, eh. Chissà come saranno stati fieri i suoi genitori.»

«Lavoro estivo. Una cosetta così.»

«Ma qui c’è scritto settembre aprile.»

«Intendevo estivo nell’interpretazione. Anche se d’inverno.»

«Ah, nell’interpretazione, pensa te. Speriamo che non interpreti anche di fare finta di lavorare, ahinoi.»

L’ufficio aveva piante finte in tutti gli angoli. Smorte comunque. Almeno una spolverata, pensavo, almeno quella ci vorrebbe. Lui rigirava una penna. Lo insegnano a tutti gli ingiacchettati: tenere qualcosa tra le mani evita la fatica di pensare dove metterle. Trucchetto curioso per chi dovrebbe ribaltare l’economia del mondo, ma tant’è. I colloqui di lavoro hanno tutti un filo comune: la recitazione da parte dell’esaminato di un bisogno ma non troppo, di un entusiasmo ma non troppo, di competenze ma non troppo, di umiltà ma non troppo, di troppa buona educazione e una combinazione d’abiti che non vedi l’ora di dismettere. L’esaminatore, invece, sfoggia l’abilità di esaminare ma non troppo, annusa che tu sia brillante ma che non possa fare ombra, gioca al caporale e tu la truppa e poi diventa servo se entra il capo. Al decimo colloquio di lavoro potresti farne la regia in un teatro da mille posti, disegnarne la radiografia. Che messinscena.

«Suona. Anche.»

«Suonavo. Ho studiato pianoforte fin da piccolo. E violoncello.»

«La mia figlia più piccola va a danza. Le maestre dicono che sia portata. Vedremo un po’. Quindi ha suonato alla Scala?»

«Alla Scala c’è una stagione sinfonica. Non concerti solisti.»

«Ho capito, ho capito. Suonava così. Per passione…»

«Ho studiato. Frequentavo anche il conservatorio.»

«Ah, è diplomato! Allora un giorno la invito a vedere mia figlia ballare così mi dice.»

«Non mi sono diplomato. Mi sono fermato al nono anno.»

«Gatti, Gatti… non è riuscito a finirne una…»

«Ho avuto un lutto in famiglia.»

«Oh, mi spiace.»

Almeno un limite di potabilità, me lo ero imposto. Almeno non farsi sbavare addosso. E il lutto è un jolly: funziona a scuola per l’interrogazione e funziona anche qui. Del resto sono tutti maestrini, questi qui.

«Le spiego. Lei sa di cosa ci occupiamo?»

«Ho preso alcune informazioni. Consulenza aziendale specializzata in logistica, mobilità e ottimizzazione.»

«Ha sfogliato il depliant. Almeno quello l’ha finito.»

«Mi informo sempre. Amo sapere con chi sto andando a parlare.»

«Va bene Gatti, adesso non esageriamo. Quello è il mio lavoro. Comunque: esistiamo dal 1949 e il fondatore era un piccolo padroncino che si occupava di consegne e spedizioni nella zona fino poi a coprire tutto il territorio nazionale. Quando l’azienda è passata di mano al figlio, il signor Monti che poi è quello che la pagherebbe se io decido che lei può andare bene, abbiamo deciso di internazionalizzare l’impresa e oggi siamo tra i leader in Europa nella consulenza per le più importanti aziende logistiche. Trattiamo bancali e container che partono dall’Islanda e viaggiano fino alla Nuova Zelanda. Spedizioni che fanno il giro del mondo. Mi segue?»

È forte questa cosa degli incravattati che ripetono manfrine sulla storia dell’azienda com’è scritta sui volantini. È la recita di natale che si ripropone nella versione adulta, solo che qui a noi tocca fare i parenti commossi.

«Noi ci occupiamo che la spedizione avvenga con tutti i crismi: velocità, cortesia, qualità e produttività, soprattutto. Produttività. Abbiamo due divisioni: slancio e controllo. La figura che cerchiamo è per il reparto di slancio.»

«Sì. Di slancio. Che sarebbe?»

«Molto semplice. Il cliente x dice che deve spedire il bancale y da Roma a Berlino. Lei ha i numeri telefonici dei camionisti che collaborano con noi e il nostro sistema le fornisce un’indicazione di prezzo che noi chiamiamo cuneo. Il suo lavoro è di trovare velocemente quale dei nostri trasportatori è disposto a fare la tratta al prezzo più basso. Sulla differenza tra il cuneo e il prezzo che lei è riuscito ad ottenere le spetta una provvigione del 2,5% fino a un abbassamento del 25%, una provvigione del 5% fino al 50% e addirittura del 10% se il cuneo supera il cinquanta. Sembra difficile ma è molto semplice: quel viaggio dovrebbe costare 10.000 euro ma lei riesce a venderlo a un camionista a 5000 e con una telefonata si  è guadagnato 500 euro puliti. Mica male, eh?»

«Eh.»

«Già.»

«Ma perché slancio?»

«Il nome? Perché questo nome?»

«Sì. Una curiosità.»

«Mi sembra facile. Iniettiamo soldi nel mondo del lavoro, creiamo economia, spostiamo merci, accontentiamo clienti e lavoratori. Se al camionista non arrivasse quella telefonata avrebbe il camion fermo in giardino per farci giocare il figlioletto con il clacson e la leva del cambio. Il suo lavoro è tenere tutte queste persone in circolo, con tutti i loro talenti.»

Qui sorrise con trentadue canini. Era evidente che aveva trovato una formula diversa dalla consuetudine intirizzente e ne era entusiasta. L’avrebbe raccontata ai colleghi, agli amici del golf e alla mogliettina simulatamente fiera che l’avrebbe ascoltato mentre sceglieva il sushi. Da noi, in quegli anni lì, il sushi era un marziano con il salotto aperto solo agli eletti.

«Ma lei capisce, signor Gatti, che la responsabilità del ruolo e il prestigio dell’azienda ci impone di scegliere persone con i giusti talenti.»

Daje, con i talenti. Mi venne in mente zio Paperone. Con i sacchi di talenti.

«Per questo ho bisogno di sapere tutto di lei e di protocollo le farò anche delle domande personali. Dobbiamo avere la certezza di affidare il nostro slancio a persone che insieme a noi vogliano cambiare il mondo, aperte a sfide nuove e capaci di interagire con il futuro dandogli del tu.»

«Ovvio.»

«Mi dica Gatti, perché è interessato ad entrare nel mondo della logistica e della grande distribuzione?»

«Perché amo la mobilità. Ecco.»

«Cioè?»

«Credo che il commercio sia la più alta realizzazione delle capacità umane e essere partecipe di un’organizzazione che riesce a dare del tu a tutti i continenti sia una bella sfida.»

«Perfetto. Molto bravo. Ha già capito il nostro spirito. Siamo esploratori, noi. Ha intenzione di farsi una famiglia?»

«Certamente. Pur rispettando la mia autonomia.»

«Appunto. Perché qui non si può fermare il mondo per un anniversario, lei mi capisce. Questo non è un lavoro…»

«È una missione.»

«Una missione. Esattamente. Vuole avere figli?»

«Per ora no. Una famiglia mi basterebbe. Vorrei prima concentrarmi sulla realizzazione personale

«È molto maturo per essere un musicista della domenica, Gatti. Anche se ha letto il greco e latino.»

«La ringrazio.»

«Qui c’è gente che si è presentata in braghe di tela come lei e ora si porta a casa dodici, quindici, diciotto milioni al mese. Ma bisogna crederci, essere all’altezza dei propri sogni, come dice il nostro capo tutti gli anni alla cena di natale. Mi dica Gatti, ma lei è all’altezza dei suoi sogni?»

«Oh certo.»

«Perché qui ha il dovere di sognare. Non so se mi capisce. Questo non è un lavoro, come dirle, è l’affiliazione a un sogno. Qui non ci sono orari e domeniche perché i nostri collaboratori hanno bisogno di venire in ufficio, hanno bisogno di ribassare il cuneo e sentono la necessità di dimostrare al mondo che è possibile spostare un bancale di mille chilometri a metà del prezzo che la società ci vorrebbe imporre. È un fuoco che senti dentro».

«Capisco bene.»

«Capisce, va bene, ma lei ce l’ha il fuoco? Me lo faccia vedere! Ce l’ha il fuoco dentro?»

Sai che forse ci credono davvero questi a quello che dicono? Francesco una volta mi disse che sì, che secondo lui succede che a forza di riempire di polpettone il tacchino qualche tacchino si convince di essere polpettone. Lui aveva suo padre che vendeva porte blindate, le porte blindate più blindate tra le porte blindate, e quando a casa di Francesco gli zingari gli sono entrati in casa per rubargli pochi spicci, le mozzarelle e cagargli sul divano anche quella volta lì suo papà disse che dovevano essere una banda di professionisti, rapinatori da musei e ministeri, se erano riusciti a debellare la sua porta blindata.

«Io ce l’ho il fuoco. Me lo sento che brucia.»

«Perché questo è il punto di partenza essenziale. Senza quello io e lei non facciamo neanche questo appuntamento, altrimenti. Perché è lei che vuole venire con noi. Ma come lei ce ne sono migliaia. E bisogna scegliere bene chi ci prendiamo in famiglia.»

«Certamente. La sua è una bella responsabilità, mi immagino.»

«Lo può dire forte, Gatti! Lo può scrivere mille volte sulla lavagna! Ma lei cosa vuole fare da grande?»

«Essere in squadra per una grande impresa

«Molto bene.»

«Grazie.»

«Guardi questo test, guardi qui. Deve mettere una croce. È alla guida di un treno e c’è una biforcazione. Se continua sulla sua direzione troverà sei persone sui binari e inevitabilmente sarò costretto a ucciderli però può azionare lo scambio e decidere di prendere l’altra biforcazione dove sui binari c’è un uomo solo. Da che parte va, lei, Gatti?»

«Non è facile.»

«Non c’è tempo Gatti! Non ha troppo tempo! Non si può spegnere lo slancio!»

«Ne uccido uno solo, forse.»

«Ma è colpa sua, così!»

«Beh, non credo che se uccido gli altri sei mi facciano patrono del paese…»

«Sa qual è la risposta giusta?»

«No.»

«La risposta giusta anche se non c’è il quadretto della risposta giusta?»

«Mi dica.»

«La strada più breve. La più breve è la risposta giusta.»

«Ah, ok.»

«Ha qualche domanda?»

«Niente in particolare. Volevo chiedere, nel caso in cui io possa andare bene, l’inquadramento. Lo stipendio.»

«Le do un consiglio Gatti. Al di là di questo nostro incontro e che poi venga o no a lavorare con noi. Le do un consiglio. Parlare di soldi a un colloquio di lavoro è terribilmente inelegante».

«Sì, questo lo so».

«Però ci è ricascato. Pensi lei se io dovessi essere così rozzo da raccontarle che dispendio di soldi, tempo e energie è per noi fornirle una postazione, occuparci del telefono, le cuffie, il computer, i programmi, il suo armadietto, il badge, la mensa. Pensi quanto mi costa impiegare qualche collega esperto, di quelli che hanno lo slancio dentro, per spiegarle come funziona. Pensi a uno della nostra squadra che piuttosto che iniettare economia deve istruire uno appena arrivato. Gliene ho parlato? Forse mi ha sentito che le faccio pesare il fatto che qui da noi sapere sviolinare il pianoforte conta come il due di picche quando briscola è bastoni? È cambiato il mondo per voi giovani. Io vi invidio. Avete di fronte un futuro aperto a tutte le possibilità: la domanda che dovete fare non è «quanto mi pagate» ma «quanto valgo, io?». Io non le do niente, io non voglio essere come una volta il padrone della sua vita, io sono qui perché lei mi dica quanto guadagnerà. Sono io che glielo chiedo. Quanto guadagnerà Gatti?»

«C’è un rimborso spese?»

«Sono duecentocinquantamila lire di anticipo di provvigioni per i primi sei mesi. Volendo vedere c’è anche un milione di computer sulla sua scrivania, ottocentomila lire di media di bolletta telefonica per ogni collaboratore, la cancelleria e soprattuto questa azienda che vede, che il proprietario ha voluto bella e accogliente più di casa sua.»

«Ho capito. Mi è tutto chiaro.»

«Lei mi piace Gatti. Glielo confesso perché mi piace. Magari mi sbaglio anche se in tutta la carriera non mi sono sbagliato mai ma sento il suo fuoco. Mi prendo il rischio, via: se vuole domani ci vediamo alle 7 e iniziamo. Non lo dica a nessuno che l’ho deciso così su due piedi ma ogni tanto voglio fidarmi del mio istinto. Forse si è perso un po’ con la musica e la scuola ma le posso raccontare di un collega che non sapeva nemmeno parlare in italiano e ora è un caporeparto con la Golf aziendale e uno stipendio da favola. Non le dico il nome solo perché sarebbe inelegante ma lei ha quella luce negli occhi. Se lo prende qui da noi il diploma, si laurea in slancio. Eh?”

«Domani però non posso. Domani.»

«E perché?»

«Ho avuto un lutto.»

«Mi dispiace tanto.»

«Però vi chiamo. Vi chiamo io.»

«Va bene Gatti. Va bene. L’aspettiamo. Come una famiglia!»

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/05/01/il-colloquio-di-lavoro/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Buon primo maggio, Klodian, morto (un po’) d’Expo

elezi-klodianAlla fine gli è andata bene che era solo un albanese e si sa che quando muore un albanese, sia che muoia in una rapina da rapinato o da rapinatore, alla fine è morto solo un albanese. Ah, è morto, chi? Un albanese.

Klodian Elezi è morto sul lavoro. Uno dei tanti. E’ morto qualche giorno fa. In un cantiere da chiudere in fretta e furia per finire in tempo una delle tante infrastrutture da inaugurare insieme a Expo. Era albanese, Klodian. Per fortuna. La notizia si è limitata ad una pisciatina sulla cronaca locale e ai siti “antagonisti”, che li chiamano così i siti di quelli che non sono d’accordo con le cose con cui per decreto bisognerebbe essere d’accordo.

Klodian è morto e sicuramente non era protetto come stabilisce la legge. Ma fa niente. Semplicemente è morto un albanese. Meglio così.

Quest’anno l’apertura del mercato rionale internazionale non ha nemmeno dato l’occasione di parlare troppo di disoccupazione, morti sul lavoro, morti di lavoro e tutte quelle altre cose che ogni anno diventano retorica il primo di maggio.

Ci sono persone che muoiono proprio come non si dovrebbe morire per rovinare l’immagine generale ma vengono asportate con abilità chirurgica per non rovinare la festa.

Buon primo maggio, Klodian. Qui da noi funziona così.

Era il primo maggio

Dal gennaio 2008  al 30 aprile 2013 sono morti per infortunio sul lavoro oltre 5000 lavoratori di cui 2553 sui luoghi di lavoro e gli altri sulle strade e in itinere. (Osservatorio indipendente di Bologna)

Dall’inizio dell’anno sono documentati 145 lavoratori morti per infortuni sui luoghi di lavoro. (Osservatorio indipendente di Bologna)

«Molte vittime non hanno nessuna assicurazione, – si legge nel blog dell’Osservatorio indipendente di Bologna, – e muoiono lavorando in “nero”ed intere categorie non sono considerate morti sul lavoro. Praticamente sono morti sul lavoro invisibili»

Nel 2012 sono morti 1180 lavoratori, di cui 625 sul luogo di lavoro (Osservatorio indipendente di Bologna)

Bollettino dei suicidi nel solo mese di aprile. Le morti della «crisi»:

«Villanovaforru, nel Medio Campidano, a una cinquantina di chilometri da Cagliari. Massimiliano Cilloco, disoccupato di 45 anni, si è tolto  la vita sparandosi un colpo di fucile nella sua abitazione . È l’ennesima tragedia legata alla crisi economica, la quarta in meno di un mese in Sardegna» (23 aprile 2013);

«Milano. Due uomini sono stati trovati senza vita in un appartamento in zona Porta Magenta. I due entrambi di 33 anni sarebbero uccisi con un sacchetto di plastica, e forse con l’ausilio del gas. In due lettere si faceva riferimento alla “mancanza di lavoro” e a “relazioni familiari” che non funzionavano“» (22 aprile 2013);

«Bitonto (Bari) Un imprenditore del settore del marmo, Carmine Mancazzo, si è suicidato impiccandosi nel capannone della sua azienda. Aveva 60 anni. La polizia ha trovato addosso all’uomo un biglietto d’addio, straziante: “Nel momento del bisogno tutti mi hanno abbandonato”» (16 aprile 2013);

«Torino. Luigi Melillo, grossista di ortofrutta di 62 anni, si è ucciso sparandosi un colpo di fucile alla gola» (13 aprile 2013);

«Pesaro. Una donna di 55 anni, di Bologna, si è suicidata gettandosi in mare nel Pesarese. La donna ha lasciato delle lettera di addio nell’auto, parcheggiata vicino alla spiaggia di Vallugola, a Gabicce Mare, in cui chiede scusa per il suo gesto disperandosi per la mancanza di lavoro». (13 aprile 2013)

«Ad Isola del Liri, nel Frusinate, è stato trovato impiccato un uomo di 38 anni, disoccupato da tre mesi con moglie e figlio di pochi mesi a carico. Le ragioni del suicidio sono state spiegate in un biglietto». (13 aprile 2013)

«Siracusa. Un commerciante di Siracusa, Francesco Barcio di 62 anni, si è impiccato con un filo di nylon nella sua abitazione. Sembra che alla base del gesto ci sia il suo tracollo economico, culminato nella chiusura della sua attività, un negozio di abbigliamento in corso Umberto, alle porte del centro storico di Ortigia» (9 aprile)

«Macomer (Nuoro). Un imprenditore in gravi difficoltà economiche si è tolto la vita. Carlo Cossu, 54 anni, si è impiccato nella sua segheria della zona industriale di Bonu Trau. (9 aprile 2013)

«Ortelli (Nuoro)  Gonario Piroddi, 47 anni, impresario edile in difficoltà economiche, si è suicidato sparandosi un colpo di fucile. Il corpo privo di vita è stato ritrovato in una casetta disabitata di proprietà di un parente» (9 aprile 2013)

«Tentato suicidio ad Ancona. Da mesi senza lavoro, aveva perso la speranza nel futuro. E così D.P., 46 anni, ha deciso di farla finita: si è tagliato le vene di entrambi i polsi. Salvato in extremis dalla moglie» (8 aprile 2013)

«Civitanova Marche (Macerata)  Lui, Romeo Dionisi di 62 anni, era un esodato, lei, Anna Maria Sopranzi di 68 anni,  aveva una modestissima pensione di 400-500 euro. Hanno deciso di farla finita impiccandosi, forse proprio per l’impossibilità di far fronte alle difficoltà economiche. I due hanno lasciato un biglietto in cui chiedono perdono per il loro gesto e indicano il luogo, uno stanzino sul retro del palazzo, in cui trovare i loro corpi.Quando il fratello della donna ha scoperto i cadaveri dei due coniugi si è diretto al porto di Civitanova Marche e si è ucciso buttandosi in mare». (4 aprile 2013)

«LipariDopo l’annuncio della chiusura di due alberghi nell’isola di Vulcano, segno della crisi che ha colpito le Eolie, il proprietario dell’hotel “Oriente” di Lipari si è suicidato. Edoardo Bongiorno, 61 anni, uno dei più noti operatori turistici delle Eolie, si è chiuso dentro un furgone dell’albergo e si è sparato un colpo di pistola» (2 aprile 2013).

L’ammorbidente per la memoria del primo Maggio

Il congresso della Seconda Internazionale il 20 Luglio 1889 afferma: “ Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi”. In ricordo della grande manifestazione operaia avvenuta a Chicago nel 1886 e repressa nel sangue, viene scelto il Primo Maggio come giorno di festa dei lavoratori di tutti i paesi.

Sono passati 121 anni da quel giorno. I lavoratori hanno combattuto molte battaglie e hanno rivendicato condizioni lavorative e sociali migliori. Attraverso difficoltà, repressioni e rinunce i lavoratori di tutto il mondo hanno raggiunto importanti traguardi. Ancora oggi, però, bisogna combattere. I labili contratti di lavoro a tempo determinato, la volontà politica di cancellare alcuni pilastri fondamentali dello Statuto dei lavoratori, le reali perplessità su una pensione futura sono solo alcune problematiche che i lavoratori del 2010 si trovano a dover affrontare.

È proprio in questo quadro storico e sociale che il Primo Maggio è un giorno fondamentale. Non è il ricordo di qualcosa che è stato, ma è l’affermazione di ciò che deve essere e deve ancora divenire. Proprio per questo le discussioni sull’apertura degli esercizi commerciali nel giorno dei lavoratori sono desolanti.

La desolazione è quella che si prova davanti ad amministratori eletti dalla cittadinanza, che calpestano il loro mandato in nome di interessi economici. E la sensazione di abbandono della reale etica politica si avverte ancora di più quando questi stessi amministratori appartengono alla tua area politica, perchè, in fondo, “dagli altri te lo aspetti”.

Vi confesso che quando ho letto la notizia che città gestite dal centro-sinistra come Bologna, Firenze e Lodi hanno optato per l’apertura dei negozi nella giornata dei lavoratori, ho provato una profonda delusione e amarezza. L’amarezza deriva dall’abbandono della memoria del vero significato della festa del Primo Maggio e dall’ennesimo allontanamento della politica dalla realtà dei lavoratori.

Auguro a tutti i lavoratori di poter trascorrere al meglio la loro festa, la festa dei diritti ottenuti grazie al sacrificio e alla lotta di molti.