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processo infinito

Processo Infinito: ora è Cassazione e le condanne definitive.

Mandalari-il-notiziario_internaIl processo Infinito si conclude con le condanne confermate dalla Cassazione. Sembra passata un’era ma sono pochi anni che la Lombardia si svegliava di soprassalto strozzata dagli arresti e improvvisamente non poteva più fingere di non volere vedere la ‘ndrangheta presente nei gangli più diversi dell’economia regionale. Vale la pena segnalare che Vincenzo Mandalari colleziona una delle pene più alte nonostante ancora pochi mesi fa qualcuno dicesse che fosse solo un “pezzo piccolo” del sistema.  Ha scritto un ottimo riepilogo Lettera43:

Confermate, dalla VI Sezione Penale della Cassazione, pressoché quasi tutte le condanne ai 92 imputati del processo ‘Infinito’.
È stato il più importante processo alla ‘Ndrangheta condotto dalla procura di Milano a carico delle ‘ndrine radicatesi in Lombardia. Solo per Rocco Coluccio, un biologo, dovrà essere rifatto il processo. Per gli altri imputati solo piccoli ritocchi di pena e di qualche imputazione.
Confermato dunque il verdetto emesso della Corte d’Appello di Milano.
174 INDAGATI. Tutti gli imputati hanno scelto il rito abbreviato. Il primo grado si è concluso nel novembre 2011 davanti al gup di Milano Roberto Arnaldi.
L’inchiesta era partita nel 2003, ma gli arresti risalgono al 13 luglio 2010 quando in carcere finirono 174 indagati. Le intercettazioni a loro carico erano schiaccianti, per questo è stato scelto l’abbreviato che consente lo sconto di un terzo della pena.
NDRINE NEGLI APPALTI EXPO. Tra le accuse oltre all’associazione mafiosa, anche le estorsioni, la detenzione di armi, le pressioni per ottenere appalti. Due società acquisite dalle ‘ndrine lombarde finite sotto processo avevano acquisito appalti per l’Expo del 2015 nel settore del movimento terra. Riconosciuti i risarcimenti per le parti civili che si sono costituite nel processo tra le quali la presidenza del Consiglio dei ministri, la Regione Lombardia e la Federazione delle associazioni di racket.
ALCUNI HANNO GIÀ SCONTATO LA CONDANNA. Il verdetto di appello era stato emesso dalla Corte di Milano il 23 aprile 2013. Alcuni dei componenti di una ‘ndrina, addirittura, si riunivano al sicuro dei locali di un’associazione intitolata ai giudici Falcone e Borsellino. La maggior parte degli imputati, a quanto si è appreso, è detenuta o ha, in alcuni casi, già finito di scontare la condanna.
«La struttura del verdetto emesso in Appello dai giudici di Milano a carico degli imputati del processo ‘Infinito’ agli affiliati alle ‘ndrine lombarde della ‘Ndrangheta ha retto in maniera massiccia davanti al giudizio della Cassazione» ha detto il Sostituto procuratore generale della suprema corte Aldo Policastro alla lettura del verdetto emesso dalla VI Sezione Penale. Il pg Policastro aveva chiesto la sostanziale conferma delle condanne.
IN LOMBARDIA CORPO AUTONOMO. «Con la conferma sostanziale della sentenza di Appello si conferma la struttura della ‘ndrangheta lombarda come un corpo autonomo rispetto alle ‘ndrine di origine che continuano a rimanere radicate in Calabria con le quali il contatto è comunque costante». Il Pg Policastro, rispetto alla decisione prevalentemente confermativa della VI Sezione penale, aveva chiesto un maggior numero di annullamenti con rinvio limitati a singoli reati.
Sotto processo sono finite 15 ‘ndrine di Milano e dell’hinterland milanese. In Appello la condanna più alta era stata inflitta ad Alessandro Manno ritenuto il responsabile della ‘locale’ di Pioltello, le altre condanne più severe sono per Cosimo Barranca capo della ‘locale’ di Milano, 12 anni e per Vincenzo Mandalari capo della ‘locale’ di Bollate (12 anni e 8 mesi).

‘Ndrangheta in Lombardia: cosa (non) hanno detto i politici Abelli e Giammario

«Il contesto processuale nel quale questi personaggi politici e le persone del loro entourage sono stati chiamati a testimoniare era fra i più delicati ed imbarazzanti che si possano immaginare, visto che qui si discute di ’ndrangheta e di patto di scambio politico-mafioso: si possono perciò ben spiegare le prese di distanza, il riferimento al gran numero di persone che si finisce con l’incontrare nel corso di una campagna elettorale». Per questo «i contributi dichiarativi» sono risultati «estremamente prudenti, assai generici, a tratti sfuggenti e in più di un passaggio inconciliabili con altre emergenze processuali: insomma, poco utili per l’accertamento della verità».

(Motivazioni della sentenza con cui i pm di Milano hanno inflitto le 41 condanne nel processo Infinito, tra cui quelle all’ex manager Asl Carlo Chiriaco e all’avvocato Giuseppe Neri)

Domenico Nista e il fratello ammazzato: 18 omicidi in 5 anni in Lombardia dove la mafia non esiste

Un bel pezzo dell’amico Davide Milosa (ma va?) su Domenico Nista “Tyson” e il fratello Giuseppe Nista. Come avevamo raccontato.

Franco lo zoppoPeppe di CittanovaMaurizio detto Maurino, il Macellaio e Mannaia Dio. Alias di malavita. Pseudonimi da verbali di polizia. Nomignoli da strada. Che puzzano di cordite e cocaina. Gente abituata a sfrecciare a bordo di grossi scooter. Con i sedili armati di 357 magnum. Gente che spara e gambizza. Minaccia ed estorce. Picchia e recupera il denaro della roba. Ombre che girano “accavallate” (armate,ndr) da quando si alzano a quando vanno a letto. Balordi di periferia zeppi di denaro racimolato a suon di buste di droga, trafficate all’ingrosso e spacciate per quartiere. Soldati di un esercito che tra i palazzoni dormitorio di Milano controllano e comandano. In nome e per conto dei boss. Calabresi. Senza dubbio. Tradotto: ‘ndrangheta. Ma non quella che punta al business pulito o ai rapporti con la politica lombarda. Non quella che sorseggia calici di champagne. L’altra: quella che corre lungo i perimetri urbani carburando con pippotti e bicchierate di Vat 69.

Il risultato, però, non cambia. E anzi è ancora peggio. Perché tocca la vita quotidiana dei cittadini assediati da chi va per bar e spara. Picchia in mezzo alla strada. Magari davanti a donne e bambini. Senza scrupoli. Come cani rabbiosi. Non ieri, ma oggi. Perché le grandi indagini della procura di Milano, gli arresti numerosi e le cupole (vere o presunte) hanno offuscato l’allarme sociale della mafia: il controllo del territorio. E così oggi, a due giorni dai tre colpi di 7 e 65 che hanno ferito e poi ucciso Giuseppe Nista, 44 anni, balordo come sopra, la partita di quartiere giocata da boss e gregari ritorna su come un rigurgito. Perché Beppe Nista era un tipo da armi e cocaina. Pregiudicato e socio di uno sfasciacarrozze a Segrate. Qui, poche centinaia di metri dopo, in via dei Mille a Vimodrone, i killer lo hanno seguito e freddato.

Quarantotto ore dopo i carabinieri di Monza vagliano piste e spulciano verbali. Hanno un’idea? Più di una. Diverse. Forse Giuseppe Nista ha “scopato nel letto sbagliato”. Un’eventualità. Sulla quale pesa la modalità dell’omicidio. Mafiosa senza dubbio. E allora forse quel letto era di qualcuno di rispetto. O magari, e l’ipotesi viene ritenuta credibile, tutto sta nelle parole del fratello di Giuseppe. Lui come il Peppe di Cittanova o il macellaio legato ai boss di Rosarno, ha un soprannome: lo hanno sempre chiamato tyson per via dei modi spicci e del grilletto facile. In carcere ci finisce nel 2005. Sedici anni e pena blindata. Nel 2007, però, Tyson classe ’70, inizia a parlare con i magistrati della procura di Milano. Riempie verbali, almeno quattro, e soprattutto fa nomi. Decine di nomi. Un lungo elenco dal quale spuntano protagonisti e comparse di un brutto romanzo criminale. Ma c’è di più: nel 2010 Nista arriva in aula come testimone. A Monza dove si sta celebrando il processo contro la ‘ndrangheta accusata di essersi infiltrata negli appalti Tav. Alla sbarra ci sono personaggi di peso: la famiglia Paparo, legata alle cosche di Isola Capo Rizzuto, gente dal nome nobile come Arena e NicosciaTyson parla e accusa: tira in ballo i boss, colloca azioni, le descrive, entra nei particolari. Cita la cosca di Pioltello costituita da Cosimo Maiolo e Alessandro Manno. Gente di Caulonia che tira avanti con droga, pizzo e violenza. Poi Nista sposta il tiro e racconta degli affari diPio Candeloro, padrino in stile Soprano, oggi in attesa di giudizio nel processo Infinito.

Una sola audizione per dire molto, forse troppo. Quindi la beffa: niente programma di protezione. Ufficialmente Domenico Nista non sarà mai un collaboratore di giustizia. Solo otterrà, nel carcere di Torino, un regime speciale. I magistrati e i giudici, che nel processo ai Paparo, annulleranno l’accusa per 416 bis (mantenendo alcuni reati fine), ritengono provate le sue dichiarazioni ma non utili al processo, perché vanno troppo indietro nel tempo. Due anni dopo i killer gli uccidono il fratello.

Eppure è proprio da quei verbali, comunque allegati agli atti del processo e dunque acquisibili dagli imputati, che emerge un mondo di malavita del quale faceva parte il defunto Giuseppe Nista. “Mio fratello – dice Nista – in più occasioni mi mostrò diversi tipi di armi quali pistole, fucili a pompa e mitra, mi raccontò anche di avere la disponibilità di 50 chili di esplosivo al plastico (…). Non so dove occultasse le armi. E’ appassionato e va a sparare alla cava di San Maurizio al Lambro”.

Domenico Nista inizia a collaborare il 22 novembre 2007. Tyson si trova al sesto piano della procura di Milano. Racconta di una famiglia, il cui nome è noto tra le strade di Cologno Monzese e che nel 1999 fu coinvolta in un traffico di armi poi rivendute alla camorra. Parla di A.G. “Quando era ragazzino frequentava il bowling di Pessano con Bornago. Io lo vedevo prendere i soldi dai ragazzini, a cui portava via anche i ciclomotori, in sostanza faceva piccole estorsioni e chiedeva il “pizzo” nei locali”. A comandare, però, è il fratello V.G. “Mi disse che lui e i suoi erano affiliati alla ‘ndrangheta, mi raccontò che aveva “la terza”, cioè che aveva la possibilità di battezzare nuovi adepti e creare un’altra famiglia. Se ho inteso bene, il grado della “terza” dovrebbe corrispondere a quello di “sgarrista”.

Nista Tyson racconta che quelli hanno tentato di farlo fuori e che lui voleva vendicarsi. Ma poi, nel 2002, alla gelateria Visconti sempre a Cologno c’è un incontro con gli uomini dei Nicoscia. C’è da parlare di droga e di traffico. “Mi dissero che avremmo dovuto lavorare tutti insieme, sia per la droga, sia per le estorsioni ed aggiunse che già sulle estorsioni stavano lavorando loro. In sostanza, mi chiesero di lavorare con loro perché mi sapevano “uomo d’azione””. Non solo: Domenico Nista all’epoca tratta chili di droga. E per qualche tempo concilia affari e sentimenti. La sua donna, madre di sua figlia, “aveva il compito (…) di tenere la contabilità dei miei traffici, aveva un libricino in cui segnava tutte le entrate e le uscite sulla base delle mie indicazioni”.

Insomma, Mimmo Tyson Nista non è un boss ma nemmeno un “pisciaturi” qualunque. E’ uno che i piedi in testa mai. E sei i suoi quarti di nobiltà mafiosa se li è guadagnati tra i palazzoni di Milano, alcuni nomi che contano li conosce. Come Cosimo Maiolo: “Un personaggio di spessore”. E giù particolari: “Nelle baracche nella campagna di Seggiano di Pioltello c’erano degli incontri di “calabresi pesanti”. Ho partecipato anch’io in qualche occasione a queste riunioni, si faceva da mangiare e si parlava di traffici illeciti”. Da Caulonia a Rosarno, Tyson mette in agenda anche il nome di Pino Ferraro detto u Massune e del suo tirapiedi Giuseppe Celentano detto Peppe u macellaio. Nel carcere di Sollicciano, addirittura incrocia un tizio, soprannominato Mescal, che gli racconta di traffici di droga (cento chili arrivati a Ventimiglia) che coinvolgono uomini dei Ros.

E nonostante questo, le sue parole rimarranno per sempre lettera morta. Non serviranno ai giudici di Monza che le riterranno vere ma non utili. E nemmeno saranno utilizzate dalla procura di Milano che non avvierà indagini nemmeno su un’ipotesi di sequestro, così racconta Nista, ideato dal braccio lombardo dei Nicoscia ai danni della figlia di suo fratello. Oggi orfana di un padre ammazzato in un pezzo d’asfalto non distante dal cuore di una Milano che nel silenzio mediatico aggiorna a 18 gli omicidi di mafia negli ultimi cinque anni. La prima fu l’avvocato Maria Spinella(freddata da Luigi Cicalese, killer della ‘ndrangheta oggi pentito). L’ultimo Peppe Nista. In mezzo l’esecuzione di Carmelo Novella (2008) il capo delle cosche lombarde che voleva fare la secessione dalla Calabria e finì ucciso in un circolo di San Vittore Olona. E ancora: Giovanni Di Muro (2009), imprenditore vicino a Cosa nostra e spione per conto dei Servizi segreti. Poi Natalino Rappocciolo (2009) figlio d’arte e di mafia giustiziato a bordo strada, la sua auto bruciata, il corpo chiuso in un sacco con un testa di cane mozzata al fianco.  Il resto è cronaca di ieri e di oggi. Cronaca di mafia a Milano.

Processo Infinito: questo è il nostro Paese

Pubblicato su IL FATTO QUOTIDIANO

Ieri a Palermo con Giuseppe Pignatone (Procuratore a Reggio Calabria che ha seguito la maxi operazione che ha coinvolto 150 affiliati di ‘ndrangheta solo in Lombardia) e Piergiorgio Morosini (GIP del Tribunale di Palermo) abbiamo incontrato centinaia di studenti (e qualche migliaio in diretta video da tutta Italia) per l’annuale progetto di educazione alla legalità del Centro Studi Pio La Torre. A pochi giorni dalle condanne in primo grado del processo ‘Infinito‘ è stata l’occasione di provare a leggere gli elementi, i fatti egli arresti: farsene carico, com’è doveroso per una Regione che voglia uscire dal negazionismo e iniziare un percorso di alfabetizzazione e consapevolezza. “Abbiamo messo a disposizione il materiale per conoscere meglio il nostro Paese”, ha dichiarato il Procuratore di Reggio e ora sta a tutti leggerlo, studiarlo e, soprattutto al Nord, raccontarlo. Senza remore, senza eroismi, senza personalismi.
Perché la ‘ndrangheta che esce dalle indagini (e dalle condanne in primo grado) non è solo il più pericoloso fenomeno in Italia (e non solo) ma ha dimostrato di avere esportato al Nord oltre ai soldi la struttura e il controllo. Almeno 25 locali in Lombardia, con centinaia di affiliati coinvolti e la consapevolezza di un’organizzazione: a Paderno Dugnano (nel tristemente famoso incontro avvenuto nel Centro Falcone e Borsellino) sono state ratificate le decisioni prese in Calabria. Organizzazioni territoriali che partono da Reggio Calabria e sono clonate in Lombardia, in Piemonte, Toronto e a Melbourne. Del resto non sono lontani i tempi in cui due locali con problemi di confini tra Svizzera e Germania si sono ritrovate a Rosarno per risolvere la disputa. In un’intercettazione qualcuno dice “qui se si sfascia l’organizzazione torniamo allo sgarro”, e allora il primo allarme è una consapevolezza internazionale che oggi l’Italia non ha nel senso di misura del fenomeno. Per questo è urgente ritrovare le chiavi di lettura per leggere (dietro queste ultime condanne) non solo l’aspetto più pittoresco e militare ma i punti di PIL persi in questi 30 anni (ne aveva parlato anche Mario Draghi scatenando feroci polemiche), la necessità di una serie legge anticorruzione, un nuovo dovere di ‘opportunita’ per la politica che non può permettersi di interloquire giustificandosi dicendo di non sapere, chiedere ostinatamente una norma anti riciclaggio per smutandare l’economia illegale e parlarne, parlarne ovunque, studiare subito.

Il problema non è solo economico o politico, la questione è vitale. Riguarda le vite di tutti: dei nostri figli che potrebbero avere dei concorrenti che vinceranno sempre perché lavorano per riciclare e non guadagnare, delle nostre città che si riempiono di case che sembra non interessi vendere, capannoni che cambiano gli orizzonti dalle nostre finestre costruiti per rimanere sfitti, ipermercati così vicini da non avere abbastanza clienti per sostenersi, pizzerie e bar nei centri delle nostre città che vengono acquistati e sontuosamente arredati senza avere bisogno di clienti: soldi che hanno bisogno di assumere in fretta una forma qualsiasi per non puzzare più di soldi.
Si invoca la magistratura, ma spesso la magistratura interviene sulle macerie, ha detto il GIP Morosini, il resto è cosa nostra.

Processo Infinito: adesso c’è anche il segreto di Stato

Lo racconta Luca nel suo blog: la relazione della Commissione d’inchiesta proprio sull’Asl pavese, che, secondo la difesa scagionerebbe in parte Chiriaco, ma che agli atti non c’è in quanto è stata secretata sulla base della legge 124 del 2007. Ovvero su quella relazione ci sarebbe addirittura il segreto di Stato, così il prefetto di Pavia Ferdinando Buffoni risponde picche alla difesa di Chiriaco non fornendo le conclusioni della Commissione istituita lo scorso settembre e il parere del Ministero dell’Interno. Il Prefetto dice che le conclusioni sulle eventuali presenze di clan nell’ASL di Pavia sono oltremodo rassicuranti. Non vedo l’ora di essere rassicurato anch’io.

Desio dalla parte giusta

Il vento è cambiato anche a Desio. Al processo Infinito questa volta la città si è presentata dalla parte giusta. E non è un segnale da sottovalutare, perché per anni abbiamo dovuto digerire i segnali che arrivavano dalla politica che faceva finta di non sapere, di non sentire, di non avere tempo e noi chiedevamo a gran voce che venisse presa una posizione. Prendere una posizione: costituirsi. Meglio se parte civile.