Vai al contenuto

promettere

Ora non c’entra più l’eredità di Conte: questo weekend è andato in scena il grande flop del piano vaccini

La gestione di una pandemia, la condivisione di limitazioni personali e la sopportazione delle difficoltà economiche e lavorative si regge su un patto sociale tra cittadini e governanti in cui le due parti riconoscono le proprie responsabilità e l’impegno di entrambi di assolverle con il massimo dell’impegno. Se quel patto si rompe (o comunque inizia a cigolare) si rischia la sfiducia, la disillusione, il lassismo e perfino la rabbia.

Per questo ogni volta che si sente dire di un “cambio di passo” nella campagna vaccinale o si ascolta qualcuno del governo promettere numeri e risultati nei prossimi mesi si nota in risposta una certa diffidenza e sempre meno reazioni positive: governare una pandemia non è certo facile ma in questi mesi la mancanza di cautela da parte di qualche esponente politico o amministratore ha alimentato promesse contraddette dalla realtà. Sarebbe il caso di averlo capito, dopo tutto questo tempo, eppure quelli insistono nell’errore senza riconoscere l’inefficacia di qualsiasi annuncio.

Cosa serve per rinsaldare la fiducia? Fare, fare, fare. Lo disse lo stesso Draghi nei giorni del suo insediamento: “niente annunci, solo fatti”. Non è andata proprio così.

Ad esempio la risposta migliore agli “aperturisti” (alcuni addirittura irresponsabili nel voler solleticare gli intestini dei complottisti peggiori) sarebbe quella di accelerare con le vaccinazioni. Missione fallita: 211mila sabato,  92mila domenica e ieri  124mila (dato ancora parziale): il grande flop del piano di vaccinazione di massa del governo Draghi tra Pasqua e Pasquetta 2021.

Sono circa 500mila dosi in tre giorni, esattamente la cifra che il commissario Figliuolo promette ma come cifra giornaliera. Che durante i festivi si assista a un drastico calo di tamponi e di vaccini è una situazione che molti da più parti continuano a sottolineare. Si sperava però nel promesso “cambio di passo” visto come soluzione anche da chi sosteneva che il problema fosse legato esclusivamente al governo Conte. E invece niente.

Le Regioni dicono di non avere più vaccini eppure lo Stato risponde che ci sono ancora tra i 2,3 e i 2,9 milioni di dosi ancora da somministrare nei frigoriferi. “Ho dato per scontato – sbagliandomi di grosso – che tutti sapessero che il virus non osserva le feste comandate”, scriveva ieri il virologo Roberto Burioni.

La campagna di massa cerca di alzare il livello oltre le 240mila dosi somministrate in media al giorno ma non si riesce a toccare le 300mila iniezioni in 24 ore e l’obiettivo delle 500mila entro fine mese ormai è piuttosto incerto. E il patto tra Stato e cittadini traballa.

Leggi anche: 1. Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega (di G. Cavalli) / 2. Cassieri, commessi e altri eroi dimenticati: l’insopportabile classismo nella corsa delle categorie ai vaccini (di G. Cavalli) / 3. Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene (di. G. Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Un governo per niente impolitico

Il governo Draghi, quello che fa sognare i portatori d’acqua delle élite e i nuovi feticisti del merito usato come termometro personale per poter giudicare il mondo, ha già fissato un nuovo record: i suoi ministri hanno cominciato a litigare tra di loro quarantotto ore dopo il giuramento, due giorni prima addirittura di ottenere la fiducia, nemmeno il tempo di tornare a casa e svestirsi dei vestiti di ordinanza che erano serviti per apparire sobri. Tolti i vestiti, tolta la sobrietà. Il punto dirimente è stata la chiusura all’ultimo momento delle piste da sci alla luce dei nuovi dati sanitari (tra l’altro l’ennesimo colpo a un’economia che prova faticosamente e costosamente a rialzarsi e poi si ritrova con le gambe spezzate dal virus) ma non preoccupatevi perché sarebbe potuto accadere su un tema qualsiasi e accadrà, vedrete, su un altro milione di punti. Comunque è bastato il decreto firmato dal ministro Speranza (che mica per niente fino all’altro ieri era il capo della “dittatura sanitaria” strillata da destra) per accendere le voci di chi ha corso per scrollarsi di dosso la responsabilità e per apparire critico del governo per sembrare dalla parte dei lavoratori. In prima fila, ovviamente, ci sono stati i leghisti che sono quelli che più di tutti hanno meno da perdere nel fare gli sfascisti dall’interno e continuare a ondeggiare tra l’essere critici e responsabili, sovranisti e europeisti, patrioti e cosmopoliti.

Le bordate di Salvini, dei presidenti di Regione e dello Stato maggiore del partito avevano un unico obiettivo: scaricare su Speranza tutta la responsabilità, promettere che con loro queste cose non sarebbero mai più accadute e lanciare a Draghi il chiaro messaggio che loro no, non staranno tranquilli. Tant’è che proprio Palazzo Chigi (e hanno scritto tutti “Palazzo Chigi” perché gli tremano le dita a scrivere “Draghi”) ha dovuto smentire la fiumana critica che stava montando chiarendo che la decisione era stata condivisa in Consiglio dei ministri. Ovvero: questi fanno finta di non sapere e invece sono responsabili durante le riunioni con la maggioranza e poi si fanno esplodere appena gli capita davanti un microfono. E sarà così, sarà sempre così, sarà sempre di più così. Spiace anche vedere in giro gente che esulta confidando veramente sul fatto che Draghi riesca a tenere a bada i suoi ministri e i suoi sottosegretari: potrà anche accadere (sarà ben difficile, secondo me nemmeno questo accadrà) ma Draghi non potrà mai permettersi di zittire i partiti e sarà proprio dai partiti che arriveranno le bordate e non è un caso che i leader di partito si siano tenuti ben attenti tutti le mani libere. Ora da questo piccolo ma significativo episodio si può subito capire una cosa ben chiara: siamo di fronte a un governo con una connotazione fortemente politica (il “governo di quasi tutti i partiti”, altro che il governo dei tecnici) e noi dobbiamo valutarlo per questo. E allora che governo è il governo Draghi? La squadra di governo statisticamente disegna l’identikit di un maschio 55enne lombardo-veneto con 6 ministri di centrodestra (3 ciascuno per Lega e Forza Italia), 4 del M5s, 3 del Pd, 1 di Leu e 1 di Italia viva. Bastano le statistiche per capire di cosa stiamo parlando? Siamo di fronte a un governo con una maggioranza di ministeri dati al centrodestra (i numeri parlano) con il più promettente partito di destra, Fratelli d’Italia che presto volerà nei sondaggi, a capo dell’opposizione, con tecnici che provengono da una cultura bancaria a occupare le altre caselle, con una forte impronta cattolica (se non addirittura omofobi di derivazione ciellina) e con idee tutte’altro che progressiste in tema di diritti civili. Un governo, per intendersi, che dalle urne sarebbe uscito se la coalizione di Salvini e Berlusconi e Meloni avesse ottenuto la maggioranza dei voti e avesse potuto godere dell’appoggio esterno del presunto centrosinistra.

Questa è l’impronta, questa è la storia delle persone che sono al comando e non si capisce per quale ragione da un composto del genere dovrebbero uscire idee totalmente opposte ai loro curriculum. Allora forse conviene fare un patto, almeno con i lettori, e decidere che sia subito il caso di uscire da questo messianismo che ha immobilizzato un bel pezzo dell’opinione pubblica e che si cominci da subito a valutare il governo Draghi con lo stesso occhio clinico e attento che si userebbe per un governo di cui temiamo le mosse. Questo non per un miope pregiudizio di ideali (chi non si augurerebbe di vivere in un Paese che abbia la fortuna di trovare un ottimo governo?). Ma perché se continuiamo a rimanere imbrigliati nel tranello di considerare questo esecutivo “impolitico” allora saremo sempre pronti a digerire qualsiasi sua azione come “la meno peggio delle mediazioni possibili”. È un governo larghissimo? Sì, è vero, ma la responsabilità di tutta questa ampiezza se la sono presa Draghi e il presidente della Repubblica e se davvero siamo nell’epoca del “merito” allora se ne assumeranno tutte le responsabilità.

L’articolo prosegue su Left del 19-25 febbraio 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Ora attenzione ai restauratori e ai roditori

Ci sono 209 miliardi sul piatto. Piaccia o non piaccia Giuseppe Conte ha fatto ciò che doveva fare e ha ottenuto ciò che doveva ottenere mentre l’Europa si è dimostrata all’altezza della situazione. L’Italia avrà 146 miliardi nei prossimi due anni e i restanti 63 miliardi arriveranno nel 2023. In mezzo ci sono da fare le riforme che l’Europa chiede da tempo e c’è da dimostrare competenza e intelligenza sulla gestione dei soldi. I precedenti non fanno ben sperare ma augurarsi il malaugurio non è una mossa intelligente.

Fantastica la reazione dell’opposizione (se così si può chiamare un centrodestra in cui ormai ognuno va per conto suo sempre intento a mangiarsi il suo alleato più vicino): Giorgia Meloni dice che si doveva fare “di più” (di più di cosa non si capisce e come si avrebbe dovuto fare non si capisce nemmeno), Salvini è praticamente impazzito accusato perfino dai suoi di essersi impegnato in panzerotti e mozzarelle mentre quelli in Europa trattavano e Berlusconi invece invoca addirittura il Mes segnato una distanza siderale rispetto alla Lega. Il caos che regna da quelle parti non si vedeva da mesi: l’opposizione è senza leader per troppo affollamento di presunti leader. A posto così.

Decidere come spendere i soldi è politica: le priorità, le promesse, gli obbiettivi e le visioni si vedono nella ripartizione dei capitoli di spesa. Non si può promettere attenzione a un settore a parole e senza finanziamenti. La ripartizione di questi soldi sarà la carta di identità di questo governo. Ma c’è un rischio, anzi due, dietro l’angolo: i restauratori e i roditori.

Dei restauratori ne abbiamo lungamente parlato nel numero di Left in edicola: sono quelli che di tutta questa storia vedono solo una marea di soldi da poter usare per i propri interessi personali, per le proprie prebende e per potere accontentare i propri gruppi di potere. L’Italia, nelle sue classi dirigenti e nelle sue lobby, è un Paese che è cambiato molto meno dei governi che si sono succeduti e l’idea di un largo governo nazionale nasconde la voglia dei soliti noti di poter mettere mani su quei soldi. Questi vorrebbero sembrare conservatori e invece sono arraffatori, semplicemente.

Attenzione anche ai roditori: sono quelli incapaci di piantare alberi che vivono per creare buchi sugli alberi degli altri e rivendere come vittorie le disfatte altrui. Non serve nemmeno fare i nomi. Anche di questo ne abbiamo parlato in un buongiorno di qualche giorno fa.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Decidere di non decidere

Sul ponte di Genova si consuma un errore politico che abbiamo vissuto più volte e che tutte le volte sembra che ci dimentichiamo con facilità: promettere, parlare, dire e ridire, accusare e poi non fare

Blocchiamo subito tutti quelli che ci dicono che con quegli altri (Salvini e compagnia cantante) sarebbe stato molto peggio: lo sappiamo, lo sappiamo benissimo ma non ci basta per stare zitti e non vogliamo stare zitti. Sul ponte di Genova si consuma un errore politico che abbiamo vissuto più volte e che tutte le volte sembra che ci dimentichiamo con facilità e ci incagliamo di nuovo: promettere, parlare, dire e ridire, accusare e poi non fare.

Decidere di non decidere è comodissimo, mica solo in politica, proprio nella vita: c’è gente che decide di non decidere, di rompere amicizie che andrebbero rotte e se le trascina per anni e ogni volta che accade qualcosa ritira fuori dal cilindro tutte le colpe degli anni precedenti. Accade anche nei rapporti di coppia. È il metodo perfetto per incancrenire le relazioni e per distruggere chirurgicamente tutto quello che è stato. Non si decide di prendersi le proprie responsabilità ma si rimane comodamente nella posizione di chi può in qualsiasi momento recriminare. Bello comodo, eh?

Sul decidere di non decidere poi, se ci pensate, si gioca anche la vita di molti incompiuti: sono quelli che per non fare accadere le cose, perché non ne hanno il fegato, fanno in modo che le facciano accadere gli altri. In pratica: non faccio succedere qualcosa ma faccio di tutto perché succeda ma non se ne possa dare a me la responsabilità.

Sul ponte di Genova è accaduto lo stesso: mentre quelli costruivano il ponte si diceva che i Benetton erano sporchi e cattivi ma nel frattempo nessuno si dedicava a sistemare le carte e le regole perché le cose cambiassero.

Così ci ritroviamo qui: il ponte di Genova, il nuovo ponte, è finito e i concessionari sono ancora gli stessi ritenuti colpevoli del disastro. Sappiano i nostri politici che possono fare tutto il chiasso che vogliono ma qui da fuori tutto risulta goffo, inutile e piuttosto ridicolo.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Caro Conte, l’unica opera strategica per l’Italia è investire nella scuola. Che cade a pezzi

Avete bisogno di una grande opera strategica con cui stupire i cittadini e il mondo, utile per dare l’idea di una grande ripartenza e per aprire una nuova epoca post-Covid? Volete cambiare il Paese con un atto coraggioso e significativamente utile per tutti i cittadini, davvero tutti, e volete costruire un’opera mastodontica che venga osservata e venerata dalle generazioni future? Eccola: è la scuola.

Se c’è qualcosa su cui l’Italia può e deve investire subito (siamo già in ritardo) è quella scuola a cui “servono decine di migliaia di locali in tutta Italia e calcolando che, secondo quanto riferito dal ministro, gli studenti che faranno lezione fuori dalle aule sono il 15%, circa 1 milione e 200mila, resteranno fuori 40mila classi” (lo dice il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli).

Volete mettere in sicurezza la scuola? Allora, sempre come dice Giannelli, “sarebbe anche auspicabile fare i test ai docenti con supplenze lunghe e ad un campione statisticamente significativo di alunni, che in tutto sono 8 milioni e mezzo”, possibilmente “il prima possibile e visto che le lezioni dovrebbero cominciare intorno alla data del 14 settembre, sarebbe preferibile saperlo prima di riprendere. Abbiamo visto che tra i bambini e i ragazzi si trovano più alte percentuali di asintomatici e quindi possono essere veicoli del contagio”.

E poi sarebbe il caso, ma per davvero, di rileggere i dati dell’Agcom nella sua relazione annuale che racconta come la didattica a distanza abbia esacerbato “in tutta la loro gravità le disuguaglianze sociali preesistenti” che “rischiano di compromettere il lento processo di digitalizzazione” in atto in Italia. Sarebbe il caso di aprire una riflessione sul fatto che il 25% degli studenti italiani non dispone di connessioni abbastanza stabili e veloci per seguire le lezioni a distanze e che il 10% dei ragazzi non aveva un mezzo (che fosse un pc, un tablet o un laptop) adeguato e che tutte queste difficoltà “rappresentano un ostacolo importante e una condizione inaccettabile nel caso dell’accesso a servizi essenziali come l’istruzione”. Il 10% dei ragazzi non avevano nessun mezzo per partecipare alle lezioni. 1 su 10. C’è da investire sulle strutture fisiche e sulle infrastrutture digitali. C’è da fare tantissimo. Volete essere ricordati come quelli che hanno reso l’Italia un po’ più uguale? Abbiate il coraggio di fare quello che non è mai stato fatto negli ultimi anni: investite sulla scuola.

Leggi anche: 1. Decreto Scuola, dall’esame di maturità al concorso per l’assunzione dei precari: cosa prevede il testo; 2. Azzolina a TPI: “Nelle scuole 70 milioni di euro per comprare i tablet ai ragazzi che non li hanno”/3. Scuola, i docenti precari a TPI: “La Azzolina ha bandito un concorso-truffa che moltiplica il precariato. E che ci mette in pericolo” /4. Alla scuola serve il concorso, non le “grandi infornate” (di L. Telese)

L’articolo proviene da TPI.it qui

I candidati del centrodestra alle prossime elezioni regionali: pessime notizie per il Sud e per il Paese

Lo chiamano “accordo nel centrodestra” ma i nomi che sono usciti per le prossime elezioni regionali dicono chiaramente che Salvini ha perso al tavolo delle trattative con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni e che, probabilmente, non è più l’indiscusso leader che sembrava in grado di dettare legge all’interno della sua coalizione se non addirittura di poterne fare a meno.

Giorgia Meloni riesce a candidare Francesco Acquaroli nelle Marche e l’inossidabile Fitto in Puglia lasciando al leader leghista la sola Toscana dove Susanna Ceccardi sembra non avere praticamente nessuna possibilità di vittoria. In Campania, ancora una volta, a sfidare De Luca sarà quello Stefano Caldoro che Salvini ha osteggiato fino all’ultimo minuto e che invece è riuscito a spuntarla. Si sa, del resto, che fu proprio Salvini a promettere mano libera agli alleati in cambio della candidatura delle Bergonzoni in Emilia su cui aveva scommesso tutto. Aveva scommesso tutto e ha perso. Ora paga pegno.

La politica è fatta di rapporti, rapporti che devono essere consolidati, nutriti, curati con attenzione e Salvini fin dall’inizio ha deciso di presentarsi come colui che poteva fottersene di tutto e di tutti, alleati compresi, per figurare come l’uomo forte che non aveva bisogno di nessuno. La sua pessima comunicazione in tempi di pandemia e la sua arroganza hanno finito per facilitare la crescite della sua alleata Giorgia Meloni e non è un caso che anche la sua leadership in vista delle prossime elezioni politiche sia già stata messa in discussione: “vedremo”, ha detto serafica la leader di Fratelli d’Italia.

Ma le candidature del centrodestra alle prossime elezioni regionali ci dicono anche altro: passano i decenni ma i capibastone sui territori rimangono sempre gli stessi, le elezioni sono una fotocopia di quelle precedenti come se non fosse accaduto nulla e come se non si fosse mosso il mondo intorno. La classe dirigente della Lega al sud è praticamente disastrosa ma anche gli altri partiti di centrodestra non trovano di meglio che proporre le stesse facce, con gli stessi modi, con gli stessi cognomi. E questa, comunque la si pensi politicamente, è una pessima notizia per il Paese, mica solo per il sud.

Leggi anche: De Luca vi fa ridere? La sua violenza verbale fa male alla sinistra ed è un regalo a Salvini

L’articolo proviene da TPI.it qui

Per promettere un ponte servirebbe almeno un fiume

E il senso delle promesse a vuoto è tutto qui: si soffia sul fuoco per scaldare i risultati elettorali e poi ci si lamenta se scoppia l’incendio. È una storia vecchia come il mondo, fatta da sempre di grandi aspettative, di odio smisurato e poi di un’inevitabile sconfitta davanti alla realtà. Prima di promettere un ponte, insomma, bisognerebbe controllare almeno che ci sia un fiume.