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REDDITO DI CITTADINANZA

La maionese è impazzita

Dai cinque parlamentari che hanno fatto richiesta del bonus di 600 euro alla guerra alla politica senza senso della misura. E l’antipolitica è una pessima notizia

Ecco qua. Ci sono cinque parlamentari senza dignità che alla faccia nostra incassano i 600 euro che sarebbero serviti a persone certamente più bisognose e ora la guerra si allarga e si assiste al solito assolutismo italiano, quello che è l’ingrediente perfetto per scivolare ancora più in basso rispetto a dove siamo.

Sia chiaro, i cinque sono imperdonabili. Imperdonabili. Ne abbiamo parlato giusto nel buongiorno di ieri.

Ma si legge in giro qua e là che “addirittura dei sindaci, assessori e consiglieri comunali” avrebbero aderito al bonus Covid, come se davvero la gente fosse talmente cretina da non sapere che un consigliere comunale o un sindaco di un piccolo paese deve lavorare (eh, sì, incredibile, lavorare) per fare politica perché non può permettersi di vivere di quella. Così si butta tutto nel calderone.

Ieri una consigliera comunale di Milano, Anita Pirovano, ha provato a spiegarlo con calma: «Mi autodenuncio. Non vivo di politica perché non voglio e non potrei. Non potrei perché ho un mutuo, faccio la spesa, mantengo mia figlia e – addirittura – ogni tanto mi piace uscire e durante le ferie andare in vacanza. In più ho studiato fino al dottorato e all’esame di stato per diventare psicologa e ricercatrice sociale, professione in cui negli ultimi tempi mi sembra spesso di essere “più utile” alla società che in consiglio comunale (attività a cui comunque dedico tutto il tempo non lavorato e la passione di cui sono capace). Infine e soprattutto pur non cedendo alle sirene antipolitiche ho capito sulla mia pelle che avere un lavoro (nel mio caso più d’uno in regime di lavoro autonomo) mi consente di essere “più libera” nell’impegno politico presente e ancora più nelle scelte sul futuro, per definizione incerto. Come tanti mi indigno – perché è surreale – se un parlamentare in carica fruisce ammortizzatori sociali e penso sia paradossale che una misura di sostegno al reddito non preveda nessuna soglia di reddito».

Niente, è una guerra continua alla politica senza senso della misura e senza cognizione. Magari il presidente dell’Inps Tridico potrebbe anche spiegarci come mai non siano stati comunicati i furbetti delle casse integrazioni inventate o del Reddito di Cittadinanza. Sia chiaro, non è benaltrismo, è che vorremmo conoscerli tutti i furbetti. Tutti. Per avere cognizione di causa.

Intanto veleggia l’antipolitica, ancora una volta. Ed è una pessima notizia. Peggiore di quei cinque cretini.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

“Addio Benetton. Il governo ha vinto. E anche l’Italia”: Giarrusso (M5S) a TPI

Dino Giarrusso è europarlamentare del Movimento 5 Stelle ma sempre molto attento alle dinamiche nazionali che riguardano il governo Conte. Si dice soddisfatto per l’accordo trovato su Autostrade e fiducioso per la tenuta del governo in futuro.
Onorevole Giarrusso, come valuta l’accordo con i Benetton preso dal governo?
Lo valuto molto positivamente perché per una volta un governo non cede al capitalismo di relazione che secondo me ha inquinato completamente la società italiana negli ultimi decenni, legando grandi capitali a vecchi partiti e sistema dell’informazione. Non era facile estromettere Benetton dal controllo delle Autostrade e questo governo ce l’ha fatta, la ritengo una vittoria per i cittadini.

Qualcuno però fa notare, anche all’interno del Movimento 5 Stelle, che la soluzione sia una revoca dolce e ci vorrà molto tempo prima che la soluzione si realizzi…
Io non la ritengo una revoca dolce. Per la prima volta in Italia chi ha commesso delle gravi mancanze (oltre ad avere fatto morire 43 persone, il crollo di un ponte è in sé una ferita per Genova e per l’Italia) non riceve sconti, cosa che ci è stata riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale quando abbiamo deciso di non far partecipare la società alla ricostruzione del ponte. Poi…
Cosa?
Poi per i cittadini il pedaggio diminuirà significativamente e anche questa la ritengo una vittoria civile, un lavoro ben fatto. Inoltre ci sarà il risarcimento di 3,4 miliardi di euro, quindi chi ha sbagliato pagherà. Tra l’altro l’accettazione di queste condizioni fa sì che non ci siano contenzosi, ciò che in Italia può durare decenni e far permanere la concessione “in attesa di sentenza definitiva”. Abbiamo anche casi di contenziosi finiti economicamente molto male per lo Stato e quindi per le tasche di tutti noi: questa volta non accadrà.

Tutto bene quindi?
La ritengo una soluzione positiva ed anche un buon esempio per il futuro: val la pena sottolineare anche che scendendo sotto il 10% i Benetton non siederanno nemmeno più nel Consiglio di Amministrazione.
Come legge le fibrillazioni di Italia Viva, di alcuni del PD e addiritutra dello stesso M5S?
I mal di pancia di Italia Viva e minima parte del PD li leggo allo stesso modo in cui leggo che Prodi e De Benedetti insieme propongono di fare entrare Berlusconi nel governo: sono i colpi di coda di un sistema che non ha funzionato, non ha fatto il bene degli italiani eppure non vuole cedere per fini di potere. Nostalgie trasversali in tutti i vecchi partiti (tutti, nessuno escluso, purtroppo, compresi quelli che stanno e che stavano al governo con noi) di esponenti che fanno parte del vecchio sistema e che non vogliono cambiarlo. Per questo ci sono tante resistenze, il cambiamento scontenta molti. Nel M5S non ho sentito voci dissonanti sulla vicenda Autostrade.

Come valuta le tenuta di questo governo alla luce dei retroscena sull’ingresso di Forza Italia e i mal di pancia di Renzi?
Penso che questo governo abbia innegabilmente portato un cambiamento. Poi, per carità, può piacere o non piacere ma il cambiamento in Italia è una dinamica molto difficile. Ci sono state molte persone per bene che nei decenni scorsi hanno fatto battaglie anche importanti in formazioni “pulite”, ma purtroppo non hanno portato nessun risultato concreto se non quello della semplice testimonianza: il Movimento ha invece cambiato delle cose concrete -con tutti i nostri limiti – e questo crea problemi a chi vorrebbe che le cose non cambiassero mai. Il fatto che molti sedicenti antiberlusconiani – e persino storici nemici di Berlusconi come Prodi e De Benedetti – abbiano rivalutato la figura di Berlusconi “pur di togliere Conte e M5S dal governo” la dice lunga su quanto fastidio diamo al vecchio sistema. Questo valeva durante il contratto di governo con la Lega e vale adesso: abbiamo perseguito i nostri obiettivi e il nostro programma politico (penso alla legge Spazzacorrotti, al reddito di cittadinanza, al taglio dei vitalizi…) cercando di tenere la barra di governo quanto più vicina al nostro programma.

Intanto il Movimento ha trovato l’accordo sulla Liguria con il Partito Democratico candidando Sansa…
Non mi risultano accordi chiusi. Ciò detto: io penso che il Movimento sia alternativo a tutti gli altri partiti, dunque riguardo eventuali alleanze vanno valutate solo se rispettano i nostri valori. Ci sono regioni come la Sicilia in cui abbiamo sfiorato il 40% e non governiamo. Prima di parlare di accordi bisogna però decidere insieme programma, valori di riferimento e candidato presidente. In Campania, ad esempio, dove c’è De Luca per quel che mi riguarda non c’è nemmeno da discutere. Altrove si può discutere, ma tenendo sempre la barra dritta. Peraltro son cose che poi decideranno i nostri iscritti come abbiamo sempre fatto.
Ma il nome di Sansa la soddisfa?
C’è un tavolo in corso: se gli attivisti liguri e il capo politico stringono un accordo alle nostre condizioni, potremmo mettere fine alla disastrosa gestione Toti.

Leggi anche: 1. Autostrade: chi ha vinto e chi ha perso. Tra Conte e i Benetton, passa la linea Gualtieri / 2. Autostrade: dopo il Cdm vicina l’intesa finale. Niente revoca, ma Atlantia sotto il 10%: entra lo Stato

L’articolo proviene da TPI.it qui

Renzi salva il reddito di cittadinanza. Di Brunetta.

(sembra una barzelletta, lo so, fonte)

Non serve un reddito di cittadinanza, ma un lavoro di cittadinanza. L’idea è del segretario uscente del Partito Democratico Matteo Renzi. Parla dalla California, dove ha deciso di riflettere sulla ripartenza del suo percorso politico, attraverso il Messaggero: “Garantire uno stipendio a tutti non risponde all’articolo 1 della nostra Costituzione, che parla di lavoro, non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio ma anche dignità. Il reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione”. Cosa intende per “lavoro di cittadinanza” non si sa. Mentre tutti si chiedono cosa possa essere (lavori una tantum? Socialmente utili? A chiamata?), ecco che basta fare una ricerca sul web per scoprire che la proposta del lavoro di cittadinanza Renzi non l’ha scoperta in California. Bensì in Italia, leggendo la Stampa del 9 febbraio. E’ infatti un’idea lanciata dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, con tanto di dossier elaborato dal consigliere economico e capogruppo a Montecitorio Renato Brunetta, non proprio un amico di Renzi. D’altra parte, dicono i maligni, i due si dovranno pur preparare a governare insieme dopo le prossime elezioni politiche, che quasi sicuramente non daranno una maggioranza definita.

La proposta di Berlusconi (e quindi di Renzi)
Gli italiani in difficoltà, spiegava la Stampa con un pezzo di Ugo Magri, sfiorano i 14 milioni. E la sondaggista di fiducia di Berlusconi, Alessandra Ghisleri, aveva confermato che a questo giro il bacino di voti da conquistare sono i poveri. Quindi non più (o non solo) abbassamento delle tasse o ritocchi alle pensioni. Ma un “reddito minimo garantito”. Anzi, il vero nome è proprio quello buttato lì, in mezzo al colloquio con il Messaggero, da Renzi: lavoro di cittadinanza. Il leader del Pd non lo spiega cos’è quindi viene in soccorso proprio il pezzo della Stampa che cita la proposta di Berlusconi e Brunetta: garantire per legge un’occupazione di 3 mesi a tutti quanti ne faranno domanda e questi 3 mesi di lavoro daranno diritto a trascorrerne altrettanti con l’indennità di disoccupazione.

L’urgenza di Renzi di trovare “parole nuove”
Il dato politico dell’uscita di Renzi è che ha l’urgenza di trovare un segno per “farsi notare”, di utilizzare un nuovo linguaggio, nuove elementi di riconoscimento per far ripartire il suo percorso politico, dopo la sconfitta al referendum costituzionale, le dimissioni da capo del governo, la crisi nera in cui ha trascinato il suo partito. Renzi ha la fretta di individuare, insomma, le nuove parole d’ordine, dopo lo svuotamento di quelle che ha usato in questi tre anni. La sua campagna elettorale per le primarie del Pd avrà il via ufficiale con la presentazione della sua mozione congressuale a inizio marzo, al Lingotto di Torino, cioè lo stesso posto in cui fu fondato il Partito Democratico nel 2007. “Dobbiamo rivoluzionare il nostro welfare che negli Usa non c’è come da noi in Europa“. Quindi, “niente rassegnazione o ripiegamenti su se stessi”, perché “il futuro prima o poi torna”, aggiunge, riproponendo un concetto usato un mese fa nel primo articolo del suo nuovo blog.

La battaglia a Orlando e (soprattutto) a Emiliano
Quindi l’operazione è stata in due mosse. Da una parte Renzi – quasi sdegnato – si è scrollato di dosso le beghe sulle primarie che hanno fatto litigare il Pd per settimane e se n’è andato in California. Dall’altra, però, vuole essere ben inserito nell’agenda del dibattito già serrato con i suoi rivali nella corsa alla segreteria del partito di maggioranza relativa. Risponde per esempio a Andrea Orlando che ieri aveva buttato lì che Renzi va in California e lui andrà a Scampia, allo Zen e a Quarto Oggiaro (nel senso che l’origine del successo del populismo va cercato nelle periferie). “Sto girando e continuerò a farlo – dice Renzi – Ora che mi sono dimesso da tutto sono un uomo libero. Sono stato a San Francisco ma anche a Scampia e lunedì andrò a Cernusco sul Naviglio“.

L’argomento reddito di cittadinanza invece sembra il campo perfetto per affrontare Michele Emiliano. La Regione Puglia, infatti, già da oltre un anno ha varato un “reddito di dignità” con 600 euro per 60mila persone. “E’ un modo di essere di sinistra in modo moderno” aveva detto il governatore. Già allora Renzi diceva che per combattere la povertà non ci vuole un reddito di cittadinanza ma un lavoro, così non sorprende che lo ripeta ancora oggi.

I redditi di cittadinanza nelle Regioni a guida Pd
Al contrario, in realtà, il Pd sperimenta già oggi in diverse Regioni d’Italia redditi di cittadinanza o simili chiamati in modi diversi e sviluppati con forme diverse. In Emilia Romagna – presidente Stefano Bonaccini, renziano – proprio quest’anno partirà una misura che distribuirà fino a 400 euro al mese in una platea di 90mila cittadini. In Friuli Venezia Giulia – presidente Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd, renziana – andrà avanti fino al 2018 una misura a sostegno delle famiglie, con una quota di garanzia fino a 550 euro. Provvedimento simile lo ha provato la Regione Basilicata – presidente Marcello Pittella, renziano -, dove l’assegno per circa 8mila famiglie avrebbe come base le royalty del petrolio. Ultimo caso in ordine cronologico in Regione Toscana – presidente Enrico Rossi, uscito dal Pd, proponente Leonardo Marras, capogruppo renziano – dove la proposta in discussione in consiglio propone di dividere 35 milioni di euro in favore di 54mila famiglie in difficoltà.

Il M5s: “Si è dimenticato che ha governato per 3 anni”
Nel frattempo le opposizioni al governo rispondono a Matteo Renzi. “Lavoro di cittadinanza? Ci chiediamo come mai non ci abbia pensato negli ultimi 3 anni in cui ha governato il Paese” dichiarano i parlamentari M5S delle commissioni Lavoro di Camera e Senato. “Il Jobs Act doveva creare lavoro – proseguono i Cinquestelle – ma oltre ad essersi rivelato un vero e proprio sperpero di miliardi di euro, è servito solo per rendere il mondo del lavoro più precario ed insicuro. Renzi non ha alcuna credibilità ed ha dimostrato di non aver mai avuto alcuna visione di futuro”.

Parla invece di “merce tarocca” il senatore di Forza Italia Lucio Malan. “Dopo aver messo in campo con il Jobs Act una riforma del mercato del lavoro disastrosa, i cui costi sulle tasse degli italiani sono andati in gran parte a beneficio delle aziende per assunzioni che avrebbero fatto comunque, Renzi ora lancia il vuoto slogan del lavoro di cittadinanza, cercando di pescare voti grillini con la scopiazzatura del nome. Insomma il ‘lavoro di cittadinanza’ è merce tarocca come quella che vendono abusivamente certi clandestini importati dal suo governo”.

“La proposta di Renzi sul lavoro di cittadinanza arriva fuori tempo massimo – sottolinea il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa – L’attenzione doverosa verso i soggetti più fragili doveva caratterizzare le riforme messe in campo quando Renzi era premier. Farlo ora appare un’operazione alquanto sospetta e volta a inseguire il Movimento 5 Stelle”. Il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni è sarcastico: “Renzi è proprio geniale. Perché, che il lavoro è condizione di una cittadinanza degna è scritto nel primo articolo della Costituzione, quella che lui voleva demolire, e perché – sempre lui – ha fatto approvare il Jobs Act – di cui continua a cantare le lodi contro ogni ragionevole evidenza – che aveva come principale obiettivo quello di rendere più facile il licenziamento di chi un lavoro lo ha già.

Perché non ci fermiamo

La preparazione è stata lunga e faticosa (e devo ringraziare tutti quelli che stanno lavorando) e la decisione non è stata facile ma ormai ci siamo: domani alle 14.30 al Teatro della Cooperativa in via Hermada 8 a Milano, Non Mi Fermo smette di essere un’idea e diventa l’etica che vogliamo nelle nostre città: ‘politica’ si direbbe se non fosse che la parola oggi suona così poco luminosa. Perché rispetto all’anti politica preferiamo l’altra politica, lo scrive bene Stefano RodotàE i partiti? Silenziosi o diffidenti, timorosi della loro ombra. Si pensi a quel che è avvenuto a Milano, dove una meritoria iniziativa del sindaco riguardante le coppie di persone dello stesso sesso ha provocato sconcertanti reazioni di rigetto all´interno dello stesso Pd, dove evidentemente si ignora che una sentenza della Corte costituzionale ha affermato che queste persone hanno un diritto fondamentale a veder riconosciuta la loro condizione. La questione non può essere considerata minore o locale, poiché rivela come all´interno di quel partito non vi sia una elaborazione programmatica riconoscibile, si è paralizzati dall´irrisolto rapporto tra le diverse forze che hanno dato origine al Pd e che troppe volte fanno emergere tentazioni integraliste e incapacità di altri settori del partito di definire una posizione netta proprio sui diritti fondamentali delle persone. Non diversa è la condizione del Pdl, prigioniero di fondamentalismi figli soprattutto d´una stagione d´un collateralismo strumentale, quando il partito si presentava come il portavoce della gerarchia vaticana.  Stanno così nascendo due circuiti: quello, talora discutibile ma dinamico, dellaltra politica e quello congelato del sistema dei partiti. Questultimo si chiude sempre più in se stesso, rifiuta il dialogo, e ne paga i prezzi. Quando le condizioni istituzionali rendono inevitabile il contatto tra i due circuiti, infatti, è quasi sempre quello dell´altra politica a prevalere. Lo dimostra, per il Pd, l´esperienza negativa di primarie e elezioni, da Milano a Cagliari, da Napoli all’ultimo episodio di Genova. 

Non ci fermiamo perché abbiamo il dovere di rivendicare il Paese migliore che abbiamo in mente e vogliamo costruirne la direzione senza esclusioni, vogliamo essere dentro al cambiamento ‘amando le differenze’ e perché vogliamo essere adeguati al nostro tempo e soprattutto che il nostro tempo sia adeguato ai nostri diritti (e renda ineludibili i doveri). Domani parleranno gli amici e i compagni con cui abbiamo già fatto tanta strada insieme (penso a Sonia, a Luigi) insieme agli incroci di questo ultimo anno (Chiara e il nostro lavorare insieme in Regione, Daniele e il suo profumatissimo PGT a Desio) e con quelli che verranno. E’ solo l’inizio, domani, di qualcosa che non ci facciamo scappare.

Il programma degli interventi:

  1. Giulio Cavalli e Chiara Cremonesi
  2. Sonia Alfano – la commissione antimafia europea
  3. Luigi De Magistris – intervento video: beni comuni
  4. Alessio Baù – politica e internet
  5. Chiara Pracchi – le contraddizioni della Lega
  6. Giovanni Giovannetti – territorio
  7. Daniele Cassanmagnago – territorio e pgt
  8. Patrizia Quartieri – psichiatria e competenze del Comune
  9. Federico Cimini – cantautore
  10. Loris Mazzetti– informazioni Co.re.com.
  11. Claudio Messora – opena data, agenda digitale
  12. Vladimiro Boselli – antimafia
  13. Diego Parassole – acqua pubblica
  14. Iolanda Nanni – pendolari, trasporti, class action
  15. Corrado Del Bo’ – reddito di cittadinanza
  16. Edda Pando – immigrazione e diritto cittadinanza
  17. Nicoletta Riboldi – scaffale della legalità nelle biblioteche lombarde
  18. Rodolfo Serianni – G.A.S.
  19. Jole Garuti – legalità costituzione scuole
  20. Piero Ricca – diritto audizione
  21. Daniele Biacchessi – resistenza e antifascismo
  22. Renato Sarti – cultura
  23. Marco Fraceti – osservatorio antimafia Monza e Brianza
  24. Federico Cimini – cantautore
  25. conclusioni
Gli interventi saranno declinati in ordini del giorno, mozioni, proposte di legge che saranno disponibili (con i video degli interventi) sul sito www.nonmifermo.it
Diretta twitter #nonmifermo

Il reddito di cittadinanza come innovazione

Una riflessione inattesa e pungente sul reddito di cittadinanza come motore di innovazione. E’ di Alberto Cottica (vi consiglio di leggere il suo bel libro WIKICRAZIA). Pensavo a queste cose domenica, assistendo a un convegno in cui si discuteva di reddito minimo. Nella sua versione più semplice, si tratta di un reddito sganciato dal lavoro o dal possesso di ricchezza: vi hanno diritto tutti, per il solo fatto di esistere. Non sono un esperto, ma ho capito che viene inquadrato come una misura volta a ristabilire la dignità delle persone, a renderle più sicure meno ricattabili. Tutto questo ha molto senso, ma mi viene da pensare che il reddito minimo potrebbe essere anche una misura di politica dell’innovazione: liberi dal bisogno immediato, soprattutto i giovani sarebbero più in grado di assumersi dei rischi, lanciandosi in nuove idee. La maggior parte fallirebbe, come sempre accade, ma questi fallimenti costerebbero pochissimo), e quelle di successo potrebbero avere impatti straordinari, largamente in grado di pagare i costi dell’intera operazione. In effetti credo che il costo per la collettività del reddito minimo sia zero: anche adesso nessuno muore di fame, si tratta solo di spostare capacità di spesa da soggetti garantiti a soggetti non garantiti! Tutto questo si traduce in un mix di politiche dell’innovazione che investe meno su attività (come la ricerca di laboratorio) o su organizzazioni (imprese o università) e più sulle persone. L’idea di base è metterle in grado di attaccare i problemi che ritengono importanti, poi togliersi di mezzo e valutarne i risultati. Che è poi semplice buon senso, a meno che non si ritenga che le persone – i giovani, in questo caso – siano normalmente ciniche, pigre o peggio.