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La soluzione apparente

La prevenzione anti-Covid 19 e i treni: si decide una data di scadenza per i viaggi con distanziamento, per poi accorgersi nell’ultimo giorno utile che quella decisione andava prorogata

Ogni volta che si tratta di qualche misura di prevenzione per il Covid-19 in Italia (ma accade così purtroppo in tutto il mondo) ci si schianta contro una realtà difficile da commentare. Si pensava che almeno il dolore lasciasse ferite abbastanza profonde per non permettersi di non essere seri, si pensava che i morti e il dolore non passassero come ci si dimentica di un raffreddore e invece ci si inchioda sempre, tutte le volte.

La questione dei treni, a esempio, è qualcosa degna di una sceneggiatura di teatro dell’assurdo: si decide una data di scadenza per i viaggi distanziati sui treni a lunga percorrenza, e questo è abbastanza normale visto che i decreti devono avere delle scadenze, per poi accorgersi nell’ultimo giorno utile che quella decisione andava prorogata. Decine di esperti, di task force, di funzionari, di protocolli e di raccomandazioni e poi questo agire da scavezzacollo che si sbuccia le ginocchia in discesa. A posto così.

Il fatto è che una decisione andrebbe spiegata per bene, bisognerebbe avere la forza e la credibilità (anche politica) di argomentarla almeno per non dare voce ai fiotti di complottisti che sbucano ovunque e invece ogni volta si tratta di una soluzione apparente, come i banchi con le ruote delle scuole che hanno monopolizzato un dibattito che invece è ampio e denso, una soluzione appoggiata come pezza e che mostra tutto il buco.

Perché se io rischio di ammalarmi su un treno (e non ho motivo per dubitarne) mi sfugge il motivo per cui la durata del viaggio (che è la stessa da Milano a Bologna sulle linee a alta velocità, come qualche traiettoria pendolare regionale) non capisco perché quello stesso rischio poi non lo corro in altri luoghi in cui evidentemente si è deciso di lasciare correre.

E in tutto questo fa sorridere che Regione Lombardia, non contenta dei lutti e delle figuracce fatte fin qui (in attesa degli sviluppi giudiziari) ancora giochi al trucco di mettersi contro il governo.

Oppure c’è una spiegazione un po’ più semplice e banale: tra un mese bisogna riaprire uffici, fabbriche e scuole e tocca allentare senza volerlo dire e apparentemente occuparsene in modo che poi appaia tutto normale. Che è l’interesse di molti, molto ricchi, molto potenti.

Buon martedì.

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Lombardia, la consigliera di Italia Viva che finge di fare opposizione e invece sta con Fontana

Chissà se qualcuno dalle parti di Italia Viva, il partito guidato e fondato da Matteo Renzi e dalla sua truppa, un giorno o l’altro avranno voglia di dire qualcosa sulla loro consigliera in Regione Lombardia Patrizia Baffi, che continua a collezionare posizioni a dir poco discutibili e che continua allegramente a essere il pezzo di maggioranza aggiunta che finge di stare all’opposizione.

Patrizia Baffi, tanto per dare idea di chi stiamo parlando, è quella stessa consigliera che era stata eletta alla presidenza della commissione d’inchiesta sul Covid in Lombardia con i voti della maggioranza, quella stessa maggioranza che avrebbe dovuto essere messa sotto inchiesta. E lei aveva anche insistito sul fatto che quella sua investitura fosse qualcosa che avesse a che fare con la meritocrazia piuttosto che spiegarci questo suo atteggiamento sempre così vicino al presidente Fontana e ai suoi uomini con tanto di foto di sostegno addirittura sul suo profilo Instagram. In quel caso l’onda di indignazione la costrinse a dimettersi (venne criticata anche dai dirigenti del suo partito).

Ma giusto ieri la consigliera Baffi ha deciso di salire ancora all’onore delle cronache applaudendo convintamente l’intervento del presidente Attilio Fontana (un intervento che non ha spiegato nulla di quello strano ordine di camici della società del cognato e della moglie e che non ci ha spiegato nulla sui suoi 5 milioni di euro scudati in un conto svizzero di cui nessuno conosce l’origine).

“Da parte mia – ha detto la consigliera di Italia Viva – ho deciso di non sottoscrivere la mozione di sfiducia al presidente, proposta dal Movimento 5 Stelle, perché ritengo che sia il frutto di una elencazione di fatti ancora sommari e la cui analisi non può essere completa ed esaustiva: una analisi seria e le conseguenti valutazioni politiche su un’emergenza che è tutt’ora in corso, potremo farla solo quando avremo tutti gli elementi utili”. E non contenta ci ha anche spiegato che “cambiare vertici in questo momento in cui si scongiura una possibile seconda ondata di Covid-19 in autunno, eventualità che non possiamo per ora escludere vorrebbe dire mettere regione Lombardia e le nostre comunità in una situazione di grande difficoltà e insicurezza”.

Davvero i vertici del partito ritengono normale l’atteggiamento della loro consigliera, che insiste nel giochetto di appoggiare la maggioranza fingendo di essere all’opposizione? Davvero ieri nessuno si è sentito in imbarazzo per la sua assenza alla conferenza stampa dell’opposizione? Davvero?

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Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: quando “serve” la Lega diventa internazionale

Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: se “serve”, la Lega è internazionale

Dice “prima gli italiani” ma la Lega ama l’estero, eccome se lo ama, e si riferisce a Paesi stranieri quando c’è da brigare affari di soldi e utilità. C’è la laurea di Renzo Bossi in Albania, all’Università albanese Kriistal di Tirana, che potrebbe essere la prima scena di questa brutta commedia all’italiana in cui gli odiati albanesi (quelli contro cui la Lega ha lanciato strali) sono gli stessi che poi incoronano il figlio dell’imperatore. Rimarrà negli annali anche la meravigliosa risposta del figlio del Senatur, che ai giornali disse di essersi laureato a sua insaputa.

Ma Umberto Bossi e i figli Riccardo e Renzo sono finiti anche in un processo che ci porta addirittura in Tanzania, dove l’ex tesoriere del partito Francesco Belsito ha investito parte dei rimborsi elettorali, acquistato partite di diamanti e poi distribuito soldi alla famiglia del segretario della Lega. Il tesoriere genovese Franco Belsito alla vigilia di Capodanno 2012 fa partire da Genova il bonifico da 4,5 milioni di euro, destinati a finire in Tanzania, svelando il giro di mega prelievi, operazioni offshore, movimenti di assegni, vorticosi giri tra Africa e Cipro, milioni di corone norvegesi e pacchi di dollari australiani. La seconda scena della commediola in salsa leghista potrebbe essere quella Audi A6 che parte da Genova a Milano con undici diamanti e dieci lingotti d’oro nel bagagliaio da consegnare direttamente in via Bellerio. Si tratta del famoso processo dei famosi 49 milioni di euro (di cui Salvini continua a parlare come “parte lesa” dimenticandosi di diritti lesi dei cittadini italiani) che si è chiuso con un’inedita trattativa per cui il partito di Salvini pagherà in 76 comode rate annuali da 600mila euro l’una. Data di estinzione del debito: 2094, alla faccia dei cittadini abituati alle rateizzazioni di Equitalia.

Poi c’è quell’incontro in Russia, con la visita a Mosca del leader leghista all’epoca ministro e vicepremier, in cui il suo ex portavoce Gianluca Savoini all’Hotel Metropoli il 18 ottobre del 2018 parla di alcuni fondi neri che dovrebbero arrivare al partito attraverso una fornitura di petrolio. L’inchiesta è ancora in corso ma la conversazione (al di là del fatto che Salvini sapesse o meno) l’abbiamo ascoltata tutti. Infine c’è il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, con il suo trust alle Bahamas con 5 milioni di euro, regolarizzati da uno scudo fiscale ma sulla cui origine nulla dice.

Prima gli italiani, dicono, ma questi leghisti hanno le mani in pasta sui conti correnti in giro per il mondo.

Leggi anche:

1. Esclusivo TPI: Ecco che fine hanno fatto i 49 milioni della Lega / 2. Fondi Lega, l’ex tesoriere Belsito: “Dovete chiedere a Maroni e Salvini come hanno usato quei soldi” / 3. Fondi Lega: tutto quello che c’è da sapere sulla truffa allo Stato e sui soldi del partito spariti nel nulla

4. Esclusivo TPI, ex tesoriere Lega: “I 49 milioni? Li abbiamo spesi scientemente. Salvini era d’accordo” / 5. Esclusivo TPI: L’ex segretaria di Bossi accusa anche Giorgetti: “I milioni della Lega usati per licenziare i dipendenti” / 6. Esclusiva TPI: “Salvini sapeva dei 49 milioni spariti, ma non fece nulla”. Le rivelazioni shock dell’ex dipendente della Lega che incastrano il Segretario

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Il virus in Lombardia è l’amministrazione di Attilio Fontana

Nuova puntata delle incredibili avventure del signor Fontana che sta piano piano logorando la Lombardia seduto sul trono di presidente di Regione e del suo compagno di brigata Matteo Salvini che ormai rimpiange quelle belle estati in cui l’errore era semplicemente quello di bere troppo Mojito sulla spiaggia del Papeete.

Mettere in fila tutte le bugie della storia dei camici che non lo erano, che erano una donazione che non lo era, di cui sapeva e che non sapeva è qualcosa che provoca le vertigini. In piena emergenza Covid Regione Lombardia acquista mezzo milione di euro di camici da una società che appartiene alla famiglia della moglie di Fontana. La cosa, scoperta dalla trasmissione Report, risulta piuttosto inopportuna poiché l’acquisto di quei camici non avviene con una normale gara pubblica ma con una trattativa privata: viene quasi il dubbio che gli affari della Regione, per di più nel drammatico momento della pandemia, avvenissero nel salotto di casa.

Il cognato di Fontana, raggiunto dai giornalisti, dichiara di avere commesso un errore formale e che quella fornitura di camici era semplicemente una donazione. Toh, guarda che bravo, che cuore d’oro. Accade anche che venga emesso uno storno della fattura prodotta dall’azienda (in effetti era strano il modo di regalare fatturando, in effetti) e si pensa che la storia finisca lì. E invece la Procura decide di volerci vedere chiaro.

E Fontana? “Non ne sapevo nulla e non sono mai intervenuto in alcun modo”, disse lo scorso 7 giugno in un’intervista del Corriere della Sera. E invece mentiva. Eh, sì. Fontana con parte dei soldi di un conto in Svizzera a suo nome (nel 2015 aveva “scudato” 5,3 milioni detenuti fino ad allora da due trust alle Bahamas) il leghista cercò di effettuare già il 19 maggio, proprio nei giorni della famosa intervista di Report, un bonifico sospetto da 250mila euro in favore della Dama spa del cognato e, per il 10%, della moglie Roberta. Il bonifico viene bloccato per le norme antiriciclaggio e così viene scoperto.

Questa è la storia. Quella stessa storia che Salvini vuole derubricare come inchiesta a orologeria (ha imparato la frasetta dal suo padrone Berlusconi). Poi, volendo andare a parlare di politica sarebbe anche curioso sapere cosa siano quei 5,3 milioni di euro nascosti nelle Bahamas e recuperati con lo scudo fiscale.  Insomma tutta la storia fa acqua da tutte le parti.

Ma davvero in Lombardia ce lo meritiamo, Fontana?

Buon lunedì.

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Gli stra-ordinari pazienti di Gallera

Il magico mondo della Sanità privata visto con gli occhi dell’assessore al Welfare con delega alla Sanità della regione più devastata dalla pandemia

«Gli ospedali sono stati sommersi da pazienti Covid e il privato ha aperto le sale di terapie intensive e le loro stanze lussuose a pazienti ordinari che venivano trasferiti dal pubblico. Il nostro compito è mantenere questo equilibrio». Sono le parole dell’assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera, uno che ogni volta che parla riesce a mostrarsi perfettamente per quello che è e per quello che pensa. In fondo è una fortuna avere politici così: non c’è nemmeno bisogno di grattare la superficie per trovarci già tutto bell’e pronto.

Nella frase c’è tutto, basta avere voglia di analizzare con calma.

Ci sono i lussuosi ospedali privati. Gente che riesce con soldi pubblici a puntare all’esclusività come caratteristica. Ora alzi la mano chi si sente rassicurato dall’abitare in una regione in cui la sua eventuale malattia ha la possibilità di svolgersi nel lusso, come se gli ospedali siano resort da giudicare per i servizi annessi e connessi in un Paese (e in una regione) in cui ci si mette mesi a accedere a esami specialistiche con lunghissime liste d’attesa. Eccola la sanità lombarda, il modello di cui tutti ci parlano da decenni: ospedali lussuosi pagati con soldi pubblici che tolgono denaro e energie agli ospedali pubblici che annaspano. Glorificare un ospedale perché lussuoso è un po’ come magnificare un salame perché è veloce oppure lodare un architetto perché cucina ottimi tortellini. Una cosa così.

Poi ci sono i pazienti ordinari. E siccome l’italiano non è un’opinione quella frase ci dice che ci sono anche pazienti straordinari, inevitabilmente. Non si sfugge. Che esistano pazienti di serie a e di serie b in una regione che ha trasformato la cura in un business è cosa risaputa. Non si tratta solo di chi può permettersi la sanità (così come la scuola) privata alla faccia di chi deve affidarsi al servizio pubblico che ogni tanto non c’è: si tratta di avere l’accidente giusto, in sostanza avere la fortuna che la propria malattia possa interessare a livello di fatturato e quindi si diventa improvvisamente ottimi clienti. Perché è tutto un enorme supermercato dei malati, pagato con i soldi di tutti, in cui guadagnano in pochi.

Complimenti per la sincerità, Gallera.

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In Lombardia i contagi si impennano di nuovo. Ma nessuno ne parla, tantomeno Fontana e Gallera

Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che si adagia sulle diverse fasi, cambia registro ogni volta che bisogna spingere ad aprire tutto prima e chiudere tutto poi. Ora provate a chiudere gli occhi e tornate con la mente al periodo della quarantena nazionale, quando tutti rimasero al guinzaglio del terrore rinchiusi in casa mentre ogni giorno si svolgeva la messa laica della Protezione Civile che snocciolava dati, infetti, decessi e guariti. Immaginate lì, in uno a caso di quei giorni, una Lombardia con un nuovo picco dei contagi che contiene il 66,4% dei nuovi contagiati totali su tutto il territorio nazionale, immaginate di sapere (perché è così) che solo oggi stanno facendo tamponi a persone che si sono ammalate talmente tanto tempo fa che sono già guarite (o morte) e che hanno dovuto affidarsi al proprio buonsenso per non infettare gli altri e per rimanere chiusi in casa senza essere registrati, tracciati e seguiti da nessuna Ats.

Immaginate un sindaco di una città importante come Bergamo, come Giorgio Gori, che scriva quello che ha scritto ieri quando ha dichiarato senza mezzi termini: “Leggo che in Lombardia ieri ci sono stati 32 decessi per Covid. Non si sa però dove, in quale provincia, perché la Regione non comunica più i dati divisi. Da quando abbiamo segnalato che i decessi reali erano molti dpiù di quelli ‘ufficiali’, hanno secretato i dati per provincia” e che “neppure i dati sui guariti vengono più comunicati, e sì che sarebbero importanti per capire che oggi le persone ammalate sono poche” e che “non vengono comunicati neanche i dati dei positivi Covid divisi per singolo comune”.

Tutto questo mentre diverse Procure indagano sulla mancata istituzione della zona rossa tra Alzano e Nembro e sulle troppe morti all’interno delle RSA lombarde. Immaginate quei numeri se fossero serviti per giustificare una chiusura totale e osservateli oggi come vengono bisbigliati per non disturbare l’apertura e l’operosità che non si può fermare: i numeri possono diventare opinioni quando serve. E notate, tanto che ci siete, il silenzio dei virologi, l’attenzione caduta delle trasmissioni televisive e la mancanza dei grandi pareri di opinionisti di ogni sorta. Il virus è finito, hanno deciso così, e per finirlo basta smettere di raccontarlo e fare passare tutto come una semplice naturale lunga coda. I morti di questi giorni sono morti accidentali, i contagiati sono laterali. Stiamo a posto così. Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che riesce sempre a essere perfetta per il duo Fontana e Gallera.

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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Appalto a sua insaputa

Una nuova fiammante storia arriva dalla Lombardia del duo Fontana & Gallera e questa volta si impiglia tra le pieghe dei parenti del presidente, più precisamente nelle pieghe di bilancio della Dama spa che appartiene – tramite Divadue srl – per il 10% a Roberta Dini (moglie di Attilio Fontana) e per il resto delle quote – tramite una fiduciaria svizzera – a suo fratello Andrea Dini.

Il 16 aprile Regione Lombardia tramite l’agenzia regionale pubblica degli acquisti Aria spa acquista dalla moglie e dal cognato di Fontana camici per un valore di 513mila euro. I bravi giornalisti di Report (la puntata andrà in onda stasera) chiedono spiegazioni al cognato di Fontana: quello prima risponde che «non è un appalto, è una donazione. Chieda pure ad Aria, ci sono tutti i documenti» e poi si corregge aggiungendo che «effettivamente, i miei, quando io non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha male interpretato, ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione».

Dal canto suo il presidente Fontana, ha annunciato, tramite un comunicato, una querela nei confronti del Fatto quotidiano che ha anticipato il contenuto dell’inchiesta di Report, e ha diffidato la trasmissione di RaiTre «dal trasmettere un servizio che non chiarisca in maniera inequivocabile come si sono svolti i fatti». Nella nota Fontana ha ribadito la sua «totale estraneità alla vicenda» e ha precisato di aver «già spiegato per iscritto» agli inviati di Report di non sapere «nulla della procedura attivata da Aria spa» e di non essere «mai intervenuto in alcun modo». Ed ecco la replica di Ranucci (Report): «Non vedo proprio perché non dovremmo andare in onda. In fondo raccontiamo un bel gesto. Senza di noi e senza il Fatto Quotidiano nessuno avrebbe infatti saputo che l’azienda del cognato del presidente della Lombardia ha donato ai suoi cittadini materiale sanitario. E dal momento che Fontana dice di essere all’oscuro possiamo dire che tutto sia avvenuto a sua insaputa, sia in Regione che in casa. Insomma credo debba ringraziarci. Se non ce ne fossimo occupati noi avrebbe continuato a non sapere nulla».

In effetti a fine maggio risultano stornati i soldi con una nota d’accredito ma risulta piuttosto significativa la risposta di un appalto a sua insaputa che aggiunge un nuovo capitolo all’insaputismo dei nostri politici – alcuni dei quali negli anni hanno ricevuto appartamenti, favori, scambi e ogni volta ci hanno spiegato che non possono controllare tutto.

L’insaputismo del resto è lo stesso male che attanaglia quelli che continuano a concedere le piazze ai fascisti stupendosi poi che si comportino da fascisti oppure quelli che soffiano sulla violenza e poi si stupiscono della violenza oppure quelli che a sua insaputa hanno messo i malati in mezzo agli anziani delle Rsa.

Bisognerebbe scrivere una nuova legge morale: se qualcuno a sua insaputa è stato gravemente inopportuno allora è troppo superficiale per ricoprire un incarico pubblico. Solo così, forse, si potrebbe sconfiggere il virus dell’insaputismo che infesta la storia politica d’Italia.

Buon lunedì.

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Il “grande affare” Pedemontana ora è un quasi fallimento

Ah, la “Lombardia che produce”. Ne scrive il Sole 24 ore:

La Procura di Milano chiede il fallimento della società autostradale Pedemontana. Il documento, dove sono stati spiegati i presupposti della richiesta, è stato inviato due giorni fa al Tribunale di Milano, chiamato ad esprimersi. Pedemontana era già sotto inchiesta (ipotesi di falso bilancio); ora i pm Roberto Pellicano, Giovanni Polizzi e Paolo Filippini chiedono a giudici di verificare se «la società Apl (Autostrada Pedemontana lombarda) si trovi «nelle condizioni previste dalla legge fallimentare».

Controllata dalla società autostradale Serravalle (finita a sua volta sotto il controllo della Regione Lombardia con il passaggio dalla Provincia di Milano alla città Metropolitana) e partecipata da Intesa sanpaolo, Unione di banche italiane e, in piccolissima quota, da Bau Holding Beteiligugs, la Pedemontana ha una lunga e controversa storia. Si tratta di una strada di 68 km (più due tangenziali più piccole a Como e Varese) che dovrebbe collegare la provincia di Varese con quella di Bergamo, e che aspetta di essere costruita da 20 anni. Per ora siamo ad un terzo dell’opera e se la Provincia di Milano non è stata in grado di ricapitalizzare la società, con il nuovo azionista Regione Lombardia i vertici di Serravalle stavano lavorando ad un progetto di parziale privatizzazione per trovare capitale fresco.

Si tratterebbe del project financing più grande d’Italia: il valore dell’opera è di 5 miliardi inclusi gli oneri finanziari. Al momento ci sono 1,2 miliardi di contributi pubblici (di cui 800 già utilizzati), 450 milioni tra equity e prestito subordinato, 200 milioni di prestito ponte. Il secondo lotto è stato aggiudicato all’austriaca Strabag, con cui la società ha avviato peraltro un contenzioso sulla richiesta di extracosti. La concessionaria Cal ha affidato a Pedemontana la progettazione, realizzazione e gestione della società e il piano finanziario è stato approvato dal Cipe il 6 novembre 2009.

Ritardi e conti per la Procura

Ricordano i procuratori che «i bilanci evidenziano uno squilibrio finanziario della società che risulta sovraccaricata, quantomeno dal 2012, del peso dell’indebitamento, in particolare nei confronti degli istituti di credito e dei fornitori che rappresentano il 66-72% del totale fonti di finanziamento».

Il documento ricorda anche la natura del prestito ponte «con un pool di banche cui venne attribuito parallelamente l’incarico di arrangers in relazione alla strutturazione del prestito project da circa 32 miliardi…è oggetto di continue proroghe. Altri debiti di rilievo sono nei confronti dei debitori per le tratte dei lavori in costruzione e per gli espropri».

Un’altra passività, si ricorda, è anche «il finanziamento fruttifero erogato dalla controllante Milano Serravalle… che dopo l’ultimo finanziamento pari a 50 milioni, oggi è arrivato a 150 milioni». La procura elenca poi le perdite: nel 2013 15 milioni; nel 2014 7 milioni e oltre 22 milioni nel 2015. Nella semestrale del giugno 2016 si registra un’ulteriore perdita di oltre 6 milioni. Il bilancio 2016 era stato firmato dal presidente Antonio Di Pietro, rimasto in carica un anno. «Non è ragionevole prevedere che lo stato di insolvenza possa recedere», conclude la procura, che sottolinea: «l’eventuale sperpero d denaro di pubblica provenienza può risultare anche penalmente rilevante». La relazione da cui prende avvio la richiesta è stata firmata dal consulente Roberto Pireddu.

La reazione
Nelle casse di Pedemontana ci sono 50 milioni e nessun creditore ha fatto richiesta di risarcimento. Questa la reazione della società, che punta il dito anche contro un’analisi della procura che si è fermata al 2015. Nel 2016 infatti il bilancio, firmato da Di Pietro, aveva garantito la continuità aziendale. Regione Lombardia sottolinea il suo impegno a voler proseguire l’opera e a presentare le controdeduzioni nell’udienza del 24 luglio.

Sorpresa: gli stranieri diminuiscono in Lombardia (e lo dice la Regione). Non ditelo a Salvini.

Il bravo (e curioso) Stefano Catone (a proposito: leggetevi il suo libro Nessun Paese è un’isola) è andato a ripescare il rapporto 2016 sull’immigrazione in Lombardia scoprendo che la retorica leghista è contraddetta proprio in terra di Lega:

«Da alcuni anni la dinamica dei flussi migratori dall’estero sembra essersi decisamente affievolita. I dati statistici ufficiali di fonte Istat indicano per il 2015 un aumento della popolazione straniera residente in Italia che è “solo” di 12mila unità, mentre l’equivalente dato lombardo evidenzia persino un calo di 3mila residenti.

È pur vero che i numeri della crescita (o della decrescita) andrebbero rivisti anche alla luce sia del forte aumento di acquisizioni di cittadinanza – 178mila in Italia e 46mila in Lombardia – sia del movimento naturale; tuttavia, sembra innegabile che nella realtà migratoria del nostro tempo si stia progressivamente avviando un nuovo corso: se infatti fino agli anni della crisi era il saldo migratorio dall’estero a spingere la crescita della popolazione straniera presente in Lombardia e il contributo netto del saldo naturale trovava quasi del tutto compensazione nelle “perdite” per passaggio alla cittadinanza italiana, nel secondo decennio del secolo il flusso netto dall’estero si è progressivamente contratto, al punto da non compensare, come è accaduto nel 2015, le stesse acquisizioni di cittadinanza.

È dunque in atto una stagione che mentre da un lato evidenzia un freno all’attrattività “tradizionale” per via delle persistenti difficoltà di ordine economicooccupazionali, senza per altro impedire ulteriori progressi nei percorsi di integrazione di chi è da tempo presente (e la crescita delle acquisizioni di cittadinanza lo dimostra chiaramente), dall’altro vive gli effetti della forte pressione prodotta dai flussi “straordinari” legati al consistente aumento degli sbarchi e al fenomeno dei richiedenti asilo, con la loro imprevedibilità e problematicità.»

Eccolo qui:

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Come Maroni combatte la povertà: rendendo abitabili gli scantinati. Per riempirli di povera gente.

Uno strumento di rilancio per l’edilizia, un «provvedimento di buon senso», oppure «una deregulation selvaggia che riempirà gli scantinati di povera gente». Nello spettro di opinioni c’è la realtà di una legge, approvata ieri dall’aula dal Pirellone, che renderà abitabili 40mila seminterrati che potranno nel caso essere trasformati anche in bar o negozi.

Tutto, o quasi, ruota intorno a una norma tecnica: uno dei parametri a cui il nuovo provvedimento permetterà infatti di derogare è l’altezza dei locali da recuperare, che in ogni caso non potrà essere inferiore a 2,40 metri. Nel caso di incremento dei volumi urbanistici è comunque previsto l’obbligo di trovare nuovi spazi per parcheggi e servizi ed è fissato un termine perentorio di 120 giorni dall’entrata in vigore del testo, entro il quale a ciascun Comune resta in ogni caso la facoltà di disporre l’esclusione di parti del territorio dall’ applicazione della legge stessa, per esigenze legate alla necessità di tutela dei luoghi.

La legge è passata con 37 voti a favore (la maggioranza di centrodestra) e 32 contrari (centrosinistra e Movimento Cinque Stelle). Le norme possono essere applicate agli immobili realizzati successivamente all’entrata in vigore della legge solo dopo 5 anni dalla loro costruzione. A inizio seduta per soli due voti era stata peraltro bocciata l’eccezione di costituzionalità sollevata dalle opposizioni.

Durante il dibattito in aula il provvedimento ha subito alcune correzioni, anche per le riserve del gruppo della Lega. Un emendamento, fatto proprio dal M5S, ha per esempio stabilito che i vani e i locali seminterrati non potranno essere oggetto di mutamento di destinazione d’uso nei dieci anni successivi al conseguimento dell’agibilità. Via libera (a scrutinio segreto) anche alla proposta di modifica con la quale si prescrive che nel caso il recupero del seminterrato comporti la creazione di un’autonoma unità abitativa, i Comuni dovranno trasmettere comunicazione alle Ats locali.

Per il relatore del provvedimento Fabio Altitonante (Forza Italia), «si tratta di una legge innovativa, facile e veloce, senza nuove tasse né burocrazia. Aumenterà l’offerta per imprese e cittadini e ci saranno effetti importanti per il rilancio del settore edile. È una legge green: zero consumo di suolo e più efficienza energetica». Soddisfatto anche il governatore leghista Roberto Maroni. «È stata approvata una legge utile e importante, esattamente come fu quella contro il consumo di suolo ingiustamente accusata dalla sinistra di favorire il partito del cemento». «Un condono preventivo», «un orrore urbanistico destinato a creare ghetti negli scantinati», protestano invece le opposizioni per una volta compatte. È in arrivo, pronosticano i consiglieri di centrosinistra, il decimo provvedimento regionale impugnato dal governo davanti alla Consulta «per ragioni di palese incostituzionalità».

Esultano invece, come prevedibile, i costruttori. Secondo Achille Colombo Clerici di Assoedilizia «si tratta di una legge di grande saggezza amministrativa che va nella direzione di rendere utilmente funzionali strutture edilizie già regolarmente esistenti, ma sottoutilizzate. In questo modo la legge ovvia ad un nonsenso. Si tratta infatti di intervenire per realizzare abitazioni o locali ad uso diverso dove già esistono spazi legittimamente costruiti; si amplia l’offerta di funzioni e non si consuma nuovo suolo». Altrettanto prevedibile l’opposizione di Legambiente che punta il dito, tra l’altro, contro le possibili conseguenze sanitarie della deregulation abitativa: «Rendere abitabili i seminterrati — dice Damiano Di Simine — implica una gravissima sottovalutazione del rischio dell’inquinamento da radon, gas radioattivo spesso presente nelle nostre cantine».

(fonte)