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Rimozione collettiva fallita

In fondo è un atteggiamento psicologico che si conosce bene, in cui si cade spesso, convincersi che qualche pericolo sia passato senza che nessun fatto lo dimostri, solo per quella sensazione di passeggero benessere che incrociamo in un momento e che ci invita a deresponsabilizzarci per essere più leggeri. Così è accaduto quest’estate in cui il Covid era sparito mica solo nei numeri ma anche e soprattutto nei pensieri, negli affanni, negli interessi e, ancora peggio, nella programmazione di quello che sarebbe venuto.

La sensazione, a vederla oggi con i numeri che ricominciano a risalire, si direbbe che la rimozione collettiva della pandemia sia miseramente fallita e sia stata una vacanza che forse non ci si doveva concedere, soprattutto quelli che si ritrovano a essere classe dirigente e responsabile di un Paese che affronta la cosiddetta “seconda ondata” di cui tutti parlavano, già prima dell’estate, di cui molti scrivevano e che da alcune settimane era già negli accadimenti degli Stati vicini a noi.

Se davvero lo Stato decide di essere paternalista con i suoi cittadini, ancora una volta, allora risponda anche ai dubbi che sorgono di fronte alla situazione attuale, ci spieghi esattamente come può accadere che già ora sia rientrato in crisi il sistema dei tamponi, ci dica dov’è finito quel benedetto piano di Crisanti che è rimasto inascoltato (e che di tamponi ne prevedeva 300.000 al giorno), perché è accaduto (lo dice il consulente del ministro Speranza Walter Ricciardi) che molte regioni del sud si siano “addormentate” facendosi trovare impreparate di fronte al prevedibile, ci diano per favore i numeri esatti dell’aumento di terapie intensive che era stato promesso e che non si riesce a verificare, ci dicano come pensavano di risolvere il tema dei trasporti pubblici.

È vero che ci sono alcuni cittadini incauti ed è vero che ora da parte di tutti serve una maggiore attenzione ma questi mesi estivi dovevano essere il tempo utile per essere pronti a quello che accade in queste ore ed è troppo facile, troppo banale e perfino offensivo raccontarci che il problema siano gli alcolici dopo le 24. La rimozione collettiva (fallita) non è solo opera dei dubbiosi e dei negazionisti ma è stata anche una superficialità di pezzi di governo e di regioni e la sensazione di essere arrivati impreparati scotta terribilmente. Sentire il presidente della Lombardia Fontana che parla di “movida” mentre non è riuscito a procurarsi il vaccino antinfluenzale che serve per tutti i fragili della sua regione rilancia un vecchio adagio che sarebbe il caso di non ripetere: se ci ammaliamo è colpa nostra e se non ci ammaliamo è merito loro. Basta, dai, un po’ di serietà, su.

Buon giovedì.

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Scoppia il bubbone del trasporto pubblico. Ma potevamo pensarci prima

Eccolo finalmente il dibattito che si è aperto dopo mesi di muro contro muro. Dopo settimane passate a scorgere dappertutto le testimonianze fotografiche allarmate della situazione nelle fermate dei trasporti pubblici locali e all’interno dei convogli, quegli stessi che trasportano le persone che, sai com’è, devono spostarsi per vivere, lavorare, mangiare, studiare ora scoppia il bubbone del trasporto pubblico.

L’allarme, corroborato dai numeri, lo lancia l’Asstra, associazione delle società di trasporto pubblico, che mette nero su bianco il “rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni”. Ma va? Eccoci, quindi: mentre il Comitato Tecnico Scientifico pensa di ridurre al 50% la capienza dei mezzi pubblici rispetto all’80% attualmente consentito (e quasi mai rispettato, perché poi ci sarebbe da discutere anche dei controlli che mancano) Asstra comunica che in quel caso “risulterebbe difficile per gli operatori del Tpl continuare a conciliare il rispetto dei protocolli anti Covid-19 e garantire allo stesso tempo il diritto alla mobilità per diverse centinaia di migliaia di utenti ogni giorno, con il conseguente rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni”.

I numeri sono chiari: “si rischierebbe – scrive Asstra – di non poter soddisfare da oltre 91mila (ipotesi capienza massima consentita al 75%) a circa 550mila spostamenti ogni giorno (scenario al 50%), arrecando un notevole disservizio quotidiano all’utenza. Andando nello specifico, ipotizzando una riduzione al 50% della capienza massima, si impedirebbe a circa 275mila persone al giorno di beneficiare del servizio di trasporto sia per motivi di studio che di lavoro”.

275mila persone che resterebbero a piedi. L’opzione rimane sempre la stessa: togliere utenza come soluzione più semplice e economica piuttosto che investire in capienza. E a nessuno è venuto in mente che il rafforzamento del trasporto pubblico fosse una delle priorità da mettere in agenda il prima possibile, ben prima della pluriprevista seconda ondata che tutti sapevano che sarebbe arrivata.

Eppure in questi mesi sono state molte le proposte per ripensare in tempo la mobilità (quella di BikeItalia, solo per fare un esempio) e di tempo a disposizione per governare l’inizio delle attività produttive e scolastiche ce n’è stato abbastanza. Forse sarebbe stato meglio accanirsi un po’ meno contro la ministra Azzolina e chiedere più risposte alla ministra De Micheli, che ora ha convocato finalmente le Regioni per un confronto sul tema. Tardi.

Leggi anche: Scontro sui trasporti, le Regioni chiedono orari scaglionati per le scuole: oggi il tavolo con De Micheli

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Casellati dice che sullo stato d’emergenza Covid qualcuno nasconde la verità. Ma allora faccia i nomi

Hai voglia poi a debellare i negazionisti, a smentire punto su punto tutti i cospirazionisti e ad avere a che fare con i complottisti, se in un Paese come l’Italia la seconda carica dello Stato, la presidente del Senato Elisabetta Casellati, riesce addirittura a rilasciare un’intervista su uno dei principali quotidiani del Paese come il Corriere della Sera e dire tranquilla tranquilla: “Sulla proroga dello stato di emergenza, prima di tutto occorre avere informazioni corrette, senza nascondere i risultati del Comitato tecnico. Se non abbiamo accesso alle informazioni, non possiamo dire nulla. Abbiamo bisogno di verità. Gli italiani sono stanchi di oscillare tra incertezze e paure, in una confusione continua di dati che impedisce tra l’altro di programmare il lavoro”.

Ed è una frase che lascia più che perplessi perché non è chiaro dalle parole della presidente chi starebbe “occultando” la verità e chi, se non lei, che si ritrova ad avere una delle più importanti cariche dello Stato e la più importante del Parlamento, dovrebbe garantire quella “corretta informazione” che proprio lei invoca.

La pubblicizzazione dei pareri del Comitato Tecnico Scientifico è un tema parlamentare ed è un tema politico che va affrontato a viso aperto senza bisbiglii che nulla hanno a che vedere con la responsabilità e l’etica politica. La presidente Casellati crede che qualcuno nasconda delle informazioni? Benissimo: lo dica chiaramente senza giocare di sponda e vedrà che molti si muoveranno per verificare le sue accuse, noi giornalisti per primi.

Il “clima di incertezza” di cui parla è l’inevitabile inquietudine di fronte ai numeri del contagio che salgono e di fronte a uno scenario che per tutto il mondo è praticamente sconosciuto. Adombrare ipotesi che a parlamentari e ai cittadini vengano nascoste informazioni corrette significa svilire di fatto proprio lo stesso Parlamento di cui Casellati è classe dirigente.

Crede che ci sia una regia per imporre uno stato d’emergenza non giustificato? Benissimo, lo dica a chiare lettere senza girarci troppo intorno e ci dia gli elementi oscuri che il Parlamento deve chiarire. Queste mezze frasi di mezza propaganda sono veleni che servono solo a intossicare il dibattito senza nessun elemento aggiuntivo.

“Due parole d’ordine che ci dovranno accompagnare nei prossimi mesi: responsabilità e coraggio”, dice la presidente del Senato nella sua intervista. E allora lo chiediamo noi a lei: abbia responsabilità e coraggio nelle sue esternazioni. Perché le oscillazioni “tra incertezze e paure in una confusione continua di dati” (sono parole sue) nascono da interviste come questa. Ci dica, presidente.

Vaccino antinfluenzale: firma la petizione di TPI su Change.org

Leggi anche: 1. Governo e Regioni promuovano una vaccinazione antinfluenzale di massa: la campagna di TPI / 2. Covid, Cartabellotta: “Di questo passo, a Natale 1.000 in terapia intensiva e 12mila in ospedale” | VIDEO / 3. Fino a ieri ha sbeffeggiato il Coronavirus ora Trump (positivo) si affida alla scienza (di G. Cavalli)

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M5S, Giarrusso a TPI: “Così ci facciamo male”

Dino Giarrusso, 8 milioni di voti persi: c’è un problema reale nel M5S?
Il problema c’è, ma non ha senso parlare di 8 milioni di voti persi perché quando si va a votare per i presidenti di regioni o per i sindaci scatta il meccanismo per cui l’elettore vota uno dei due favoriti per non “sprecare” il voto, votando altri che non possono vincere. Quindi non paragonerei le nazionali con le comunali e con le regionali. Ogni voto ha regole diverse. Qui ci sono le preferenze. Alle nazionali esistono sostanzialmente tre poli – centrosinistra, centrodestra e M5S – e scegli fra tre. In Campania soltanto De Luca aveva 15 liste, più quelle di Caldoro: noi ci presentavamo con una lista soltanto. Un conto è essere 1 su 25, un conto 1 su 3. Mischiare le pere con le mele.

Ma il calo c’è…
Al netto di questo c’è un reale calo di fiducia, di voti e di affezione. Questo è vero e non dobbiamo sottovalutarlo. Non parlerei di 8 milioni di voti: parlerei di una stanchezza e di un calo psicologico. Glielo dico perché ho girato moltissimo nei territori e vedo più smarrimento, meno entusiasmo e meno persone spesso.

Di Maio ha messo in dubbio le scelte politiche nelle regionali dicendo che lui avrebbe agito diversamente, indirettamente mettendo sotto accusa il capo politico Vito Crimi. Che ne pensa?
Non credo accusasse Crimi, ma questo dovrebbe chiederlo a Di Maio. Noi abbiamo deciso di andare da soli in tutte le regioni tranne la Liguria e siamo andati male in tutte le regioni compresa la Liguria. Tutti stanno puntando il dito sulle alleanze, ma la realtà sta lì, se la vogliamo guardare: quando qualcuno dice che c’è un problema di alleanze bisognerebbe mostrargli le campagne di Puglia e Campania, dove abbiamo fieramente detto di non essere alleati e siamo andati malissimo come in Liguria, dove invece ci siamo alleati, secondo me con un candidato che non aveva un grande appeal. Posso dire cosa avrei fatto io.

Cosa?
Un anno fa, nel momento in cui nasceva un governo nazionale si dovevano aprire dei tavoli per verificare la possibilità di creare eventuali alleanze anche nelle regioni scegliendo però insieme il programma, il candidato presidente e eventuali liste a supporto. Allearsi all’ultimo momento chiedendoci solo di fare i portatori di voti non è nel nostro dna. Ricordo però a tutti che le tante cose buone fatte dai governi di Giuseppe Conte le abbiamo potute fare solo grazie ad accordi con altre forze politiche.

I prossimi Stati Generali saranno uno scontro al vertice tra Di Maio e Di Battista?
Mi auguro fortemente di no. In questo momento, se qualcuno vuole bene al Movimento, deve lavorare all’unità e non deve parlarne male dalla mattina alla sera sui social e nelle interviste. Faccio un ragionamento semplice: la grande stampa, i grandi giornali, il potere antico italiano non ci amano e non ci hanno mai amato. Nel referendum Repubblica, che prima era a favore, ha cambiato rotta per andare contro il M5S e ha intervistato perfino Costacurta, che fa un po’ ridere come cosa. Se questi giornali di destra o conservatori di sinistra, degli Agnelli, di Vittorio Feltri, mi dessero tanto spazio mi preoccuperei. Se uno di noi spende la propria visibilità per parlare male del Movimento – non parlo di Di Battista, parlo anche di tanti altri – questo fa il male del Movimento. Filtrare tutto con occhio negativo, dire che tutto va male – ho letto qualcuno che ha scritto “siamo come l’Udeur” – si fa male al Movimento. Non mi sembra che Di Battista sia a questi livelli, ma io starei molto attento a usare ognuno la propria visibilità. Anche per non farsi strumentalizzare dai nemici. Se si va allo scontro ci facciamo del male. Dobbiamo rispettare tutte le anime, mi auguro che ci sia un gruppo e non più un solo capo politico. Oggi preparerò le mie proposte per gli Stati Generali.

Lei è ottimista?
Sono ottimista se penso che c’è ancora molto entusiasmo, molte persone per bene. Sono ottimista se penso a tutto quello che abbiamo fatto di buono rispettando i punti del nostro programma. Ma sono preoccupato quando vedo che dall’interno c’è gente che per ambizioni personali piccona il Movimento e aizza guerre locali sui territori.

Leggi anche: Elezioni regionali, Di Battista striglia il M5S: “È la più grande sconfitta nella storia del Movimento”

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Ma dai? Si torna a scuola?

Eccoci qua. Mi era capitato qualche settimana fa, eravamo ancora in pieno periodo vacanziero a ricordarmi che saremmo arrivati in ritardo con le aperture delle scuole. Era scritto, del resto: nei molti mesi che ci sono stati a disposizione per ripensare la scuola e per programmarne la riapertura ci si è consumati tra le piccole guerre tra Stato e regioni e a discutere di banchi con rotelle, di plexiglas e di indecenti attacchi sessisti alla ministra. Rimanere sul punto evidentemente era troppo difficile.

Così ora si scopre che anche i professori si ammalano (i primi risultati dicono 16 professori positivi in Veneto, 12 in Lombardia tra Varese e Como, 20 in Umbria, 4 in Trentino) e che come avviene in qualsiasi luogo di lavoro forse è il caso di fare i test. A proposito di test: si rilancia la notizia che un terzo dei professori non vorrebbe sottoporsi a tampone (che il governo ha, chissà perché, reso volontario) e ovviamente tutti ora giocano al massacro: peccato che l’indagine abbia ben poco valore statistico (si sa di interviste telefoniche a qualche centinaio di insegnanti e non si sa di che regione siano) e peccato che siano moltissimi gli insegnati che invece lamentano addirittura l’impossibilità di accedere al tampone. Tra l’altro in alcune regioni il test è gratuito e in altre no, così a caso. Sia chiaro: tutto questo a pochi giorni dall’inizio della scuola.

Ma non è tutto: ora ci si accorge che i ragazzi a scuola ci devono andare e che molti ci vanno in autobus e indovina un po’? Gli autobus sono strapieni. Eh, già. Non era difficile immaginarlo, basterebbe sostare davanti a una scuola qualsiasi per accorgersene in una città qualsiasi. Fenomenale il presidente delle Marche Ceriscioli che a Repubblica dice che Burioni ha trovato la soluzione: i ragazzi nel bus devono indossare la mascherina e restare in silenzio, senza parlare. Sembra uno scherzo e invece è drammatico.

Poi ci sono i banchi: il pessimo commissario Arcuri ora parla di alcune consegne a fine ottobre e il bando di gara era talmente scritto male da dover essere corretto un paio di volte. Giunge notizia che ora il commissario stia facendo ordine a aziende extra bando. Qualcuno dice che ci vorrebbe vedere chiaro ma i costi e i contratti sono secretati “per evitare polemiche politiche” dice Arcuri, come se avesse l’autorità di decidere cosa rendere pubblico e cosa no.

Poi ci sono gli spazi: garantire distanziamento sociale in edifici che avevano già problemi di cubature in epoca pre Covid diventa una missione quasi impossibile. A tutto questo aggiungeteci il caos di un’opposizione che soffia sul fuoco piuttosto che proporre soluzioni.

Eppure proprio sulla scuola si misurerà molta della capacità di questo governo di affrontare la pandemia. Per questo vale la pena approfondire. Per questo se ne parla nel numero di Left in edicola e in digitale.

Buon venerdì.

Left del 28 agosto – 3 settembre 2020

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Referendum, Nespolo (Anpi) a TPI: “Tagliare i parlamentari per risparmiare? No, si riducano gli stipendi”

Carla Federica Nespolo, 77 anni, ex parlamentare del Pci e del Pds, è la prima donna a presiedere l’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia). Con lei discutiamo del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, in calendario il 20 e 21 settembre. L’Anpi si è schierata per il No.
Nespolo, come risponde al movimento anti-casta, secondo cui il No è la posizione dell’arroccamento?
Più che di “movimento anti-casta” io parlerei esplicitamente e francamente di pensiero populista. Al fondo del quale, inutile girarci attorno, c’è il rifiuto della democrazia come partecipazione e diritto del popolo a scegliersi i propri rappresentanti. Se per “uomini rinchiusi nei palazzi” i fautori del Sì intendono anche i 183 costituzionalisti italiani che si sono dichiarati per il No, dimostrano di non aver capito nulla di quello che, nel colpevole silenzio di tanti, oggi è in gioco.

Cosa c’è in gioco?
Si tratta, sostanzialmente, di un attacco alla democrazia rappresentativa. Non dimentichiamoci che uno dei primi atti del Governo, dopo il 25 Aprile 1945, fu quello di dare a tutti (uomini e donne) il diritto di voto. E dopo 75 anni si vorrebbe tornare indietro e privare persino alcune Regioni del diritto di essere pienamente rappresentate in Parlamento? Inaccettabile. Altro che “casta”: la “casta” è proprio dei “notabili” di partito che, non a caso, sembrano tutti uniti  – ma con molti problemi interni – a votare Sì.

I motivi principali per cui l’Anpi ha deciso di esprimersi per il No: quali sono i valori da difendere?
La difesa della democrazia per cui, 75 anni fa, un’intera generazione si è sacrificata, ha combattuto e vinto. E oggi troppi se ne dimenticano. Mi lasci citare un terribile verso di Giorgio Caproni: “I morti per la Libertà, chi l’avrebbe mai detto, i morti. Per la Libertà, Sono tutti sepolti”. Ecco. L’Anpi è in campo per questo. Perché la democrazia, che tanto sacrificio e tante lotte è costata, non venga oscurata e vilipesa da chi la considera un ostacolo alla propria ascesa politica.

Si insiste molto sul risparmio dei costi, come già avvenuto nell’ultimo referendum costituzionale. Non teme che questo argomento possa essere una spinta difficile da arginare?
Quella dei costi è una sciocchezza che non merita neppure una risposta. Vogliono davvero ridurre i costi del Parlamento? I parlamentari si riducano lo stipendio. Punto e basta. Ma non possiamo nasconderci che questo tema ne nasconde un altro. E cioè la poca stima che l’opinione pubblica ha verso un certo ceto politico. In questo senso condivido la frase del comandante De Falco: “Non voglio essere rappresentato meno, voglio essere rappresentato meglio”.

Il Pd sembra non volersi esprimere o esprimersi molto blandamente a proposito di questo referendum. Che consiglio darebbe al partito di governo?
Non è compito dell’Anpi dare un consiglio ad alcun partito. E tanto meno al Pd. Certo la contraddizione tra aver votato per tre volte contro e ora votare a favore è lampante. Insomma, non sempre sacrificare sull’altare della governabilità la propria coerenza è un buon calcolo. Comunque ho grande rispetto per il travaglio che sta attraversando il Pd. Ma non è un tema che ci vede protagonisti.

In questi giorni circola molto un’intervista in cui Nilde Iotti dichiara che il numero dei parlamentari italiani è eccessivo e dal fronte del Sì sono in molti a ripetere che la riduzione del numero dei parlamentari sia una battaglia storica della sinistra. Come risponde?
Alla citazione di Luigi Di Maio rispetto alla posizione di Nilde Iotti ha già risposto esaurientemente Livia Turco, presidente della Fondazione Iotti. Quello che la presidente Iotti proponeva era un intero nuovo impianto istituzionale, a cominciare da una nuova legge elettorale. Separare la rappresentanza dalla sua funzione è quanto di più volgarmente tattico si possa fare. Mai la presidente Iotti lo avrebbe affermato.

Come ha intenzione l’Anpi di occuparsi di questa campagna referendaria? Con quali mezzi? Come arrivare a più gente possibile, tra l’altro in un periodo difficile come questo in piena pandemia?
L’Anpi sta facendo il suo dovere. Le nostre sezioni territoriali stanno illustrando in ogni parte d’Italia le nostre ragioni e il 10 settembre alla Sala della Protomoteca in Campidoglio, a Roma, faremo il punto con importanti giuristi sulle ragioni del nostro No. Prevediamo anche un intervento di un rappresentante delle Sardine. Inoltre, siamo e saremo attivi anche sui social network. Invitiamo tutti ad andare a votare No. E mi lasci chiudere con una nota di ottimismo.
Prego.
Ce l’abbiamo fatta nel 2016. Ce la faremo anche nel 2020.

Leggi anche:  1. Taglio parlamentari, il costituzionalista Ceccanti a TPI: “Chi votò Sì alla riforma Renzi dovrebbe rifarlo oggi. Ma preferisce attaccare il M5s” / 2. La politologa Urbinati a TPI: “Taglio dei parlamentari? Così il M5S favorisce la casta” / 3. Taglio dei parlamentari: ecco cosa prevede la riforma e come funziona il referendum

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Sicilia, Fava a TPI: “Musumeci fa lo scaricabarile. Ma sui migranti il governo ha paura di decidere”

Nello Musumeci insiste. Il governatore della Sicilia non ha intenzione di fermarsi sulla sua ordinanza che chiede lo sgombero degli hotspot dell’isola e risponde al no del governo parlando di responsabilità sanitarie. Si finirà probabilmente con un ricorso al tribunale amministrativo ma intanto la provocazione ha preso piede tra i sostenitori di destra e corre sul web. TPI ha intervistato Claudio Fava, deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Fava, il governatore Musumeci insiste. Come legge questa ultima uscita sullo svuotamento degli hotspot e la chiusura ai nuovi arrivi?
È già un pezzo di campagna elettorale, perché ha riannodato i fili di una coalizione piuttosto frammentata e lasca e naturalmente ha ottenuto le benedizioni della destra alla quale Musumeci continua a rivolgersi. Manifesta la sua indole, la sua cultura politica: è un autoritario, convinto che la migliore forma di governo sia quella di affidare al podestà le chiavi della vita dei cittadini. Anche se si affida ai poteri di tutela della salute lui sa perfettamente che intervenire sui porti, sulle prefetture, sugli hotspot è competenza esclusiva del governo nazionale, segnatamente del Ministero dell’Interno. Ma è un modo per rimettere al centro una parola che sia una calamita e che ha bisogno di nemici facili, l’immigrato portatore di contagi.

Quindi è tutta campagna elettorale…
L’altra ragione è che c’è un fallimento complessivo su tutta la politica di investimento del post-Covid, le risorse promesse per il settore del turismo non sono mai arrivate, nemmeno un centesimo, le condizioni dell’isola sono abbastanza allo sfascio quindi un giorno ci si inventa il ponte, un giorno il tunnel, un giorno chiudiamo gli hotspot. Tutto pur di non parlare di quello che accade a casa nostra: c’è un’ordinanza di controlli per chi arriva dai Paesi considerati focolai poi però in aeroporto, nei porti e nelle stazioni i controlli sono minimi e anche in questo Musumeci dice che la responsabilità non è sua ma del Ministero dei Trasporti.
Una responsabilità che palleggia…
Su alcune cose dice “la responsabilità non è nostra”, su altre dice “la responsabilità non è nostra ma me ne occupo direttamente io”. In questo un po’ ci è un po’ ci fa.

Sembra seguire un po’ il copione di certe Regioni di centrodestra che giocano sul Covid per scontrarsi con il governo e fare parlare di sé. Non è simile all’atteggiamento della Lombardia con Fontana?
Sì. In più nel suo caso c’è una sfumatura di carattere politico, di identità politica. Gli piace fare il podestà. Dopo il Covid ha preteso e ottenuto dalla sua maggioranza il voto su un emendamento infilato in una legge che gli dà, in caso di emergenza sanitaria, pieni poteri e la possibilità di emanare delibere di giunta anche in contrasto con la legislazione vigente. Ed è una cosa abbastanza bizzarra, decidono loro a quale normativa possano derogare senza passare dal Parlamento regionale. È la sua idea di ventennio e ha utilizzato il Covid per ritrovare quei toni, quel cipiglio. Un tempo era un atteggiamento inoffensivo e invece oggi interviene su un tema vero, reale.

Esiste comunque un problema immigrazione in Sicilia?
Esistono problemi concreti nelle città che sono il punto di approdo naturale per i profughi. Non lo risolvi chiudendo, lo risolvi cercando di avere un livello di partecipazione da parte di tutte le Regioni. Anche perché non possiamo lamentarci dell’Europa che non fa la propria parte e poi in Italia lasciare che siano le Regioni di frontiera a occuparsene perché le altre non vogliono rotture di coglioni. Abbiamo un sistema geopolitico basato sul principio dell’egoismo: non a casa mia. È una questione che va affrontata da un governo che non riesce e non è riuscito a ottenere una linea di condivisione e di consapevolezza e di disciplina partecipata da tutti i presidenti di Regione. Qui tutti, in nome della salute, hanno deciso a casa loro.

Però la propaganda di Musumeci sembra funzionare: cosa dire a quelli che lo applaudono, come riuscire a parlar con loro?
Non è semplice perché se dall’altra parte hai un governo pavido che non è capace di fare un passo e di prendere una direzione risolutiva è chiaro che poi è difficile parlare solo sul piano di principio e della linea della condotta morale. Il cittadino alla fine si trova confortato da un decisionista che può anche essere incostituzionale ma che è una risposta alla preoccupazione. Come per le discoteche si registra una certa inerzia da parte di figure chiave del governo nazionale di affrontare con coraggio i problemi che si presentavano. Ora il tema sono gli immigrati e il tema ha bisogno di un tavolo di soluzione che non può essere affidato a ciascun presidente di Regione. Avere un nemico, un untore, qualcuno su cui scaricare le proprie frustrazioni in tempo di crisi conforta molti, anche chi non ha nulla a che fare con quella cultura politica. Poi magari un giorno ti svegli e ti accorgi che gli untori sono i tuoi figli che sono andati a fare un party e sono tornati asintomatici e carichi di virus.

Leggi anche: 1. Sicilia, ordinanza di Musumeci: “Entro le 24 di domani migranti fuori dall’isola”. Ma il Viminale lo blocca: “Non può farlo” / 2. Sicilia, Musumeci non molla: “Il governo vuole un campo di concentramento per migranti, vado dalla magistratura”

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Sardegna, mentre i contagi aumentano Solinas fa lo scaricabarile col governo (in stile Fontana)

Ricomincia lo scaricabarile e sarà un storia che durerà ancora per molto: mentre in Italia destano preoccupazione i casi di importazione di Covid che stanno facendo alzare il numero dei contagi giornalieri, ora le Regioni partono all’attacco del governo lamentando ritardi e incomprensioni. Sembra di essere tornati ai tempi dello scontro tra governo e Lombardia, quando il presidente Fontana chiudeva qualcosa in meno rispetto ai decreti governativi o apriva qualcosa in più tanto per farsi notare, giusto per chiarire che esistono anche loro.

L’ultimo attacco arriva dalla Sardegna e diventa ancora più incomprensibile alla luce delle testimonianze che arrivano dall’isola, dove al di là delle discoteche ormai chiuse si nota una movida (come in quasi tutte le località vacanziere) assolutamente fuori controllo. Il governatore della Sardegna, Christian Solinas, in un’intervista al Corriere della Sera chiarisce che “la Sardegna non ha mai avuto una circolazione virale autoctona”. “Tutti i casi – dice – sono di importazione o di ritorno, persone già positive testate una volta giunte in Sardegna o sardi infettati durante le vacanze all’estero”.

Come se ancora una volta il punto centrale sia quello di trovare un untore piuttosto che governare una situazione con cui si dovrà convivere probabilmente ancora a lungo, almeno fino all’arrivo del vaccino. Solinas rimarca la sua ostilità al governo: “Se il governo – dice – avesse accolto il modello che avevo proposto già mesi fa per accompagnare l’ingresso sull’isola di ciascun passeggero con un certificato che attestasse l’esito negativo del tampone, oggi non ci sarebbe la recrudescenza del virus”.

E, quando gli si fa notare che i controlli sono partiti solo ad agosto inoltrato, il governatore risponde: “Questo deve chiederlo a Roma. Quando noi lo abbiamo proposto a maggio, tutti si sono stracciati le vesti, attaccandomi con una violenza inaudita da tutti i fronti: politico, mediatico e scientifico”. E siamo al punto di partenza, ancora una volta, dopo tutti questi mesi: nonostante il ministro Boccia insista nel dire che il grado di collaborazione tra governo e Regioni è alto, continuiamo ad assistere al sovranismo del contagio, alla rivendicazione dell’uno contro l’altro come in una brutta operetta con tutti gli attori in commedia, con strali lanciati sui giornali piuttosto che nelle sedi opportune. Con la politica che diventa solo polemica. E mentre la polemica infiamma le diverse fazioni il virus gira, continua a girare.

Leggi anche: 1. Dopo i runner e i migranti, tocca alla discoteche: perché siamo sempre a caccia dell’untore? (di G. Cavalli) / 2. Il Governo decida: conta più la salute o il lavoro? (di G. Cavalli)

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Lo strabismo di Salvini

Non è una barzelletta. Lo ha detto sul serio: Per impedire che il coronavirus si diffonda, vanno chiusi i porti e non le discoteche

Fermi tutti, c’è un vincitore. Dice Salvini che chiudere le discoteche e prendersela con i giovani non ha senso. E uno si domanda: perché non ha senso? Risponde Salvini: perché bisogna chiudere i porti. E uno si domanda: e che c’entrano i porti con le discoteche? Niente di niente. Ma c’entra Salvini.

La propaganda sovranista finalmente ha trovato un gancio dove appoggiare il suo maiale sgozzato: i casi di positività al Covid di alcuni migranti sbarcati ha reso possibile il solito martellante, incessante logorio di propaganda di Salvini, Meloni e di tutta la loro allegra brigata. Avviene quello che accade ogni volta che un nero compie un reato: prenderlo, amplificarlo e renderlo un manifesto politico.

Così mentre il mondo (e le persone serie) si occupano di come risistemare la vita in tempi di Covid, avendo il coraggio di prendere decisioni strutturali che non si perdano dietro all’ultimo tweet indignato, da noi è una gara al “sempre uno più di te” come i bambini che giocano a trovare il numero più grosso.

Peccato che lo strabismo di Salvini in questo caso sia ancora più lampante. Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, ha detto al Corriere della Sera: «A seconda delle Regioni, il 25-40% dei casi sono stati importati da concittadini tornati da viaggi o da stranieri residenti in Italia. Il contributo dei migranti, intesi come disperati che fuggono, è minimale, non oltre il 3-5% sono positivi e una parte si infettano nei centri di accoglienza dove è più difficile mantenere le misure sanitarie adeguate». L’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) scrive: «Dall’inizio dell’emergenza a oggi sono state meno di un centinaio le persone straniere giunte irregolarmente via mare in Italia e trovate positive al nuovo coronavirus. Il numero va confrontato con i 6.469 migranti sbarcati sulle coste italiane tra inizio marzo e il 14 luglio. In tutto, dunque, solo circa l’1,5% dei migranti sbarcati è risultato positivo. Da non dimenticare inoltre che le positività sono state certificate su gruppi di migranti che avevano condiviso la stessa imbarcazione durante il viaggio, dando credito all’ipotesi che un numero significativo di essi si sia infettato nel corso della traversata».

C’è dell’altro: tutti i migranti che sbarcano vengono sottoposti a tampone e quarantena. Pratica che risulta difficile invece negli aeroporti. E poi c’è la chicca finale: racconta Salvini di una ex caserma in provincia di Treviso dove dei migranti ammassati sono risultati positivi in larga parte e che il sindaco della città voglia fare causa al governo. E chi ha voluto concentrare i migranti in vecchie caserme demolendo l’accoglienza diffusa? I decreti Sicurezza. Di chi? Di Salvini.

A posto così.

Buon martedì.

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Il problema non sono i furbetti dei 600 euro, ma i leader che li hanno portati in Parlamento

Guardare il dito e la luna. È una storia che comincia come una barzelletta: ci sono tre leghisti, c’è un Cinque Stelle e uno di Italia Viva, la caccia ai nomi sarà lo sport della giornata e forse anche dei prossimi giorni. Che in mezzo ai richiedenti ci siano anche presidenti di regioni (che certo non hanno stipendi inferiori ai parlamentari) sembra essere sfuggito ai più. L’importante sono i parlamentari, gli obiettivi sono i parlamentari, tutti addosso ai parlamentari. Sia chiaro: che i cinque siano l’antitesi di quella disciplina e di quell’onore che sono richiesti dalla Costituzione a chi si ritrova a governare la cosa pubblica è fuori da ogni dubbio.

Chiedere 600 euro nella comodissima posizione dell’essere parlamentare è un gesto infimo, siamo d’accordo ma una riflessione ragionata e ampia dovrebbe spingerci a porci domande e allargare la discussione. Una norma, ad esempio, che prevede un contributo a pioggia, senza limiti di reddito, a tutti è politicamente sbagliata e praticamente inutile ai fini dell’uguaglianza sociale: i parlamentari hanno sfruttato una falla nella legge (e fanno schifo anche per questo) che ha permesso a molti benestanti di usufruire di un bonus di cui non avevano bisogno. Diciamolo: dare 600 euro a tutti è stata una pessima idea, forse dettata dall’emergenza, ma una pessima idea. Il buon legislatore scrive le leggi (e i decreti) perché siano funzionali ai più bisognosi e perché sbarrino la strada ai furbi. In questo caso non è successo, diciamolo chiaramente.

Poi dell’epoca Covid sarebbe da raccontare anche quella parte di imprenditori che hanno usufruito della cassa integrazione senza avere nessuna riduzione di fatturato, sarebbe da parlare dei cassintegrati che hanno continuato a lavorare normalmente per qualche imprenditori che si ritene particolarmente furbo, sarebbe da parlare di chi in nome dell’emergenza si è addirittura arricchito usufruendo comunque degli aiuti di Stato. Facendo due conti siamo di fronte a un dissanguamento di denaro pubblico enormemente più grave di quel gruzzolo di 600 euro. Sarebbe bello che l’INPS ci parlasse anche di questo, no?

E infine un punto strettamente politico: quanto comodo fa all’antipolitica (quell’antipolitica che ci ha trascinati in questo gretto populismo) che dei parlamentari vengano sventolati come prova della fallacia di una legge che invece ha favorito una platea ben più vasta? Quanto gioca tutto questo per il prossimo referendum (populista) che ancora una volta punta sulla quantità e non sulla qualità? E soprattutto: ma chi ha scelto quei parlamentari, quelli che dovrebbero formare la classe dirigente di questo Paese, non ha nulla da dirci? Perché quei nomi li sappiamo già: Matteo Salvini, Gianroberto Casaleggio e Matteo Renzi. Loro non hanno nulla da dirci?

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