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retorica

È che noi non siamo più gli stessi

Arriva il nuovo Dpcm. E arriva la nuova conferenza stampa del presidente Conte. E arrivano le nuove misure. Torna tutto, come uno schiaffo. E, sia chiaro, è uno schiaffo evidentemente necessario perché i numeri ci dicono che la crescita è ormai fuori controllo, perché le testimonianze dei medici e degli infermieri raccontano di ospedali che stanno tornando a straripare e perché no, non funziona che negare un problema lo elimini dal tavolo. Non funziona.

Però c’è un dato su tutto, che è un dato politico ma anche affettivo, economico, professionale e inevitabilmente politico che va registrato: noi non siamo più gli stessi di inizio pandemia. E di questo si deve tenere conto se si vuole provare a analizzare le difficoltà del momento e le inevitabili difficoltà di questa nuova decisione.

Non siamo più gli stessi perché nel Paese c’è gente, tantissima gente, che ha seguito le regole e che si è comportata responsabilmente in tutti questi mesi. C’è gente che, anche tra i professionisti e i piccoli imprenditori, che hanno adattato la propria quotidianità ai nuovi protocolli e sono stati molto attenti a tutti i gesti e a tutti i loro clienti. Il governo ha dato delle disposizioni, le regioni hanno dato le loro disposizioni e quelle regole sono state applicate per filo e per segno. E se all’inizio della pandemia tutti erano più disposti a sacrificare e a sacrificarsi ora i cittadini sono inevitabilmente intrisi di un risentimento contro chi le regole le ha evase o le ha scritte male: i trasporti pubblici ogni mattina sono un esempio paradigmatico di come sia difficile accettare il lockdown del proprio tempo libero mentre si registra una mostruosa pericolosità negli spostamenti lavorativi.

Non siamo più gli stessi perché abbiamo registrato, e qui su Left ne abbiamo scritto più volte, tutte le irresponsabili voci di chi quest’estate in nome dello spirito ludico ci ha voluto ripetere di non preoccuparci, di stare tranquilli, che era tutto finito, che era tutto passato e che non sarebbe tornato.

Non siamo più gli stessi perché abbiamo visto con i nostri occhi cosa significhi un sistema sanitario senza controllo, quello che lascia morire la gente in casa e che ti lascia per giorni in attesa perfino di una diagnosi, figurarsi una cura. E se prima c’era la giustificazione della pandemia improvvisa ora ci viene naturale chiederci perché farsi trovare impreparati a qualcosa di prevedibile e previsto.

Non siamo più gli stessi perché abbiamo provato sulla nostra pelle le cicatrici di un’amputazione sociale e affettiva, sappiamo cosa significhi avere paura del futuro, sappiamo che il welfare è quella cosa che deve permetterci di rimanere in piedi, anche ciondolando, garantendo la sopravvivenza economica oltre che sanitaria.

No, non siamo più gli stessi perché probabilmente ci siamo anche incattiviti e non siamo più disposti a sopportare errori ripetuti come se non ci fosse già stata un’esplosione epidemica. Non siamo disposti a non sentirci protetti.

I sacrifici ora devono essere accompagnati dai fatti. Conte l’ha capito benissimo e infatti ieri ha parlato dei sussidi economici come punto centrale del proprio discorso. La retorica non funziona più e nemmeno il paternalismo: se salvarsi “costa” sacrifici ora serve un Governo (e le politiche regionali) che sia disposto a pagarli.

Ma c’è un punto sostanziale: noi non siamo più gli stessi e qualcuno sotto traccia, in modo subdolo, cercherà di usare questa stanchezza per trasformarla in rabbia. Ci sarà qualcuno che proverà a usare diritti che sono messi sotto stress per usarli come innesco di odio e di violenza. È sempre lo stesso copione, funziona sempre così. È un momento delicato e importante, al di là del virus: bisogna pretendere il rispetto delle difficoltà di tutti senza cadere nel ventre molle di chi usa la disperazione come arma. Non è un momento facile. Non sarà facile.

Buon lunedì.

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E alla fine il Re tornò a Palazzo: Salvini commissaria Fontana: “No al coprifuoco in Lombardia”

Aveva la penna in mano pronto per firmare ma la telefonata del suo capo l’ha rimandato a cuccia. Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, pronto a firmare il decreto che avrebbe previsto il divieto durante le ore notturne di spostamenti non autorizzati e che avrebbe segnato la stretta sui grandi centri commerciali nei weekend, è stato stoppato da Matteo Salvini, probabilmente spaventato dai logaritmi della sua propaganda che ciancia a vanvera di libertà da mesi nella sua quotidiana lotta contro il governo, che si traduce in una contestazione continua, senza capire bene quali siano le sue proposte.

E quindi? Quindi abbiamo una Regione appesa a Salvini, che “vuole capire” e che, in visita papale, decide di citofonare direttamente alla sede della Regione per farsi dare ripetizioni di pandemia. E fa niente che intanto i numeri salgano e che gli ospedali si riempiano. Deve capire, lui.

Eppure nella frase con cui Salvini annuncia lo stop c’è dentro tutta l’irresponsabilità che si coglie in questi mesi del virus. Ha detto, testualmente, il leader della Lega: “Il Governo respinge tutte le nostre richieste e a noi tocca portare la croce, imponendo misure impopolari che fanno infuriare i cittadini?”. Tradotto significa: perché dovremo prendere noi le misure impopolari a difesa della salute quando potremmo rimbalzarle al governo?

E dentro c’è tutta la strategia di chi antepone il consenso alla responsabilità della salute pubblica e c’è tutto il succo della politica salviniana che continua a essere semplicemente un sondaggio perpetuo che tende a inseguire le sensazioni istantanee dei suoi sostenitori per riuscire a sfamarle. Badate bene: un capo di partito, senza rendersi conto, lamenta “l’impopolarità” delle misure senza nemmeno fare un cenno alla salute pubblica. Non basta come prova evidente?

Poi, volendo, c’è anche tutta la retorica dell’autonomia lombarda sventolata proprio dal presidente Fontana. Quello stesso Fontana che per mesi si è messo di traverso con il governo Conte per speculare un po’ sulla pandemia, proprio nei mesi peggiori, e che ci ha sempre detto che la sua regione non ha bisogno di prendere ordini da nessuno. Ecco, quello lì stamattina si è messo buono buono nel suo ufficio a farsi sgridare dal suo capo per decidere come aggiustare decisioni già prese in nome di qualche like in più sulla pagina Facebook del Capitano.

Davvero, presidente Fontana, ci vuole dare lezioni di autonomia dopo una mattinata del genere? Davvero i pareri e gli studi di tutti i suoi esperti rimangono incagliati sulla riunione di partito? Dai, facciamo i seri, su.

Leggi anche: 1. Salvini stoppa Fontana e fa slittare il coprifuoco in Lombardia: “Prima voglio capire” / 2. Milano, il direttore dell’Ats: “I tamponi non ci salveranno, bisogna stare a casa e tagliare attività non essenziali”

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E ancora sparisce la politica

Il governo che tenta di arginare il Covid con l’occhio fisso sul consenso. L’opposizione che si dice contro le chiusure e poi chiede “severità contro il virus”. Così la politica si sottrae alle proprie responsabilità

Torna il virus e sparisce la politica. I dati continuano a non essere buoni e il dibattito rimane sempre bassissimo come si conviene a un Paese che ha scambiato la propaganda come unico lievito della discussione pubblica. Fateci caso.

Da una parte c’è un governo preoccupato dal consenso. Giuseppe Conte sa benissimo che gli italiani, dopo l’esperienza di mesi fa, non crederanno più di essere i colpevoli di un nuovo eventuale disastro. Ci sarebbe da discutere di modifiche strutturali del sistema sanitario, ci sarebbe da discutere di dove prendere i soldi che mancano per rimettere in piedi un Paese che deve convivere con il virus e ancora siamo alle prediche in cui si consigliano le buone maniere contro il Covid. L’abbiamo capito che indossare la mascherina è utile ma abbiamo anche capito che non basta. Abbiamo capito che il distanziamento è utile ma abbiamo anche capito che non basta. Abbiamo capito che lavarsi le mani è utile ma non basta. E onestamente abbiamo anche capito che il Covid non lo spargevano i runners e i passeggiatori con cani prima e non sta solo nei bicchieri dell’aperitivo di oggi. Inseguire il virus e i sondaggi con l’occhio sempre fisso sul consenso non funziona, lo dimostrano gli indici di gradimento a picco dei governatori sceriffi che ora brancolano nel buio.

Dall’opposizione poi arrivano segnali ancora più sconfortanti: sono contro le chiusure ma chiedono “severità contro il virus” e poiché l’unico modo per fermare la curva è ridurre le frequentazioni sociali sarebbe curioso sapere esattamente da Salvini, Meloni e compagnia cantante cosa farebbero loro. Essere contro a qualsiasi decisione è una posizione comoda e facile, non è politica. Salvini è talmente contro a tutto che ieri probabilmente si è incagliato ed è riuscito a sbraitare anche contro la Lombardia, poi qualcuno deve avergli dato un colpo di gomito e l’ha fatto rinsavire. Parlare di “libertà” senza prendersi la responsabilità di spiegare anche come avere la libertà di non ammalarci è retorica, non è politica.

A febbraio giustamente ci dicevano di essere impreparati e tutti sono stati presi alla sprovvista. Oggi la politica (tutta) dovrebbe dirci: ecco come abbiamo intenzione di abbassare la curva dei contagi, ecco quanti sono i posti letto disponibili e quanti saranno disponibili a breve, ecco in che tempi agiremo per assumere anestesisti e infermieri, ecco come scaglioneremo per alleggerire i trasporti (visto che ormai il loro potenziamento è andato in fumo), ecco come proveremo a ripristinare un tracciamento decente, ecco dove troveremo i soldi per farlo. Il paternalismo non funziona più e non funziona più l’opposizione facile.

Programmi fattibili per tenere in piedi questo Paese in questo delicato momento: questa è politica. E sembra che la stiano facendo più i virologi dei politici.

Buon mercoledì.

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Demonizziamo l’assassino di Lecce senza renderci conto che l’invidia è diventata il motore di quest’epoca

Il presunto omicida di Daniele De Santis e della sua fidanzata Eleonora Manta a Lecce avrebbe confessato di avere agito perché “erano troppi felici e per questo mi è montata la rabbia” (qui le virgolette sono d’obbligo poiché la frase è stata riportata da fonti investigative ed è ancora tutto da appurare) e subito si è scatenata una ridda di criminologi e esperti di ammazzamenti che frugano nella vita del ragazzo per raccontarci tutti i suoi lati presumibilmente oscuri. La demonizzazione dell’assassino è una catarsi meravigliosa: più lo dipingiamo lontano da noi, meno assomiglia a noi e più ci sentiamo in pace con noi stessi.

Stupisce però che ci si stupisca dell‘invidia senza rendersi conto che è il motore politico e sociale di quest’epoca, invidia intesa come il soffrire del bene (o spesso del bene percepito) degli altri per rifocillare un’identità fragile. Perché la domanda “perché lui sì e io no?” è in fondo la domanda delle domande di un certo ragionamento sociale e politico che qui sembra andare per la maggiore. L’invidioso che non è contento di sé e che percepisce il bene dell’altro come una diminuzione di se stesso è lo stesso che si lamenta ogni volta che ci si batte per i diritti di qualcuno a cui lui non sente di appartenere (gli altri possono essere gli stranieri, la casta, i percettori del reddito di cittadinanza, i dipendenti pubblici e un’infinità di altre categorie).

Su una certa malsana invidia si è scatenato un certo populismo di questi anni che punta a maledire e smontare ciò che viene vissuto come più in alto piuttosto che proporre ragionamenti complessi. Sull’invidia tra poveracci si basa tutta la retorica di chi ha instillato una guerra tra disperati convincendoci che erodere i diritti degli altri garantisca i nostri diritti. Come oggetti di invidia sociale si propongono alcuni modelli culturali che mostrano inaccessibili stili di vita.

Poi l’invidia diventa risentimento e infine rancore e così si accende la guerra (e talvolta la violenza) di cui infine ci stupiamo. Scriveva Paul Valéry: guardando bene, si scopre che nel disprezzo c’è un po’ di invidia segreta. Considerate bene ciò che disprezzate e vi accorgerete che è sempre una felicità che non avete, una libertà che non vi concedete, un coraggio, un’abilità, una forza, dei vantaggi che vi mancano, e della cui mancanza vi consolate col disprezzo”. Nietzsche scriveva di una versione più feroce dell’invidia come gioia maligna che porta a godere del male dell’altro.

Siamo sicuri che l’invidia sia solo una mostruosa eccezione da relegare all’omicidio di Lecce? Perché il giorno che decideremo di non demonizzare, non deridere, non compiangere, non disprezzare ma comprendere le azioni umane forse riusciremo ad aprire un dibattito più proficuo e interessante.

Leggi anche: 1. I bigliettini, la mascherina, la foto Whatsapp: i passi falsi di Antonio De Marco, il presunto killer di Lecce; // 2. Omicidio Lecce, la confessione di Antonio De Marco: “Sì, sono stato io. Erano troppo felici”; // 3. Lecce, “Il killer deriso dai due in un sms”. Si indaga sul movente della vendetta; // 4. Chi è Antonio De Marco, il 21enne di Lecce che ha ucciso Eleonora Manta e Daniele De Santis

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Il Comune di Vercelli nega la solidarietà a Patrick Zaki: l’assurda logica del “prima gli italiani”

Accade a Vercelli. I consiglieri comunali Alberto Fragapane, Manuela Naso, Michele Cressano, Maura Forte, Carlo Nulli Rosso (Partito Democratico) e Alfonso Giorgio (Vercelli per Maura Forte) hanno proposto un ordine del giorno per chiedere la scarcerazione di Patrick Zaki, il ragazzo di 27 anni che dal 7 febbraio si trova in carcere in Egitto e che non ha ancora potuto nemmeno accedere alla prima udienza del suo processo (fissata ora per il 7 ottobre, secondo le ultime informazioni dei suoi legali). Zaki è in carcere per alcuni suoi post su Facebook additati come “propaganda sovversiva” e da tempo la comunità internazionale sta chiedendo la sua liberazione in quel’Egitto che continua indegnamente a portare le macchie dell’omicidio di Giulio Regeni. Patrick Zaki studiava a Bologna e per questo molti comuni italiani stanno simbolicamente esprimendo la propria solidarietà.

La maggioranza del consiglio comunale di Vercelli (Lega, Fratelli dItalia e Forza Italia) e il sindaco Andrea Corsaro hanno deciso di bocciare l’ordine del giorno giustificando il loro voto contrario con il fatto che vi siano casi analoghi di persone italiane a cui pensare e in consiglio comunale hanno citato il caso dei 18 pescatori siciliani ormai segregati da due settimane a Bengasi, prigionieri delle milizie di Khalifa Haftar, in Libia.

Siamo alle solite: il “prima gli italiani” diventa il motivo valido per risparmiare la solidarietà a qualcuno in giro per il mondo secondo la solita retorica per cui c’è sempre “altro” a cui pensare, sempre “altro” di cui occuparsi e così alla fine si finisce per non prendere posizioni scomode e per svicolare dalle proprie responsabilità.

Potrebbe sapere, il sindaco di Vercelli Andrea Corsaro, che la solidarietà non si consuma, non finisce e non scade. Forse sarebbe il caso di dirsi che proprio la solidarietà è uno di quegli ingredienti su cui è consigliato eccedere, che sia per un giovane egiziano o per i poveri pescatori italiani (di cui il governo si sta occupando da giorni). Ci si chiede allora perché non presentarne due di ordini del giorno, che potessero comprendere anche le persone indicate dalla maggioranza. Ma loro sono così, sempre: agiscono per sottrazione perché solo negando i diritti riescono a parlarne e a distinguersi. Così si finisce che con l’urlo “prima gli italiani” si riesce a non occuparsi di niente e di nessuno. Quando la libertà smette di essere universale diventa un bieco interesse di bottega da sventolare per propaganda. Ancora una volta, come sempre.

Leggi anche: 1. Studente arrestato in Egitto, testimonianza esclusiva dal Cairo: “Vi racconto il vero motivo per cui hanno incarcerato il mio amico Patrick”; 2. “Torturato per ore, Al Sisi lo faccia tornare in Italia”: la collega dello studente arrestato in Egitto a TPI; 3. ESCLUSIVA TPI: ecco le accuse contro Patrick George Zaki, lo studente arrestato oggi in Egitto

4.Libertà per Patrick Zaki, il ragazzo fermato al Cairo (illustrazione di Gianluca Costantini); 5.Regeni, 4 anni dopo: tutta la fuffa della politica che ci ha preso in giro (di L. Tomasetta)

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E insomma galleggiano

I partiti e i leader dopo le elezioni regionali. E i cittadini italiani dopo il referendum costituzionale, in attesa delle riforme che sono state promesse

Primo dato, appariscente e importante: questo refrain che gli italiani non vedessero l’ora di andare a votare per prendere a calci i partiti del governo e per incoronare la destra di Salvini e di Meloni è una bufala pazzesca. Nei giorni scorsi qualcuno, Salvini in testa, sognava e sparlava di una vittoria clamorosa e invece quel turbine sovranista che latra sui social, sui giornali e in televisione è solo un ruttino. Matteo Salvini ha voluto trasformare questo voto in un voto nazionale e ha sbagliato. A proposito: la Lega stravince in Veneto ma la lista di Zaia stravince relegando la lista ufficiale del partito a percentuali per niente eclatanti. Per intendersi: ha stravinto Zaia, più della Lega e presto farà valere il suo peso politico anche sul resto del partito. Il centrodestra galleggia.

Il Partito Democratico tiene, vince in Toscana e si afferma come partito, vince in Puglia con candidato che non voleva nessuno (Emiliano) e stravince in Campania con De Luca (ma quella è una vittoria di De Luca). Zingaretti ha rischiato ma è riuscito a rimanere in piedi. C’è da dire che nessuno dei candidati è un “suo” uomo. Ora chissà se riuscirà a fare il segretario e a governare con decisionismo il partito. Si rimane in attesa, come sempre. Una notazione: Zingaretti in conferenza stampa è riuscito a proporsi come rappresentante di chi ha votato Sì e anche di chi ha votato No al referendum, come se con un po’ di retorica si potesse tenere i piedi in tutte le scarpe. Il Pd galleggia.

Il Movimento 5 Stelle si sa che avrebbe deluso e infatti Di Maio corre in conferenza stampa intestandosi la vittoria del referendum e poi lascia agli altri l’incombenza di analizzare i deludenti risultati delle regionali. Ora si giocherà la battaglia interna nei prossimi Stati Generali e lì si capirà di più. Insomma il M5S galleggia.

Matteo Renzi si è tolto la soddisfazione di esistere solo per fare perdere il centrosinistra e non ci è riuscito. Incassa un risultato patetico ma non se ne renderà conto. Sono anni che non riesce a fare i conti con la realtà. E quindi galleggerà continuando a pestare i piedi.

Intanto per il taglio dei parlamentari stravince il Sì ma verrebbe da chiedersi chi rappresenti quel 30% di No. Ora tutti ci promettono che faranno le riforme. Restiamo in attesa di sapere quali siano le idee. Insomma, galleggiamo anche noi.

Buon martedì.

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Vuole il processo e poi frigna

La tattica di capitan Coniglio è sempre la stessa: provare a scappare dal processo e poi frignare per il processo e provare a utilizzarlo a proprio favore. Ieri ci ha detto che dovrà spiegare a suo figlio di non essere un delinquente e in questa frase c’è tutta la sua retorica: usare i figli per muovere la compassione è una mossa da spot di merendine, qualcosa di talmente basso che si prova orrore solo a scriverlo e se non è riuscito in tutti questi anni a capire che a processo non ci vanno i delinquenti ma ci si va perché si è accusati di qualcosa e si ha l’occasione di dimostrare la propria innocenza allora non c’è più speranza.

Eppure se Salvini fosse furbo potrebbe usare questo processo a suo favore non tanto frignando quanto piuttosto raccontandoci bene come siano andati i fatti, quali siano stati i suoi intendimenti e quali siano stati i suoi risultati. Tutto questo brutto balletto ci sarebbe risparmiato e si potrebbe parlare di politica.

A proposito di politica: ma siamo sicuri che Salvini fosse solo nel prendere quelle decisioni? Dico, al di là della questione meramente burocratica, ve lo ricordate con chi andava a braccetto mentre chiudeva i porti? Vi ricordate chi esultava con lui? Vi ricordate chi si faceva fotografare sorridente dopo l’approvazione dei decreti sicurezza? E, soprattutto, lo sapete che il secondo decreto sicurezza è stato ulteriormente peggiorato dai molti emendamenti del Movimento 5 Stelle?

E vi ricordate l’abrogazione della Bossi-Fini che non è mai arrivata? l’abrogazione dei decreti sicurezza? L’avete letto del rifinanziamento dei torturatori libici da parte del governo italiano?

Così, tanto per non perdersi troppo sul processo di Salvini.

Buon venerdì.

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Filippo Sensi a TPI: “Abbiamo combattuto Berlusconi per anni, ma oggi il mondo è cambiato”

Filippo Sensi è un giornalista, blogger, esperto di comunicazione politica e dal 2018 deputato per il Partito Democratico. Qualche giorno fa alla Camera ha fatto memoria leggendo l’elenco dei medici morti di Covid. Tutta la sua esperienza è improntata su un umanesimo ben lontano dai toni e dai modi generali della politica.
Qualche giorno fa alla Camera ha letto l’elenco dei 173 medici morti di Covid in Italia, perché? 
Sono partito da un senso di inadeguatezza, la mia. L’occasione era l’istituzione di una giornata di memoria per le vittime della pandemia, e ho pensato che l’unico modo possibile – parlo per me, ovviamente – per fare memoria di questa assenza fossero i nomi. Ho scelto i medici, non potendo leggere migliaia di nomi, come pietre di inciampo di questo cammino dentro la malattia nel quale siamo ancora dentro.

Qualcuno dice che il suo sia stato un gesto simbolico inutile in un luogo come il Parlamento, come risponde?
Penso che averlo fatto in Parlamento sia stato un modo per dare dignità anche all’aula che, right or wrong, è un luogo fisico e simbolico della comunità democratica che siamo. Chiamarli, uno per uno, per rifarli presenti. A maggior ragione adesso che ci vogliamo sentire fuori da quella memoria, dalla memoria del lockdown, quando la malattia infuriava e sembrava senza scampo.
Secondo lei quanta memoria abbiamo di quel periodo buio, è già in atto una rimozione?
Non so se sia in atto una rimozione, non credo, ma qualora pensassimo di esserne usciti, chiamare gli assenti è un modo, forse l’unico, per restituirci un senso di noi, e anche di futuro.

A proposito, anche quando si è parlato di bullismo alla Camera lei ha portato la sua esperienza personale parlando dei suoi problemi con il peso. Ma l’umanità in parlamento “funziona”?
Penso di sì. E che quando balla qualcosa di noi stessi nelle cose che diciamo – perché poi diciamo cose – secondo me quelle cose prendono peso, volume, colore, luce. Parlano di noi. Perché poi cosa altro dovrebbe fare la politica se non parlare di noi, dire di noi? Quando succede, secondo me, si sente. Quando sporge qualcosa dell’umanità e della storia personale dentro un provvedimento o un intervento certo espone, evidenzia fragilità. Ma perché mai la politica dovrebbe essere il luogo e la lingua di ciò che è inumano, della anestesia dei sentimenti e delle passioni? Non ridurrei la politica a una pappa del cuore, ma una politica dimentica della sua dimensione umana e personale sarebbe non un errore, ma la negazione di sé.

Arrivano i soldi dell’Europa. Quali dovrebbero essere le priorità per il governo?
Vado in controtendenza: non penso che a questo punto ci manchi la visione, come dicono molti. Adesso abbiamo bisogno non tanto di effetti speciali, o di vasti programmi, ma di persone esperte nei gabinetti del governo che siano in grado di scrivere i nostri programmi in maniera efficace, come si fa quando si cerca di accedere ai fondi europei. Persone di qualità – e ce ne sono, task force e non task force – che sappiano cosa chiedere e come si chiede e come si ottiene. Non interminabili liste della spesa o Costituzioni repubblicane: progetti concreti e puntuali, che non si facciano bocciare. Evitiamo la retorica dei grandi principi che poi si trasforma in piagnisteo quando la banca ti chiede di rientrare: tocca a noi lavorare con competenza, umiltà, determinazione: ci sono tutti gli elementi per farlo, e farlo come si deve.

Si parla molto, e con molta preoccupazione, della scuola. Al momento sembra difficile riuscire a trovare una soluzione che risulti soddisfacente per tutti. È ottimista?
Non è un fatto di ottimismo o meno. Credo che a settembre, in un modo o nell’altro, la scuola ripartirà. Il dibattito continuerà, tra scambi di accuse e tutto quello che segue. Ma riaprirà. E confido che lo farà in sicurezza e nel rispetto di tutti i player della scuola: dei docenti, del personale, dei dirigenti, delle famiglie, e soprattutto dei ragazzi. Che hanno bisogno di andare a scuola in sicurezza e con fiducia.

C’è in corso una sotterranea (nemmeno troppo) voglia di restaurazione che passa addirittura dalla riabilitazione di Berlusconi, da Prodi a De Benedetti: cosa ne pensa?
Ho combattuto Berlusconi per buona parte della mia esperienza di comunicazione politica. Lo ricordo bene, ricordo bene cosa è stato nel 2001 fare una campagna elettorale nazionale contro Berlusconi, un uomo che ha segnato la vita politica di un ventennio in Italia. Quella stagione non si dimentica e credo che non sia stato ancora capito a fondo cosa sia stato il berlusconismo in Italia. Credo altrettanto che oggi siamo in una stagione molto differente, e non solo perché sono passati molti anni, ma perché è cambiato il panorama politico in tutto il mondo. Questo non vuol dire necessariamente cambiare atteggiamento o giudizio politico, ma certo – parlo per me – approfondirlo, renderlo contemporaneo, con un senso della realtà che valeva ieri come vale oggi.

Che valutazione dà, finora, alla sua esperienza politica? 
Provo a occuparmi delle cose che mi competono. Sono molto ammirato dai miei colleghi, vedo tanta passione e competenza, dalla quale provo a rubare esperienza. Se ne dicono di ogni sui parlamentari e sulla qualità della politica, ma lavorando in commissione o partecipando ai lavori di aula vedo tante persone dalle quali imparare, e tanto.
Quali sono state le più grandi soddisfazioni e le più grandi delusioni?
Sono stato orgoglioso di vari provvedimenti, meno, molto meno di altri. Ho visto approvare le leggi vergogna sulla sicurezza, ho provato molta rabbia. Vedo l’aula troppo vuota, sono stato molto criticato su questo punto, ma non mi ci rassegno, mi dispiace. Penso, in genere, che quando il Parlamento – non succede sempre, purtroppo – fa i compiti a casa, fa il suo lavoro quotidiano, la fatica della democrazia, ne trae giovamento tutto il Paese, come fossero i polmoni di questa Repubblica.

Leggi anche: 1. Il governissimo con Berlusconi è il simbolo di una politica marcia voluta da certi salotti e certe redazioni (di Luca Telese) / 2. Revelli a TPI: “Governissimo con Berlusconi? Certi potentati vogliono la restaurazione per mettere le mani sui fondi europei” / 3. Da Prodi a De Benedetti: tutti quelli che rivogliono Berlusconi al governo

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19 anni dopo, i temi del G8 di Genova sono più attuali che mai

Chissà quando avremo gli occhi per rivederlo, quel G8 a Genova, quella manifestazione che certa retorica squadrista continua a raccontare come un’orrida sequela di tafferugli (dimenticandone chirurgicamente le responsabilità), raccontando di una città messa a ferro e a fuoco e proiettando un film che non rispetta la realtà. Andrebbe rivisto, quel G8, per raccontare come una grave sospensione della democrazia (parole usate dall’Onu e riprese da importanti organizzazioni internazionali) possa passare sotto traccia ed essere normalizzata negli anni successivi.

Ma, no, questo non vuole essere un pezzo sui picchiatori seriali ben ammaestrati in divisa e nemmeno sulle forze di pubblica sicurezza che fabbricano prove false per giustificare la propria violenza. Dico, ve li ricordate i temi di quel G8? C’erano qualcosa come 300mila persone (che non sono i like su Facebook) che avevano preso i mezzi da tutto il mondo per arrivare a Genova a evidenziare una serie di problemi che per loro sarebbero stati lo scacco matto del futuro del mondo.

A Genova si contestavano il neoliberismo furioso, la concessione di veri e propri paradisi fiscali, la vittoria della finanza sull’economia, l’aumento della disuguaglianza sociale e soprattutto dell’ingiustizia sociale, l’impoverimento irrefrenabile delle classi medie, la sbagliata e ingiusta distribuzione di ricchezze nel mondo, la visione privatistica del mondo al danno del pubblico, il consolidamento delle lobby di potere e delle grandi multinazionali come inquinamento delle decisioni politiche, la redditizia instabilità del mondo mediorientale. Si parlava dell’ambiente prostituito al profitto e delle enormi conseguenze che ci sarebbero state a livello planetario, si parlava dell’aumento della diffusione di xenofobia e di razzismo.

Avevamo ragione noi, a Genova. Aveva ragione quel documento finale del Social Forum di Porto Alegre (lo trovate qui) del 2002 che oggi risuona ancora come agenda assolutamente contemporanea del mondo in cui siamo. Sono passati quasi 20 anni e i mali del mondo sono ancora gli stessi.

Quei temi non sono stati sfondati dai manganelli (a differenza delle teste e dei denti) e dimostrano che, no, non era violenza sistematica per zittire qualche contestazione ma era un pugno di ferro contro un cambiamento di un mondo che non vuole cambiare e che continua a crollare ogni giorno dei medesimi mali. Avevamo ragione noi, a Genova, in piazza, e oggi i grandi del mondo parlano quella stessa lingua. Solo che qualcuno ci ha rimesso qualche osso.

Leggi anche: 1. In Italia 13mila infetti, ma gli “untori” sono i migranti: signori, gli sciacalli sono tornati (di G. Cavalli) / 2. Caro Conte, l’unica opera strategica per l’Italia è investire nella scuola. Che cade a pezzi (di G. Cavalli)

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Quei migranti che il Governo e l’Europa considerano carne da macello. Proprio come Salvini

Fuori da quelle navi dovrebbero attaccarci un cartello, avere il coraggio di farlo davvero, e scriverci su “carne da maneggiare con cura”. Le persone che continuano a essere alla deriva in questo Mediterraneo così tristemente uguale a se stesso non sono persone come tutti gli altri, non sono gente con un passato e con un presente o chissà perfino un futuro, quelle persone sono carne che non è buona nemmeno da mangiare ma che torna utilissima per il carpaccio della retorica politica e per essere lanciata a fette contro l’avversario di partito.

Se arrivano in Italia, come accade da 12 giorni alla Ocean Viking con a bordo 180 persone, allora sono carne pronta per essere addentata da Salvini e dai suoi amici per raccontare la solita invasione che non c’è e che non c’è mai stata, il tutto condito anche con il terrore del Covid che intanto viaggia per tutto il Veneto nella tasca di un dirigente d’azienda che ha giocato a fare il super eroe. Ma sono carne da macello anche per i partiti di governo, per quelli che vigliaccamente hanno paura di essere considerati troppo buoni, per quelli che invece i migranti li vorrebbero usare come fa certa destra ma non possono per equilibri di governo. E sono carne da macello anche per il presidente del Consiglio, che non riesce a trovare nessuna opportunità fotografica per potersi permettere di parlarne.

Sono carne da maneggiare con cura anche per la ministra Lamorgese, quella che ha usato la ferocia invisibile sui social per contrastare il feroce che è dappertutto sui social: stessi temi, stessi modi, stesso punto di vista ma atteggiamenti diversi che vorrebbero essere rivenduti come una qualità. Che qualità vacua, invece. Sono carne da maneggiare con cura anche i 52 migranti che sono a bordo del mercantile Talia che ha avuto l’ardore di ritardare la consegna del carico per salvare le persone, pensa un po’.

Quella foto di un macchinista che sorregge sulle braccia uno scheletrico profugo molle come un orologio di Dalì è il manifesto dell’Europa che tace e acconsente, che continua a fare i conti per i soldi da sparpagliare in giro ma che non ne vuole sapere di quella carne che arriva dal mare, quella carne che, disdetta, scappa ai carnefici libici che pure paghiamo così tanto e così bene. Non sono più persone, non sono più nemmeno numeri: sono carne da conservare perché non diventi rancida e non puzzi troppo alzando lo sdegno e sono carne a cui trovare un angolo dentro il congelatore senza spostare troppo tutto il resto.

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