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Le sta sbagliando tutte

Matteo Salvini non fa proposte concrete e dimostra di non avere una strategia sull’emergenza pandemia. E continua a inanellare una serie incredibile di figuracce

Ieri nel Consiglio regionale lombardo, settima commissione ore 10/10.30 volano stracci in casa Lega: Massimiliano Bastoni insulta Salvini ma non si accorge di avere il microfono accesso. Il presidente di commissione Terzani lo rimprovera insieme a Paola Romeo (Forza Italia). Una scena meravigliosa ma indicativa. Eccolo qui:

Il piccolo incidente però è indicativo. Matteo Salvini le sta sbagliando tutte e sono in molti ormai nella Lega che glielo stanno facendo notare. Una premessa: governare un Paese in tempi di pandemia, con tutte le decisioni difficili da prendere, costa moltissimo in termini di consensi. Accade negli Usa con Trump, accade in Francia con Macron, accade in Brasile. Indici di gradimento che sono in continua discesa e le opposizioni che risalgono prepotentemente. È il gioco della politica da sempre: governare costa in termini di consenso e farlo in un periodo di incertezza e di crisi sanitaria ancora molto di più.

Lui no. Lui, Matteo Salvini, è riuscito a passare dal 37% dell’agosto 2019 al 24,3% dell’ultimo sondaggio e continua a inanellare una serie incredibile di figuracce. Ieri mattina è corso dal suo presidente della Lombardia Fontana perché diceva non condivideva il lockdown notturno pensato dal presidente della Lombardia. Ha anche sparato la solita tiritera sulla libertà: «le limitazioni delle libertà personali mi piacciono poco e devono essere l’ultima spiaggia», ha detto prima di entrare nel palazzo della Regione. Ne è uscito scornato. Fontana è rimasto sulla sua posizione e pace per il leader leghista.

Badate bene: Salvini è lo stesso che 15 giorni fa diceva che non ci fosse nessun bisogno di prolungare lo stato di emergenza. Anche in quel caso aveva parlato di scelta politica non suffragata da dati sanitari: in 15 giorni è stato seppellito dalla realtà.

Del resto è lo stesso  che questa estate ha rilanciato più volte l’ipotesi del professore Zangrillo che dichiarava il virus “clinicamente morto”. Com’è andata a finire lo sappiamo bene: perfino Zangrillo ha dovuto tornare sui suoi passi. Salvini ovviamente ha fatto finta di niente, come al solito. A fine luglio Salvini aveva partecipato al convegno dei negazionisti, proprio con Zangrillo e Sgarbi. Riascoltare oggi quello che dicevano in quei giorni fa venire la pelle d’oca.

E ve lo ricordate a febbraio, quando fece quel video in cui disse “riaprire, riaprire tutto, tornare alla libertà”, pochi giorni dopo il paziente uno di Codogno? Ecco, poi ci sono stati i morti e le bare di Bergamo. Ha fatto sparire il video dai suoi social ma poi ci era ricascato ancora. Senza contare tutte le volte che si è esibito fiero senza mascherina, fino a che perfino i suoi supporter lo hanno duramente criticato ed è stato costretto a cambiare rotta.

Due giorni fa si è lamentato perché il presidente del consiglio Conte aveva telefonato alla coppia Fedez e Ferragni per chiedere di sensibilizzare i giovani sull’uso della mascherina e lui, pensando di fare una bella figura, ha detto ai giornali «a me ha fatto solo una chiamata di 40 secondi negli ultimi mesi». Ora, pensateci un secondo: quale sarebbe la strategia di Salvini? Non c’è. Proposte concrete non ce ne sono.

Certo perdere consensi di questi tempi è un capolavoro di inettitudine e tra i suoi (Zaia in testa) sono in molti a dirlo sottovoce. Almeno c’è di buono che non ce lo siamo ritrovati come ministro. Almeno questo.

Buon giovedì.

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Il Covid blocca anche le adozioni: 500 bambini non possono andare dalle loro nuove famiglie

L’epidemia porta con sé storie nascoste nelle pieghe che bisogna andare a cercare e che nascondono difficoltà che rimangono sotto traccia. In Italia in questo momento ci sono 500 famiglie che attendono il proprio figlio. Sono famiglie che dopo un lungo percorso sono riuscite ad accedere all’adozione internazionale e che nonostante abbiano già ottenuto l’abbinamento, un percorso sfiancante dal punto di vista burocratico e affettivo, non riescono ad abbracciare i propri figli a causa dei blocchi tra Paesi.

La psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi, con un intervento sul settimanale Oggi scrive chiaramente cheper quei bambini attendere ancora significa nuovamente sperimentare un rifiuto che inconsciamente conoscono e consciamente li opprime”. Hanno conosciuto i genitori – spiega la Parsi – scambiando abbracci e pronunciando parole in lingue diverse, nel nome di un nascente amore, di una nascente, reciproca fiducia e speranza di diventare famiglia. Quei bambini sono stati fin dalla nascita segnati da distacchi e da traumatiche esperienze che li hanno separati dalle madri che li hanno messi al mondo. Hanno vissuto in istituti con altri bambini o in famiglie di accoglienza”.

Il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini Marco Griffini racconta che l’ex vicepresidente della Commissione per le Adozioni Internazionali aveva parlato di “corsie preferenziali” per superare il blocco causato dell’epidemia: serve un accordo urgente con i Paesi di provenienza, di concerto con tutti i Paesi europei per riuscire a sbloccare la situazione. “Questo è un problema urgente che non riguarda solo i 500 bambini italiani già abbinati, che, bisogna ricordarlo, sono già dei potenziali cittadini italiani”, ha aggiunto Griffini.

“C’è un numero spropositato di bambini orfani a causa del Coronavirus e quindi vanno studiate e applicate assolutamente delle nuove modalità di gestione delladozione internazionale”. E la memoria va a quando il Governo si attivò, era il 2014 con la ministra Boschi, per sbloccare la situazione di 31 bambini in Congo. Un padre sulla pagina Facebook “Un bimbo mi aspetta” scrive: “Continuo a essere convinto di questa scelta, ma ora mi faccio delle domande, perché il tempo per far ripartire le cose c’è stato. Mi rendo conto che un genitore adottivo non muove il mercato di un campionato di calcio. Mi rendo conto che cerano altre priorità (ci sono sempre altre priorità quando si parla di adozione). Ma abbiamo trovato il tempo di andare in vacanza, riaprire i campionati di calcio, spostare turisti e merci. Siamo riusciti a mettere in piedi un turno elettorale. E non siamo riusciti a unire duecento famiglie. Ogni tanto si spera che l’adozione possa essere “veloce” come un abbandono. Anche in tempi di Covid.

Leggi anche: 1. Coronavirus, Conte: “Situazione preoccupa, rispettare le regole. Lockdown a Natale? Non do previsioni, mi occupo di prevenire” / 2. “Dopo i casi di oggi è davvero possibile un nuovo lockdown delle città italiane”: parla Pregliasco / 3. C’è l’emergenza Covid, ma all’Umberto I di Roma i pazienti sono stipati in sala d’attesa. Motivo? Il set di Mission Impossible con Tom Cruise

4. “La gente non ci vuole mai credere fino a quando deve per forza toccare con mano che il virus non è mai stato meno letale”. Parla Cartabellotta del Gimbe / 5. Nonostante il Covid abbiamo realizzato solo metà delle terapie intensive e usato un terzo dei fondi per posti letto e tamponi / 6. Tutti i numeri su Immuni tra le omissioni delle Asl e la paura dei contagiati

7. Giallo, arancione, rosso: i 3 scenari del Cts per le chiusure se salgono i contagi / 8. Covid, il ministro Speranza: “Il 75% dei contagi da parenti e amici: stop a tutte le feste” / 9. L’epidemiologo Le Foche: “I contagiati hanno carica virale bassa, epidemia domabile in primavera”

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Italia, anno 2020: “Cari culattoni con l’AIDS”. La lettera omofoba anonima a due ristoratori

Accade a Torino. Gaetano e Stefano sono i titolari della pizzeria 150 di via Nizza 29 e al mattino nel plico della posta ritirata trovano una lettera. Strano, non è epoca di lettere questa. Dentro ci trovano una missiva scritta a macchina che dice testualmente così: “È un peccato che non vogliate riaprire a pranzo in un momento in cui tutti hanno voglia di riaprire e ricominciare, ma considerando che ho saputo che siete due noti culattoni  penso che il male maggiore ce l’abbiate in corpo, l’aids, per cui siamo noi clienti ad aver paura a venire da voi”. La lettera ovviamente non è firmata: gli omofobi di ogni specie e grado sono molto spesso anche vigliacchi, offendono anonimamente oppure alzano le mani in gruppo, è la cronaca di questi anni a raccontarcelo.

Gaetano e Stefano però non ci stanno e decidono di rendere pubblica la lettera dal loro profilo Facebook e di rispondere per le rime: “Ci siamo sforzati – scrivono Gaetano e Stefano – di trovare un nesso tra la mancata riapertura del negozio a pranzo e la nostra vita privata , dopo qualche ora siamo giunti alla conclusione che probabilmente avresti bisogno di uno psichiatra , fai tesoro dei consigli che ti diamo. In genere, abituati da sempre a vivere la nostra vita liberi e felici caro il nostro frustrato e probabilmente anche insignificante nella vita, abbiamo serie difficoltà a considerare le tue parole offensive, non ci hai messo neanche la faccia!!!! Ti nascondi dietro una letterina ina ina, perché mancando di palle, non sei in grado di sostenere ciò che pensi, già questo ci dice abbastanza di te, tra l’altro, mentre noi si vive felici e contenti, tu spendi tempo per metterti li a scrivere a macchina, imbustare, uscire di casa fino alla posta, spendere dei soldi per un francobollo, per cosa poi?”.

Sfugge in effetti la logica che possa spingere un vile omofobo nel perdere tutto quel tempo per offendere qualcuno, prendersi addirittura la briga di confezionare una lettera solo per poter esercitare un po’ di omofobia. Accade però anche altro: la notizia di quel gesto vigliacco viaggia sui social e Gaetano e Stefano vengono travolti dalla solidarietà di tanti che promettono di passare presto da loro a mangiarsi una pizza. È la solidarietà che trasforma un gesto indegno rovesciandolo in vicinanza. E così il piccolo oliatore scribacchino ora si sorbisce anche la tortura di essere stato un ottimo veicolo pubblicitario. Ben fatto, campione!

Leggi anche: Il linguaggio di certi giornali sul caso di Caivano rivela l’arretratezza italiana sull’omotransfobia (di G. Cavalli)

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La soluzione apparente

La prevenzione anti-Covid 19 e i treni: si decide una data di scadenza per i viaggi con distanziamento, per poi accorgersi nell’ultimo giorno utile che quella decisione andava prorogata

Ogni volta che si tratta di qualche misura di prevenzione per il Covid-19 in Italia (ma accade così purtroppo in tutto il mondo) ci si schianta contro una realtà difficile da commentare. Si pensava che almeno il dolore lasciasse ferite abbastanza profonde per non permettersi di non essere seri, si pensava che i morti e il dolore non passassero come ci si dimentica di un raffreddore e invece ci si inchioda sempre, tutte le volte.

La questione dei treni, a esempio, è qualcosa degna di una sceneggiatura di teatro dell’assurdo: si decide una data di scadenza per i viaggi distanziati sui treni a lunga percorrenza, e questo è abbastanza normale visto che i decreti devono avere delle scadenze, per poi accorgersi nell’ultimo giorno utile che quella decisione andava prorogata. Decine di esperti, di task force, di funzionari, di protocolli e di raccomandazioni e poi questo agire da scavezzacollo che si sbuccia le ginocchia in discesa. A posto così.

Il fatto è che una decisione andrebbe spiegata per bene, bisognerebbe avere la forza e la credibilità (anche politica) di argomentarla almeno per non dare voce ai fiotti di complottisti che sbucano ovunque e invece ogni volta si tratta di una soluzione apparente, come i banchi con le ruote delle scuole che hanno monopolizzato un dibattito che invece è ampio e denso, una soluzione appoggiata come pezza e che mostra tutto il buco.

Perché se io rischio di ammalarmi su un treno (e non ho motivo per dubitarne) mi sfugge il motivo per cui la durata del viaggio (che è la stessa da Milano a Bologna sulle linee a alta velocità, come qualche traiettoria pendolare regionale) non capisco perché quello stesso rischio poi non lo corro in altri luoghi in cui evidentemente si è deciso di lasciare correre.

E in tutto questo fa sorridere che Regione Lombardia, non contenta dei lutti e delle figuracce fatte fin qui (in attesa degli sviluppi giudiziari) ancora giochi al trucco di mettersi contro il governo.

Oppure c’è una spiegazione un po’ più semplice e banale: tra un mese bisogna riaprire uffici, fabbriche e scuole e tocca allentare senza volerlo dire e apparentemente occuparsene in modo che poi appaia tutto normale. Che è l’interesse di molti, molto ricchi, molto potenti.

Buon martedì.

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Le Regioni dopo due mesi brancolano nel buio: vogliono riaprire ma ancora parlano di tamponi

Fase 2, le regioni brancolano nel buio: ancora parlano di tamponi

Tutti in attesa della Fase 2. Il presidente del consiglio Conte dice che entro la fine di questa settimana illustrerà i dettagli della graduale “riapertura” delle attività produttive sul territorio nazionale mentre alcune regioni spingono, come sempre, per andare per conto loro. E insieme alla discussione sulla Fase 2 si infila lentamente anche la notizia di una ricaduta del contagio: c’è chi dice nel prossimo autunno, c’è chi dice che l’allentamento delle misure porterà a una ricaduta quasi istantanea e chi parla addirittura del 2021.

Uno studio dell’Università di Trento appena pubblicato su Nature Medicine analizza i dati italiani dal 20 febbraio 2020 al 5 aprile per mostrare come il lockdown abbia influenzato la diffusione della pandemia in Italia e ipotizza una stima di 70mila morti solo nel primo anno se verranno allentate le misure esistenti.

“Il nostro modello ci dice – spiega la ricercatrice Giulia Giordano intervistata dall’Agi- che le misure adottate erano indispensabili e che allentarle potrebbe portare a una situazione disastrosa”. Ma secondo i ricercatori non c’è solo il lockdown come possibile contromisura: “Un’altra – spiega sempre Giulia Giordano – potrebbe essere quella di effettuare test sierologici e tamponi a tappeto sull’intera popolazione e un tracciamento accurato dei contatti, in modo da poter isolare qualunque focolaio emergente dal principio. Isolare infetti, fornire cure e arrestare la diffusione. Questa è l’unica possibilità se si vuole allentare il lockdown ed evitare la ripartenza dei focolai. Ma nel caso in cui non si faccia una campagna massiccia di test e le contromisure vengano allentate nel giro di un anno saremmo ancora nel pieno dell’epidemia”.

E siamo ancora qui, al punto di partenza. Sono passati due mesi e ancora non si riesce ad avere un quadro chiaro sulle modalità di tamponi (“a tappeto” e “su tutta la popolazione”, come dicono gli esperti) e di test nelle diverse regioni. Dopo due mesi di emergenza ancora accade che persone sintomatiche siano in isolamento senza mai avere saputo se hanno contratto o meno il virus. Dopo due mesi di emergenza le Regioni ancora brancolano nel buio. E allora sorge un dubbio spontaneo: non è che dopo 60 giorni siamo al punto per cui si riapre solo perché non si può chiudere per sempre? Si aspettano le risposte dei presidenti di regione che si sbracciano per l’aprite tutto. Oppure rimarrà la sensazione che solo il lavoro mobilita l’uomo e solo il profitto detti i tempi del fine quarantena.

Leggi anche: 1. “Censurano le morti e non rispondono da giorni”: così la RSA di Legnano si è trasformata in un lazzaretto / 2. Visite ai parenti, spostamenti e tempo libero: cosa potremo fare dal 4 maggio

3. Coronavirus, in arrivo il test per valutare gli effetti della quarantena sulla psiche 4. Coronavirus in Italia, ultime notizie. Fase 2: ipotesi esame orale di maturità nelle scuole. Lavoro: possibili turni anche nei weekend

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È che ci vuole il fisico, per sapere non fare la guerra

Angelino Alfano, ministro agli Esteri: «L’Italia comprende le ragioni di un’azione militare USA proporzionata nei tempi e nei modi, quale risposta a un inaccettabile senso di impunità nonché quale segnale di deterrenza verso i rischi di ulteriori impieghi di armi chimiche da parte di Assad, oltre a quelli già accertati dall’ONU».

Paolo Gentiloni, Presidente del Consiglio: «L’azione ordinata dal presidente Trump. È una risposta motivata a un crimine di guerra. L’uso di armi chimiche non può essere circondato da indifferenza e chi ne fa uso non può contare su attenuanti o mistificazioni».

Nicola La Torre, senatore del PD, presidente della Commissione Difesa al Senato: «L’azione USA è un’opportunità. Obama con Mosca sbagliava strategia. Ogni sforzo diplomatico era azzerato. L’attacco ha fermato la china criminale e può riaprire il negoziato».

Queste le dichiarazioni. E il commento, alla fine, non c’è nemmeno bisogno di scriverlo perché l’ha già detto come meglio non si poteva dire George Orwell nel 1938:

(continua su Left)