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ricorda

Quindi querelerà la Cia

Eccolo qui, il senatore fiorentino Matteo Renzi, che si incaglia ogni volta che incappa in un’intervista che non compie da solo e che davanti ai giornalisti, giornalisti veri che fanno domande vere e che non servono solo per reggere il microfono, si incarta in una serie di risposte che come al solito eludono le questioni.

Dice Renzi che non c’è nessun conflitto di interessi se un senatore della Repubblica italiana ed ex presidente del Consiglio viene usato, profumatamente pagato, per essere il fondotinta di uno Stato illiberale e dittatoriale come l’Arabia Saudita. Poi precisa che non esistano regole che glielo impediscano e qui sta il punto: il tema non è contravvenire una regola che (purtroppo) non esiste ma l’opportunità di quel gesto. Quindi Renzi rivendica il diritto di essere inopportuno finché non è illegittimo. Buono a sapersi.

Quando qualcuno gli fa notare che Tony Blair è un ex politico che non riveste nessun ruolo attivo il senatore fiorentino butta la palla in tribuna dicendo che comunque Blair riveste un ruolo attivo nel dibattito politico del Paese. Capito? Non coglie differenza tra un politico in carica e un ex politico. Bene così, buono a sapersi.

Ma il punto fondamentale e forse più vergognoso è quando dice «Mohammad Bin Salman? È un mio amico e che sia il mandante dell’omicidio Kashoggi lo dite voi. L’amministrazione Biden non ha sanzionato Bin Salman». Renzi deve avere letto molto distrattamente il report della Cia (ma evidentemente anche i documenti dell’Onu) che dicono tutt’altro. Oppure avrebbe potuto ascoltare le parole della promessa moglie del giornalista saudita. Ma pur di difendersi riesce addirittura a mettere in discussione un omicidio di gravità internazionale che è stato raccontato, studiato e indagato in ogni dove. E siccome la negazione traballa ci tiene a farci sapere che Biden non abbia «bannato» (dice proprio così, come se fossimo su Facebook) il principe saudita. Quindi finché gli Usa non bombardano i sauditi lui si sente tranquillo, buono a sapersi.

Quel “lo dite voi” ha lo stesso suono di quel “questo lo dice lei” che la grillina Castelli usò come “specchio riflesso” con l’ex ministro Padoan parlando (a sproposito) di spread: vi ricordate come ci divertimmo tutti a percularla? Bene, in questo caso c’è di mezzo un giornalista fatto a pezzi. Ognuno misuri le debite proporzioni.

Ora se Renzi è coerente immagino che continuerà a fare come sta facendo negli ultimi mesi, querelando a man bassa chiunque contravvenga la sua narrazione e quindi evidentemente scrivendo anche una bella querela all’Onu e alla Cia. E poi magari bannerà Biden su Twitter. E a posto così.

Buon giovedì.

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“Avete superato la capienza della nave poiché salvate troppe persone dalla morte”, l’assurdo motivo con cui la Guardia costiera blocca la Sea Watch

Di questa storia, fidatevi, ne leggerete poco in giro perché l’anestesia istituzionale sul tema degli immigrati è roba che ci trasciniamo dal governo giallorosso e che non accenna a modificarsi. Dopo il primo governo con Conte alla presidenza del Consiglio e Salvini a urlare nelle vesti di ministro, l’atteggiamento dello Stato nei confronti delle Ong si è modificato nella forma ma non nei contenuti: dalla prosopopea dei porti chiusi rilanciata dappertutto si è passati a un ostruzionismo verso le navi di soccorso nel Mediterraneo che si è avvalso di carte bollate e di un po’ di insana burocrazia, senza dirlo troppo in giro. Nella desertificazione del Mediterraneo la ministra Lamorgese è riuscita ad ottenere risultati addirittura migliori di Salvini pur mantenendo le carte a posto e, chissà perché, apparendo perfino più “umana” del predecessore.

L’ultima penosa scena è accaduta porto di Augusta, domenica mattina, quando l’Ufficio di sanità marittima e di frontiera ha autorizzato la nave Sea-Watch 3 a lasciare il porto dopo la quarantena di 16 giorni. Era tutto pronto per ripartire ma due ufficiali della Guardia costiera hanno voluto effettuare un’ispezione straordinaria (che nonostante il nome è diventata di sconcertante ordinarietà per le navi delle Ong) contestando due mancate comunicazioni di arrivo in porto, la mancata sicurezza sul conferimento dei rifiuti, uno sversamento dei olio da una gru e soprattutto l’incredibile accusa di avere salvato “troppe” persone: i 363 naufraghi salvati dalle onde dalla nave hanno portato al superamento della capienza della nave. Sì, avete letto bene: per non irretire i burocrati della Guardia costiera evidentemente bisognava salvarne meno, contare i salvati fino al numero massimo consentito e poi lasciare gli altri in balia delle onde. Forse sarebbero morti, è vero, ma almeno sarebbe stato tutto meravigliosamente regolare.

Puntuale come sempre è arrivata anche la contestazione kafkiana di non possedere la certificazione per svolgere una regolare attività di salvataggio: anche questa è una scena che si continua a ripetere e tutte le volte tocca riscrivere e ricordare che non esista nessun tipo di certificazione né nell’ordinamento italiano e tantomeno nell’ordinamento tedesco a cui la Sea-Watch 3 fa riferimento battendo bandiera tedesca. Come nelle commedia all’italiana dove ci sono vigili che chiedono documenti che non esistono così succede nei nostri porti. Peccato che non faccia ridere nessuno e che intanto la gente continui a morire.

Tra le carte del controllo si scorge anche un’altra gravissima irregolarità che deve avere allarmato i solerti ispettori: un tubo di gomma intralciava un’uscita di sicurezza della sala macchine e anche se è bastato dargli un colpo con un piede per rimetterlo a posto, il grave delitto è stato prontamente verbalizzato. Diciotto irregolarità in tutto che ovviamente complicano il ritorno in mare. Per quanto riguarda la mancata certificazione Sar da parte dello stato di bandiera il Tar di Palermo in realtà si è già pronunciato sospendendo il freno di un’altra nave (la Sea-Watch 4) ma evidentemente le sentenze contano solo se tornano utili.

È il sottile gioco della burocrazia usata come clava che il governo Draghi perpetua in perfetta continuità con il governo precedente, con la ministra Lamorgese in testa ma anche con la collaborazione (anche questa sempre poco raccontata) del ministero della Salute (guidato da Roberto Speranza che con il suo partito dell’accoglienza ne fa pure un vanto) che mette tutte le navi delle Ong in quarantena a differenza di ciò che accade con le navi commerciali (anche quando queste ultime compiono salvataggi con migranti perfino positivi) e del ministero dei Trasporti che ha la responsabilità delle ispezioni della Guardia costiera. A proposito: ministro dei Trasporti è proprio quel Enrico Giovannini che fino a poco tempo fa sedeva nel direttivo di una Ong (Save The Children) e chissà che lui, almeno lui, non abbia qualcosa da dire.

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Sui vaccini indaga Zuccaro, il ‘complottista delle Ong’ idolo di destra e grillini

Tra le procure che hanno aperto indagini sulle eventuali reazioni avverse dei vaccini c’è la procura di Catania, con il procuratore Zuccaro che sta indagando per il reato 443 c.p (“Commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti”) ed è bastato giusto il tempo di mettere in piedi una bella conferenza stampa per lanciarsi in una dichiarazione che lascia a dir poco interdetti: «Stiamo verificando – ha detto il procuratore Carmelo Zuccaro al quotidiano La Repubblica – se determinati soggetti trombofilici possano avere una predisposizione ad attivare alcuni fattori detonatori. Potrebbero esserci nel vaccino eventuali controindicazioni per alcune persone, controindicazioni che non sono state analizzate considerato il poco tempo a disposizione per la realizzazione del farmaco». E poi: «L’obiettivo della nostra indagine è raccogliere dati su questo aspetto particolare e provare a dare un contributo alla scienza. E così spazzare via tutte le diffidenze attorno a un vaccino che è indispensabile».

Evidentemente siamo ingenui noi a pensare che le indagini servano per indagare su un presunto reato senza sapere invece dell’esistenza di inchieste con finalità di ricerca scientifica: nelle parole del procuratore ci sono già le “reazioni gravi” (ma allora a che serve l’Ema?), c’è la poca informazione scientifica di chi parla di “sostanze o altro nelle fiale” (qui siamo oltre la chimica e la famaceutica: siamo in un film di spionaggio di 50 anni fa) e c’è il diritto del dubbio antiscientifico applicato alla scienza. Zuccaro, vale la pena ricordarlo, è sempre quello che nel 2017 parlò in lungo e in largo del suo personale bisogno di «denunciare un gravissimo fenomeno criminale» intorno alle Ong che a suo dire agivano in combutta con gli scafisti.

«Potrebbe anche essere, e sarebbe più inquietante, che queste Ong perseguono finalità di destabilizzazione dell’economia italiana», disse leggero in televisione, dando di gomito ai peggiori complotti finanziari internazionali. Venne intervistato, venne audito in Parlamento, divenne l’idolo di certa destra e del M5S. Peccato che mancassero quei piccoli particolari che in un processo si chiamano “prove”: «E’ possibile ma è solo un’ipotesi che al momento non ha riscontro», diceva. «Non lo posso escludere, ma non lo posso neanche sostenere».

Niente prove, niente riscontri (che evidentemente per un magistrato sono solo inezie) ma in compenso ci fu a lungo una gran caciara utile a ingrossare un certo clima. Il processo ovviamente finì in un buco nell’acqua, la sua mancanza di riservatezza è stata in fretta dimenticata. Ora Zuccaro si butta sui vaccini e ricomincia con la sua solita pacatezza come se non avesse imparato la lezione. A proposito della cautela dovuta in questa caso.

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Ci sono anche buone notizie

Ieri la neo ministra della Giustizia Marta Cartabia è stata audita dalla commissione Giustizia della Camera sulle linee programmatiche del suo dicastero e si è avuta la netta sensazione di ascoltare finalmente parole nuove rispetto a certa giustizia turboferoce che abbiamo visto negli ultimi anni. Certo, dirà qualcuno, siamo solo alle parole ma le buone parole sono il preludio migliore per le augurabili buone azioni e mentre monta un certo cattivismo che vorrebbe “il carcere a vita” per qualcuno che viene processato direttamente sui social ascoltare un ritorno alla ragionevole umanità non può che essere una buona notizia.

La ministra ha chiarito che è impensabile pensare a una “riforma del sistema” vista l’enormemente larga maggioranza che sostiene questo governo (che sulla giustizia come su molti altri temi ha idee praticamente opposte) ma ha ribadito che vanno messi in campo «tutti gli sforzi tesi ad assicurare una più compiuta attuazione della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali». Cartabia ha anche parlato della «necessità che l’avvio delle indagini sia sempre condotto con il dovuto riserbo, lontano dagli strumenti mediatici per una effettiva tutela della presunzione di non colpevolezza, uno dei cardini del nostro sistema costituzionale».

Finalmente si sente anche una ministra che ha il coraggio di dichiarare «opportuna una seria riflessione sul sistema sanzionatorio penale che, assecondando una linea di pensiero che sempre più si sta facendo strada a livello internazionale, ci orienti verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato». Con un parallelo la ministra ricorda in audizione ala Camera che «la certezza della pena non è la certezza del carcere, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali. Un impegno che intendo assumere è di intraprendere ogni azione utile per restituire effettività alle pene pecuniarie, che in larga parte oggi, quando vengono inflitte, non sono eseguite. In prospettiva di riforma sarà opportuno dedicare una riflessione anche alle misure sospensive e di probation, nonché alle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che pure scontano ampi margini di ineffettività, con l’eccezione del lavoro di pubblica utilità».

Erano anni che non si sentivano parole così, pensateci.

(Ah, per tutti quelli che ci faranno notare che proprio qui sul Buongiorno abbiamo criticato aspramente Cartabia per le sue posizioni oscurantiste sui matrimoni gay e per la sua vicinanza a Cl: sì, lo pensiamo ancora. Ma nel nostro patto con i lettori ci eravamo ripromessi di giudicare i fatti, passo dopo passo. E passare dal giustizialismo a un’ipotesi di giustizia giusta è una buona notizia)

Buon martedì.

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La pandemia economica non ha bollettini quotidiani, ma in Italia ci sono un milione di poveri in più

La pandemia economica non ha bollettini quotidiani, ma in Italia ci sono un milione di poveri in più

Scusate se insisto ma c’è una pandemia parallela, figlia di quell’altra, che infesta tutto il territorio nazionale ma che non ha bollettini quotidiani a puntellare il dibattito e l’informazione, che non crea allarmi pruriginosi convenienti per vendere la paura e che viene declinata al massimo in qualche singola storia per coprire qualche ospitata.

Qualche giorno fa sono state rese pubbliche le stime preliminari Istat sulla povertà per il 2020 e sono numeri che sanguinano: ci sono 2 milioni di nuclei famigliari in povertà, 5,6 milioni di individui, 1 milione in più di contagiati dall’indigenza rispetto all’anno precedente.

Visto che vanno di moda le percentuali si potrebbe scrivere così: nel 2019 il 7,7 per cento della popolazione era “povero” e ora siamo al 9,4 per cento. Nel Nord Italia ci sono 720 mila nuovi poveri e 184 mila al Sud. A pagare lo scotto sono le famiglie più numerose, quelle con almeno cinque componenti nel nucleo famigliare in cui l’incidenza è aumentata di quattro punti arrivando al 20,7 per cento.

E poiché va di moda parlare, spesso con vanveristiche banalizzazioni, di futuro allora vale la pena ricordare che le più colpite sono persone tra i 35 e i 44 anni, per la metà operai o assimilati, un quinto sono lavoratori in proprio. Sempre a proposito di giovani: i bambini e i minorenni in povertà assoluta sono aumentati in maniera drammatica toccando quota 1,3 milioni, sono 209 mila in più rispetto all’anno precedente.

Questi numeri, anche questo vale la pena ricordarlo, sono limitati dal reddito di cittadinanza e dal Rom (il reddito di emergenza introdotto a maggio), quelle misure che più di qualcuno al governo sta mettendo sotto accusa dimenticandosi però molto spesso di dirci come abbia intenzione di risolvere un problema che sta assumendo proporzioni che avranno bisogno di soluzioni tempestive e urgenti.

Per rimanere sui numeri vale la pena anche sottolineare come la spesa media delle famiglie sia diminuito del 9,1 per cento rispetto al 2019, rimangono stabili solo le spese alimentari e per la casa mentre diluiscono del 19,2 per cento quelle per tutti gli altri beni e servizi. Qui non si tratta solo di riaprire le attività, c’è da mettere in condizione le persone di poter spendere e sopravvivere.

C’è un tema enorme che qualcuno vorrebbe fare passare come priorità della futura ripresa e invece è presente e straziante qui, ora, subito e che ha bisogno della stessa tempestività che si adopera per l’emergenza. La pandemia economica è già qui e miete le sue vittime.

Leggi anche: L’allarme dell’Fmi: “Col Covid bruciati 22mila miliardi di dollari, 90 milioni di persone verso la povertà estrema”

L’articolo proviene da TPI.it qui

San Fatturato

La sentite l’aria che tira? A volte basta mettere insieme un po’ di pezzi, provare a ricomporre le tessere per farsi un’idea del punto in cui siamo, anche perché la preoccupante uniformità di pensiero che si respira ottunde le sensazioni e non c’è niente di meglio delle sensazioni ottuse per inseguire interessi particolari che così sfuggono più facilmente.

Ricapitoliamo: a inizio pandemia si sviluppa un pericoloso focolaio nella bergamasca che provoca una strage di cui abbiamo memoria per i camion militari costretti a trasportare le bare. Ci si interroga (anche la magistratura) sul perché non sia stata istituita per tempo una “zona rossa” che avrebbe potuto limitare i danni e Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, rilasciò una sconcertante intervista in cui disse testualmente che erano «contrari a fare una chiusura tout court così senza senso» e di averne parlato direttamente con la Regione: «Ci siamo confrontati, ma non si potevano fare zone rosse. Non si poteva fermare la produzione», disse.

Poi, pensateci: in un anno di pandemia abbiamo visto puntare il dito un po’ contro tutti, siamo passati dagli anziani che pisciano il cane ai corridori agli spiaggiati agli aperitivisti alle scuole – presumibilmente saremmo passati anche ai cinema e ai teatri, ma sono chiusi da un’eternità – e chi poi ne ha più ne metta. Niente su fabbriche e pochissimo sui pendolari. Il mondo del lavoro (soprattutto quello produttivo) sembra immune al virus, se fate la rassegna stampa di quest’anno.

In compenso certa stampa si è lanciata in un piuttosto ridicolo sforzo per dirci che fare il rider è un lavoro bellissimo: ve li ricordate quei giorni in cui si leggevano articoli che favoleggiavano di ciclisti che guadagnavano 4mila euro al mese (poi si scoprì che non era vero) tanto per convincerci che chi non trova lavoro è uno sfaticato e chi è povero è un fallito? Ecco, tenetelo a mente.

Poi. Qualche giorno fa Bonomi ha rilasciato un’intervista da brividi in cui ha chiesto di avere più possibilità di licenziare per rilanciare il lavoro. E nessuno che gli ha riso in faccia, pensa te.

Poi ve la ricordate Letizia Moratti che chiedeva di vaccinare in base al Pil? Prese gli applausi dei soliti turboliberisti ma poi fece un po’ marcia indietro. Bene: ieri Regione Lombardia (la disastrosa regione che non riesce a vaccinare poco più di qualche manciata di anziani che dovrebbero essere una priorità) ha annunciato in pompa magna di avere stretto un accordo con Confindustria (questa volta alla luce del sole) per vaccinare i dipendenti nelle aziende. Qualcuno ha fatto notare che forse ci sono altri problemi a cui dedicarsi e loro hanno risposto che sì, sì ma hanno fatto la conferenza stampa solo così per dire.

Tutto questo mentre ci si prepara per l’ennesima volta al lockdown che ci permetterà di uscire per andare a lavorare, di respirare aria aperta per tornare indietro e addirittura di avere una libera uscita per andare a comprare cibo.

Straordinario.

Buon giovedì.

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Commissariate la Lombardia

La sentite intorno quest’aria tutta concorde? Sembra una pacificazione e invece è lo stallo che si crea quando partiti e poteri si allineano, lo fanno spesso in nome di una non meglio precisata “unità nazionale”, quando tutti insieme si deve uscire da una “crisi” e questa volta funziona perfettamente in nome dell’epidemia. Accade che partiti lontanissimi tra loro si trovino seduti nello stesso governo, quelli che si erano sputati addosso fino a qualche minuto prima e quelli che hanno spergiurato un milione di volte “mai con quelli là” e accade che anche l’osservazione di ciò che non funziona improvvisamente si ottunda.

La Lombardia, ad esempio. La campagna delle vaccinazioni anti Covid in Lombardia è una drammatica sequela di errori e di ritardi, di incomprensibili scelte e di gravi inadempienze. Qualcosa che grida vendetta ma che soprattutto meriterebbe un dibattito politico nazionale, una parola, un ammonimento, almeno uno sprono, qualcosa qualsiasi.

In Lombardia accade che alcune persone che non hanno diritto al vaccino riescano a prenotarlo e a farlo tranquillamente per un link del sistema regionale che presenta un’evidente falla. L’ha scoperto Radio Popolare e lo confermano lombardi che raccontano di averlo ricevuto nei gruppi di watshapp. «Ho fissato l’orario – racconta una testimone – e dopo dieci minuti ho avuto la mail di conferma per andare lunedì 8 marzo alle 12.05 all’ospedale militare di Baggio. Non ci credevo fino in fondo, ma quando sono arrivata lì incredibilmente ho verificato che ero davvero in lista». I direttori sociosanitari dicono che non hanno nessun modo per controllare le liste che sarebbero tutte in mano all’Asst. Tutto bene, insomma.

Il magico software regionale tra l’altro convoca i cittadini (vale la pena ricordare: quasi tutti anziani) con un preavviso di poche ore, la sera precedente. Alcuni sono costretti a fare chilometri e chilometri nonostante abbiano punti vaccinali molto più vicini. Alcuni addirittura hanno ricevuto invece due messaggi: «Ho ricevuto la convocazione dopo pochissimi giorni dall’iscrizione – racconta Maria Grazia alla consigliera regionale (Lombardi Civici Europeisti) Elisabetta Strada – ahimè però ho ricevuto due sms, a distanza di qualche ora, il primo mi convocava in piazza Principessa Clotilde alle ore 11 e il secondo ad Affori alle 16. Non sapevo quale dei due messaggi fosse corretto e al numero verde mi hanno risposto che non lo sapevano nemmeno loro. Sono andata dove mi era più comodo». Ovvio che se la gente non si presenta all’appuntamento i vaccini poi a fine giornata vadano buttati. In Regione giacciono interrogazioni che chiedono conto di quante dosi siano state sprecate finora: nessuna risposta, ovviamente.

All’8 marzo su oltre 720mila over 80 lombardi circa 575mila hanno aderito alla campagna e ne sono stati vaccinati 150mila. Dei 140mila che non hanno aderito non si sa nulla: non sono riusciti a prenotarsi? Non sono informati? Rifiutano il vaccino?

Poi ci sono gli errori di gestione degli spazi: ad Antegnate, provincia di Bergamo, è stato previsto un punto vaccinale nel centro commerciale del paese. Per un errore di pianificazione domenica 28 febbraio c’erano in coda quasi duemila persone. Sempre anziani, ovviamente assembrati. A Chiuduno, sempre nella bergamasca, il punto vaccinale è invece in un centro congressi che potrebbe gestire 2600 vaccinazioni al giorno e si viaggia a un ritmo di 800.

Perfino Bertolaso ha dovuto ammetterlo: «Il sistema delle vaccinazioni degli over 80 continua a funzionare male, a creare equivoci, ritardi», ha dichiarato. Addirittura Salvini: «Problemi nella campagna vaccinale della Lombardia? Se qualcuno ha sbagliato paga, e quindi anche della macchina tecnica di Regione Lombardia evidentemente c’è qualcuno che non è all’altezza del compito richiesto». Ora la Regione Lombardia ha deciso di appoggiarsi al portale delle Poste, scaricando di fatto il gestore Aria, un carrozzone voluto da Fontana e soci per “guidare la trasformazione digitale della Lombardia”. Ottimo, eh?

Stiamo parlando della regione che ha collezionato un terzo dei morti per Covid di tutta Italia, della regione che ancora oggi sta vedendo i suoi dati peggiorare più di tutti. Serve una testimonianza? Eccomi qui: padre dializzato, invalido al 100%, ovviamente ultraottantenne e per ora l’unico segno di vita è un sms di scuse per il ritardo.

Tutto questo dopo un anno di sfaceli politici e organizzativi. Ma davvero, ma cosa serve di più per commissariare la Lombardia?

Buon mercoledì.

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Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene

Ma ve la ricordate la “dittatura sanitaria”? Dico, vi ricordate tutto il baccano che si accendeva ogni volta che nell’aria si annusava il bisogno di un nuovo lockdown o anche semplicemente si ventilava l’ipotesi di nuove restrizioni?

C’era Salvini, era lui l’agitatore degli aperturisti, che strillava come un matto per convincerci che ogni nuova limitazione non fosse altro che la conferma dell’incapacità di quelli che governavano. Altri gli andavano dietro a scia, i suoi parlamentari e gli alleati di Fratelli d’Italia e anche qualche berlusconiano. Che vergogna, che schifo, ci dicevano, ora non si sentono più.

Ve le ricordate le prese per i fondelli per i colori delle regioni? Vi ricordate gli schiamazzi di chi ci spiegava che era un metodo punitivo che uccideva gli italiani e che veniva usato come arma politica? Ora i colori sono aumentati, c’è l’arancio scuro, il rosso rossissimo, il bianco con toni di grigio. Ma non si sente più nessuno strillare.

Vi ricordate le grandi battaglie di Salvini e dei suoi compagnucci aperturisti contro il coprifuoco? Vi ricordate tutte le ciance per la libertà e i vaneggiamenti sul diritto di pisciare il cane alle 4 del mattino? Che tempi: tutti esperti di Costituzione. Ora il coprifuoco potrebbe addirittura allargarsi e quelli, al solito, tutti zitti, spariti.

Vi ricordate le critiche ai Dpcm? Vi ricordate costituzionalisti, Renzi e Salvini, quelli che lamentavano la presenza di un governo autoritario? Sono gli stessi che criticavano la pletora di esperti che esautorava la politica e il Parlamento delle loro funzioni, quelli che chiamavano i tecnici “amichetti” e i consulenti li chiamavano “compagni”. Ora continuano i Dpcm, si allarga la schiera di esperti, eppure non s’ode una protesta manco a pagarla, niente.

E le scuole? Che vergogna, dicevano, le scuole chiuse e le famiglie in difficoltà che non sanno come tenere i propri figli. Ci risiamo, ma quelli che strillavano ora hanno perso il dono della protesta.

E vi ricordate quando dicevano di dare notizie certe, di smetterla di bisbigliare? Da giorni si discute di un lockdown senza fonti certi, retroscena dappertutto ma quelli tacciono, niente di niente.

E i ristori che arrivavano in ritardo? Ora è cambiato il nome, ma comunque si chiamino continuano a non arrivare, la sostanza non cambia, solo gli sfegatati oppositori tacciono. Insomma, il trucco era semplice semplice: bastava fare entrare i contestatori nel governo e continuare come prima. Intorno s’è fatto tutto accondiscendenza.

Leggi anche: Dagli oppioidi all’Arabia Suadita, le ombre su McKinsey: ecco a chi si è affidata l’Italia per il Recovery

L’articolo proviene da TPI.it qui

Tecnici dappertutto, perfino da asporto

Per capire quale sia la china che ha preso spedito il governo Draghi conviene mettere in fila un paio di cose… Come la scelta di affidare un incarico alla società di consulenza McKinsey per il Recovery Plan

Poiché sono in molti a fingere di non vedere e di non capire quale sia la china che ha preso spedito il governo Draghi allora conviene mettere in fila un paio di cose, impegnarsi ostinatamente nel controbattere ai minimizzatori o auto finti distratti che in queste ore sono tutti impegnati nel convincerci che tutto vada bene e che tutto sia normale perché basta annusare l’aria che c’è fuori per farsi un’idea sul progetto che c’è dietro.

Mario Draghi continua a rimanere sotto vuoto silenzioso nel suo caveau, mentre qui fuori si accavallano le predizioni sulla terza ondata in cui sembra di essere già finiti dentro. Che i Dpcm fossero uno strumento simbolo di “dittatura sanitaria” e che di Dpcm siamo ancora qui a dilagare ne abbiamo già scritto qualche giorno fa ma che qui tutte le regioni (se non addirittura taluni comuni) stiano andando per conto loro sembra sotto gli occhi di tutti. I vaccini continuano a mancare e anche le vaccinazioni faticano. Insomma: ci siamo liberati delle inutili primule, abbiamo tutte le mattine una bella adunata con tromba militare ma la “guerra” alla pandemia continua a sciogliersi nei rivoli di esperti dappertutto, è cambiato solo il mesto silenzio del governo.

In questi giorni si discute parecchio della scelta da parte di Draghi (l’ha scelto lui? Chi l’ha scelto? Come? Perché?) di affidare un incarico alla società di consulenza McKinsey, per aiutare il ministero dell’Economia nella fase di stesura del Recovery Plan. Destrorsi e turboliberisti ci sgridano perché ritengono questa polemica una cosa “da cialtroni”. Curioso che siano gli stessi che criticarono Conte per la sua intenzione di affidare i 209 miliardi del Recovery Plan a un gruppo di manager pescati dalle società controllate dal Tesoro. Curioso anche ricordare che un senatore toscano disse che c’era da fare cadere un governo che voleva decidere con gli esperti e ora rimane zitto zitto. Volendo vedere è anche piuttosto curioso che il governo dei competenti e dei super tecnici abbia bisogno di altri tecnici da asporto.

Pensare che il ministero delle Finanze ha anche un eccellente centro studi (a proposito di meritocrazia) e volendo ben vedere di competenze è anche pieno il centro studi di Banca d’Italia. Ma niente. Ieri Fabrizio Barca ha ricordato la sua esperienza personale: «Quando entrai nel ’98 al Tesoro – ha dichiarato in un’intervista al Fatto – insieme a tante persone di valore, provammo a liberarci di questa sudditanza strategica a consulenze di terzi, rafforzando l’amministrazione pubblica con contributi esterni, e quando necessario selezionando con cura consulenze specialistiche».

Quelli si difendono dicendo che si tratta di una consulenza praticamente gratis, solo 25mila euro e che questo dovrebbe bastare per tenerci tranquilli: peccato che il tema vero sia a quali informazioni avrà accesso la società di consulenza. Dicono: state tranquilli, è quasi gratis ma quando un servizio è gratis il prodotto sei tu, ormai l’abbiamo imparato tutti. L’ha scritto benissimo Stefano Feltri: «Nel fare consulenza a un governo, McKinsey può influenzare il contesto di regole che rendono possibile o vietano quel nuovo business, e quindi creare o meno le opportunità che poi potrà aiutare clienti aziendali a sfruttare». Non dovrebbe essere difficile per tutti questi grandi esperti di mercato, no?

A proposito di aria che si annusa: c’è un comunicato di Confindustria a proposito dello sciopero dei portuali di Genova che in un Paese normale avrebbe provocato dei brividi. «Si ricordino che una giornata di lavoro oggi costituisce un privilegio», ha scritto l’associazione degli imprenditori. Un comunicato stampa che sembra una testa di maiale lasciata appesa alla porta di casa. Il partito che avrebbe potuto alzare la voce per ora è senza dirigenza però ha dei ragazzini in tenda che si fanno fare delle foto bellissime per i loro profili social.

Tutto bene?

Buon lunedì.

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