#unlibroalgiorno Cosa c’entra la qualità con le motociclette
Un libro da leggere e tenere sul comodino: Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig. Lo trovate nello scaffale dei libri che vale la pena leggere nella nostra piccola bottega di mestieri letterari. Perché? Come scrive Filippo Belacchi qui:
Di cosa parla, poi, lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta? Delle poche cose che contano: legami, relazioni, rapporto tra padre e figlio e quanto sia dura liberarsi dell’idea che i rapporti si fondino sulla logica soggetto e oggetto (cosa o persona che sia). Ed è anche la storia della piega che prende il rapporto tra un padre e suo figlio. Il primo ha perso la voce, non riesce più a trovare il tono giusto per parlare con il figlio e quello non lo riconosce, è smarrito e molto, molto spaventato. Pirsig come esempio di relazione utilizza la motocicletta (ovviamente si può sostituire la moto con qualsiasi altra cosa: scrivere, vivere una storia, cucinare; e comunque: mai avuto una moto in vita in mia): uno la guarda e vede forme, valvole, tubi, bulloni, rondelle, come se un gigante di ghisa avesse partorito un dobermann; se poi col piede spingi una levetta, quella creatura emette un luccicante, teso grrrrrr. E se qualcosa andasse storto? Beh, non venite a dirmi di metterci le mani, perché la moto è libertà, è boooorn to be waaaaild! E non è certo stare lì a svitare, avvitare e rovistare tra le feci d’acciaio, o sa il diavolo di cosa siano fatte quelle budella dalle parti del motore.
Attenzione, però: un atteggiamento di questo tipo uno poi se lo porta sempre appresso, non solo in sella alla moto, ma anche quando sei con tua moglie, con tuo figlio, con la vita. Finché uno dà gas e quel che ti sta attorno si muove, funziona, sembra funzionare: tutto bene, ma se si rompe qualcosa, se le cose non si muovono più o si muovono malissimo, come si fa? La risposta sarà: non ditemi di metterci le mani perché avere un figlio vuol dire fare il padre: regole, affetto, consigli, e così via. E lo stesso vuol dire fare il marito, o la moglie. Ci sono dei ruoli, delle regole, lette in una specie di libretto delle istruzioni che poi è quel miscuglio di esperienze e moniti che ci sono venuti addosso fin da quando siamo nati.
È raro che si vada a vedere se le istruzioni contenute nel libretto siano buone o meno. Ci atteniamo a quelle, anche perché solitamente siamo poco inclini a mettere in discussione noi stessi e chi ce l’ha tramandate. Io sto qui e l’oggetto sta lì. E quindi, esempio, se devo accudire un neonato il mio compito è pulirgli il sedere, sfamarlo e tenerlo caldo, right? Ma ognuno sa bene che quei gesti sono niente, anzi sono tossici se si limitano a essere semplicemente prassi, protocollo, burocrazia dell’accudimento e non sono invece mossi da qualcosa che Pirsig chiama Qualità. Tutto va a rotoli, il bambino si disintegra, non si crea quello che il Robert Pirsig della psichiatria ha chiamato Attaccamento. Cioè a dire non si crea legame, relazione, nutrimento emotivo. E quel neonato si auto annienta e quindi smette di vivere, letteralmente. O se sopravvive diventerà freddo e duro come una pietra, come Joe Pesci in Goodfellas.
Bisogna mettersi nella condizione di vederla, la moto. E per vederla devo imparare a guardare, a stare là, fermo, vivo, e cercare di sentire che ogni conduttura, ogni curvatura, ogni tubo, ogni cinghia, fascetta, vite e forma sono innanzitutto pensieri che hanno preso corpo e sono diventati oggetti.La moto è un pensiero, anzi un insieme di pensieri assemblati e tenuti assieme, e ogni più piccolo pensiero-vite è frutto di un percorso, di decisioni, responsabilità, di problemi risolti e altri risolti solo parzialmente e quindi migliorabili. La moto è quindi una cosa viva che si modifica a ogni istante. Quando la monto quella parla, comunica, si manifesta. Tutto sta nell’avere il coraggio di entrarci in relazione: averla a cura, che vuol dire averla a cuore, tenerci, con tutte le difficoltà mostruose e momenti di impasse che tenere a qualcosa significa.
Se c’è Qualità in quello che facciamo è inevitabile che le cose funzionino. Questo il pensiero proposto da Pirsig. Il guaio è che è dura da matti spremere Qualità nelle cose che facciamo. A pensarci, da consumatori incalliti, il termine “qualità” ormai fa venire in mente per lo più oggetti costosi: “vini di qualità”, sigari, auto, costruzioni, ecc. (ancora peggio se davanti alla parola “qualità” ci si mette l’aggettivo prima). Meglio pensare allora alla Qualità come l’essenza di qualcosa, come la radice quadrata di un oggetto, il suo centro, il suo spirito. Pensarla come un derivato dalla parola Quale: Qualità.
La Qualità è sostanzialmente il centro, il cuore di ogni cosa, sia questa un gesto, un discorso, la lettura o scrittura di un libro, un’azione. Ogni movimento di un individuo ha una Qualità che può essere alta o bassa. Ogni cosa, per esempio questo articolo che sto scrivendo, può avere una Qualità alta o bassa, e non mi sto riferendo alla sola e un po’ mignottesca bellezza, ma qualcosa che ha che fare con la disponibilità di contattare il centro di una cosa. Tenere gli occhi aperti e non lasciare che lo spirito sia sedotto dal rumore, mai ammutolito dalla paura, sempre diretto verso il centro, a toccare e farsi toccare.
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