Vai al contenuto

Roberta Pinotti

Le mani sporche dell’Italia nella guerra in Yemen

(Un gran pezzo dio Giorgio Beretta per Il Manifesto:)

Potrebbero essere di fabbricazione italiana le bombe che sabato scorso hanno colpito l’edificio a Sana’a in Yemen dove era in corso una cerimonia funebre causando 155 morti e più di 530 feriti. Il corrispondente della tv britannica ITV, Neil Connery, che è entrato nell’edifico poco dopo il bombardamento, ha infatti pubblicato via twitter la foto di una componente di una bomba che, secondo un ufficiale yemenita, sarebbe del tipo Mark 82 (MK 82).

Altre immagini pubblicate via twitter sono più precise: riportano la targhetta staccatasi da una bomba con la scritta: «For use on MK82, FIN guided bomb». Segue un numero seriale: 96214ASSY837760-4. L’ordigno sarebbe stato prodotto su licenza dell’azienda statunitense Raytheon per essere usato su una bomba MK82. Ma non è chiara l’azienda produttrice e il paese esportatore. Che potrebbe essere anche l’Italia.

Bombe del tipo MK82, infatti, sono prodotte nella fabbrica di Domusnovas in Sardegna dalla Rwm Italia, azienda tedesca del colosso Rheinmetall, che ha la sua sede legale a Ghedi, in provincia di Brescia. E sono state esportate dall’Italia, con l’autorizzazione da parte dell’Unità per le autorizzazioni di materiali d’armamento (Uama).

La conferma, seppur in modo indiretto, l’ha data mercoledì scorso (il 12 ottobre) la ministra della Difesa, Roberta Pinotti, rispondendo a una interrogazione del deputato Luca Frusone (M5S): «La ditta Rwm Italia – ha detto la ministra Pinotti – ha esportato in Arabia Saudita in forza di una licenza rilasciata in base alla normativa vigente».

All’azienda Rwm Italia nel biennio 2012-13 sono state infatti rilasciate da parte dell’Uama autorizzazioni all’esportazione per bombe aeree di tipo MK82 e MK83 destinate all’Arabia Saudita per un valore complessivo di oltre 86 milioni di euro. Impossibile invece sapere quante e quali bombe siano state esportate dall’Italia all’Arabia Saudita nell’ultimo biennio: le voluminose relazioni inviate al parlamento dal governo Renzi riportano infatti solo il valore complessivo delle autorizzazioni all’esportazione verso i singoli paesi e le generiche tipologie di armamento (munizioni, veicoli terrestri, navi, aeromobili, ecc.).

Nel biennio 2014-15 il ministero degli Esteri ha autorizzato l’esportazione verso l’Arabia Saudita di un vero arsenale militare per un valore complessivo di quasi 420 milioni di euro. Tra questi figurano «armi automatiche» che possono essere utilizzate per la repressione interna, «munizioni», «bombe, siluri, razzi e missili», «apparecchiature per la direzione del tiro», «esplosivi», «aeromobili» tra cui componenti per gli Eurifighter «Al Salam», i Tornado «Al Yamamah» e gli elicotteri EH-101, «apparecchiature elettroniche» e «apparecchiatire specializzate per l’addestramenti militare». Nel medesimo biennio sono stati consegnati alle reali forze armate saudite sistemi e materiali militari per oltre 478 milioni di euro.

Anche le dettagliate tabelle compilate dal ministero degli Esteri allegate alla relazione governativa che riportano tutte le singole autorizzazioni rilasciate alle aziende produttrici mancano di un dato fondamentale: il paese destinatario. Si può cioè sapere, ad esempio, che nel 2015 alla Rwm Italia sono state rilasciate 24 autorizzazioni per un valore complessivo di oltre 28 milioni di euro, ma non si possono sapere i paesi destinatari.

E si può sapere che, sempre nel 2015, alla RWM Italia è stata concessa la licenza ad esportare 250 bombe inerti MK82 da 500 libbre insieme ad altre 150 bombe inerti MK 84 per un valore complessivo di oltre 3 milioni di euro, ma la tabella ministeriale non riporta il paese acquirente, rendendo così impossibile il controllo parlamentare e dei centri di ricerca. Informazioni che erano invece riportate fin dai tempi delle prime relazioni inviate al parlamento dai governi Andreotti. E che, incrociando le tabelle dei vari ministeri, si potevano evincere fino ai governi Berlusconi.

Ha un bel dire la ministra Pinotti che la relazione governativa al parlamento consentirebbe «l’attività di verifica e di controllo così come spetta al parlamento»: se non sa cosa di preciso si esporta verso un paese, come fa il Parlamento a controllare?

Un dato però è certo: nel biennio 2014-5 il governo Renzi ha autorizzato esportazioni verso l’Arabia Saudita per un valore complessivo di quasi 419 milioni di euro: un chiaro “salto di qualità” se si pensa che una decina di anni fa le autorizzazioni per armamenti destinati alle forze militari saudite non superavano i dieci milioni di euro.

Ma c’è un altro fatto certo. Nei mesi tra ottobre e dicembre dello scorso anno dall’aeroporto civile di Elmas a Cagliari sono partiti almeno quattro aerei Boeing 747 cargo della compagnia azera Silk Way carichi di bombe prodotte nella fabbrica Rwm Italia di Domusnovas in Sardegna: i cargo sono atterrati alla base della Royal Saudi Air Force di Taif in Arabia Saudita. È proprio su queste spedizioni e su tutti i sistemi militari che l’Italia sta inviando in Arabia Saudita che lo scorso gennaio la Rete italiana per il disarmo ha presentato un esposto in varie Procure. Esposto sul quale in Viceprocuratore di Brescia, Fabio Salamone, ha aperto un’inchiesta “verso ignoti” per presunte violazioni della legge sulle esportazioni di materiali miliari. La Legge n. 185 del 9 luglio 1990 sancisce che l’esportazione «di materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia» e che «tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». La Legge vieta specificamente l’esportazione di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere», nonché «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione».

Dal marzo del 2015, infatti, l’Arabia Saudita si è posta a capo di una coalizione che, senza alcun mandato internazionale, è intervenuta militarmente nel conflitto in corso in Yemen.  La risoluzione n. 2216 approvata il 14 aprile del 2015 dal Consiglio di sicurezza dell’Onu non legittima, né condanna, l’intervento della coalizione a guida saudita: solo «prende atto» della richiesta del presidente dello Yemen agli Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo di «intervenire con tutti i mezzi necessari, compreso quello militare, per proteggere lo Yemen e la sua popolazione dall’aggressione degli Houti».

Cosa sia successo da quel momento è sotto gli occhi di tutti: ad oggi sono almeno 4.125 i civili uccisi e oltre 7.200 i feriti. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha ripetutamente condannato i raid aerei sauditi che hanno colpito centri abitati, scuole, mercati e strutture ospedaliere, come quelle di Medici senza Frontiere: un terzo dei loro raid ha fatto centro proprio su obiettivi civili. «Effetti collaterali», hanno commentato i sauditi.

Lo scorso agosto, l’Alto commissario per i diritti umani, il principe Zeid bin Ra’ad Al Hussein ha chiesto di avviare un’inchiesta indipendente e imparziale sulle violazioni del diritto umanitario perpetrare da tutte le parti attive nel conflitto in Yemen. La richiesta era sostenuta dai paesi dell’Unione europea, tra cui l’Italia, ma poi è stata ritirata dall’Ue senza alcuna motivazione. A seguito delle pressioni saudite la proposta è stata accantonata e pertanto si continuerà con l’inchiesta da parte delle autorità yemenite.

A fronte della catastrofe umanitaria che sta subendo la popolazione yemenita, già lo scorso febbraio il Parlamento europeo ha votato ad ampia maggioranza una risoluzione con cui ha chiesto all’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, di «avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’Unione europea e di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita», alla luce delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall’Arabia Saudita nello Yemen. Risoluzione che la ministra Pinotti non ha menzionato nel suo intervento in Parlamento. Forse anche perché finora è rimasta inattuata.

Sono continuate invece le esportazioni di armamenti dei paesi europei e gli affari militari con le monarchie del Golfo. Per combattere l’Isis, viene detto; che però approfittando del conflitto ha guadagnato terreno anche in Yemen.

* Analista dell’Osservatorio Permanente sulle armi leggere e le politiche di difesa e sicurezza di Brescia

La Pinotti risponde: “le bombe? le vende Gentiloni”

Sembra una barzelletta. Ha scritto tutto Mazzetta:

«A questo punto si capisce che Pinotti ha sentito il bisogno di reagire in maniera diversa da come aveva fatto un paio di giorni fa, quando la reazione era stata affidata a un patetico tweet del Ministero della Difesa che minacciava querele alle ONG che da mesi cercano risposte dal governo su quelle che sembrano forniture assolutamente illegali, posto che l’Arabia Saudita è un regime sanguinario, una monarchia assoluta che calpesta i diritti umani e pure uno paese sponsor del peggior terrorismo. A paesi del genere in teoria non dovremmo vendere armi, abbiamo scritto una legge per vietarlo, da qui la necessità per Pinotti di schivare ogni assunzione di responsabilità, anche ricorrendo alle bugie.

Necessità che oggi l’ha spinta a smarcarsi a titolo personale, scaricando tutta la responsabilità sul collega Gentiloni, ha infatti dichiarato che:«Il ministero della Difesa non si occupa dell’export di armi, è una questione che dipende dal ministero degli Esteri». Una dichiarazione che è una bugia autoevidente perché il ministero della Difesa negli anni è stato frequentemente impegnato nella promozione dei nostri prodotti bellici all’estero e qualche anno fa organizzò allo scopo persino un tour porta a porta nelle tirannie del Golfo. Se qualcuno pensa che sotto la gestione Pinotti il Ministero della Difesa abbia cambiato attitudine, sappia che nel giugno scorso Roberta Pinotti in persona è stata impegnata nella firma dell’accordo per la fornitura al Qatardi di naviglio militare. Peraltro sul sito della Presidenza del Consiglio c’è scritto che il suo Ministero: « fornisce al Ministro degli Affari Esteri il necessario parere sulle restanti tipologie di esportazione tenendo in considerazione le valutazioni di carattere tecnico-operativo, politico-militare e di sicurezza.» È molto difficile sostenere che non si occupa del’export delle armi di fronte a tali evidenze, ma Pinotti lo ha fatto lo stesso, chiaramente mentiva sapendo di mentire. Così come visibilissima è la coda di paglia che spunta dal tweet di Gentiloni, perché c’è anche la sua firma su quelle bombe.

Resta da capire come reagirà Gentiloni all’uscita della collega, che gli scarica la responsabilità dell’armare un regime che poi con le nostre bombe commette stragi indegne come quella  consumata nella capitale dello Yemen. ma soprattutto resta da capire come reagirà il governo nel suo complesso, perché dopo aver cercato di sopire la questione per mesi, contando anche sulla complice indifferenza di buona parte dei media, ora si trova coinvolto in uno scandalo che assume dimensioni sempre più difficili da ignorare. Tanto che ora dovrà risponderne anche ai giudici di Brescia, che hanno aperto un’inchiesta proprio al fine di verificare la legalità della fornitura d’armamenti al regime saudita, i quali difficilmente s’accontenteranno della parola di Pinotti, secondo la quale è tutto fatto «secondo la legge»

(il suo post è qui)

#Pinottirisponda

La bomba peggiore la Pinotti se la sta fabbricando in casa, nel suo ufficio tetro di quel ministero in cui da sempre si scambia l’opportunità del silenzio con un’omertà che fa comodo a chi governa e solo a loro: la ministra alla Guerra balbetta qualcosa mentre dalla Procura di Brescia escono i numeri impressionanti di ordigni fabbricati in Italia e impacchettati per essere sparati sullo Yemen colpendo, al solito, anche qualche civile cha passeggia sulla strada sbagliata.

Lei, la ministra più silenziosa del West, si difende dicendo che l’azienda che fabbrica armi ha base in Germania e quindi le carte sono a posto. Sembrerebbe una barzelletta se non fosse che nel caso in cui davvero le cose stiano come pensano in molti (Amnesty International Italia, Rete Italiana per il Disarmo e la magistratura, tanto per citarne qualcuno vedi qui) si tratterebbe di sbadataggine criminale.

Criminale? Vedo già qualcuno crucciarsi. E allora lo riscrivo: criminale e illegale. Illegale perché contro la legge italiana (e le convenzioni ONU) e criminale perché l’oppressione dei sauditi sugli sciiti dello Yemen è figlia di un intervento militare che non è mai stato autorizzato dalle Nazioni Unite, se non addirittura condannato.

Il dubbio di contribuire alla morte di civili dovrebbe far rizzare i capelli a tutti: opposizione, populisti, patrioti, sinistri e destri dovrebbero bussare alla porta del ministero finché non apra qualcuno per dire qualcosa di sensato e significativo. E invece lei, la Pinotti, si gode la distrazione di un Paese concentrato più sulla legge elettorale rispetto alle persone e può permettersi, beata lei, di minacciare querele a chi pone le domande che non le garbano. Poveri noi.

(continua qui)

Cara ministra, piuttosto che querelare risponda

(Ne avevo scritto già qui e noto con piacere che l’affare si è ingrossato. Innanzitutto la Procura di Brescia ha aperto un’inchiesta. Ecco cosa scrive Stefano Catone.)

Ci sono stati nuovi sviluppi sulla visita della ministra Pinotti al governo Saudita, rispetto alla quale abbiamo interrogato la ministra stessa: come denunciato più volte da più voci, l’Italia ha esportato armi verso l’Arabia Saudita, circostanza vietata dalla legge 185 del 1990, dato che l’Arabia Saudita è un paese che sta conducendo un conflitto.

E’ dal marzo 2015, infatti, che l’Arabia Saudita sta bombardando lo Yemen, nonostante nessuno ne parli. Ed ecco perciò la necessità di avere la massima chiarezza sui rapporti che intercorrono tra il nostro governo e il governo saudita, in ogni momento e in particolare quando la ministra della Difesa si reca in visita a Riad per incontrare tutto lo Stato maggiore dell’esercito saudita, e mentre siti specializzati parlano di «naval deals between both countries».

E se Rete Disarmo e Amnesty International chiedono chiarezza, e se Possibile interroga la ministra, il ministero risponde così,minacciando querele:

schermata-2016-10-08-alle-10-42-36

Vogliamo chiarezza, le querele non ci spaventano. Ci spaventa il mistero che avvolge la vicenda e ci spaventano le responsabilità italiane sulle morti di civili yemeniti sotto i bombardamenti. Questo sì, ci spaventa.

E ci spaventa ancora di più che le informazioni raccolte nei mesi scorsi abbiano trovato un proprio fondamento, dato che la procura di Brescia ha avviato un’indagine su quanto dicevamo in apertura: la fornitura di bombe “made in Italy” all’Arabia Saudita, in violazione della legge 185/1990. Un’indagine che potremmo definire storica, dato che mai in precedenza ne sono state condotte di simili, ci conferma Francesco Vignarca di Rete Disarmo.

Lasci perdere le querele e le minacce, ministra Pinotti. Faccia fare il proprio lavoro ai giornalisti, risponda in Parlamento alle interrogazioni e ci lasci la libertà di indignarci.

(il post è qui per i quaderni di Possibile)

La Pinotti in Arabia Inaudita

Una domanda pubblicata sui quaderni di Possibile che meriterebbe una risposta:

Sono mesi che denunciamo a tutti i livelli istituzionali, grazie ai dettagliati report della Rete Disarmo, la continua vendita di armi all’Arabia Saudita da parte del nostro Paese. Un mercato indegno che viola la legge n. 185 del 9 luglio 1990 per la quale l’esportazione «di materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia» ed è comunque vietata verso i paesi impegnati in conflitti e in spregio totale della nostra Costituzione che ripudia la guerra. L’Arabia Saudita è infatti impegnata da tempo in operazioni militari che stanno colpendo lo Yemen, tra le quali si registrano bombardamenti con ordigni spediti dal suolo italiano.
Da mesi denunciamo la mancanza di trasparenza che caratterizza tutta questa vicenda.
Ora apprendiamo dalla stampa che la ministra Pinotti – ignara forse della Costituzione e della Carta delle Nazioni Unite oltre che delle prese di posizione espresse dal Parlamento europeo che hanno chiesto l’embargo sulle armi rispetto al governo di Riad – avrebbe incontrato a inizio ottobre nella capitale Saudita il vice erede al trono e responsabile del dicastero della Difesa, Mohammed bin Salman.
Secondo quanto riferiscono fonti del ministero della Difesa i due si sarebbero incontrati per discutere delle relazioni bilaterali tra i due paesi, con particolare attenzione al settore difesa. L’agenzia di stampa saudita “Spa” riporta poi dettagli inquietanti dell’incontro al quale avrebbero partecipato dal lato saudita, l’assistente segretario per la Difesa, Mohammed Ayesh, il capo di Stato maggiore, Abdulrahman al Banyan, Fahd al’Aysa consulente reale della difesa e altri funzionari del ministero della Difesa saudita e, per l’Italia, l’ambasciatore italiano in Arabia Saudita, Luca Ferrari, il segretario generale della difesa e direttore nazionale degli armamenti, Carlo Magrassi. Tema centrale sarebbe stato la consegna di armamenti navali al paese che sta attuando un genocidio sistematico in Yemen. Un’iniziativa, quella della Pinotti, che se confermata potrebbe essere definita solo con un aggettivo: criminale.

(continua qui)