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Roberto Maroni

A proposito della commissione (volutamente minuscola) antimafia leghista

[comunicato stampa]

“In Regione Lombardia l’unica garanzia antimafia possibile sono le dimissioni di questa giunta. Se la Lega ha intenzione di garantire i lombardi dalla ‘ndrangheta ha un’unica possibilità: protocollare le dimissioni e uscire dal Consiglio con le mani alzate. Ricordo a Cecchetti che questo Consiglio Regionale, ha già approvato una legge sulla legalità: purtroppo la Lega, dopo aver affidato un tema così delicato a Renzo Bossi, ha sempre dimenticato di finanziarla. Per quale motivo dovremmo credergli ora?” Così Giulio Cavalli commenta la proposta del leghista Cecchetti d’istituire una commissione permanente antimafia da lunedì prossimo in Regione Lombardia

“Sulla figura di Tizzoni, come presunto uomo di garanzia” conclude il consigliere di Sinistra Ecologia Libertà”è sufficiente riportare le parole della stessa Boccassini che evidenzia come in realtà non ha denunciato come avrebbe dovuto nel suo ruolo”

Se non ora quando?

Siamo (quasi) alla fine. Per capire la schizofrenia del Carroccio bisogna distinguere due piani: quello nazionale e quello lombardo. A livello nazionale Maroni non vorrebbe rompere con il Pdl proprio mentre insieme stanno concordando la riforma della legge elettorale mettendo a rischio anche il governo del Piemonte e del Veneto. In Lombardia però si ragione in un altro modo: Formigoni è finito, presto o tardi arriverà qualche altra novità dalla procura e se la Lega non si sgancia adesso finirà per apparire come quella che lo ha sostenuto fino all’ultimo. Dunque meglio staccare la spina subito e passare dalla parte degli eroi almeno all’ultimo minuto, dopo vent’anni di governo insieme. Per questo i leghisti hanno già organizzato anche una specie di referendum: sabato prossimo nei loro gazebo chiederanno ai cittadini se vogliono che Formigoni resti o vada a casa. La risposta sembra scontata vista l’esultanza con cui la base leghista ha accolto la decisione del consiglio federale.

Un articolo da condividere in pieno di Giorgio Salvetti per Il Manifesto. Comprese le ultime righe.

Lombardia: occupiamocene noi

Continua il tira e molla tra la Lega (che dice, disdice, fa, disfa, e ridisfa) e un Formigoni imballato. Ora i leghisti dicono che si voterà ad Aprile (perché non subito?) e che dovrebbero dimettersi i consiglieri indagati (praticamente il gruppo consiliare più numeroso in Regione Lombardia: quello degli indagati).

Facciamo una cosa: Formigoni si dimetta e usciamo da questa lotta nel fango di reduci di un’era passata.

Nel frattempo sarebbe il caso che nel centrosinistra provassimo a raccontare l’alternativa e soprattutto le regole e i modi dell’avvicinamento all’appuntamento elettorale perché forse la mancata sollevazione popolare contro Formigoni è dovuta all’incollatura persistente di Penati alla poltrona che ricorda come alle primarie della desolazione anche noi negli ultimi anni abbiamo fatto la nostra parte. Per questo invito gli amici del PD, i compagni di SEL e gli amici dell’IDV insieme a FDS e ai tanti comitati, movimenti e cittadini che in questi ultimi anni praticamente ogni sera abbiamo incontrato, incrociato e con cui abbiamo dibattuto a non farsi condizionare dai tempi dei leghisti e pidiellini e dare il colpo di reni che serve: punti di rivoluzione rispetto al passato prossimo, programmi chiari su lavoro, scuola, sanità, trasporti e linea di avvicinamento alle primarie e coalizione.

Non credo che il nostro ruolo sia quello di preoccuparci delle dinamiche politiche della maggioranza, quanto piuttosto essere credibili per la maggioranza dei lombardi. E noi, dopo aver scavallato provincia per provincia in questi ultimi mesi di ascolto, siamo pronti a partire.

La Lombardia (e la Lega) dei pupi

È un teatrino. Soltanto un teatrino sulla pelle della Lombardia e dei lombardi. Come i teatrini dei pupi dove il copione è stato scritto e appoggiato dietro al palco e in scena ci si preoccupa di essere credibili e nient’altro.

La Lega abbaia ma non morde. Fingeranno di volere azzerare la Giunta e alla fine sarà un rimpasto. Un rimpasto che torna utile a Maroni per silurare qualche reduce assessore bossiano (come Bresciani, assessore alla sanità).

Salvini dirà che è un governo di transizione fino ad aprile ma Formigoni non parlerà mai di dimissioni. Poi da qui ad aprile in uno scenario politicamente così veloce e confuso può succedere di tutto e, soprattutto, la memoria fa in tempo ad affievolirsi e affievolire il senso di gravità.

Alla fine la Lega 2.0 continuerà ad essere collusa con i mali che dice di combattere e tutti saranno ancora per un po’ felici e contenti. Se davvero vuole mandare a casa Formigoni ci vediamo domani mattina con le (presunte) dimissioni che hanno preparato. Le nostre sono già lì. Una firma e si chiude la questione.

Formigoni continuerà a dire che è un caso personale dimenticando che un leader si vede nella scelta dei collaboratori. E lui è uno malato di leadership, dovrebbe saperlo bene.

Sembra una favola e invece è un incubo.

Noi intanto potremmo smettere di credere che mafie, etica, moralità, legalità, riciclaggio e corruzione siano temi che meritano al massimo un convegno e qualche opuscolo o cerimonia e invece è il primo punto per il cambiamento.

Noi partiamo da qui.

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Salvini e la Lega scelgono di non scegliere

Alla fine il conciliabolo della Lega si conclude con un finto ultimatum della Lega a Formigoni: azzeramento Giunta o dimissioni.

Praticamente hanno deciso che Formigoni deve decidere. Come quegli adolescenti che per la paura di lasciare fanno di tutto per essere lasciati e intanto issano la bandiera dell’impresa.

Eppure la spiegazione è semplice: la Lega sa di non avere i voti per raggiungere la decenza nel caso in cui si vada al voto, cerca di ammaestrare il proprio elettorato continuando ad abbaiare sempre più forte ma in realtà ha una paura blu che Formigoni perda la pazienza. Domani Maroni e Salvini metteranno in scena un bel siparietto con Formigoni fingendo l’ennesimo penultimatum che si chiuderà con la solita mediazione. Diranno che la Lega ha la voce grossa e intanto il nuovo corso leghista 2.0 si sarà sdraiato anche su un concorso esterno in associazione mafiosa. Com’è nel DNA della Lega degli ultimi vent’anni.

Noi ci prepariamo alle primarie, intanto.

Il disertore

E’ l’aggettivo che più di tutti rappresenta Formigoni in questo momento: non affronta il tema delle inchieste sulla sanità lombarda che definiscono Regione Lombardia “asservita agli interessi dei privati” (ma va?), straparla di macroregione con la Lega prendendo un paio di bacchettate con le mani aperte sulla cattedra e le orecchie d’asino in cartone e non riferisce all’aula in Consiglio Regionale.

Forse davvero è questione di coraggio come si diceva qualche giorno fa. E sul punto noi stiamo lavorando. Silenziosamente. Per essere presenti nel presente, appunto.

La questione settentrionale

La crisi e la dissoluzione dell’asse del nord ha consentito al centrosinistra di conquistare il governo di molte amministrazioni locali nell’Italia settentrionale: ma la sua capacità di intercettare, rappresentare e interpretare la domanda di cambiamento è apparsa indebolita rispetto alle elezioni dell’anno scorso. Le vittorie spesso inattese nelle amministrative del 2011 erano state caratterizzate dal nuovo modo di presentarsi di molti candidati sindaci che riuscivano a intercettare le proteste e le richieste di cambiamento rispetto alle politiche del governo e degli amministratori locali.

Un diverso modo di rapportarsi ai cittadini, più attento alle loro domande e a sollecitare la partecipazione, riusciva a ridimensionare fortemente gli atteggiamenti antipolitici. Queste tendenze sono state meno evidenti nelle recenti elezioni, anche se il centrosinistra nelle regioni del Nord ha nettamente aumentato il numero dei sindaci e governa ormai tutte le città capoluogo di regione.

Una riflessione di Roberto Borcio. Per ripensare anche la Lombardia.

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Il tavolo verde della Lega, a forma di Lombardia

E alla fine (lo riporta anche Il Sole 24 Ore) Matteo Salvini con faccia dimessa e postura da cameriera dice che lui e Formigoni “sono amici” e in Regione Lombardia si continua così, e ogni mesi i leghista “faranno il tagliando a Formigoni”. Dice proprio così. Sul serio.

La Lega del nuovo corso con Maroni non si smentisce e continua a essere socia (o collusa, a ben vedere) del “sistema” fangoso ed oscuro (le inchieste giudiziarie ce lo dicono, ma basterebbe un’osservazione acuta e non ricattabile) della Lombardia formigoniana.

Parlano di “tagliando mensile” ma è un travestimento linguistico per dire che il tavolo delle trattative adesso è sempre aperto, per alzare il prezzo, chiedere una mezza poltrona (sono curioso di vedere se cambierà qualcosa per i “poteri” dell’assessore Bresciani o nelle vicinanze del sottosegretario Alli) e potersi rivendere come garanzia.

E allora se Formigoni ha bisogno di essere controllato è svelato il cortocircuito: Maroni non ha sfiduciato Formigoni ma ha sfiduciato 17 anni di Lombardia con Formigoni e la Lega mano nella mano.

Si è costituito e non sapeva come dirlo.
Giocano a Monopoli sul tavolo della Lombardia. Ma i soldi non sono finti.

Ma non ci stupisce e ci interessa quel poco che conta. Per il dovere di non permettere almeno il revisionismo storico e la propagazione di una bugia. Almeno questo.

Per il resto, non è la Lega a dettare i tempi della politica del centrosinistra. Non è Salvini che litiga con il padrone che può sancire la fine e l’inizio di un’altra Lombardia.
È la politica, quella che è fatta con le proposte, le soluzione, il programma, le priorità, le persone, i valori. Noi siamo qui.
E la politica fatta dell’apertura, quella vera, quella che sta in mare aperto e decide di ascoltare, farsi ascoltare e farsi scegliere se ne ha la credibilità: le primarie.

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Mafia padana, barbara e sognante

Ne scrive Guido Ruotolo per La Stampa. E pensare alla Lega moralizzatrice fa proprio sorridere. Ah, dentro c’è il sempiterno lodigiano Gianpiero Fiorani:

Intercettazioni trovate nel computer sequestrato all’ex tesoriere genovese della Lega Mario Belsito. Gli interlocutori sono due: A e D. Uno dei due è stato identificato (si tratterebbe di un investigatore privato) l’altro non ancora (si tratterebbe di una donna). Vediamo cosa dicono.

«I soldi se li ciccia Bruzzone» A: «Ma, scusa un attimo, Belsito e Bruzzone (Francesco, segretario regionale uscente della Lega Nord della Liguria, ndr) non vanno d’accordo?». D: «Belsito e Bruzzone fanno finta di litigare, chi se li spartisce i soldi? Tu stai in quel posto…». A: «Io penso che se li ciccia tutti Bruzzone, sai?».

D: «No, no. Belsito ha preso il posto di Balocchi (Maurizio, storico cassiere della Lega, ndr)… Balocchi era quello che gestiva l’amministrazione della Lega a Chiavari, è lui che è entrato… che poi a gennaio del 2010 doveva essere condannato in udienza a Udine per il fatto dei 300-400 appartamenti che avevano fatto con la mafia della Jugoslavia… erano saliti, con Fiorani (Gianpiero, ex ad della Banca Popolare di Lodi, finito nei guai con la giustizia, ndr) in mezzo… non l’hanno condannato perché era in ospedale che stava tirando il “gambetto” (stava morendo, ndr)… ma tutta l’amministrazione, eccetera, l’ha presa Belsito che gli ha accollato… che va… che sta in via Massaggi (fonetico), va lì dall’ufficio e va a Chiavari».

L’intercettazione è del gennaio 2012. Per il pm antimafia di Reggio, Giuseppe Lombardo, rappresenta una conferma sugli intrecci mafiosi e affaristi di Belsito. L’esponente politico della Lega e affarista non disdegnava il socio della ‘ndrangheta per i suoi loschi investimenti.

«Collaborano con la mafia» Sempre “D” confida al suo interlocutore, a proposito di Belsito: «La sua segretaria abita a… Recco… da Recco hanno manovrato, siccome a Recco ha comprato la casa Salvini (Matteo, euoparlamentare del Carroccio, esponente di rilievo del partito considerato vicino all’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni, ndr), Salvini che è un altro deputato, quello che spruzzavano, che va in giro con quel cogl… di Borghezio (altro eurodeputato leghista, ndr), hanno fatto un giro che lì deve essere la mafia… loro collaborano direttamente con la mafia, direttamente, è tutto un gioco mafioso… tutto un gioco mafioso… loro sono gli indiretti… cioè, non so, arriva la ‘ndrangheta e gli dice: “Io adesso qua voglio che tu mi sblocchi questo e devo fare movimento terra qua, la discarica qua e costruire qua!!!»… perché le porte sono aperte in tutti questi cantieri?».

A: «Ma Belsito che c’entra? Sta a Roma!». D: «No, Belsito non sta a Roma, Belsito non sai da quant’è che non si presenta a Roma, Belsito manovra tutto di qua…».

La Lega e la mafia

Un articolo importante di Lirio Abbate per centrare un punto che sembra fin troppo inosservato. E per uscire dalla questione del Trota o dei diamanti. E perché Maroni forse (vista la retorica antimafia di questi ultimi anni) dovrebbe risponderci anche su questo. Qui non bastano le scope di saggina.

Il tesoriere lumbard e l’ex cassiere dei Nar. Insieme in affari con ‘ndrangheta e massoneria. Ecco cosa emerge dalla sorprendente indagine reggina. Che rilegge la storia del Carroccio
(di Lirio Abbate – l’Espresso)

Il tesoriere della Lega e l’ex cassiere dei terroristi neofascisti: una connection da brivido che emerge dagli atti dei magistrati. Non l’unica, perché tutta l’indagine condotta dalla procura antimafia di Reggio Calabria sugli affari spericolati del Carroccio mostra un incredibile filo nero che corre lungo tutta la Penisola, intrecciando massoneria, ‘ndrangheta, eversione, fino ad arrivare a casa Bossi: il tradimento di tutti gli slogan dell’orgoglio padano, quasi uno sfregio per l’identità legalitaria lumbard. Un’inchiesta solo apparentemente sorprendente: vent’anni fa, nel momento di massima crisi della prima Repubblica, lo stesso disegno venne tentato da fratellanze deviate, estremisti di destra e padrini per replicare a Sud il partito lumbard di Umberto Bossi. Oggi a muoversi su quel solco è stato Francesco Belsito, che si autodefiniva “il tesoriere più pazzo del mondo”: è nato a Genova, ma da una famiglia di immigrati che ha mantenuto radici forti tra Pizzo Calabro e Vibo Valentia.

In quella zona hanno sede le logge più potenti del Meridione, capaci di mobilitare i fratelli in ogni parte del pianeta e metterli “a disposizione” degli altri iscritti. Una vocazione massonica che – stando agli investigatori – avrebbe trovato adepti anche nelle file della Lega. Così Belsito entra in contatto con un altro calabrese residente a Genova: Romolo Girardelli, detto “l’ammiraglio”, con una militanza di estrema destra e considerato dagli inquirenti vicino alla potente cosca De Stefano. Dall’intesa tra i due si apre un canale che sarebbe servito per ripulire grosse somme di provenienza oscura: soldi da far transitare attraverso le casse della Lega.

Sull’origine di questi fondi ora indaga il pm Giuseppe Lombardo, che sta facendo analizzare migliaia di ore di intercettazioni per ricostruire la rotta del denaro e i suoi sbocchi. A partire da uno studio del centro di Milano, proprio accanto a piazza San Babila, dove ha sede la Mgim srl: una sigla di cui è socio Pasquale Guaglianone, altro calabrese trapiantato a Nord con una storia personale tutta a destra. In gioventù è stato un membro dei Nuclei Armati Rivoluzionari, NAR, gestendo la cassa della formazione di Giusva Fioravanti e Massimo Carminati: dal casellario giudiziario risulta una condanna a suo carico per banda armata e associazione sovversiva. Nel 2006 si è candidato alla Camera nelle liste di Alessandra Mussolini, poi si è schierato con Ignazio La Russa, a cui è ancora politicamente legato. Ma negli ultimi anni è stata soprattutto la sua attività di commercialista, curando le iniziative di aziende meridionali, a renderlo molto ricco. Ed è nel suo studio che approda un trentenne reggino, Bruno Mafrici, ingaggiato come consulente personale da Belsito quando era sottosegretario del ministroRoberto Calderoli: al telefono il giovane dottore in giurisprudenza mostra entrature profonde nella politica calabrese, incluso il governatore Scopelliti, e una fiorente attività anche in società estere.

Le intercettazioni effettuate dalla Dia di Reggio Calabria hanno permesso di ricostruire una lunga catena di affari in cui veniva utilizzata la “cassa” della Lega Nord, ma la strategia finanziaria era partorita nello studio di cui è socio Guaglianone. In questo modo in un ufficio a 500 metri dal Duomo di Milano, seduti attorno a una scrivania, i calabresi – ognuno dei quali aveva in tasca la tessera della Lega, la collaborazione con un ministro padano, l’iscrizione a una loggia massonica, un passato da estremista di destra e collegamenti con la ‘ndrangheta – decidevano dove spostare grossi capitali.

Quanti? E dove sono finiti? È questo che l’indagine deve accertare, analizzando i pc e l’iPad sequestrati al tesoriere, seguendo la pista delle conversazioni e dei pedinamenti di Belsito e compari attraverso i palazzi del potere: le visite ai ministeri, le entrature nelle aziende statali, le mediazioni private per garantire lucrosi contratti. Quando il tesoriere verde fa affari conFincantieri, corteggia Finmeccanica o sollecita convenzioni pubbliche agisce in conto proprio o è l’emissario dei suoi sponsor più spregiudicati?

Nel primo rapporto investigativo, la Dia sottolinea anche l’intreccio politico di fondo. Fin troppo simile al modello di quella clonazione meridionale del Carroccio tentata nei primi anni Novanta. Per questo gli investigatori stanno rileggendo una storia solo in apparenza remota, che risale agli albori della seconda Repubblica. Dagli accertamenti infatti emerge che quei movimenti sudisti “stabilirono rapporti con la Lega Nord” favoriti dal fatto che, soprattutto alle origini, vi erano importanti personaggi “legati alla massoneria” nel partito di Bossi. Un pentito di grande attendibilità come il mafioso Leonardo Messina sottolineò il ruolo del professore Gianfranco Miglio, l’ideologo della prima espansione bossiana. In quel periodo ci fu un proliferare di leghe meridionali, sponsorizzate da Licio Gelli, dall’ex esponente di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie, con “l’appoggio fornito da Umberto Bossi alle loro iniziative anche con la diretta partecipazione ad alcune manifestazioni”.

L’impronta nera è molto marcata anche a Nord. Fin dalla nascita del movimento, e in particolare all’interno della Liga Veneta, è presente una significativa componente legata agli ambienti dell’eversione neofascista. Risulta, da accertamenti eseguiti dalla Dia, che all’epoca venne candidato nelle liste della Liga Veneta, in alcune consultazioni elettorali, l’avvocato Stefano Menicacci, con un passato di primo piano negli ambienti degli attivisti della destra estrema, legale di Delle Chiaie, ma anche del leader della Liga Franco Rocchetta. Gli inquirenti antimafia che hanno analizzato il passato della Lega Nord, sono giunti alla conclusione che l’avvocato Menicacci è “l’elemento di collegamento principale” fra la Liga Veneta e le iniziative leghiste centro-meridionali sviluppatesi negli anni Novanta.

“C’è un grande passato nel nostro futuro”, gridavano i nostalgici del Ventennio. E ora questo slogan sembra tornare vivo nella mescolanza di politici, affaristi e uomini d’oro che ha già portato alla fine dell’era di Umberto Bossi.