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Salvatore Buzzi

Com’era quella cosa del PD che non c’entra con Mafia Capitale?

(Da Giornalettismo, qui)

È un’imbarazzante testimonianza quella resa al processo su Mafia Capitale da Micaela Campana, deputata Pd e componente della comissioni Giustizia, che si è seduta nell’aula bunker di Rebibbia come testimone per la difesa di Salvatore Buzzi. La parlamentare è stata più volte ripresa dalla giudice, infuriata per i numerosi «non ricordo». «Non dire la verità sotto giuramento è un reato», le ha ricordato la presidente della Corte Rossana Ianniello.

Essendo ex moglie dell’ex assessore in Campidoglio Daniele Ozzimo, imputato nello stesso procedimento, Campana avrebbe potuto avvalersi della facoltà di non rispondere. Ma lei ha deciso comunque di rispondere alle domande (come a quella su un incontro organizzato per Buzzi con il viceministro agli Interni Filippo Bubbico), mostrandosi però poco credibile per i chiarimenti non forniti. La giudice Iannello le ha perfino chiesto a che titolo sia componente della commissione giustizia di Montecitorio se nemmeno riconosce le regole basilari del processo. Lo racconta oggi Federica Angeli su Repubblica:

Micaela Campana risponde sempre le stesse cose, anche a domande diverse. Ed è questo che agli occhi dell’aula, nel corso della 128esima udienza del maxi- processo Mafia capitale la rende poco credibile a fronte del mare di intercettazioni che, ora l’avvocato Santoro di Buzzi ora il pm Luca Tescaroli le leggono. «Per quale motivo fissò un incontro tra Bubbico e Buzzi?», «Fu lui a chiedermelo, ma non so di cosa dovessero parlare» replica la deputata.
«Mi faccia capire – chiede seccata la presidente – lei fissa un incontro col sottosegretario Bubbico a Buzzi solo perché lui glielo aveva chiesto, senza conoscere il motivo di tale richiesta?». «Non ricordo» dice l’esponente dem.

Campana non è stata convincente nemmeno quanto ha parlato dell’interrogazione parlamentare che Buzzi le chiese di presentare. La deputata ha dichiarato di non ricordare telefonate del ras delle cooperative per farle pressione. Continua Angeli su Repubblica:

Anche in questo caso però le sue parole sono smentite dalle intercettazioni: un suo collaboratore infatti spiegò a Buzzi che ancora una volta era stato Bubbico a dire di prendere tempo. «Quanto all’incontro organizzato al Viminale per far parlare Buzzi col prefetto Morcone?». «Andai anche io – risponde l’onorevole Campana – ma non ricordo di cosa, Buzzi parlò con il prefetto Manzzione (Morcone non si presentò, ndr). Di qualcosa sul centro di Castelnuovo di Porto, ma nello specifico non saprei».
La giudice Ianniello perde la pazienza: «Eppure lei è giovane: come mai questi continui vuoti di memoria? Lei assiste a un incontro, è presente in una stanza e non sa di cosa hanno parlato?».
Infine l’sms: «un bacio Grande Capo». «Come mai si rivolge così a Buzzi», chiede il pm Tescaroli? «Questione di rispetto nei confronti di una persona più grande di me».

Ma non è finita qua. Perché dal Messaggero emergono altri elementi, sempre più imbarazzante per l’esponente della segreteria del PD. Di cui a questo punto è lecito aspettarsi le dimissioni. La Campana ammette i finanziamenti “Chiesti e ricevuti” da Buzzi per la campagna elettorale “tutte legale” precisa. Scrive il Messaggero

Campana ha ammesso di aver chiesto e ricevuto dal ras delle coop diversi contributi elettorali. Soldi in favore dell’ex marito l’assessore Daniele Ozzimo, già indagato e condannato a due anni e due mesi per corruzione, e del partito nazionale. Contributi legittimi, ha spiegato. Per sé, quando si è candidata come consigliera municipale nel 2001(«di cui non ricordo se pervenuti perché la legge non prevedeva il rendiconto», ha specificato) e «ventimila» per la candidatura in Campidoglio dell’ex marito. Un finanziamento quest’ultimo, per sua stessa ammissione, arrivato a pochi mesi dalla separazione, tanto da suscitare la curiostà della presidente del collegio, Rosanna Ianniello: «Visto che all’epoca si era già lasciata con suo marito perché fu lei a fare da tramite?». «Perché lo ritenevo una persona valida per il Campidoglio», ha precisato la deputata.

Pietro Cozzolino: il boss camorrista con il cuore sudicio di vestiti usati

C_4_articolo_2089649_upiImageppSmantellata dalla polizia un’organizzazione criminale dedita al traffico di “rifiuti speciali illeciti”. I “rifiuti” sarebbero i vestiti usati che vengono lasciati nei grandi cassonetti gialli per la raccolta di abiti da regalare ai poveri. Invece di essere consegnati, venivano venduti in Africa e nei paesi dell’Est. Quattordici gli arrestati tra Roma, Napoli e Salerno, per i reati di associazione per delinquere nell’ indagine coordinata dalla direzione distrettuale Antimafia di Roma. Gli affiliati all’associazione criminale ricevevano, trasportavano, cedevano e comunque gestivano abusivamente ingenti quantitativi di “rifiuti tessili speciali”, con “specifiche condotte di falsità materiale e ideologica in atti pubblici”. Per gli investigatori, tra i capi dell’organizzazione emerge Pietro Cozzolino, considerato elemento di vertice dell’omonimo clan camorristico che opera nelle zone di Portici ed Ercolano, in provincia di Napoli.

Dalle indagini risulterebbe che gli arrestati rivendevano nei paesi poveri gli indumenti lasciati nei secchioni gialli della raccolta degli abiti usati. Le indagini, condotte dalla squadra mobile di Roma e dalla polizia provinciale, sono iniziate due anni fa e hanno documentato la partenza di container da Civitavecchia e Salerno diretti in Africa con oltre 3.000 tonnellate l’anno di indumenti. Dalle indagini sarebbe emerso inoltre che il materiale era provvisto di bolle di accompagnamento false sull’avvenuta igienizzazione e fatturato solo in parte.

Sono state sequestrate preventivamente anche alcune coop coinvolte, in particolare la “New Horizons Onlus” e “Lapemaia Onlus” e la società “B&B Ecology srl”. A quanto accertato, gestivano la raccolta dei rifiuti tessili speciali per conto del consorzio “Il Solco” delegato per il servizio da Ama, l’azienda romana della raccolta dell’immondizia. Tra gli arrestati dell’operazione di oggi c’è anche Danilo Sorgente, responsabile tecnico dell’impianto di recupero rifiuti gestito dalla “New Horizons” e alcuni dipendenti delle cooperative sottoposte a sequestro.

Ma c’è di più. Per gli investigatori, infatti, ci potrebbe essere la mano di Mafia Capitale nel traffico illecito di rifiuti. Il gip nell’ordinanza non esclude che l’affare degli abiti usati “non sia rientrato nel più ampio disegno dirigista e corruttivo di Salvatore Buzzi”, arrestato nell’inchiesta Mafia Capitale. “Non può non pensarsi -scrive il gip Simonetta D’Alessandro – che la delibera che aveva ripartito nel 2008 il territorio comunale in competenze ai consorzi dell’Ati Roma Ambiente non obbedisca alle logiche spartitorie” e “non abbia coltivato le finalità speculative, rientranti negli interessi di Buzzi”. “Di tanto non vi è la prova in atti mancando nella fase delle prime assegnazioni le intercettazioni – prosegue l’ordinanza – ma vi è una concreta emergenza documentale”.

Salvatore Buzzi, presidente della cooperativa 29 giugno, è stato arrestato nel dicembre scorso nell’ambito dell’inchiesta su Mafia capitale.

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“Mafia Capitale”: le armi nascoste nel cimitero o nei battiscopa

Nascondendo le armi dentro il cimitero monumentale del Verano, gli uomini ritenuti essere il trait de union tra le ’ndrine calabresi e l’organizzazione «Mafia Capitale», pensavano di essere al sicuro. Invece i militari del Ros, durante una perquisizione effettuata lo scorso 11 dicembre negli spogliatoi a disposizione degli impiegati dello storico cimitero romano, avevano trovato alcuni documenti relativi ad armi, munizioni e anche un «serbatoio monofilare per pistola». Il caricatore era custodito nell’armadietto personale di Salvatore Ruggiero. L’uomo, secondo gli inquirenti, insieme a Rocco Rotolo, assicurava il collegamento tra la cosche calabresi e le cooperative gestite da Salvatore Buzzi. Un legame che garantiva ai romani una certa «protezione», una sicurezza ricambiata da Buzzi e Carminati che «avrebbero creato – scrivono gli inquirenti – la Cooperativa Santo Stefano Onlus, che nella progettualità dello stesso Buzzi sarebbe stata una “Cooperativa di ‘ndranghetisti”». Inoltre, a bordo della Citroen di proprietà di Ruggero, gli investigatori avevano anche trovato l’occorrente per la pulizia e manutenzione delle armi. Il Verano non era l’unico posto dove, secondo la procura di Roma, venivano custoditi gli armamenti. Rotolo, durante una conversazione intercettata successivamente all’arresto del «Cecato», spiegava al suo interlocutore di aver approntato, nei pressi della sua abitazione, un nascondiglio: «Ce l’ho a casa…mo’ poi ho preso la mezza panchina di queste..l’ho scavata dentro… gli ho fatto la vaschetta… e mo’ la monto…li scavo dentro… gli faccio il posto… poi ci metto un filo di silicone nel contorno…e chiudo…e la metto a mo’ di gradino». Ma le armi possono deteriorarsi a causa dell’umidità perché «il marmo è maledetto», quindi occorre celarle in un luogo dove sia possibile estrarle con facilità: «Basta togliere una mattonella del battiscopa per fare nu’ buco – continua l’indagato – incolli il battiscopa con la calamita… metti… u’ ferru… e il battiscopa..e la calamita nel buco». Così è possibile prelevare velocemente l’arma: «Quando ti serve…tiri avanti la calamita…tiri la mattonella….e stacchi la calamita…co’ la colla speciale… iu adesso quando ho tempo u facci…» continua l’uomo specificando che tale operazione risultava essere di sicura efficacia contro eventuali controlli delle forze dell’ordine: «Non mi’ ’i trovano mai…a me…a casa mia….u sistema è questo qua…ce l’ho dietro a cucina…e a stufa a pellet…o dietro l’armadio…non vanno mai col metaldetector basso capito…?». Effettivamente, presso la casa di Rotolo non è stata trovata neanche una pistola.

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Per quelli che “non è mafia”: Mafia Capitale si riorganizzava come un oliato clan

Minacce di morte, pizzini e regole sulla successione. Roba da associazione mafiosa, per l’appunto, quella che ieri la procura di Roma ha depositato al tribunale dei Riesame, chiamato a decidere sulla revoca della custodia cautelare di Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, entrambi calabresi ed entrambi in carcere dall’11 dicembre scorso nell’ambito dell’inchiesta su Mafia Capitale (i giudici si sono riservati).

I due, accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, sarebbero il collegamento tra la banda guidata da Massimo Carminati e il clan Mancuso di Vibo Valentia. Un legame che avrebbe uno snodo centrale in Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative capitoline, considerato dai pm il braccio finanziario del “Cecato”. Parla chiaro l’informativa che i carabinieri del Ros del 3 gennaio: i legami con i calabresi c’erano eccome, secondo l’accusa.

Il 3 dicembre, giorno successivo ai primi arresti, Rotolo e Ruggiero (in quel momento ancora a piede libero, ndr) non si danno pace. Commentano gli arresti con gli amici, si preoccupano di non fare la stessa fine. E pensano alla gestione futura: già il giorno successivo alla retata, fissano un incontro per decidere che cosa ne sarà della Cooperativa 29 giugno, fino ad allora guidata da Buzzi.

Prima di andare alla riunione Rotolo incontra Franco La Maestra, ex brigatista condannato a 18 anni di carcere e coinvolto nell’omicidio di Massimo D’Antona, e uomo di fiducia di Buzzi. L’ex terrorista racconta: “Ieri l’ho visto (Buzzi, ndr). C’ha teso a specificà a noi de Giovanni (Campennì, ndr). .. ha detto… “quello non deve… non si deve neanche avvicina’…” le testuali parole so state queste mentre lo portavano via… “non voglio che Giovanni stia in mezzo ai piedi”… ci ha detto a me e a Salvatore (Ruggiero, ndr)”. Giovanni Campennì, imprenditore, secondo i pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli è il collegamento tra Buzzi e la ‘ndrangheta.

Non a caso Rocco e La Maestra si stupiscono delle parole di Buzzi e si chiedono se quest’ultimo non avesse appositamente voluto far individuare Campennì dalle forze dell’ordine. “E se l’è cantatu stu scemo di merda?  –  chiede Rotolo  –  I Mancuso u ‘mmazzano”. Sta di fatto che, proprio come nella tradizione mafiosa, Buzzi negli attimi prima di finire in carcere, riesce a dare le indicazioni sulla sua “successione” alla guida delle cooperative. Vuole escludere Campennì e decidere chi deve prendere il suo posto. “Mentre andava via  –  dice ancora La Maestra a Rotolo  –  m’ha guardato e m’ha fatto: “Me raccomando, non litigate. Tu sei il capo, mi raccomando, non litigate”. Poi mentre andava via mi ha detto: “Ci vediamo tra due anni”… lui s’è già attrezzato”.

Infine i pizzini. I militari del Ros ne hanno sequestrati alcuni a casa di Salvatore Ruggiero. In mezzo a una serie di ricevute di pagamento da parte della Cooperativa 29 Giugno, gli investigatori hanno trovato anche due pen drive, una lettera del 2004 in cui Buzzi invitava i suoi soci e dipendenti a votare Oriano Giovannelli e Nicola Zingaretti al Parlamento europeo e tre pizzini. Uno con la dicitura “Glok 179.21, uno con scritto “Rosario 29 giugno” e un terzo: “Fasciani”. Probabilmente il riferimento è al clan che da anni gestisce la malavita di Ostia. Elementi sui quali ora il Ros è al lavoro.

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Il prefetto imperfetto

Non so perché ci sia così tanta timidezza intorno al Prefetto di Roma. Perché le ultime uscite su Buzzi & co. cominciano ad essere imbarazzanti, mi pare:

La prefettura di Roma diede il via libera alla stipula di una convenzione con la cooperativa di Salvatore Buzzi per la gestione dell’emergenza legata all’arrivo dei profughi a Castelnuovo di Porto, paesino alle porte della capitale. Un documento datato 18 marzo 2014 – allegato agli atti dell’inchiesta sull’organizzazione mafiosa guidata, secondo i magistrati, dallo stesso Buzzi e dall’ex estremista dei Nar Massimo Carminati – sembra smentire la versione ufficiale fornita dal prefetto Giuseppe Pecoraro che aveva detto subito, e poi ribadito di fronte alla commissione parlamentare Antimafia, di aver rifiutato la proposta di Buzzi. E dimostra che subito dopo l’incontro avvenuto a Palazzo Valentini fu avviata la procedura per inviare i migranti nella struttura di accoglienza situata a Borgo del Grillo.

Si tratta di una missiva firmata dal dirigente Roberto Leone, spedita «al sindaco di Castelnuovo di Porto e al questore» che ha come oggetto «l’afflusso di cittadini stranieri richiedenti la protezione internazionale e l’individuazione delle strutture di accoglienza». Il testo è breve ma fornisce tutte le informazioni: «Facendo seguito alla circolare del ministero dell’Interno dell’8 gennaio scorso e alla luce delle manifestazioni di disponibilità ricevute, si chiede se sussistano motivi ostativi alla stipula di una convenzione con il soggetto sottoindicato: Eriches 29 consorzio di Cooperative Sociali. La sede proposta per l’accoglienza si trova in Borgo del Grillo. Si allega la documentazione relativa alla manifestazione di disponibilità ricevuta e si resta in attesa di cortesi urgenti notizie, rappresentando che in mancanza di elementi ostativi si procederà alla stipula della convenzione». La lettera risulta protocollata in uscita il 19 marzo 2014 e arrivata il giorno dopo al Comune di Castelnuovo.

Proprio il 18 marzo, alle ore 18, Buzzi, aveva incontrato Pecoraro. Sono le carte dell’inchiesta a ricostruire che cosa accadde in quei giorni. In una conversazione del 17 marzo Buzzi racconta a Carminati di aver perso il ricorso al Tar contro l’affidamento della gestione del Centro di accoglienza di Castelnuovo di Porto a una società concorrente. Si capisce che sta cercando di concludere nuovi affari, di ottenere la gestione di altre strutture. Gli spiega che «domani c’ho appuntamento co’ Gianni Letta». Di questa riunione Buzzi parla anche con Luca Odevaine, all’epoca componente del Tavolo del Viminale che si occupava proprio dell’emergenza legata all’arrivo dei profughi e ora in carcere con l’accusa di aver fatto parte dell’associazione mafiosa. Vuole avere un consiglio su quali siano i temi da affrontare e Odevaine suggerisce: «Gli si può chiedere perché Pecoraro c’ha ferma un sacco de roba, c’ha fermo Castelnuovo di Porto, 100 appartamenti».

Il 18 marzo alle 10.30 i carabinieri del Ros vedono Buzzi entrare con uno dei suoi collaboratori nell’ufficio di Gianni Letta. Quando esce chiama Odevaine e annuncia: «È andata bene, alle 6 vedo il prefetto». Il pedinamento conferma che effettivamente alle 17.45 di quello stesso giorno Buzzi entra alla prefettura di Roma e rimane fino alle 18.35. Appena esce chiama nuovamente Odevaine: «Col prefetto è andata molto bene, gli abbiamo parlato di questo Cara di Castelnuovo di Porto… no del Cara, gli abbiamo parlato di questo immobile che c’è e lui m’ha detto: “Basta che il sindaco me dice di sì io non c’ho il minimo problema, anzi la cosa è interessante, lasciatemi tutto”».

Quando gli atti processuali diventano pubblici e infuria la polemica sugli appalti concessi dal Campidoglio alle Cooperative di Buzzi, la commissione Antimafia avvia una verifica e convoca tra gli altri proprio Pecoraro. In quella sede il prefetto dichiara: «È vero, ho ricevuto Salvatore Buzzi ma non sapevo nemmeno chi fosse: il problema vero è la facilità con cui si può arrivare alle istituzioni e l’assoluta mancanza di controlli. Buzzi è venuto da me dopo che il dottor Letta mi aveva chiamato, io l’ho ricevuto e ho detto di no alla sua proposta che consisteva nella disponibilità di cento appartamenti per gli immigrati a Castelnuovo di Porto. Gli ho spiegato che lì ho già il Cara, che gli immigrati in una città così piccola sarebbero stati troppi». In realtà la lettera spedita il 19 marzo scorso sembra raccontare una verità completamente diversa. Pecoraro adesso ammette che effettivamente ci fu un tentativo, ma spiega: «È un tipo di missiva che abbiamo mandato a tutti i sindaci della provincia chiedendo se c’era disponibilità di posti».

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Moltiplicava i pani, i pesci e i profughi: Luca Odevaine (ex braccio destro di Veltroni)

luca-odevaine-durante-le-operazioni-di-sgombero-del-campo-rom-di-via-troili-a-ro-620558Se il Pdl trema, anche il Pd non è messo tanto bene. L’ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni, Luca Odevaine (arrestato per corruzione aggravata), si faceva versare le tangenti su conti segreti di moglie e figlio. E il capo della segreteria del sindaco Ignazio Marino, Mattia Stella, (non indagato) oltre a essere stato più volte tirato in ballo da Salvatore Buzzi nelle intercettazioni, c’era stato tranquillamente a cena.

Luca Odevaine – membro del Coordinamento nazionale sull’accoglienza profughi – preferiva incassare le mazzette sui conti correnti bancari dei parenti. A partire da quello dell’ex moglie venezuelana Lozada Hernandez Nitza del Valle per passare poi a quello del figlio Thomas Edinson Enrique Lozada. Considerato «il moltiplicatore dei profughi da destinare al centro di Buzzi» per fargli guadagnare di più, Odevaine è stato anche consigliere del ministro dei Beni Culturali Giovanna Melandri.

Secondo la procura e i carabinieri del Ros il sodalizio con Buzzi si ritroverebbe nelle forti pressioni per trasferire i migranti in altre strutture parallele: per questo sarebbe stato pagato mensilmente con i 5 mila euro. Le ha provate tutte, Odevaine, per aggirare i controlli: chiamava la tangente «affitto» e la voleva depositata su conti non a lui direttamente riconducibili.

Il 15 febbraio 2013 spedisce un sms a Salvatore Buzzi: «Salve, buongiorno. Puoi verificarmi gli affitti, per piacere. Sono un po’ in difficoltà. Grazie, un abbraccio…». La ricompensa, in passato pagata con bonifico sul conto dell’ex moglie venezuelana, doveva finire nelle mani del figlio Thomas. Ma un intoppo ha creato confusione. Odevaine incalza dunque Buzzi: «No, se so’ sbagliati, hanno mandato… purtroppo m’hanno fatto un bordello i tuoi, l’hanno mandato al… al vecchio conto».

La sua preoccupazione è che l’ex moglie ora non gli consegni il denaro ricevuto per errore: «Eh, no, m’ha bruciato, chiaramente, quella, figurati, che so’ arrivati… col cazzo che me li dà, però va be’…». Buzzi cerca allora di calmarlo, spiegando che si è trattato della svista di una collaboratrice «…Sandra gliel’ha ridato, se so’ sbagliati loro, hanno… ce… ce l’avevano quello… quello buono di iban, no? Quello di, di… di Thomas, e però per… si vede che per errore, in automatico… l’hanno mandato a quell’altro di prima…».

Destinata a scatenare nuove polemiche è invece la cena tra Buzzi e Mattia Stella. L’uomo vicinissimo a Marino non è indagato ma dalle intercettazioni dei carabinieri del Ros, agli ordini del generale Mario Parente e il colonnello Stefano Russo, emerge che «i rapporti con la nuova amministrazione comunale da parte di Buzzi sono costituiti da una relazione con il capo della segreteria del sindaco, Mattia Stella, che s’intrecciano con quelli con Mirko Coratti (Pd, presidente del consiglio comunale, dimessosi dopo essere stato indagato per corruzione aggravata e illecito finanziamento ndr), massimamente in relazione alla questione Ama.

Eloquente nel senso della costruzione di un rapporto privilegiato con Stella è la conversazione nella quale Buzzi chiamava Carlo Guarany, lo informava che prima sarebbe andato in Ama e successivamente sarebbe andato presso il Gabinetto per incontrare Mattia. Conversazione nella quale Guarany diceva che occorreva “valorizzare” Mattia e “legarlo” di più a loro».

Non sono indagati e minacciano querele anche i deputati Pd Micaela Campana e Umberto Marroni, sollecitati da Buzzi per ottenere un’interrogazione parlamentare sull’appalto su un centro rifugiati bloccato da un giudice del Tar del Lazio. E se la Campana saluta Buzzi, via sms, con «Bacio grande capo», Umberto Marroni, alle 18.31 del 20 marzo scorso gli inviava il seguente sms: «Ho parlato con Micaela meniamo». E, in riferimento alla stesura del testo, precisava «La sta preparando Micaela».

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La bugia dell’onorevole Micaela Campana (PD)

Ha poco da lamentarsi l’onorevole del PD Micaela Campana che protesta per i possibili fraintendimenti del suo sms a Salvatore Buzzi, uomo coinvolto in pieno nell’inchiesta Mafia Capitale. Chiede che non siano estrapolate le frasi in modo che possano essere fraintese ma a leggere bene l’ordinanza (che abbiamo pubblicata per intero qui) c’è qualcosa di peggio del “bacio virtuale” via sms:

La sera del 20.03.2014, Salvatore BUZZI riceveva notizia del fatto che l’interrogazione, proposta dai parlamentari del PD da lui definiti “amici miei”, a breve sarebbe stata presentata. Già alle ore 18.31, Umberto MARRONI (deputato PD, ndr)  gli inviava un SMS recante il testo: “Ho parlato con Micaela meniamo” e, in riferimento alla stesura del testo, precisava “La sta preparando Micaela”.
[…]
Infine, alle ore 21.03, riceveva l’attesa notizia proprio da Micaela CAMPANA, la quale inviava al BUZZI il seguente SMS: “Parlato con segretario ministro. Mi ha buttato giu due righe per evitare il fatto che mi bloccano l’interrogazione perche non c’e ancora procedimento. Domani mattina ti chiamo e ti dico. Bacio grande capo”.
Alle ore 15.49 del 21.03.2014, Salvatore BUZZI riceveva un SMS dal BARBIERI (assistente dell’onorevole Campana, ndr), che lo informava di un “rigetto” dell’interrogazione per difetto di presupposti, avendo come esclusivo fondamento le notizie di stampa: “Buongiorno mica (Micaela, ndr) aveva depositato interrogazione, ma l’ufficio responsabile ce l’ha rigettata perche non era congrua essendo basata solo su articoli di giornali, ora l’ufficio ce la riscrive affinche non venga rigettata ma ci vorra qualche giorno. Simone”.

Io, fossi in lei, penserei bene anche all’opportunità di dimettermi. Sul serio.

“Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”

Un bigino da stampare e da tenere in tasca per la prossima strabica rivolta in stile Tor Sapienza:

Per la “cupola” di Roma l’emergenza immigrati era una miniera d’oro: i fondi per i centri d’accoglienza sono un piatto ricco e il sodalizio criminale ipotizzato dagli inquirenti fa in modo che parte di questi finanziamenti finisca nelle tasche delle cooperative amiche. Gli inquirenti lo chiamano “Sistema Odevaine“: “La gestione dell’emergenza immigrati è stato ulteriore terreno, istituzionale ed economico, nel quale il gruppo riconducibile a Buzzi si è insinuato con metodo eminentemente corruttivo – si legge nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal gip Flavia Costantini – alterando per un verso i processi decisionali dei decisori pubblici, per altro verso i meccanismi fisiologici dell’allocazione delle risorse economiche gestite dalla P.A.”.

Un sistema studiato per far arrivare i soldi pubblici ai gestori amici “che si dividono il mercato“. E il mercato dei fondi statali per i centri di accoglienza per gli immigrati è immenso. Gli inquirenti parlano della “possibilità di trarre profitti illeciti immensi (…) paragonabili a quelli degli investimenti illeciti realizzati in altri settori criminali come lo smercio di stupefacenti. Le intercettazioni parlano chiaro. Al telefono con Pierina ChiaravalleSalvatore Buzzi, numero uno della cooperativa “29 giugno” e braccio operativo dell’organizzazione, domanda: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”.

Il centro del sistema è Luca Odevaine. Ex vice capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni e capo della polizia provinciale di Roma, “Odevaine è un signore che attraversa, in senso verticale e orizzontale, tutte le amministrazioni pubbliche più significative nel settore dell’emergenza immigrati”, scrivono i pm. Perché è così importante la sua figura? “La qualità pubblicistica di Odevaine risiede nell’essere appartenente al Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione” e al contempo è “esperto del presidente del C.d.A. per il Consorzio “Calatino Terra d’Accoglienza”» , ente che soprintende alla gestione del C.A.R.A. di Mineo“. Un’intercettazione in cui Odevaine parla con il suo commercialista fotografa il suo ruolo: “Avendo questa relazione continua con il Ministero – spiega l’ex vice capo segreteria di Veltroni – sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da… da giù… anche perché spesso passano per Mineo… e poi… vengono smistati in giro per l’Italia… se loro c’hanno strutture che possono essere adibite a centri per l’accoglienza da attivare subito in emergenza… senza gara… (inc.) le strutture disponibili vengono occupate… e io insomma gli faccio avere parecchio lavoro…”.

Odevaine è ben pagato, secondo Salvatore Buzzi. Parlando con Giovanni Campennì, il braccio operativo dell’organizzazione spiega: “Mò c’ho quattro… quattro cavalli che corrono… col PD, poi con la PDL ce ne ho tre e con Marchini c’è… c’ho rapporti con Luca (Odevaine, ndr) quindi va bene lo stesso… lo sai a Luca quanto gli do? Cinquemila euro al mese… ogni mese… ed io ne piglio quattromila”.

Il piatto è ghiotto anche nella sola città di Roma e la cupola è talmente potente da deviare in sede di bilancio pluriennale risorse in favore delle strutture di accoglienza. Gli inquirenti sottolineano la “capacità del sodalizio indagato, di interferire nelle decisioni dell’Assemblea Capitolina in occasione della programmazione del bilancio pluriennale 2012/2014 e relativo bilancio di assestamento di Roma Capitale, avvalendosi degli stretti rapporti stabiliti con funzionari collusi dell’amministrazione locale, al fine di ottenere l’assegnazione di fondi pubblici per rifinanziare “i campi nomadi”, la pulizia delle “aree verdi” e dei “Minori per l’emergenza Nord Africa”, tutti settori in cui operano le società cooperative di Salvatore Buzzi”.

All’epoca dei fatti alla guida del dipartimento Promozione dei Servizi Sociali e della salute del Comune di Roma (che gestisce la questione immigrati) c’era Angelo Scozzafava, con il quale la “cupola” aveva ottimi rapporti: “Le indagini hanno evidenziato l’ipotesi di una remunerazione dell’attività funzionale di costui da parte di gruppo criminale  – scrivono gli inquirenti – con la promessa dell’assegnazione di un appartamento in una cooperativa” perché “Scozzi” come lo chiamano i sodali, “si fa promotore di attività a favore del gruppo presso altri organi dell’amministrazione comunale, per spingere su finanziamenti a favore del campo nomadi“. Ma dopo le elezioni comunali del 2013 le cose cambiano: il 14 giugno 2013 Buzzi raccontava al telefono a Carminati di trovarsi al Campidoglio “in giro per i Dipartimenti a saluta’ le persone”. La decisione veniva accolta favorevolmente accolta dall’ex Nar che riteneva necessario “vendere il prodotto amico mio, eh. Bisogna vendersi come le puttane ades…adesso”. A quel punto Buzzi raccontava la difficoltà di muoversi nell’ambito della nuova situazione politica romana in quanto in quel momento “solo in quattro sanno quello che succede e sono nell’ordine BianchiniMarinoZingaretti e Meta“, e Carminati rispondeva in maniera eloquente: “E allora mettiti la minigonna e vai a batte co’ questi, amico mio”.

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