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Il Natale di Salvini

Nella bieca rincorsa a ritagliarsi un posto al sole per ottenere un po’ di visibilità e per andare “contro” al governo Matteo Salvini si è inventato un’altra delle sue invitando tutti a disubbidire alla zona rossa natalizia: “tutti fuori a fare volontariato”, dice Salvini, nel tentativo di incastrare con i buoni sentimenti la sua fregola di essere irresponsabile.

Peccato che la frase, nonostante possa fare breccia tra i suoi fan, non significhi assolutamente nulla, che sia assolutamente priva di senso e sia in netto contrasto con il suo modo di agire, di pensare e di parlare. “Fare volontariato” è una cosa terribilmente seria che non ha nulla a che vedere con il farsi foto insieme a qualche senza tetto. Fare volontariato significa impiegare il proprio tempo e il proprio ruolo in attività organizzate che garantiscano la dignità, se non il benessere, delle persone in difficoltà. Fare volontariato ad esempio significa anche riconoscere la povertà, vederla, conoscerla, abitarla: l’esatto opposto di quello che fece il vicesindaco di Trieste Paolo Polidori quando dichiarò di avere buttato via le coperte dei senzatetto “con soddisfazione” (disse proprio così), l’esatto opposto di quello che fece l’assessora leghista di Como che tolse la coperta a un senza tetto pubblicando tutta fiera il video su Facebook (lì a Como dove nel 2017 venne vietato proprio dalla Lega di dare un latte caldo proprio ai clochard).

Se invece vogliamo rimanere su Salvini allora sarebbe da capire come intenda il volontariato se proprio i suoi senatori hanno acceso una gazzarra in Parlamento mentre si archiviavano quegli orrendi decreti sicurezza dell’ex ministro.

Se Salvini vuole fare volontariato allora potrebbe benissimo ascoltare volontariamente i racconti dei pescatori da poco liberati in Libia che raccontano come quella detenzione fosse al di fuori di qualsiasi diritto umano. Proprio quella Libia che Salvini ritiene “un porto sicuro” in cui ammassare tutti i senza tetto del mondo che provano a trovarlo, un tetto.

Oppure potrebbe ammettere che anche la bontà in fondo per lui è solo un feticcio da sventolare alla bisogna. E potrebbe riconoscere che con questa sua uscita da finto filantropo fa sanguinare le orecchie per la contraddizione che contiene. Perché i buonisti sono naturalmente molto aperti ma non sopportano le minchiate.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La dignità da restituire ai poveri. Il ristorante per i senzatetto di Ernesto Pellegrini, ex presidente dell’Inter.

(Giangiacomo Schiavi per Il Corriere della Sera)

La dignità da restituire ai poveri. Uno sforzo per non lasciarli soli. Il ricordo delle fatiche, dei sogni, delle speranze, dei genitori, ortolani nella Milano tra le due guerre. C’era la fame, ma c’era tanta solidarietà. E sempre la porta aperta, per chi aveva bisogno e portava ogni giorno la sua croce,  sulla terra, nei campi, nella stalla. Ernesto Pellegrini ce l’ha scritta in faccia la sua storia. Una storia piena di ricordi, piccole e grandi felicità, qualche tristezza e momenti di gioia accanto a  persone semplici, che non si dimenticano. Come Ruben. Un uomo della sua giovinezza uscito dal mondo dei vinti, un contadino, un bracciante che dava una mano alla sua famiglia e riceveva in cambio una paga, un tetto, un pasto caldo.

Oggi questo nome è scritto in grande, all’ingresso di un ristorante.  Ruben a Milano è un luogo che offre un po’ di umanità alle persone costrette dalla crudeltà degli eventi a diventare ombre. Si paga un euro. Prezzo simbolico per dare accessibilità a chi nelle tasche ha poco o niente.

Pellegrini l’ha inventato per un debito personale e umano con una persona sfortunata, a quell’uomo della sua infanzia sfrattato dalla società quando i campi coltivati della sua famiglia furono espropriati.Mentre il giovane Ernesto lavorava a Milano e cominciava la sua carriera di imprenditore delle mense, Ruben si trovò senza più nulla, dormiva in una baracca, al freddo, solo come un cane. Un giorno d’inverno lo trovarono morto e il titolo della Notte, il giornale del pomeriggio, diceva così: Barbone muore assiderato.

“Quando l’ho letto ho pensato a come era diventata disperata la sua solitudine.  Mi ero ripromesso di aiutarlo, ma non ce l’ho fatta per tempo. Non era un barbone, ma un uomo schiacciato dalla vita e dagli eventi…”.  A lui è dedicato il ristorante a un euro, Rubén: per non lasciare solo chi ha perso il lavoro, è malato, disoccupato, separato, senza una casa. A chi fa parte della categoria: nuovi poveri. Che qui possono trovare un luogo amico, dove portare figli e familiari senza doversi vergognare. Perche Ruben non è la mensa dei disperati.  E’un ristorante vero, dove il prezzo è un regalo.

Ernesto Pellegrini dalla vita ha avuto molto. E’ diventato un marchio di successo. La sua azienda ha compiuto cinquant’anni e dà lavoro a 8mila persone. E’ stato presidente dell’ Inter. Ha vinto scudetti e coppe. La sua bacheca è ricca di trofei professionali e sportivi.  Ma si commuove ogni volta che parla di Ruben. Perché il ristorante solidale nel quale i commensali vengono inviati dalle parrocchie, dalla Caritas, dai centri del volontariato, è il suo ritorno alle origini, all’amicizia, alla solidarietà concreta che ha imparato da bambino.

Ruben e il suo ideatore, Ernesto Pellegrini, con la sua famiglia, è la buona notizia che abbiamo scelto per l’anno 2016. Perché nei giorni dell’emergenza freddo in cui si guarda con attenzione al mondo degli ultimi, a chi vive con un cartone addosso scomparendo dalla vista delle persone, chi si occupa di loro con umanità e serietà merita un riconoscimento e una stretta di mano. Pellegrini è un uomo schivo, di fede, che non ama farsi pubblicità. Ma il suo gesto, il suo altruismo, fanno bene anche a noi. Merita di essere premiato con i colleghi che la Civitas casertana e   giornalisti campani e cattolici hanno scelto tra quelli che mettono in evidenza le positività che ci sono nel nostro Paese.

Il 21 febbraio, alle 16, nella biblioteca del seminario in piazza Duomo, a Caserta,  con Luigi Ferrajuolo che coordina il premio, ci saranno anche padre Lombardi, Safiria Leccese, Jozsef Eric e Arturo Mari,  comunicatori e narratori che cercano di vedere la speranza dietro le notizie. E ogni  tanto trovano persone come Pellegrini, che aiutano a scrivere in prima pagina anche del bene.