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La marcia dei Mille, disperati

Nel gelo della Bosnia da settimane ci sono un migliaio di migranti che seguono la “rotta balcanica”. A pochi chilometri c’è la Croazia, la porta d’ingresso dell’Europa, ma chi prova a passare viene violentemente picchiato, spesso derubato, seviziato e rimandato indietro

Qualcuno di molto furbo e poco umano deve avere capito da tempo, dalle parti del cuore del potere d’Europa, che il primo trucco per sfumare l’emergenza umanitaria legata ai flussi migratori sia quello di fare sparire i migranti. Per carità, non è mica una criminale eliminazione fisica diretta, come invece avviene impunemente in Libia con il silenzio criminale proprio dell’Europa, ma se i corpi non sbarcano sulle coste, non si fanno fotografare troppo, non si mischiano ad altri abitanti, non rimangono sotto i riflettori allora il problema si annacqua, interessa solo agli “specializzati del settore” (come se esistesse una specializzazione in dignità dell’uomo) e l’argomento, statene sicuri, rimane relegato nelle pagine minori, nelle discussioni minori, sfugge al chiassoso dibattito pubblico.

In fondo è il problema dei naufragi in mare, di quelle gran rompiballe delle Ong che insistono a buttare navi nel Mediterraneo per salvare e per essere testimoni, che regolarmente ci aggiornano sui resti che galleggiano sull’acqua o sulle prevaricazioni della Guardia costiera libica o sui mancati soccorsi delle autorità italiane.

Nel gelo della Bosnia da settimane ci sono un migliaio di persone, migranti che seguono la cosiddetta “rotta balcanica”, che si surgelano sotto il freddo tagliente di quei posti e di questa stagione, che appaiono nelle (poche) immagini che arrivano dalla stampa in fila emaciate con lo stesso respiro di un campo di concentramento in un’epoca che dice di avere cancellato quell’orrore.

Lo scorso 23 dicembre un incendio ha devastato il campo profughi di Lipa, un inferno a cielo aperto che proprio quel giorno doveva essere evacuato, e le persone del campo (nella maggior parte giovani di 23, 25 anni, qualche minorenne, provenienti dall’Afghanistan, dal Pakistan o dal Bangladesh) sono rimaste lì intorno, tra i resti carbonizzati dell’inferno che era, in tende di fortuna, dentro qualche casa abbandonata e sgarruppata, abbandonati a se stessi e in fila sotto il gelo per accaparrarsi il cibo donato dai volontari che anche loro per l’ingente neve in questi giorni faticano ad arrivare.

A pochi chilometri c’è la Croazia, la porta d’ingresso dell’Europa, ma chi prova a passare, indovinate un po’, viene violentemente picchiato, spesso derubato, seviziato e rimandato indietro. Gli orrori, raccontano i cronisti sul posto, avvengono alla luce del sole perché funzionino da monito a quelli che si mettono in testa la folle idea di provare a salvarsi. E le violenze, badate bene, avvengono in suolo europeo, di quell’Europa che professa valori che da anni non riesce minimamente a vigilare, di quell’Europa che non ha proprio voglia di spingere gli occhi fino ai suoi confini, dove un’umanità sfilacciata e disperata si ammassa come una crosta disperante.

«L’Ue non può restare indifferente – dice Pietro Bartolo, il medico che per trent’anni ha soccorso i naufraghi di Lampedusa e oggi è eurodeputato -. Questa colpa resterà nella storia, come queste immagini di corpi congelati. Che fine hanno fatto i soldi che abbiamo dato a questi Paesi perché s’occupassero dei migranti? Ai Balcani c’è il confine europeo della disumanità. Ci sono violenze inconcepibili, la Croazia, l’Italia e la Slovenia non si comportano da Paesi europei: negare le domande d’asilo va contro ogni convenzione interazionale, questa è la vittoria di fascisti e populisti balcanici con la complicità di molti governi».

È sempre il solito imbuto, è sempre il solito orrore. Subappaltare l’orrore (le chiamano “riammissioni” ma sono semplicemente un lasciare rotolare le persone fuori dai confini europei) facendo fare agli altri il lavoro sporco. Ma i marginali hanno il grande pregio di stare lontano dal cuore delle notizie e dei poteri. E molti sperano che il freddo geli anche la dignità, la curiosità e l’indignazione.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La Slovenia cambia la Costituzione. Per inserire l’acqua come diritto.

A volte tutto il mondo non è paese. Se in Italia l’esito del referendum sull’acqua pubblica rimane ancora colpevolmente disatteso, altri paesi riescono a modificare la propria Costituzione in senso democratico, con l’intento di salvaguardare i diritti dei propri cittadini. perUnaltracittà, 1° dicembre 2016 (p.d.)

I sindacati e la società civile accolgono con favore l’introduzione del diritto umano all’acqua nella Costituzione della Slovenia

Bruxelles – L’Assemblea Nazionale della Slovenia ha votato ieri sera un emendamento alla Costituzione per includere un nuovo articolo che riconosce il diritto umano all’acqua. L’emendamento definisce le fonti d’acqua come bene pubblico gestito dallo Stato, che non può essere trattata come una merce. Secondo il nuovo testo, l’acqua potabile deve essere fornita dal settore pubblico non a scopo di lucro. Si tratta di un grande successo per gli attivisti sloveni ed i cittadini.

“I cittadini di tutta l’UE e l’Europa si sono mobilitati con successo per avere il diritto all’acqua e ai servizi igienici riconosciuto come un diritto umano – come deciso dalle Nazioni Unite – e per avere riconosciuto questo diritto anche nella legislazione UE. La Commissione europea continua ad ignorare che quasi due milioni di firme raccolte hanno sancito il primo successo dell’Iniziativa dei Cittadini Europei. Il Commissario Vella dovrebbe ascoltare i cittadini e seguire l’esempio sloveno il più presto possibile “, ha dichiarato Jan Willem Goudriaan, FSESP Segretario Generale.

L’acqua è un argomento controverso in Slovenia, le imprese straniere del settore alimentare e potabile stanno comprando i diritti su una grande quantità di risorse idriche locali. Il governo sloveno ha sollevato preoccupazioni circa gli impatti di accordi di libero scambio come il CETA nella sua capacità di controllare e regolare queste risorse(1).

“Gli accordi commerciali ed i meccanismi di risoluzione delle controversie investitore-Stato possono limitare la capacità degli Stati di riprendere il controllo pubblico delle risorse idriche, quando gli investitori stranieri sono coinvolti, come è il caso della Slovenia. Per garantire il diritto all’acqua e il controllo su questa risorsa-chiave, i parlamenti europeo e sloven devono respingere il CETA quando si tratta di votarlo nei prossimi mesi “, ha detto David Sánchez, direttore di Food & Water Europe.

L’emendamento è un’iniziativa dei cittadini sloveni che ha raccolto 51.000 firme per proporre un emendamento costituzionale (2).

“Accogliamo con favore l’introduzione del diritto umano all’acqua nella costituzione slovena, come il grande risultato di un’iniziativa dei cittadini. Ora la società civile deve vigilare per garantire una gestione democratica e trasparente del ciclo idrico integrato, fondata sulla partecipazione dei cittadini e dei lavoratori ” ha detto Jutta Schütz, speakperson al Movimento acqua europea.

Bruxelles, 18 Novembre 2016.

Sindacato Europeo dei Servizi Pubblici dell’Unione europea pubblica
Food & Water Europe
Movimento Europeo dell’Acqua

Note

(1) Il governo sloveno ha sollevato preoccupazioni circa l’ambiguità di termini come “uso commerciale di una fonte d’acqua” in CETA, come l’accordo si applica a diritti d’acqua esistenti e la futura capacità dei governi nazionali di mettere dei limiti sulle concessioni già rilasciate senza essere soggetto per rivendicare sotto ICS, tra gli altri. Il documento può essere trovato qui.

(2) Maggiori informazioni su iniziativa di questo cittadino si possono trovare sul loro sito web.