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Sociale

Una normalizzazione mafiosa e anche sociale (editoriale per “I Siciliani giovani”)

La discussione in corso sul ruolo della magistratura e sugli argini permessi ai magistrati nell’esprimere giudizi politici è la ciclica riproposizione di uno scontro che sembra essere diventato inevitabile in Italia. Un campo di battaglia tra favorevoli e contrari, una tribuna (spesso televisiva) di tifosi delle diverse fazioni che si esibiscono nella continua delegittimazione l’uno dell’altro e ha portato alla banalizzazione di fondo da cui sembra così difficile uscire: ci si dice che in questo Paese esistano poteri buoni e poteri cattivi, dimenticandosi le persone che li interpretano. E il risultato è fatto: giustizialismo contro il partito antiprocure, antipolitica contro politicismi e, quando il gioco sembra farsi duro, complottisti contro innocentisti. E sotto spariscono i fatti, le persone, i riscontri e alla fine la verità.

Ricordo molto bene una mia discussione qualche anno fa quando mi capitò di essere “accusato” da alcuni colleghi teatranti di scrivere spettacoli con giornalisti di giudiziaria e giudici, “è compito degli intellettuali la cultura, mica dei giudici” mi dissero. Erano colleghi che stimo, gente che scrive spettacolo preferendolo all’avanspettacolo, che ha un senso alto dell’arte e della cultura, per dire, ma quello che mi aveva colpito era l’eccesso di difesa legittimato dalla presunzione di un’invasione di campo che non poteva e non doveva essere tollerata. Confesso anche che il concetto di intellettuale oggi, nel 2012 in un’Italia culturalmente berlusconizzata alle radici, è un tipo che mi sfugge perché si arrotola troppo sugli scaffali o nei salotti televisivi di una certa sinistra piuttosto che tra le idee della gente. Un nuovo intellettuale imborghesito e bolso che mostra il suo spessore nel “l’avevo detto” piuttosto che anticipare i tempi come quei belli intellettuali che si studiavano a scuola. C’è la mafia a Milano, l’avevo detto, c’è la massoneria tra le righe del Governo, ve l’avevo detto, c’è l’Europa antisolidale, ve l’avevo detto e via così come una litania di puffi quattrocchi che svettano come giganti per il nanismo degli avversari.

C’è un momento storico negli ultimi decenni che ha svelato l’arcano: 1992-93, le bombe, Falcone e Borsellino, la mafia, Palermo che si ribella, la Sicilia che rialza la testa e per un momento si sente abbracciata da una solidarietà nazionale come non sarebbe più successo. La gente che decide di non potere stare a guardare e la magistratura che cerca la vendetta con la verità: due mondi così distanti, con regole e modi così diversi, spinti dallo stesso sdegno e uniti nella stessa ricerca. Ma non comunicanti. Il popolo con la fame dei popoli, quella tutto e subito, per riempire la pancia di quel dolore e avere almeno una spiegazione e la magistratura ingabbiata tra i veti, la politica, i depistaggi e i falsi pentiti e le leggi che non lasciano spazio all’urgenza democratica. Forse gli intellettuali ci sono mancati proprio lì. Chi poteva avere il polso di quegli anni così caldi e aveva gli occhi per metterci in guardia dai demoni che si infilano nei grandi cambiamenti storici: sono rimasti isolati, inascoltati o morti ammazzati. E tutto intorno un allineamento rassicurante, come chiedeva il popolo sotto le mura; come se la “normalizzazione” non sia stata solo mafiosa ma anche e soprattutto sociale. La rassicurazione normalizzante è stata l’ultima chiave di lettura collettiva. Poi la frantumazione, prima composta come quando si saluta per tornare a casa fino al cagnesco muso contro muso degli ultimi vent’anni.

Per questo mi incuriosisce ascoltare il dibattito sui modi e le parole della magistratura che non tiene conto del percorso che ci ha portato fino a qui, della polvere che si è appoggiata su verità che cominciano a mancare come un lutto piuttosto che un viaggio. Tutto condito con un’etica slegata dalla storia, dagli interpreti della classe dirigente che abbiamo dovuto digerire e dai protagonisti che ci siamo trascinati legati al piede da quegli anni. Non esiste un modus operandi decontestualizzato dal mondo, non sarebbe concepibile nemmeno per un filosofo utopista con fiducia illimitata negli uomini. C’è un tempo per alzare la voce, dopo anni di latitanza degli intellettuali asserviti troppo spesso al padrone di turno, un buco da colmare per tenere in piedi i pilastri della democrazia. Come dice bene Gian Carlo Caselli ci sono stagioni che impongono la parola. E ci vuole la schiena diritta per portarla in tasca, la parola.

(pubblicato per I SICILIANI GIOVANI, il numero è scaricabile dal sito)

Ripensare la sanità: prescrivere salute

Un’idea, un’ispirazione. Lo squarcio di un modello opposto alla lobby (antisociale) della sanità. Anche (e soprattutto) lombarda. Rebecca Onie si pone domande coraggiose: E se le sale d’aspetto fossero luoghi fatti per migliorare le cure sanitarie quotidiane? E se i medici potessero prescrivere cibo, casa, e riscaldamento in inverno? A TEDMED Rebecca Onie parla di Health Leads, un’organizzazione che fa proprio questo — e lo fa attraverso una base volontaria dedicata quanto una squadra sportiva universitaria.

Il mio primo anno di università mi sono iscritta ad un tirocinio nella divisione immobiliare al Greater Boston Legal Services. Mi sono presentata il primo giorno pronta a preparare caffè e fare fotocopie, invece sono stata assegnata a questo avvocato onesto e profondamente ispirato di nome Jeff Purcell, che mi ha spedita in prima linea fun dal primo giorno.

In quei 9 mesi ho avuto la fortuna di parlare con dozzine di famiglie a basso reddito di Boston che si presentavano con problemi di alloggio, ma alla base avevano sempre problemi di salute. Ho avuto un cliente che stava per essere sfrattato perché non aveva pagato l’affitto. Ovviamente non aveva pagato l’affitto perché pagava le cure per l’HIV e non poteva permettersi entrambi. Avevamo madri che si presentavano con figlie che soffrivano d’asma, che si svegliavano la mattina coperte di scarafaggi. E una delle nostre strategie in tribunale era quella di mandare me a casa di questi clienti con questi bottiglioni di vetro.Raccoglievo gli scarafaggi, li incollavo su questa lavagna che portavamo in aula per i nostri casi. E abbiamo sempre vinto perché i giudici erano sempre disgustati. Ancora più efficace, devo dire, di qualunque cosa io abbia imparato a giurisprudenza.

Ma durante questi nove mesi, è cresciuta la frustrazione per la sensazione di intervenire troppo tardi nelle vite dei nostri clienti — che nel momento in cui venivano da noi, erano già in crisi. Ala fine del mio primo anno di università, lessi un articolo sul lavoro che stava svolgendo il Dott. Barry Zuckerman titolare della cattedra di Pediatria al Boston Medical Center. La sua prima assunzione era un avvocato per rappresentare i pazienti.

Così chiamai Barry, e con la sua approvazione, nell’ottobre del 1995 entrai nella sala d’attesa della clinica pediatrica del Boston Medical Center. Non dimenticherò mai la TV che trasmetteva in continuazione cartoni animati. E lo sfinimento delle madri che avevano preso due, tre, qualche volta quattro autobus per portare i figli dal medico era palpabile.

I medici, così sembrava, non avevano mai abbastanza tempo per tutti i pazienti, facevano quello che potevano. Durante quei sei mesi, io li ho messi continuamente con le spalle al muro, nei corridoi, e ho fatto loro una domanda, ingenua ma fondamentale; “Se aveste risorse illimitate, quale sarebbe la prima cosa che dareste ai vostri pazienti?”

E ho sempre sentito la stessa storia, una storia che da allora abbiamo sentito centinaia di volte. Dicevano: “Ogni giorno arrivano pazienti in clinica — il bambino ha un’infezione all’orecchio, prescrivo antibiotici. Ma il vero problema è che non hanno cibo a casa. Il vero problema è che il bambino vive con altre 12 persone in un appartamento di due locali. Io non faccio domande su questi problemi perché non posso farci niente. Ho tredici minuti a paziente. I pazienti si accumulano nella sala d’attesa della clinica. Non ho idea di dove sia la dispensa più vicina. E non ho nessuno che mi aiuti”. In quella clinica, ancora oggi, ci sono due assistenti sociali per 24 000 pazienti pediatrici, che è molto meglio di tante altre cliniche.

Da queste chiacchierate è nato Health Leads — un modello semplice dove i medici e le infermiere possono prescrivere cibo nutriente, riscaldamento in inverno e altre risorse di base ai propri pazienti nello stesso modo in cui prescrivono medicinali. I pazienti portano le loro prescrizioni alla nostra scrivania nella sala d’attesa della clinica dove abbiamo un gruppo di studenti di legge molto in gamba che lavorano fianco a fianco con queste famiglieper metterle in contatto con lo scenario esistente delle risorse locali.

Abbiamo iniziato con un tavolino nella sala d’attesa della clinica — stile bancarella. Ma oggi abbiamo migliaia di studenti di legge che lavorano per mettere in contatto quasi 9000 pazienti e le loro famiglie con le risorse di cui hanno bisogno per essere in salute.

18 mesi fa ho ricevuto un’email che mi ha cambiato la vita. L’email era del Dott. Jack Geiger, che scriveva per congratularsi per Health Leads e per condividere, come dice lui,un po’ di contesto storico. Nel 1965 il Dott. Geiger ha fondato uno dei primi due centri sanitari comunitari del suo paese, in un’area terribilmente povera nel Delta del Mississipi.Molti dei suoi pazienti arrivavano con tali problemi di malnutrizione che cominciò a prescrivere loro cibo. Loro portavano le prescrizioni al supermercato locale, che le seguivae poi le metteva in carico al budget della farmacia della clinica. E quando all’ufficio per le opportunità economiche di Washington D.C. — che finanziava la clinica di Geiger — lo hanno scoperto, si sono infuriati. Hanno inviato dei burocrati a dire a Geiger che il compito di Gieger era usare i loro fondi per le cure mediche — a cui Geiger rispose notoriamente e logicamente: “L’ultima volta che ho controllato sui manuali, la terapia per la malnutrizione era il cibo”.

(Risate)

Quando ho ricevuto questa email dal Dott. Geiger, sapevo di dover essere fiera di fare parte di questa storia. Ma la verità è che ero distrutta. Eccoci qui, 45 anni dopo che Geiger ha prescritto cibo ai suoi pazienti, ci sono dottori che mi dicono: “Per questi problemi applichiamo la tecnica ‘non chiedere niente, non dire niente'”. 45 anni dopo Geiger, Health Leads deve reinventare la prescrizione per le risorse di base. Ho passato ore e ore a cercare di dare un senso a questo strano Giorno della Marmotta. Com’è possibile che, per decenni, abbiamo avuto uno strumento semplice per mantenere in salute i pazienti, in particolare i pazienti a basso reddito, e non l’abbiamo mai usato? Se sappiamo cosa ci vuole per avere un sistema sanitario che cura anziché un sistema che fa ammalare, perché non lo facciamo?

Queste domande, nella mia testa, non sono difficili perché le risposte sono complicate, ma sono difficili perché dobbiamo essere onesti con noi stessi. Io credo che sia fin troppo doloroso esprimere le nostre aspettative nei confronti dell’assistenza sanitaria, o anche solo ammettere che ne abbiamo. Perché se lo facessimo, verrebbero contraddette dall’attuale realtà. Ma non cambia la mia convinzione che tutti noi, nel profondo, qui in questa sala e in tutto il paese, condividiamo gli stessi desideri. Se siamo onesti con noi stessi e ascoltiamo in silenzio, nutriamo tutti un’incrollabile aspettativa nei confronti dell’assistenza sanitaria:che ci mantenga in salute.

Aspirare a che il nostro sistema sanitario ci mantenga in salute è straordinariamente efficace. E ne sono convinta perché credo che il sistema sanitario sia come qualunque altro sistema. È una serie di scelte che la gente fa. E se decidessimo di fare scelte diverse? E se decidessimo di prendere tutte le parti dell’assistenza sanitaria che ci hanno allontanato da noi stessi e ci fermassimo a dire: “No. Queste cose ci appartengono.Verranno utilizzate per i nostri scopi. Verranno utilizzate per realizzare le nostre aspirazioni”? E se tutto quello di cui avessimo bisogno per capire quello a cui puntiamo per il sistema sanitario fosse proprio davanti a noi in attesa di essere rivendicato?

Ecco dove è iniziato Health Leads. Abbiamo cominciato con il blocchetto delle ricette — un comune pezzo di carta — e ci siamo chiesti, non ciò di cui hanno bisogno i pazienti per essere in salute — antibiotici, inalatori, farmaci — ma prima di tutto, di cosa hanno bisogno i pazienti per rimanere in salute, per non ammalarsi? E abbiamo scelto di usare le prescrizioni per quel motivo. A qualche chilometro da qui al Children National Medical Center, quando i pazienti arrivano nello studio medico, vengono fatte loro alcune domande.Viene loro chiesto: “Ti manca cibo alla fine del mese?” Hai una casa sicura?” E quando il medico inizia la visita, conosce altezza, peso, se c’è cibo a casa, se la famiglia ha un riparo. E solo quello porta a migliori scelte cliniche, ma il medico può anche prescrivere quelle risorse al paziente, utilizzando Health Leads come specialista di riferimento.

Il problema è che una volta provato quello che significa rendersi conto di quello che si vuole dal sistema sanitario, si vuole di più. Allora abbiamo pensato: se si possono spingere i medici a prescrivere queste risorse di base ai loro pazienti, possiamo portare l’intero sistema sanitario a cambiare i propri assunti? Abbiamo provato.

Ora all’Harlem Hospital Center quando i pazienti arrivano con un Indice di Massa Corporea elevato, le cartelle cliniche elettroniche generano automaticamente una prescrizione per Health Leads. E i nostri volontari possono poi lavorare con loro per far accedere i pazienti a cibo sano e programmi di esercizi nelle loro comunità. Abbiamo creato un assunto: se sei paziente in quell’ospedale con un Indice di Massa Corporea elevato i quattro muri dello studio medico probabilmente non avranno da offrire tutto quello che ti serve per essere in salute. Avete bisogno di qualcosa di più.

Quindi da una parte, è soltanto una nuova codifica di base della cartella clinica elettronica.Dall’altro lato, è una trasformazione radicale della cartella clinica elettronica da depositaria statica di informazioni diagnostiche a strumento promotore della salute. Nel settore privato,quando tirate fuori quel tipo di valore addizionale da un investimento a costo fisso, si chiama azienda da un miliardo di dollari. Ma nel mio mondo, si chiama riduzione dell’obesità e del diabete. Si chiama assistenza sanitaria — un sistema dove i medici possono prescrivere soluzioni per migliorare la salute, non solo gestire malattie.

La stessa cosa vale per la sala d’attesa della clinica. Ogni giorno in questo paese 3 milioni di pazienti passano dalle sale d’attesa di 150 000 cliniche del paese. E cosa fanno quando sono lì? Stanno seduti, guardano il pesce rosso nell’acquario, leggono vecchie copie di riviste da casalinghe. Ma soprattutto siamo tutti lì seduti, ad aspettare. Come siamo arrivatia dedicare centinaia di ettari e migliaia di ore all’attesa? E se avessimo una sala d’attesadove non si sta lì seduti solo quando si è malati, ma dove si va per essere più in forma. Se gli aeroporti possono essere centri commerciali e McDonald’s può diventare un parco giochi, certamente possiamo reinventare le sale d’attesa delle cliniche.

Ed è quello che Health Leads ha cercato di fare: recuperare gli immobili e il tempo e usarli come accesso per connettere i pazienti alle risorse di cui hanno bisogno per essere in salute. È un inverno rigido nel Nord Est, vostro figlio ha l’asma, il riscaldamento si è spento, e ovviamente siete nella sala d’attesa di un pronto soccorso, perché l’aria fredda ha scatenato l’asma di vostro figlio. Ma se invece di aspettare per ore con ansia, la sala d’attesa diventasse il posto dove Health Leads vi riaccende il riscaldamento?

E ovviamente questo richiede una più ampia forza lavoro. Ma se siamo creativi, abbiamo già anche quella. Sappiamo che i nostri dottori e le nostre infermiere persino gli assistenti sociali non sono sufficienti, e che i tempi limitati dell’assistenza sanitaria sono troppo restrittivi. Per la salute ci vuole più tempo. Richiede una sfilza di persone al di fuori dell’ambiente medico di assistenti sociali, responsabili dei casi e molti altri.

E se una piccola parte di questa futura forza lavoro sanitaria fossero gli 11 milioni di studenti universitari di questo paese? Sollevati da responsabilità cliniche, non disposti ad accettare un no come risposta da quelle burocrazie che hanno tendenza a schiacciare i pazienti, e con una impareggiabile capacità di recuperare le informazioni perfezionata da anni di ricerca su Google.

Nel caso pensaste improbabile che un volontario universitario possa prendersi questo tipo di impegno, vi dirò solo due parole: Follia di Marzo. Il giocatore di basket medio della I Divisione della NCAA dedica allo sport 39 ore a settimana. Possiamo pensare che sia un bene o un male, in ogni caso è reale. E Health Leads si basa sul presupposto che per troppo tempo abbiamo chiesto troppo poco ai nostri studenti universitari quando si tratta dell’impatto reale su comunità vulnerabili. Gli sport universitari ci dicono “Passeremo dozzine di ore su un qualche campo al campus in assurdi orari mattutini e misureremo i vostri risultati, e i risultati della vostra squadra, e se non siete all’altezza o non vi fate vedere, vi buttiamo fuori dalla squadra. Ma faremo grossi investimenti per la vostra formazione e il vostro sviluppo, e vi metteremo a disposizione compagni straordinari.” E la gente fa la fila fuori dalla porta solo per avere la possibilità di farne parte.

La nostra sensazione è che se va bene per la squadra di rugby, va bene per la salute e per la povertà. Health Leads recluta in maniera competitiva, offre un’intensa formazione,insegna in maniera professionale, richiede molto tempo, costruisce una squadra coesa e misura i risultati — una specie di Teach for America dell’assistenza sanitaria.

Le prime 10 città americane con il più gran numero di pazienti sotto assistenza sanitaria pubblica hanno ciascuno almeno 20 000 studenti universitari. La sola New York ha mezzo milione di studenti universitari. È non è solo una forza lavoro a breve termine per mettere i pazienti in contatto con le risorse di base, è lo sviluppo della prossima generazione del sistema sanitario che ha passato due, tre, quattro anni nella sale d’attesa delle cliniche a parlare con i pazienti dei loro bisogni sanitari di base. Al termine del loro operato hanno ottenuto la convinzione, la capacità e l’efficacia nel realizzare le nostre aspettative di base nei confronti dell’assistenza sanitaria. E il fatto è che ce ne sono in giro già a migliaia.

Mia Lozada è responsabile di medicina interna all’UCSF Medical Center, ma per tre anni, da studentessa, è stata volontaria all’Health Leads nella sala d’aspetto del Boston Medical Center. Mia dice: “Quando i miei compagni di classe scrivono una ricetta, pensano che sia finita lì. Quando io scrivo una ricetta, penso: la famiglia è in grado di leggerla? Ha i mezzi per recarsi in farmacia? Ha cibo per assumere quello che ho prescritto? Ha un’assicurazione per coprire la prescrizione? Queste sono le domande che ho imparato a farmi a Health Leads, non alla facoltà di medicina.”

Nessuna di queste soluzioni — il blocchetto delle prescrizioni, la cartella clinica elettronica,la sala d’aspetto, la schiera di studenti universitari — sono perfetti. Ma non dobbiamo fare altro che prenderli — esempi semplici della quantità di risorse poco utilizzate dell’assistenza sanitaria che, se recuperate e messe in campo, possono realizzare le nostre aspirazioni di base dell’assistenza sanitaria.

Ero al Greater Boston Legal Services da nove mesi quando questa idea di Health Leads ha iniziato a infiltrarsi nella mia mente. E sapevo di dover dire a Jeff Purcell, il mio avvocato,che dovevo andare via, ed ero così nervosa, perché pensavo che l’avrei delusonell’abbandonare i clienti per un’idea folle. Mi sono seduta accanto a lui e gli ho detto: “Jeff, ho in mente che potremmo mobilitare gli studenti universitari per affrontare i bisogni sanitari di base dei pazienti.” E sarò onesta, tutto quello che volevo era che non si arrabbiasse con me. Ma disse questo: “Rebecca, quando hai un’idea, hai l’obbligo di realizzarla. Devi portare avanti quell’idea”. E devo dire, ho reagito con “Wow. Questa è una pressione forte”. Volevo solo una benedizione, non volevo un qualche tipo di mandato. Ma la verità è che da allora ho passato praticamente ogni minuto ad inseguire quell’idea.

Credo che abbiamo tutti un’idea per l’assistenza sanitaria di questo paese. Credo che alla fine la nostra valutazione sull’assistenza sanitaria, non sarà per le malattie curate, ma per le malattie prevenute. Non sarà per l’eccellenza delle nostre tecnologie o per gli specialisti ricercati, ma da quanto raramente abbiamo bisogno di loro. E più di tutto, credo che il nostro giudizio sull’assistenza sanitaria, non dipenderà da quello che era il sistema, ma da quello che scegliamo che sia.

Grazie.

(Applausi)

Grazie.

(Applausi)

Disabilità: uniti contro i tagli

Non si rendono conto di quello che stanno facendo. Non ci rendiamo conto di quanto le fragilità di questa regione (e questo Paese) stiano pagando prezzi inumani per la politica delle diverse priorità. Ecco l’appello.

Uniti contro i tagli!
LEDHA/FISH Lombardia e F.A.N.D. presentano le loro richieste al Governo, alla Regione Lombardia, alle Province ed ai Comuni. Un documento per dire No ai tagli e Sì alla Vita indipendente e all’inclusione nella società, per la difesa dei livelli essenziali di assistenza acquisiti, per promuovere la più ampia adesione e partecipazione alla mobilitazione del 13 giugno.

Per informazioni:
Giovanni Merlo – LEDHA
tel. 02/6570425 – 347/7308212
comunicazione@ledha.it

Nel 2012 i Comuni della Lombardia hanno 100 milioni di Euro in meno da destinare alle politiche sociali. Dal 2008 al 2011, il Governo nazionale ha azzerato il Fondo per laNon Autosufficienza e più che dimezzato il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali.
Quest’anno la Regione Lombardia ha stanziato per le politiche sociali 40 milioni di
 Euro al posto dei 70 del 2011. Molti Comuni stanno iniziando a tagliare i servizi fino ad ora sostenuti da questi fondi: i primi interventi sacrificati sono quelli che riguardano il sostegno alla vita indipendente delle persone con disabilità, previsti dalla Legge 162/98 e in generale quelli di assistenza domiciliare. Si tratta di attività che permettevano a migliaia di persone di condurre, pur tra mille difficoltà, una vita dignitosa e con un buon livello di inclusione sociale e, in alcuni casi, lavorativa. Anche i servizi diurni e residenziali sono seriamente a rischio di esistenza, con la previsione di incremento delle rette a carico delle famiglie e dall’altro con blocchi delle liste di attesa per i servizi rientranti nei livelli essenziali di assistenza. I diritti fondamentali delle persone con disabilità sono messi oggi in discussione. Le loro condizioni materiali di vita stanno già peggiorando e molte famiglie si stanno chiedendo come faranno ad andare avanti. LEDHA invita le persone con disabilità, i loro familiari, le associazioni, le organizzazioni di terzo settore e dei lavoratori ad aderire e partecipare alla mobilitazione

Piazza Duca d’Aosta Mercoledì 13 giugno alle ore 11 per dire:
NO AI TAGLI E SI ALLA VITA INDIPENDENTE e ALL’INCLUSIONE NELLA SOCIETÀ

per chiedere:

Al Governo di ripristinare i fondi sociali a partire da quello per la non autosufficienza perché non si tratta di costi ma di investimenti nel futuro e nella crescita della società italiana.
Al Governo, nei suoi progetti di riforma sulla partecipazione alla spesa dei servizi (Isee) di non aumentare le richieste nei confronti delle persone con disabilità.
Al Governo di definire, finalmente, i Livelli essenziali assistenziali (LEA) e quelli per l’assistenza sociale (LIVEAS).

Alla Regione Lombardia di compensare con proprie risorse i tagli ai fondi sociali e permettere ai Comuni di svolgere le proprie funzioni, ed evitare ripercussioni sul sistema dei servizi alla persona, già esposti a crescenti difficoltà.
Alla Regione Lombardia di vincolare questa aggiunta di risorse per finanziare i progetti di Vita Indipendente e per attivare la Presa in carico unitaria per i cittadini che afferiscono ai servizi socio assistenziali e socio sanitari.
Alla Regione Lombardia di incrementare il finanziamento dei servizi sociosanitari sgravando di queste spese i Comuni e le famiglie, superando la non più sostenibile divisione tra i servizi socio sanitari e quelli socio assistenziali.

Ai Comuni di garantire i servizi e le prestazioni essenziali per la vita delle persone con disabilità e di non derogare alla propria responsabilità di coordinatori delle politiche sociali nei confronti dei propri concittadini.

LEDHA – Lega per i diritti delle persone con disabilità

FISH – Federazione Italiana Superamento Handicap

F.A.N.D. – Federazione tra le Associazioni Nazionali delle persone con Disabilità

Cavalli (SEL) LAVORATORI E CONSIGLIO: PROVE DI DIALOGO. ORA FORMIGONI CI METTA LA FACCIA

Dichiarazione di Giulio Cavalli e Chiara Cremonesi, consiglieri regionali Sinistra Ecologia Libertà
“Esprimiamo soddisfazione per la scelta unanime di dedicare la seduta del Consiglio di martedì prossimo al lavoro e agli enormi problemi della situazione industriale e occupazionale della Lombardia.
La Giunta sarà chiamata a riferire in Aula sullo stato dei confronti aperti nei tavoli istituzionali, rispondendo pubblicamente di quanto fatto finora.   
Quello che ci auguriamo, peraltro, è che Formigoni non mandi avanti Gibelli o i suoi assessori. Ma che finalmente abbia il coraggio di metterci la faccia.Dichiarazione di Giulio Cavalli e Chiara Cremonesi, consiglieri regionali Sinistra Ecologia Libertà
“Esprimiamo soddisfazione per la scelta unanime di dedicare la seduta del Consiglio di martedì prossimo al lavoro e agli enormi problemi della situazione industriale e occupazionale della Lombardia.
La Giunta sarà chiamata a riferire in Aula sullo stato dei confronti aperti nei tavoli istituzionali, rispondendo pubblicamente di quanto fatto finora.   
Quello che ci auguriamo, peraltro, è che Formigoni non mandi avanti Gibelli o i suoi assessori. Ma che finalmente abbia il coraggio di metterci la faccia.A fine dicembre scadranno molte procedure di cassa integrazione e i contributi di disoccupazione. Ed è evidente che una situazione così drammatica può alimentare una grave tensione sociale. Soprattutto se chi di dovere non si assume le proprie responsabilità.
La mozione unitaria del Consiglio è invece la dimostrazione che, quando il Palazzo non si arrocca in se stesso presidiato dalle forze dell’ordine, ma apre la porta ai lavoratori, il dialogo diventa possibile. Perché l’indignazione rischia di sfociare nella violenza se a qualcuno fa comodo chiuderla in un vicolo cieco”.

Caro Assessore Boscagli, è inciampato in un orfano

Caro assessore Boscagli,

questa mattina ho avuto modo di leggere sull’Avvenire e su alcune agenzie la sua reazione ai miei dubbi su questo fantomatico bonus “in aiuto di quelle donne che scelgono l’aborto per motivi economici, ma che in altri condizioni non lo farebbero mai”. Riferendosi a me dice “provi a informarsi alla clinica Mangiagalli e a tutti i Centri di aiuto alla vita e scoprirà che con metodo analogo al nostro sono stati salvati migliaia di bambini, poi accuditi ed educati attraverso un’opera di assistenza alle mamme e alle famiglie. Questi sono fatti, mentre lui fa demagogia”. Ora vede, caro Boscagli, glielo riferisco con un certo fastidio, purtroppo per me (e per il suo tempismo) non ho proprio bisogno di informarmi sui “migliaia di bambini salvati” perché sono uno di quelli. Sono stato adottato nella città di Milano nel lontano 1979 da madre misconosciuta (per una discutibile ma poco discussa legge sull’anonimato dei genitori naturali) e “salvato” (riprendendo il suo verbo apologetico) nel fu brefotrofio di Viale Piceno. Non so se mia madre mi abbia abbandonato “solamente per motivi economici” o la mia nascita piuttosto che un aborto siano stati dettati da valutazioni di bilancio; così come non so nemmeno quale stato di solitudine, disperazione, indifferenza o isolamento sociale possa spingere una madre a rinunciare (qualunque sia il modo) al proprio figlio. Proprio non lo so. Nemmeno io che ne sono figlio. E tanto meno lei, caro assessore Boscagli, che si riferisce così elegantemente asettico ad una tribolazione di madre che da tutto questo ne esce abbastanza calpestata. Non mi spiego nemmeno perché in questo Paese, che oggi festeggia il proprio compleanno, i diritti della famiglia siano rivenduti come bonus o regalìe delle pubbliche amministrazioni. Certamente la sensibilità è difficile da coniugare con le cadenze bollate della politica ma dopo questa sua uscita (forse un po’ per fretta e certamente per un po’ di sfortuna) le chiederei di interrompere questo nostro alterco di poco conto e di ascoltare le ragazze madri, i consultori, le associazioni di volontariato che troppo spesso si trovano a coprire le falle di uno Stato un po’ disattento, l’incidenza economica di un figlio (per ben più di 18 mesi) che trasforma il diritto costituzionale alla famiglia in un mutuo a tasso fisso, o la disattenzione del mondo del lavoro verso le impavide madri che decidono di avere figli. Provi a spiegare e spiegarsi quale madre così snaturata potrebbe cambiare idea per diciotto mesi di un bonifico di 250 euro. Insomma, caro assessore, piuttosto che additarmi come quello “che risponde con gli occhiali della demagogia”, risparmi il tempo, le brutte figure e i comunicati stampa per dedicarsi al suo delicato e importantissimo assessorato in una Repubblica che “riconosce i diritti della famiglia” (art. 29 dell Costituzione) e “agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù” (art. 31).

Qualcuno giustamente dirà che questo bonus è meglio di niente, caro assessore, ma io vorrei una politica che puntasse il dito sugli interventi strutturali per le soluzioni del “niente”; con uno Stato Sociale solidale con tutti senza ergersi in giudizi che rischiano di finire in un tonfo. Vorrei una politica che non si arroga il diritto di sintetizzare le disperazioni in pochi commi, ma che lavori senza ergersi a giudice di moti così personali e sotterranei.

E non ho nessun dubbio, caro assessore, che lei onorerà questo ruolo che i cittadini lombardi le hanno assegnato. Senza finire in qualche cul de sac.

Senza nessun rossore.

Giulio Cavalli

Il rispetto finito in carcere: diario di un giorno a San Vittore

Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni. (Fëdor Michajlovič Dostoevskij)

Martedì 11 maggio insieme ai miei compagni del Gruppo Consiliare Gabriele Sola, Francesco Patitucci e Stefano Zamponi sono stato in “visita” al carcere di San Vittore di Milano. Me lo ero ripromesso in modo ancora più forte dopo il recente suicidio di un detenuto a Como. Rientra nei diritti (o meglio doveri) di un consigliere regionale potere (o meglio dovere) entrare in qualsiasi carcere della regione per compiere un’ispezione sulle condizioni ambientali di lavoratori e ospiti. Un doveroso privilegio da praticare con regolarità e senza spese a piè di lista.

Entrare in un carcere con in tasca il diritto della visita breve è un distacco che non basta per non lasciarci dentro un pezzo di testa che ti rimbalza per i giorni successivi. A San Vittore ci sono circa 1400 detenuti: il doppio di quelli che ci dovrebbero stare, ma si sa gli uomini come tutti i branchi sono capaci di stringersi se è l’unico modo di starci. Celle tre metri per tre: un fazzoletto di pavimento che all’ikea si arreda con un mazzetto di 10 euro. Dentro i tre metri per tre qui a San Vittore ci vivono in sei. Con i letti aggrappati che arrivano ad un soffio dal soffitto. Ci accolgono con sommersa gratitudine e la buona educazione del nodo in gola. Gli agenti della Polizia Penitenziaria hanno le chiavi che ti aspetti per aprire castelli e parlano dei colleghi e dei detenuti. Ogni tanto gli scappa un “noi”. Come un recinto di guardie e ladri che si mettono insieme almeno per salvarsi. Se i detenuti sono doppi di quello che dovrebbe, le guardie circa la metà. A San Vittore i numeri non tornano mai: eppure la vivibilità è fatta di numeri, spazi e fondi. Qui lo sanno bene che il bluff non funziona.

In una cella con un ventilatore tenuto insieme dal nastro da pacchi, un ospite con il piglio esperto del residente si stacca dal fornello a tre passi dalla turca e dice indicando l’agente “se fate stare bene loro, loro possono fare stare bene noi”. L’emergenza sa costruire solo estremi: alleanze impensabili o odi profondi. Mi arrivano in testa Stefano Cucchi e a tutti gli altri che non si sono nemmeno meritati di essere stati nominati. Penso all’agente di Polizia Penitenziaria aggredito pochi giorni fa nel carcere di Opera. Questa è una guerra senza vincitori né vinti dove perde solo la responsabilità.

Nei prossimi giorni insieme ad alcune associazioni stilerò un programma per visitare tutte le carceri della regione. Stabilendo insieme le priorità per una relazione più completa possibile.

Intanto stanno finendo i nuovi servizi igienici: il lavoro ce lo mettono i detenuti lavoratori, i materiali, le porte, i sanitari e gli arredi l’Italia dei Valori. E’ poco ma è qualcosa. Almeno per provare a tenere anche il rispetto sotto osservazione.

Ronde lombarde per la pubblica responsabilità

  • Milano è una carcassa egocentrica che sfila da metropoli. Mentre s’incipria il quadrilatero delle vetrine e della piazza ha lasciato da anni i quartieri periferici a cuocere a fuoco lento. Il problema delle occupazioni abusive degli alloggi popolari (dietro cui molto spesso esiste un vero e proprio racket organizzato) è una consuetudine storica e quasi sclerotizzata. Una città che marcisce tanto più si allontana dalla piazza è il simbolo di un’integrazione realizzata dal reddito piuttosto che dalle opportunità. Associazioni come SOS RACKET E USURA di Frediano Manzi raccontano di centinaia di segnalazione (firmate ) che arrivano dalle periferie e dipingono scenari di criminalità e solitudine dove la prepotenza, l’intimidazione e la ghettizzazione sono le vere e uniche armi del “controllo”. Esistono sacche di inciviltà dove il sistema “stato” è vinto rispetto all’alternativa criminale più o meno organizzata che garantisce velocità, efficienza e organizzazione a basso costo convertendo i diritti in privilegi da restituire un poco al mese. Vicende come quella delle famiglie Pesco, Priolo e Cardinale in via Padre Luigi Monti 23 disegnano periferie che non devono essere compromessi accettabili.

Da domani i volontari dell’associazione SOS RACKET e USURA distribuiranno dei questionari nelle zone più difficili di Milano, in una tourné curiosa e attiva che vuole provare ad infilare il dito tra le croste dei quartieri, da Giambellino a viale Sarca, da via Ciriè a piazzetta Capuana: un tentativo di “misurare” l’influenza della città. Un caravanserraglio di portatori sani di domande in una Lombardia che ha sempre temuto le risposte. In una Milano che, come le donne che non accettano di invecchiare, ha risolto coprendo tutti gli specchi.

L’iniziativa di Frediano e i suoi volontari è una discesa in campo di cittadinanza attiva, comunque la si possa pensare. Domani sarò con lui in piazzetta Capuna per distribuire i questionari sullo stato dell’arte dell’usura e del racket nella zona, partendo dal bar Quinto alle portinerie della zona, ma la sua battaglia è una battaglia di tutti. Ancora di più per i professionisti delle “ronde” e della sicurezza in gran cassa.

Quei quartieri non sono vigne pre elettorali ma vivono, cucinano, stendono, sorridono, chiudono e scendono con i ritmi della quotidianità. Senza nessun divisionismo partitico, senza “federalismi” e  rozze recriminazioni territoriali, sarebbe il caso di scendere tutti a rinfoltire il battaglione delle domande.

Ronde lombarde per la pubblica responsabilità come antidoto alla malattia della “sicurezza” permeabile e indifferente padana.

Questionario sull’usura (formato DOC)
Questionario sulla sicurezza (formato DOC)
Modulo di adesione (formato DOC)
Il programma (formato DOC)

10 priorità per l’infanzia e l’adolescenza in Lombardia

Oggi ho partecipato alla tavola rotonda sull’adolescenza e l’infanzia in Lombardia promossa da PIDIDA Coordinamento per I Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

Sulla questione infanzia di solito si sfoderano due alibi: la mancanza di risorse e il ruolo già attivo del volontariato.

La farsa della “mancanza delle risorse” è un delitto d’impoverimento politico: fare politica è scelta netta di investimento di risorse. Decidere come dividere le “fette” del proprio bilancio pubblico è la doverosa manifestazione delle priorità dell’agenda politica.

Sul ruolo del volontariato (inteso, in malafede, come sostituto procuratore dei doveri della pubblica amministrazione) il giochetto è quello di solidarizzare moltissimo e sostenere pochissimo. Al volontariato, oggi, mancano sempre troppo spesso i mezzi, le risorse e i fondi.

Per questo firmare le proposte di PIDIDA oggi è un preludio di azione concreta, continuativa e coerente.

Il Coordinamento del PIDIDA Lombardia propone alla Regione di:

1. La partecipazione dei bambini, delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze

inserire, ai diversi livelli di governo, il principio dell’ascolto dei bambini, delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze, sancito dall’art. 12 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, di prevedere occasioni permanenti di ascolto e di tenerne conto nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche regionali;

2. Un quadro legislativo amico dei bambini e degli adolescenti

rendere effettiva l’attuazione da parte della Regione Lombardia di quanto previsto dalle normative in vigore per un reale diritto di tutti i bambini e gli adolescenti a vivere e crescere in una famiglia in un’ottica di assunzione di precise responsabilità istituzionali e di trasparenza e coinvolgimento partecipativo delle diverse realtà del terzo settore.

3. Una strategia per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

garantire il maggior coordinamento possibile tra i livelli di assistenza sanitaria e sociale. Nello specifico ambito dei bambini con disabilità si sottolinea l’importanza di garantire il diritto ad una diagnosi certa e precoce, e la possibilità di una reale attuazione di qualsivoglia tipologia di prescrizione conseguente alla diagnosi. Nell’ambito invece dello sfruttamento del lavoro minorile si propone di procedere a una raccolta dati, soprattutto nelle aree con forte presenza di persone provenienti da Paesi stranieri.

4. Meccanismi di coordinamento per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

creare un coordinamento tra le istituzioni deputate alla programmazione delle politiche e degli interventi dedicati ai diritti dei bambini e degli adolescenti.

5. Una Valutazione e un’analisi dell’impatto sull’infanzia e sull’adolescenza

creare un meccanismo di valutazione periodico e costante dei programmi realizzati a favore dei bambini e degli adolescenti, nonché monitorare l’impatto sull’infanzia delle leggi regionali approvate, dei progetti realizzati, delle politiche sociali e delle prassi, con la partecipazione e il coinvolgimento dei bambini e dei ragazzi.

6. Un bilancio regionale dedicato all’infanzia e all’adolescenza

indicare in termini percentuali a quanto corrisponde l’intero ammontare delle risorse destinate a favore dell’infanzia e dell’adolescenza (sia in Italia sia nell’ambito della cooperazione decentrata) rispetto all’intero bilancio regionale, nonché realizzare e diffondere un sistema di rendicontazione delle risorse allocate a favore dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Lombardia (sia in Italia sia nell’ambito della cooperazione decentrata).

7. Un regolare Rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza

Si propone di rafforzare il ruolo dell’osservatorio al fine di ottenere un reale ed esauriente rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Lombardia con particolare riguardo ai bambini e agli adolescenti che vivono al di fuori della famiglia di origine, favorendo la partecipazione, il monitoraggio e l’accesso alle informazioni da parte degli organismi (enti) del terzo settore.

8. La diffusione della conoscenza dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

fare una mappatura corsi di formazione per adulti e per i ragazzi sui principi sanciti dalla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza prevedendo una maggiore organizzazione e diffusione degli interventi; di diffondere la conoscenza in particolare per gli operatori, che a diverso titolo, lavorano a contatto per e con i bambini e con gli adolescenti e di dedicare particolare attenzione alle “categorie vulnerabili” di bambini e adolescenti.

9. Il Garante regionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

Procedere alla nomina del Garante regionale sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza promuovendo l’emanazione del Regolamento previsto dalla l.r. 6/2009

10. Il raggiungimento degli obiettivi specifici del documento “Un mondo a misura di bambino”, approvato dai Governi partecipanti alla Sessione dell’Assemblea Generale delle NU del 2002 dedicata ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: rafforzare le iniziative destinate alla promozione del diritto alla salute tra bambini e i ragazzi e le attività di prevenzione su questo tema e di sviluppare programmi per la prevenzione e la protezione dei bambini e degli adolescenti da ogni forma di abuso, sfruttamento e violenza e programmi per combattere l’HIV/AIDS.