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L’ultimo stadio del populismo: il risultato non ci piace? Ci inventiamo brogli e cancelliamo la democrazia

Il bamboccione, il vero bamboccione, è quel ragazzo attempato che guida una superpotenza mondiale e ieri è riuscito nella mirabile impresa di svolgere la peggiore conferenza stampa di questi ultimi anni in una cosiddetta democrazia. Il ragionamento di Trump, come tutti i ragionamenti semplici di chi è incapace di affrontare la complessità, è basico e feroce, come quello dei bamboccioni, e si srotola tutto nel ritenere il potere un proprietà privata che contiene tutto: presidenza, favor di popolo e persino la democrazia e tutti i suoi meccanismi.

I nuovi populisti, che ci auguriamo vengano spazzati via presto se basta un Biden per spodestarli, sono dalla parte del popolo solo se il popolo è dalla loro parte poiché si riempiono la parola della parola “patria”, ma l’unica patria che riconoscono sono loro stessi, perfino i propri elettori sono semplicemente un ingrediente fastidioso e detestabile che serve solo per raggiungere lo scopo. E così Trump che ci parla di “brogli alle elezioni” senza uno straccio di prova e che legge come voti utili solo i voti che riguardano se stesso sono l’ultimo stadio del populismo che ci ha infettato tutti, da parecchi anni, e che passa dalle più disparate e screanzate teorie che permettono di restare a galla (o di illudersi di restare a galla come nel caso di Trump) senza nemmeno assumersi l’onere della prova.

Trump sta disfacendo la credibilità degli Usa nel mondo senza nessun senso di responsabilità nei confronti dell’onore del suo Paese, quell’onore di cui si è riempito la bocca per tutti questi anni fingendo di parlare di Usa quando in fondo era solo una proiezione della propria identità. E siccome sono personaggi fragili, fragilissimi, riescono a misurarsi solo con la ricchezza e con il potere che hanno conquistato senza mai riuscire a fare i conti con un’eventuale sconfitta.

Un presidente Usa che viene perfino censurato dagli algoritmi social per le sue strampalate teorie senza né capo né coda è un bamboccione che ha già perso, è quello che grida dall’ultimo banco per farsi notare, è quello che dice “la palla è mia ora non si gioca più”, solo che lo fa nelle vesti di presidente di una superpotenza mondiale. Trump ha a disposizione tutti i mezzi per verificare e per raccontarci la regolarità delle elezioni: lo faccia, indaghi, porti i numeri, presenti i fatti. Ma no, non accadrà perché questi sono solo la loro narrazione, in sostanza non esistono e quando la narrazione si incaglia sanno solo svoltolare. Come bamboccioni.

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L’articolo proviene da TPI.it qui

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L‘analisi di Luigi Castaldi in un momento in cui dovrebbe andare di moda essere ignoranti e dimentichi della storia politica del nostro Paese:

Io penso che la regia dell’operazione abbia la chiara impronta di quella «destra comunista», già tutta in embrione nella «svolta di Salerno», che portò Togliatti all’alleanza con Badoglio e Casa Savoia. Il fatto che quella «svolta» rispondesse unicamente agli interessi di Stalin, e che Togliatti si sia limitato ad obbedire agli ordini partiti dal Cremlino, passa in secondo piano per Mario Pirani (la Repubblica, 14.5.2013), che pure risale a quel periodo per spiegarsi la logica che ha dato vita al governo Letta. Ora, è vero, la storia non concede controprove, ma sappiamo che Togliatti fu sempre supino ai voleri di Stalin: è azzardato immaginare che, se a Mosca fosse tornato comodo che il Pci imboccasse la via insurrezionale, Togliatti non avrebbe mai teorizzato alcuna «via italiana al socialismo», Secchia non avrebbe mai lasciato il posto ad Amendola al quarto piano del Bottegone, Napolitano e gli miglioristi sarebbero stati strozzati in culla, ammesso e non concesso che avessero potuto emettere un vagito? Non ha senso discutere del passato ricorrendo ai «se», d’accordo, ma una cosa è certa: la «svolta di Salerno» fu la madre di tutti i successivi tentativi, riusciti o falliti, che il Pci mise in atto per arrivare nella mitica «stanza dei bottoni», e fu sempre evocata, in primo luogo dai suoi dirigenti, come una scelta coraggiosa di maturità politica contro ogni velleitarismo e ogni avventurismo. Non mancò mai, d’altronde, chi nella linea decisa da Togliatti nel 1944 vide la prima grande prova del suo cinismo, il primo dei tanti tradimenti che la dirigenza del Pci avrebbe consumato ai danni dei suoi militanti e dei suoi elettori. Tutto sommato, è un errore, perché già nel 1936, quando il regime fascista sembrava indistruttibile, Togliatti gli offriva collaborazione dalle pagine di Stato Operaio: «Noi tendiamo la mano ai fascisti, nostri fratelli… Siamo disposti a combattere assieme a voi e a tutto il popolo italiano per la realizzazione del programma fascista del 1919».
Anche nel comunista più ripulito persiste incoercibile la tentazione al compromesso con quello che è indicato come peggior nemico del popolo fino a quando c’è speranza di sconfiggerlo e annientarlo. Naturalmente parlo del comunista che abbia responsabilità dirigenziali e che il crollo del muro di Berlino ha impreziosito con un «post»: parlo del post comunista che sta al Quirinale o in Largo del Nazareno. Fino a quando Berlusconi è stato con un piede nella fossa, la sua demonizzazione era uno strumento eccezionale per galvanizzare militanti ed elettori, per fare incetta di voti di quanti volevano sbarazzarsi della mostruosa atipia. Poi, quando sfuma il sogno di poterlo impiccare a testa in giù, ecco l’impellente bisogno di un governo di «coesione nazionale», di una «große Koalition», lamentando «il fatto – e qui cito Napolitano – che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse», «segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche». Di colpo, l’elettore che votava Pd per mero antiberlusconismo, convinto che quello fosse il voto utile, diventa un bruto, o come minino un incolto che nulla sa della politica come arte del possibile.