Vai al contenuto

solidarietà

Divorare ciliegie mentre si parla di bambini morti: non c’è da ridere, c’è da avere paura

 

 

Alla fine è riuscito a spostare il fuoco della discussione sulle ciliegie. Si fatica a credere come la comunicazione di Matteo Salvini segua ostinatamente sempre i soliti trucchi, gli stessi sentieri, sempre puntando a banalizzare il cuore di una critica e fingendo di non cogliere la temperatura delle osservazioni che gli vengono poste. Il problema non è che Salvini mangi ciligie, figurarsi. Contento lui, contento lo strapagato Morisi che ha trasformato un ex ministro in un food blogger, buon per loro. Il problema è che divorare ciliegie mentre si parla di un batterio letale e della morte di bambini indica ciò che più di tutto a Salvini continuiamo a imputare: una totale mancanza di empatia.

E un politico incapace di praticare empatia è una disgrazia che non si augura a nessuno essendo la politica l’ascolto e la declinazione di governo dei bisogni che troppo spesso non vengono ascoltati di invisibili che spesso non vengono nemmeno notati e di disperazioni che vengono sottaciute. Non c’è nulla da ridere se un leader di partito esibisce, anche con una certa fierezza, l’incapacità di sentire ciò che gli accade intorno. C’è da averne paura perché è quello stesso politico a cui si vorrebbe affidare la gestione delle difficoltà delle persone. Forse basterebbe chiedere ai genitori di quei bambini morti cosa ne pensano, basterebbe buttarla, come Salvini fa spessissimo, sul piano del buonsenso che decide cosa sia opportuno e cosa non lo sia.

La risposta poi è la perfetta fotografia della malevola comunicazione. Salvini pensa che una certa sinistra (perché è sinistra tutto ciò che si permette di avanzare delle osservazioni, con la solita bambinesca divisione i noi e loro come in una partita di pallone) ce l’abbia con le ciliegie. Avrebbe potuto scusarsi, semplicemente, magari raccontandoci anche di ciò che Zaia stava provando a dire, poteva cogliere l’occasione per esprimere solidarietà a famiglie che hanno perso i figli e invece si è esibito ancora una volta in uno spettacolo tetro e goffo che riesce a essere quasi più insultante dell’abbuffarsi precedente. E chissà che non si riesca a parlare una volta per tutte di questi personaggi politici fieramente insensibili che giocano a agitare gli umori sporcando i temi che incrociano durante la loro propaganda.

Leggi anche: Mentre Zaia parla di neonati morti, Salvini “si ingozza” di ciliegie | VIDEO 

L’articolo proviene da TPI.it qui

Abolire i Decreti Sicurezza, piuttosto che inginocchiarsi?

La vicenda di come la politica italiana stia declinando qui da noi ciò che accade negli Usa è altamente indicativa di una messa in scena che sembra avere preso il sopravvento sulle responsabilità di governo. Alcuni membri del Parlamento, di quelli che al governo ci sono, hanno deciso di inginocchiarsi come segno di solidarietà per la morte di George Floyd e per i diritti di tutti gli oppressi di qualsiasi etnia. Il gesto ha un’importante valenza simbolica, soprattutto alla luce della narrazione tossica che certa destra sta facendo della rivoluzione culturale in atto negli Usa che qualcuno vorrebbe banalizzare in qualche vetrina spaccata perdendo il focus e il senso del tutto.

Bene i simboli, benissimo. Però da un governo che si dice solidale con chi sta lottando contro la discriminazione ci si aspetterebbero anche degli atti politici, mica simbolici. I decreti sicurezza di salviniana memoria, ad esempio, sono una perfetta fotografia: criticati da ogni dove quando furono applicati durante il governo Conte I divennero la bandiera del centrosinistra su ciò che non si doveva fareAll’insediamento del Conte II ci dissero che l’abolizione di quei decreti sarebbe stata una priorità. La priorità è praticamente scomparsa. E pensandoci bene è scomparso anche tutto il dibattito sullo ius soli e sullo ius culturae che nessuno da quelle parti ha nemmeno il coraggio di pronunciare.

Così noi dovremmo accontentarci di una classe politica che fa esattamente quello che possiamo fare noi semplici cittadini scendendo in piazza come se non avessero loro le leve per modificare le cose. È tutto solo manifestazione d’intenti come se fossimo in eterna campagna elettorale e non ci sia un governo regolarmente insediato. Se invece il problema sta nell’alleanza con il Movimento 5 Stelle che è contrario all’abolizione dei decreti e a un serio percorso di integrazione e di diritti allora sarebbe il caso di dirlo e di dirlo forte per chiarire il punto agli elettori disorientati.

Non si governa con i simboli. Non basta più. I dirigenti non manifestano, agiscono.

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

È che vi fa paura, la solidarietà

Assistendo alla buriana sollevata per l’arresto di Mimmo Lucano ne sono ancora più convinto: questi in fondo si vergognano di ciò che sono, della solidarietà che non riescono ad esprimere, delle fobie che provano a rendere potabili trasformandole in strampalati programmi elettorali, della pietas che possono riversare impunemente solo sui gattini, della grettezza dei bassifondi che frequentano per non soffrire di vertigini, della malcelata soddisfazione che provano ogni volta che qualcuno sdogana i loro istinti, della banalizzazione del mondo che gli permette di non dovere elaborare e comprendere e così finiscono per odiare, odiare di cuore con ogni cellula del loro corpo quegli altri a cui viene così naturale essere ciò che per loro è praticamente impossibile.

Svergognati dai loro istinti bassi odiano la solidarietà perché in fondo, anche se non lo ammattono in pubblico, sanno bene la differenza di coraggio che passa da chi apre le braccia rispetto a chi impugna il fucile: giocano a fare i centurioni ma sono solo sciacalli che escono allo scoperto quando si diffonde l’odore delle carogne. Rovesciano il reale illudendosi di rimanere in piedi: così in pochi giorni passano dal raccontare come medaglie le indagini per sequestro di persona di una nave di poveri diavoli al ritenere infamante vergogna le accuse di troppa disordinata solidarietà.

Frugano tutto il giorno nei cassonetti della cronaca per trovare uno straccio di buonista con qualche ombra da rivendere al mercato del sospetto: vorrebbero dirci che i buoni non sono migliori ma ci guadagnano di nascosto. Solo così riescono a vergognarsi (un po’ meno) di quello che sono.

Se il buono viene colto con le mani nel sacco (anche se, come nel caso di Lucano, è un sacco vuoto che finirà sgonfio) loro si illudono di poter essere quello che sono, condonati da una pace morale che hanno inventato per assolversi.

Vale la pena rileggere Calamandrei quando nel 1956 difese Danilo Dolci: «Questa è la maledizione secolare che grava sull’Italia: il popolo non ha fiducia nelle leggi perché non è convinto che queste siano le sue leggi. Ha sempre sentito lo Stato come un nemico. Lo Stato rappresenta agli occhi della povera gente la dominazione. Può cambiare il signore che domina, ma la signoria resta: dello straniero, della nobiltà, dei grandi capitalisti, della burocrazia. Finora lo Stato non è mai apparso alla povera gente come lo Stato del popolo».

Buon mercoledì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/10/03/e-che-vi-fa-paura-la-solidarieta/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Dalla parte di Mimmo Lucano: se la solidarietà è un reato, resistere diventa un dovere


L’accusa di favoreggiamento di immigrazione clandestina è un reato che fa schifo solo a scriverlo. È figlia di una narrazione tossica che viene da lontano, che è passata attraverso i taxi del mare e gli inesistenti guadagni delle ONG utilizzando la cronaca nera come volano dell’odio, fiutando come rabdomanti nello sterco i reati di qualche negro da dare in pasto alla folla, senza nemmeno avere il coraggio di essere razzisti fino in fondo: Riace (come tutti gli esempi di solidarietà) a questi dà infinitamente fastidio perché rende pungente lo schifo che vomitano per un pugno di voti.
Continua a leggere

Piccola notizia prima di manifestare: la vietata solidarietà a Como ha la firma di Minniti

Mentre ci si prepara di gran cassa (giustamente e per fortuna) a manifestare contro l’orribile ordinanza del sindaco di Como, Mario Landriscini, che vieta di offrire un pasto caldo e un po’ di ristoro ai senzatetto intirizzito dal freddo e mentre la Lega (che ha perso il “nord” ma non il vizio) insieme a Fratelli d’Italia si gode questo scorcio di cattivismo proprio sotto Natale vale la pena soffermarsi sulle cause oltre che sugli effetti.

Se c’è da qualche parte in giro per l’Italia qualche sindaco che cerca visibilità strofinandosi sui fragili è perché l’articolo 50 del Testo unico degli enti locali permette, in nome dell’odiosissimo “decoro”, «in musica abnorme e in modo indeterminato, il potere extra ordinem dei sindaci, incidendo sui beni di rango costituzionale come la libertà personale e quella di circolazione discriminando i cittadini in base alle loro condizioni sociali e personali» come ha spiegato bene ieri il deputato di Possibile (e ora in Liberi e uguali) Andrea Maestri, che di povertà e discriminazioni si occupa da tempo in veste di avvocato.

In pratica i sindaci destrorsi utilizzano da par loro il famoso decreto Minniti-Orlando (che si professano di centrosinistra) che a suo tempo venne contestato proprio per la disuguaglianza di fondo.

Quindi mentre ci auguriamo che quanto prima si certifichi l’incostituzionalità del reato di solidarietà forse sarebbe il caso di soffermarsi anche sui pessimi risultati di un’azione di governo che he ben chiare le firme in calce altrimenti vedere i democratici sfilare a Como contro il sindaco, inconsapevoli delle responsabilità del proprio partito, potrebbe risultare piuttosto goffo. Qualcuno li avvisi. Ecco tutto.

Buon venerdì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2017/12/22/piccola-notizia-prima-di-manifestare-la-vietata-solidarieta-a-como-ha-la-firma-di-minniti/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.

Banalizzare, criminalizzare, purché non se ne parli: il metodo No Tav applicato ai No Tap

Accade così: si alza la polvere facendo in modo di convincerci che la polvere sia il lascito dei violenti, si formano le squadriglie di picchiatori politici contro “quelli che dicono no a tutto”, si scialacqua solidarietà un po’ a caso in favore delle forze dell’ordine anche quando non ci sono disordini e si sventola il feticcio del progresso inevitabile (o del thatcheriano “non c’è alternativa”) per chiudere il discorso.

Ma il discorso, quello vero, quello che parte delle analisi e che per svilupparsi dovrebbe comprendere anche la possibilità che i decisori diano risposte convincenti, quel discorso in realtà non avviene mai. Ora ci manca solo che si faccia male qualcuno e poi anche i “No Tap” sono cotti a puntino per diventare la forma contemporanea dei “No Tav” in salsa pugliese. Le mosse piano piano si stanno incastrando tutte e anche l’ultimo tweet del senatore del PD Stefano Esposito (“Ogni giorno che passa i #NOTAP assomigliano drammaticamente ai #notav un grazie alle nostre #FFOO”) certifica che il processo si avvia a dare i suoi frutti.

Negli ultimi due giorni risuona soprattutto la barzelletta degli ulivi: “i no Tap? ambientalisti preoccupati per qualche manciata di alberi che verranno prontamente rimessi al loro posto” dicono più o meno i banalizzatori di partito. E fa niente se le ragioni della preoccupazione siano tutte scritte in un parere del 2014 di ben 37 pagine dell’Arpa protocollato dalla Regione Puglia (lo trovate qui); non importa che l’Espresso abbia raccontato come (ma va?) gli interessi particolari delle mafie abbiano messo qualcosa in più degli occhi sul progetto (è tutto qui) e non importa nemmeno che le motivazioni della protesta non siano contro il progetto in toto ma sulla località di approdo che era la peggiore delle soluzioni possibili: l’importante è che la protesta No Tap possa essere messa velocemente nel cassetto dei signornò e si divida subito tra le solite fazioni.

A questo aggiungeteci l’italica inclinazione alla servitù (come nel caso della viceministra Bellanova, PD, che si diceva contraria da candidata e ora seduta sulla poltrona da viceministro se la prende con Michele Emiliano perché si occupa più della sua regione piuttosto che della fedeltà agli ordini del capo) e vi accorgerete che di tutto si parla tranne che dell’analisi del dissenso.

 

(continua su Left)

Qualche difficoltà di spostamento. E una piccola nota di servizio.

Beh, sì, cigolo un po’. Ho dovuto perdere tempo ancora per quella vecchia mania delle minacce di qualche vigliacchetto. Anzi più d’uno. Ma abbiamo la pelle dura e, soprattutto, da più di qualche anno abbiamo deciso di tenercele per noi. Quindi scrivo qui niente di più di quello che serve per dire che ogni tanto l’assenza capita che sia dovuta a piccole battaglie personali da sostenere.

Ma vale per tutti: dietro i gesti quotidiani (o alla loro momentanea lentezza, disattenzione e assenza) ci sono i casi della vita che a volte non si ha nemmeno voglia di raccontare .E va bene così: in questa ansia di esporsi e imporsi ci sono persone che intendono la sobrietà come un eroico perseverare nella propria normalità e io devo ammettere che mi sto affezionando ai dolori che stanno nelle pieghe, alle tante persone che si portano dietro ferite profonde come burroni che non diresti mai incrociandole in fila alla cassa.

Forse davvero la solidarietà è proprio tutta lì: trovare il tempo e le forze per scavare nelle fragilità delle persone. Anche sotto i travestimenti più diversi.

Buona notte.

Quei due con la spasmodica voglia di chiedere scusa

Stazione di Firenze. Tardi. Sono quasi le undici e si sforzano a star svegli gli ultimi treni. Quelli regionali li riconosci perché scaricano gente che non è mica arrivata: corrono per rincorrersi mentre vorrebbero essere già dentro la prossima tappa che sia un altro treno, il tram, un bus o la bici da slucchettare. I treni per Vienna invece sono animali stanchi con addosso attaccate tutte le notti passate a fare il treno, i passeggeri scendono sulla banchina per stirarsi, un comodino a forma di marciapiede delle fermate intermedie.

I treni piùà commoventi invece sono gli “alta velocità” che a Firenze cambiano anche senso di marcia e ogni volta a bordo qualcuno se ne stupisce ridendo a voce troppo alta. Dai treni ad “alta velocità” scendono a Firenze i “pendolari ad alta velocità” con i computer portatili che spuntano da una borsa chiusa di corsa; ci sono i lavoratori in trasferta con la voglia di chiedere più indennità la prossima volta; scherzano a spintoni gli studenti fuori sede; e poi ci sono quelli che sono pronti da tempo con la sigaretta infilata in bocca.

Da un treno per Salerno scende una coppia. Avranno forse ottant’anni mentre ruotano la testa come una bussola che ha perso il nord. Lei lo tiene sotto il braccio nonostante le troppe borse impigliate addosso e lui, più lento e stanco eppure protettivo, trascina una valigia che sembra avere una delle quattro ruote incastrate per come fila sguincia.

Arrivati nel centro della stazione, all’ingorgo tra chi esce e chi entra, si fermano spaesati. Lei gli dice di chiedere a qualcuno, a quel signore là che sembra una brava persona e non ha nè capelli lunghi, nè sguardo torvo e nè tatuaggi in vista. Lui osserva il candidato e poi desiste. No, no, dice alla moglie. Si va per di qua accenna con un movimento, sempre lento, della testa. E partono. Si incamminano.

Non so se sia un caso ma viaggiando molto incontro sempre anziani che sembrano voler chiedere scusa di essere ancora vivi eppure così disorientati, con la loro pudica paura di disturbare e il loro tenersi per mano. E ogni volta mi viene da pensare che abbiamo sbagliato qualcosa anche noi, se temono di disturbarci, loro: se si sentono un peso. E dovremmo andare lì e dirglielo. Si figuri, dire così, mi dica, mi chieda. Dirgli che siamo noi ad essere strani. Che siamo noi a dovergli chiedere scusa.

(questo è il mio buongiorno di oggi. Ne scrivo uno al giorno, dal lunedì al venerdì e li trovate sul sito di Left qui)