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Ennesimo naufragio in mare, stavolta è strage di donne e bambini

Sono sette, tutte donne, le ultime vittime di quel cimitero liquido che è il Mediterraneo e noi qui ogni volta a sforzarci di non normalizzare l’indicibile, di non diventare impermeabili, di scriverlo ancora, ancora più forte, senza perdere il senso di una strage che ormai non ha più nessuna parola nuova nel vocabolario del dolore e comunque sembra che non siano servite, le parole. È accaduto all’alba del 30 giugno a circa 5 miglia da quella Lampedusa diventata avamposto cimiteriale di un’Europa che ha subappaltato il lutto a una comunità diventata periferia.

Dalle testimonianze raccolte ci sarebbero anche nove dispersi che si prova a ripescare, la maggior parte bambini. La barcarola su cui viaggiavano si è rovesciata probabilmente perché sbilanciata dall’arrivo delle motovedette della Guardia costiera: «Alla vista delle motovedette della Guardia costiera, i migranti presenti sul barcone si sono sbilanciati – ha detto il procuratore capo della Procura di Agrigento Luigi Patronaggio ricostruendo la tragedia – Tanti sono finiti in mare o perché mal distribuiti sul barcone o perché hanno perso l’equilibrio. Sulle salme verrà eseguito un esame esterno direttamente a Lampedusa. E poi, se dal caso, decideremo se disporre o meno autopsia». Sono stati recuperati 46 superstiti. Tra le vittime anche una donna in avanzato stato di gravidanza. Ma anche questo non ci tocca più: ciò che avviene nel Mediterraneo sembra non toccare nemmeno le normali corde della pietà.

L’imbarcazione sarebbe partita da Sfax, in Tunisia. Durante la notte precedente, a partire dalle 3.30, sono sbarcati 256 migranti distribuiti su quattro diversi barconi. Tutti i 304 migranti sbarcati sono stati portati all’hotspot di contrada Imbriacola. Con il loro arrivo gli ospiti raggiungeranno la cifra di 660 persone in un luogo di una capienza massima prevista per 250 persone. Cento di loro saranno trasferiti con il traghetto di linea a Porto Empedocle. Nel centro di prima accoglienza si sono svolte le procedure di identificazione di tutti i nuovi arrivati sottoposti anche a tampone rapido anti-Covid da parte dei sanitari.

«Un’ennesima tragedia nel Mediterraneo straziante, cos’altro deve accadere per far capire all’Italia e all’Europa che così non si può andare avanti», ha detto Totò Martello, sindaco di Lampedusa e Linosa, chiedendo un incontro al presidente Mario Draghi: «Bisogna affrontare l’intero fenomeno dei flussi migratori con un approccio differente… E bisogna farlo subito perché mentre la politica continua a discutere, la gente muore in mare», ha aggiunto. Ma anche gli appelli disperati del sindaco Martello ormai rimangono lettera morta utile solo da riportare sui giornale come dichiarazione per farcire gli articoli. La politica è immobile, l’Italia e l’Europa tacciono e nel monumentale piano d’investimento per il dopo pandemia, mentre si discutono tutte le scelte economiche e politiche per il rilancio, il tema dell’immigrazione è rimasto sul tavolo con la solita feroce soluzione: pagare Erdogan per fare muro con metodi illegittimi e provare a iniettare denaro ai carcerieri libici per frenare l’ondata.

L’immigrazione viene affrontata di sguincio come se fosse un tema semplicemente da contenere. Così accadrà l’immaginabile: la destra peggiore avrà campo libero per gridare all’invasione e amplificare ogni arrivo concimando la propaganda utile in previsione delle future elezioni mentre gli altri balbetteranno di diritti umani fingendo di non sapere che sono seduti allo stesso tavolo di quegli altri. Uno spettacolo indegno con un copione già scritto che dovremo sorbirci senza potere fare nulla di più che raccontarlo. Quelli, i disperati che arrivano, sono nella paradossale situazione di nutrire la propaganda contro di loro se si salvano e di morire come altra unica alternativa.

Alla cronaca della morte si aggiunge anche una bambina di cinque anni trovata su un barcone alla deriva da 17 giorni sulla rotta tra l’Africa occidentale e le isole Canarie: è morta nella notte mentre veniva trasportata d’urgenza in ospedale da un elicottero militare spagnolo. Insieme a lei sono stati ricoverati anche un uomo e una donna. La donna è in condizioni “critiche”, mentre l’uomo è in condizioni “gravi”. Lo spettacolo è appena iniziato, il copione scritto, nessun colpo di scena all’orizzonte.

L’articolo Ennesimo naufragio in mare, stavolta è strage di donne e bambini proviene da Il Riformista.

Fonte

Non gli resta che intralciare

La mossa del cavallo non gli è riuscita, nemmeno stavolta. Ne sta sbagliando parecchie ultimamente Matteo Renzi ma la crisi di governo che alla fine non è andata a buon fine rimane una delle sue imprese più deprimenti per modalità, per l’accrocchio di motivazioni e per l’esito finale. Ma esattamente cosa ha ottenuto Renzi? Voleva ancora una volta essere lo spiffero che apriva una crepa per potersi intestare un eventuale nuovo governo e rivendicare un ruolo d’azionista, continuando a galleggiare con un peso politico dopato che esiste solo in Parlamento (perché bisognerebbe ricordare che il numero di parlamentari che Italia Viva ha ora sono solo il frutto di meccanismi di palazzo che non hanno nessuna corrispondenza nelle proporzioni nel mondo reale) e invece si ritrova ad essere all’opposizione con Meloni e con Salvini sempre più solo, circondato perfino dal malumore dei suoi uomini che ora gli presentano il conto del risultato rancido.

Renzi avrà avuto forse la soddisfazione di avere indebolito Conte e il governo (ma può essere un obiettivo politico destabilizzare un governo senza nemmeno la forza di farlo cadere?) ma sostanzialmente cosa ha ottenuto? Niente, zero, nisba. E infatti non è un caso che già ieri qualcuno dei suoi abbia cominciato a proporre aperture al governo e abbia cominciato a parlare dell’esigenza “di ricostruire”.

E ora che faranno Renzi e i renziani? Faranno gli intralciatori, ovvio, per farsi notare, per non sparire mentre fanno ciao ciao con la manina e nella giornata politica di ieri si è già avuto un assaggio significativo: durante il voto sulle misure contro la pandemia (misure discusse e decise quando Italia Viva era ancora in maggioranza) la capogruppo in Senato Laura Garavini ha annunciato il voto di astensione (per la discussione della pregiudiziale di costituzionalità ndr) con parole che sarebbero degne di una Meloni o di un Salvini qualsiasi: “stiamo assistendo ad una inedita modalità di produzione normativa. Un modo di procedere che non solo crea confusione tra i cittadini, a causa della sovrapposizione tra i diversi testi. Ma che viola le regole democratiche dei rapporti tra le fonti normative”, ha detto Garavini. Peccato che solo tre giorni fa il renziano Rosato dicesse: “la nostra è una rottura responsabile. Voteremo il decreto ristori, mercoledì in Aula voteremo lo scostamento di bilancio, giovedì e venerdì anche il decreto sul Covid, così come continueremo a sostenere tutte le misure che aiuteranno il nostro Paese nella lotta al coronavirus“. Niente, promessa mancata.

Ora continueranno così, pronti a essere l’elemento disturbante per potersi fare notare, pronti a fare pesare il loro (debole) peso per intralciare ogni cosa, almeno per certificare la propria esistenza. IV: intralciatori vivi. Segnatevelo ogni volta che sentirete Renzi parlare di “responsabilità”.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Metti che un giorno l’Italia sia guerrafondaia e filonucleare: giocare d’anticipo, stavolta

Lo scorso ottobre durante una riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che trattava di disarmo e questioni di sicurezza internazionale, 123 nazioni hanno votato a favore della Risoluzione L.41,  mentre 38 (compresa l’Italia) hanno votato contro e ci sono stati 16 Paesi astenuti. La risoluzione votata (la trovate qui) si proponeva di fissare una conferenza programmatica di tutti gli Stati membri per individuare uno “strumento giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti verso la loro eliminazione totale”.

Il voto contrario dell’Italia (a braccetto con gli USA) scatenò nei mesi scorsi un folto coro di polemiche indignate. Brevi e postume, come al solito. Ovviamente. Fu piuttosto triste assistere anche al malcelato silenzio (o al massimo qualche editorialino sdraiato) da parte di una certa stampa che di quei tempi (era ottobre ma sembra un secolo fa) aveva la preoccupazione di non disturbare il manovratore Renzi.

E non fu un errore o una decisione presa d’improvviso: quel voto è avvenuto dopo una chiara risoluzione del Parlamento Europeo che invitava tutti gli Stati membri Ue a partecipare in modo costruttivo ai negoziati ma nemmeno questo era bastato.

(continua su Left)

Le lacrime di Carl Gustav Jung

Perché, nella modesta casa canonica a Kleinhüningen, dove suo marito è pastore, Emilie Preiswerk, sposata Jung, volga improvvisamente lo sguardo altrove dai suoi ricami e scoppi a piangere a dirotto, in un qualsiasi martedì pomeriggio del 1880, non è chiaro; anzi, al suo bimbo di cinque anni, Carl Gustav – che è l’unico in tutto il cosmo ad accorgersi dello zampillo assurdo di quelle lacrime – si scatena un terrore dentro al cuore quando la vede. Il bambino guarda la madre intensamente, senza dire niente, indagando con i piccoli occhi chiari la stanza, per capire cosa sia successo, chi le abbia fatto così male. Ma non c’è nulla: nessuno. Non ha radice, quel dolore. C’è solo un vasto silenzio nell’aria, che detona in un’eco di ansie mute. Quando Emilie riconosce la paura negli occhi del figlio, si asciuga le lacrime con il grande fazzoletto rosa che tiene sempre in tasca e gli sorride, come a dirgli: “non è niente, mamma sta bene”. Anche Carl Gustav sorride, d’istinto, di rimando, ma il terrore provato gli resta dentro. Quel terrore che non capiva il soffrire della creatura che più amava. Torna ai suoi giochi solitari con un’angoscia nuova.

Anche se è un medico, un filosofo, impegnato a Burghozli in uno dei maggiori centri di cura psichiatrica svizzera, lo sguardo di Carl Gustav Jung, alla fine dell’estate del 1904, non è molto diverso quando una diciannovenne strillante, di nome Sabine Spielrein, varca le porte del sanatorio. Geme, ride, urla come se fosse penetrata da lame, si lamenta e dice cose apparentemente senza senso. Il dottor Jung la prende in cura.

Seduta nella stanza bianca, contorta da ondate di tic che le sfigurano il volto, il dottore la percepisce piena di un’energia che non comprende appieno. È come se le sue strilla provenissero da una camera di tortura chiusa dentro la sua mente, di cui si è perduta la chiave. Ora lui vuole ritrovare quella chiave.

Poche settimane prima, nel suo taccuino, Jung aveva scritto di un immaginario caso clinico denominato “Sabine S.”. Ed ora, eccola lì: Sabine Spielrein. Sembrerebbe una incredibile coincidenza. Ma il giovane dottore non crede nelle coincidenze. Crede che le cose accadano dispiegandosi dalla nostra anima, come segni di un libro che dobbiamo imparare a decifrare. Crede che tutto accada con significato. Se ora quella donna è lì, è perché il destino gli sta parlando: Carl Gustav Jung ne è certo. Lo dice anche a sua moglie Emma; e le confida che, stavolta, vuole abbandonare le cure inefficaci della psichiatria contemporanea, per sperimentare un nuovo metodo, creato da un suo collega viennese, un tipo che lui non ha mai visto, che alcuni considerano un genio, altri un ciarlatano. Un tipo di nome Sigmund Freud. Quello che Jung non racconta a sua moglie è il fremito alle gambe che sente quando Sabine lo guarda, nei suoi rari sprazzi di lucidità non assediata da incubi. La trova bellissima come una tempesta. In lei, intravede pianeti perduti della propria interiorità. Come se Sabine fosse venuta a lui, per indicargli chi potrebbe ancora essere. Come se lei, mentre lui la cura, lo stesse curando.

I risultati medici sono straordinari: nel 1911, Sabine Spielrein somiglia alla ginnasiale promettente che era stata. Sembra uscita dall’inferno in cui era piombata durante le sue crisi, sembra avere un’armatura nuova. Si laurea brillantemente in medicina, vuole diventare psicanalista. Jung l’ha curata. L’ha curata con il metodo di Freud.

(Un gran pezzo di Cesare Catà. Continua qui)