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In Lombardia i contagi si impennano di nuovo. Ma nessuno ne parla, tantomeno Fontana e Gallera

Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che si adagia sulle diverse fasi, cambia registro ogni volta che bisogna spingere ad aprire tutto prima e chiudere tutto poi. Ora provate a chiudere gli occhi e tornate con la mente al periodo della quarantena nazionale, quando tutti rimasero al guinzaglio del terrore rinchiusi in casa mentre ogni giorno si svolgeva la messa laica della Protezione Civile che snocciolava dati, infetti, decessi e guariti. Immaginate lì, in uno a caso di quei giorni, una Lombardia con un nuovo picco dei contagi che contiene il 66,4% dei nuovi contagiati totali su tutto il territorio nazionale, immaginate di sapere (perché è così) che solo oggi stanno facendo tamponi a persone che si sono ammalate talmente tanto tempo fa che sono già guarite (o morte) e che hanno dovuto affidarsi al proprio buonsenso per non infettare gli altri e per rimanere chiusi in casa senza essere registrati, tracciati e seguiti da nessuna Ats.

Immaginate un sindaco di una città importante come Bergamo, come Giorgio Gori, che scriva quello che ha scritto ieri quando ha dichiarato senza mezzi termini: “Leggo che in Lombardia ieri ci sono stati 32 decessi per Covid. Non si sa però dove, in quale provincia, perché la Regione non comunica più i dati divisi. Da quando abbiamo segnalato che i decessi reali erano molti dpiù di quelli ‘ufficiali’, hanno secretato i dati per provincia” e che “neppure i dati sui guariti vengono più comunicati, e sì che sarebbero importanti per capire che oggi le persone ammalate sono poche” e che “non vengono comunicati neanche i dati dei positivi Covid divisi per singolo comune”.

Tutto questo mentre diverse Procure indagano sulla mancata istituzione della zona rossa tra Alzano e Nembro e sulle troppe morti all’interno delle RSA lombarde. Immaginate quei numeri se fossero serviti per giustificare una chiusura totale e osservateli oggi come vengono bisbigliati per non disturbare l’apertura e l’operosità che non si può fermare: i numeri possono diventare opinioni quando serve. E notate, tanto che ci siete, il silenzio dei virologi, l’attenzione caduta delle trasmissioni televisive e la mancanza dei grandi pareri di opinionisti di ogni sorta. Il virus è finito, hanno deciso così, e per finirlo basta smettere di raccontarlo e fare passare tutto come una semplice naturale lunga coda. I morti di questi giorni sono morti accidentali, i contagiati sono laterali. Stiamo a posto così. Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che riesce sempre a essere perfetta per il duo Fontana e Gallera.

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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Le Regioni dopo due mesi brancolano nel buio: vogliono riaprire ma ancora parlano di tamponi

Fase 2, le regioni brancolano nel buio: ancora parlano di tamponi

Tutti in attesa della Fase 2. Il presidente del consiglio Conte dice che entro la fine di questa settimana illustrerà i dettagli della graduale “riapertura” delle attività produttive sul territorio nazionale mentre alcune regioni spingono, come sempre, per andare per conto loro. E insieme alla discussione sulla Fase 2 si infila lentamente anche la notizia di una ricaduta del contagio: c’è chi dice nel prossimo autunno, c’è chi dice che l’allentamento delle misure porterà a una ricaduta quasi istantanea e chi parla addirittura del 2021.

Uno studio dell’Università di Trento appena pubblicato su Nature Medicine analizza i dati italiani dal 20 febbraio 2020 al 5 aprile per mostrare come il lockdown abbia influenzato la diffusione della pandemia in Italia e ipotizza una stima di 70mila morti solo nel primo anno se verranno allentate le misure esistenti.

“Il nostro modello ci dice – spiega la ricercatrice Giulia Giordano intervistata dall’Agi- che le misure adottate erano indispensabili e che allentarle potrebbe portare a una situazione disastrosa”. Ma secondo i ricercatori non c’è solo il lockdown come possibile contromisura: “Un’altra – spiega sempre Giulia Giordano – potrebbe essere quella di effettuare test sierologici e tamponi a tappeto sull’intera popolazione e un tracciamento accurato dei contatti, in modo da poter isolare qualunque focolaio emergente dal principio. Isolare infetti, fornire cure e arrestare la diffusione. Questa è l’unica possibilità se si vuole allentare il lockdown ed evitare la ripartenza dei focolai. Ma nel caso in cui non si faccia una campagna massiccia di test e le contromisure vengano allentate nel giro di un anno saremmo ancora nel pieno dell’epidemia”.

E siamo ancora qui, al punto di partenza. Sono passati due mesi e ancora non si riesce ad avere un quadro chiaro sulle modalità di tamponi (“a tappeto” e “su tutta la popolazione”, come dicono gli esperti) e di test nelle diverse regioni. Dopo due mesi di emergenza ancora accade che persone sintomatiche siano in isolamento senza mai avere saputo se hanno contratto o meno il virus. Dopo due mesi di emergenza le Regioni ancora brancolano nel buio. E allora sorge un dubbio spontaneo: non è che dopo 60 giorni siamo al punto per cui si riapre solo perché non si può chiudere per sempre? Si aspettano le risposte dei presidenti di regione che si sbracciano per l’aprite tutto. Oppure rimarrà la sensazione che solo il lavoro mobilita l’uomo e solo il profitto detti i tempi del fine quarantena.

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