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L’Aquila: piangere pensando ai figli

Sulla sentenza per il terremoto de L’Aquila e per provare a tornare alle persone oltre alle cose vale la pena leggere il post del giornalista Giustino Parisse che in quel terremoto ha perso due figli:

Questo processo è stata una sconfitta per tutti. E’ lo Stato che ha condannato se stesso. Uno Stato che in quel 31 marzo 2009 aveva rinunciato al suo ruolo: quello di proteggere i cittadini per piegarsi alla volontà della politica che doveva mettere a tacere i disturbatori. E’ per questo che quello che si è svolto nel tribunale dell’Aquila non è stato un processo alla scienza. E’ stato piuttosto un processo a scienziati che di fronte al volere dei potenti dell’epoca hanno “staccato” il cervello e obbedito agli ordini. Oggi condannarli al rogo non serve. Io non lo faccio e spero che anche il loro tormento interiore _ che pure non ha nulla a che spartire con chi ha perso tutto _ venga compreso e rispettato. Le sentenze vanno sempre accettate e lo avrei fatto anche in caso di assoluzione. Per me dopo questa condanna che suona obiettivamente molto pesante, non cambia nulla. Ora assisterò a dibattiti senza fine sulla scienza condannata per non aver previsto il terremoto.

Io sono fra quelli che ha sollecitato l’avvio dell’indagine con un esposto. L’ho fatto perché volevo che quella vicenda (la riunione della Grandi Rischi) venisse scandagliata e approfondita in un’aula di tribunale: oggi, 2012, basta leggere i comunicati della Protezione civile per scorgere persino un eccesso di zelo come quando pochi giorni fa su Roma era stato previsto il diluvio universale. Ma è meglio così. Quando si tratta di fenomeni della natura soprattutto quelli che non sono prevedibili con certezza meglio allarmare che rassicurare. Se fosse accaduto anche all’Aquila che so, avrei passato qualche notte all’addiaccio ma la vita dei miei figli non si sarebbe fermata per sempre. Ho visto che nella sentenza si parla di risarcimenti. Sin dal primo momento ho detto che per la morte dei miei figli non voglio nemmeno un euro. Ci sarebbe un solo modo per essere risarcito per ciò che è accaduto: avere la possibilità di abbracciare di nuovo i miei ragazzi. E’ successo una settimana fa. Sognavo. Poi mi sono svegliato.

Si sono incagliati gli sms solidali

Gli sms solidali per il terremoto dell’Emilia, Veneto e Lombardia si sono incagliati in una burocrazia che ha perso il cuore da decenni ma non manca occasione di perdere anche la faccia. Come racconta Vita.it i Presidenti di Lombardia, Veneto e Emilia non si sono ancora accordati sulla ripartizione e la Protezione Civile sta aspettando che quei soldi diventino ricostruzione.

Chissà perché appena passata l’ora delle interviste, delle inaugurazioni e dei moti di solidarietà che poi le cose si facciano per davvero non sembra interessare a nessuno. Chissà perché non fa notizia L’Aquila e tutta quell’Italia ricostruita per le fotografie di rito e poi lasciata con le carriole di fianco ai muri sbriciolati. Di un paese tutto a metà dove “iniziare” basta da solo a concimare il consenso.

Il Teatro Sfollato che vince sul terremoto

“Quest’anno ad esempio – dice Nicolò Cecchella, un altro dei soci fondatori – ci siamo trovati senza un soldo e con il bisogno di restaurare la struttura. E allora ci siamo inventati un cantiere aperto: abbiamo immaginato il teatro come una nave in secca che si ferma per lavorare. Lo abbiamo chiamato “Teatro in rada” e abbiamo lanciato un appello: venite a darci una mano”. Il risultato? La prima sera di lavori non c’erano abbastanza utensili per tutti: spettatori, cittadini e amici sono arrivati da tutte le zone dell’Emilia e non solo, semplicemente per ricostruire un teatro, un progetto culturale nato dal basso, da mani giovani che non sembrano volersi fermare.

Quando il Teatro si prende la responsabilità di scrivere le storie per le persone e non per gli spettatori scrive copioni così.

Terremoto: lo smaltimento (illegale) delle macerie diventa legale per decreto

La sensazione è che in nome dell’urgenza si perdano di vista i particolari. E, in fondo, uno pensa che ci potrebbe anche stare. E’ il rischio di correre per salvare il salvabile. Si dice. Ma quando si perdono i pezzi della legalità pensi subito che ci vorrebbe un po’ di attenzione, almeno. Un’urgenza che abbia delle priorità. Perché in fondo ognuno di noi saprebbe all’istante quali sono le due o tre cose da mettere in valigia prima di correre fuori casa. E poi succede che le dimenticanze così spiacevoli si ripetano in occasioni molto simili. E allora pensi che in fondo questo Paese non vuole costruirsi una memoria perché ha una strategia di sbadataggine che serve per accontentare qualcuno. Che non è un problema di poco pensiero ma un pensiero lungo e che arriva da lontano e che ha tutte le misure per essere un atto politico. Da pesare così com’è. Lasciando perdere la fretta e le urgenze.

L’inchiesta di Site.it (che, credetemi non girerà molto in giro) prova ad infilare il dito nel terremoto:

Terremoto che vai, usanze che trovi. L’Aquila e l’Emilia, una ricetta con gli stessi ingredienti: dichiarazione dello stato di emergenza, potere di ordinanza, di deroga, allentamento dei controlli. Finora, per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti e delle macerie, con il sisma in Emilia queste pratiche si sono già spinte oltre – molto oltre – in un tessuto produttivo di gran lunga più delicato di quello aquilano. Un numero impressionante di capannoni – come ad esempio quelli del polo biomedicale – crollati, abbattuti o demoliti con all’interno prodotti e materie prime di ogni tipo. Tutto da smaltire indistintamente con le macerie ed equiparato “ai rifiuti urbani”.

Quella intrapresa in Emilia è una china pericolosa. Il 6 giugno scorso è stato varato il Decreto-legge n.74 (GU n. 131 del 7-6-2012), da convertire in legge entro 60 giorni: gli emiliani farebbero bene ad alzare le antenne e prestare da subito molta attenzione a ciò che sta accadendo nel dopoterremoto. Il decreto 74 prevede, all’art. 17, la “trasfigurazione” delle macerie da rifiuti speciali in rifiuti urbani. Ma cosa ancora peggiore è che il comma 7 prevede che il trasporto venga effettuato direttamente dalle aziende che gestiscono il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, o anche indirettamente a mezzo di imprese di trasporto anche “non iscritte all’albo” e senza la “tracciabilità dei rifiuti“. Ad essere eliminati, in sostanza, sono anche il FIR e il Registro di carico dei rifiuti.
Proviamo a chiarire meglio di cosa si tratta e quali effetti devastanti può produrre sul territorio. Intanto, è da notare che il decreto 74 punta a cancellare la tracciabilità non tanto delle macerie giacenti sulle vie e gli spazi pubblici, ma soprattutto di quelle giacenti nei luoghi privati e dei rifiuti derivanti da demolizioni. Le macerie giacenti sulle pubbliche vie, infatti, anche senza l’emanazione di questo decreto erano già equiparate ai rifiuti urbani. Infatti l’art. 184, comma 2, lett. d, del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. (il Testo Unico Ambientale) definisce come rifiuti urbani “i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua”.
Diverso è invece il discorso per le macerie che si trovano all’interno di aree private, tipo i capannoni crollati. Ancor più se parliamo di rifiuti da demolizione di edifici privati, o di capannoni privati. Infatti, tutti i rifiuti dall’attività di demolizione sono sempre considerati “rifiuti speciali“, come specificato nel Testo unico ambientale. E’ evidente, quindi, che l’estensore del comma 1, nel prevedere la trasfigurazione delle macerie in “rifiuti urbani“, è proprio a quelli su aree private che rivolge la maggiore attenzione. Infatti, sempre l’art. 17, al comma 1 fa riferimento, oltre ai “materiali derivanti dal crollo parziale o totale degli edifici pubblici e privati causati dagli eventi sismici del 20 maggio 2012 e dei giorni seguenti“, cita pure “quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti“.
Occorre prestare molta attenzione alla sintassi usata dal legislatore, quando scrive: “…quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti, disposti dai Comuni interessati dagli eventi sismici…“. Se il “disposti dai Comuni interessati …” lo si intende riferito sia alle attività di demolizione che alle attività di abbattimento, allora vorrà dire che, comunque, il particolare regime disposto per questi rifiuti (che da speciali vengono trasfigurati in urbani) è subordinato ad un provvedimento amministrativo (che dispone la demolizione o l’abbattimento) senza il quale la detta trasfigurazione non sarà possibile. Se, invece lo si intenda riferito alle sole attività di abbattimento – il che sarebbe più logico, perché la demolizione, di solito, è un’attività edilizia che avviene su input del privato, mentre l’abbattimento, è la stessa identica attività, ma disposta da un’autorità pubblica – allora ne consegue che tutte le attività di demolizione disposte dai privati non sarebbero soggette ad un filtro amministrativo di autorizzazione/disposizione, per cui, la deregulation sarebbe totale.
Come già si è avuto modo di vedere nel precedente sisma di L’Aquila, la trasfigurazione da “rifiuti speciali” a “rifiuti urbani” sottende la volontà di eliminare limiti, vincoli e soprattutto la tracciabilità e i controlli sui flussi dei rifiuti. Nel caso del sisma in Emilia, questa volontà si è spinta anche oltre. Infatti, leggendo il comma 7 dell’art. 17, ci si accorge che, come a L’Aquila, viene espressamente abolita la tracciabilità, poiché è prevista la deroga alla norma che impone i FIR (art. 193 del D.Lgs. 152/2006) e al registro di carico e scarico (art. 190 del D.Lgs. 152/2006). Ma viene introdotta una ulteriore innovazione peggiorativa: viene addirittura prevista la deroga all’obbligo di iscrizione all’albo gestori ambientali (art. 212 D.Lgs. 152/2006). In particolare è previsto che il trasporto delle macerie (giacenti in pubbliche vie ed in aree private) – e dei rifiuti da demolizione e abbattimento di edifici (pubblici e privati) – possa avvenire ad opera di soggetti che svolgono (già) il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani. E possono farlo direttamente, ma anche indirettamente. Cioè “attraverso imprese di trasporto da essi incaricati previa comunicazione della targa del trasportatore ai gestori degli impianti individuati al punto 4 e pubblicazione all’albo pretorio dell’elenco delle targhe dei trasportatori individuati”.
Per finire, il penultimo periodo del comma 7, contiene una norma che espressamente prevede che “Le predette attività di trasporto, sono effettuate senza lo svolgimento di analisi preventive”. Quindi i rifiuti da demolizione – soprattutto se provenienti dalla demolizione o abbattimento di un capannone industriale (a meno che non contengano amianto) – non sono soggetti ad analisi chimiche. Significa che tali rifiuti, anche se dovessero contenere sostanze particolarmente inquinanti e/o pericolose, vengono caricati e trasportati come se fossero innocue pietre triturate.

Il terremoto e i suoi certi giorni

Certi giorni ti svegli e c’è il sole, le tende ai giardini pubblici sembrano un camping, ti danno l’illusione che dietro i pini ci sia una spiaggia da qualche parte. La badante che dorme sulla panda all’angolo, il sismografo meglio calibrato del quartiere, dice che scosse lei non ne ha sentite; il cornetto al bar si scioglie in bocca, e pensi che non c’è nulla che non si possa risolvere: casca un campanile, lo rifaremo più bello. E anche le industrie, prima delocalizzano, prima si sbrigano a tornare indietro. Abbiamo mille sfollati? Fammi ridere, prima del sisma avevamo quattromila appartamenti sfitti, tutti ancora in piedi, tutti nuovi antisismici. All’ex coop rilevata dai cinesi stanno cambiando i mattoni, giuro: tolgono quelli vecchi evidentemente crepati, e ne mettono di nuovi, sembra un lego. Nel frattempo i cinesi hanno riaperto, dalla porta di servizio per non disturbare i muratori. Vai così. Se ci credono i cinesi, che hanno il mondo a disposizione, un margine c’è.

Oggi vale la pena di leggere Leonardo qui.

La mamma si fermava ogni volta che c’era una scossa

Poi ci sono i bambini che giocano, nonostante. E le loro mamme che cercano di trasformare il terremoto in uno spettacolo d’arte varia. Al piccolo che dopo una scossa di assestamento frignava, la mamma ha spiegato: «Adesso ti insegno un nuovo gioco. Il gioco del salterello». Il bimbo ha smesso di piangere. «Che gioco è?» «Funziona così: io canto una filastrocca e ogni volta che mi fermo, tu salti». La mamma si fermava ogni volta che c’era una scossa. Così le scosse sono diventate una parte del gioco e il bambino si è riempito talmente di gioia che non ha trovato più posto per la paura. E ha continuato a saltare, nonostante.

Gramellini umano oggi sulla Stampa, in un terremoto pieno di avvoltoi.

#no2giugno il senso oltre l’emergenza

Ne scrivevo ieri su Il Fatto Quotidiano: la riflessione sulla parata del 2 giugno e sul segnale che si è richiesto a gran voce ieri e in queste ore ha orizzonti più lunghi. Sappiamo benissimo che l’organizzazione è completata e, inevitabilmente, i soldi tutti spesi (o almeno una gran parte) ma la richiesta di un segnale (che sia sulla parata, sugli acquisti militari o qualsiasi altra cosa) è legittima, democratica e non ha niente a che vedere con l’antipolitica. È ultra politica: desiderio amplificato a cui si è costretti a rispondere. E quindi può fare solo bene. E forse ha ragione Gramellini quando chiede di sfruttare il momento per provare ad aprire la riflessione:

La domanda che la coincidenza fra celebrazione e tragedia riporta alla ribalta è un’altra: nel 2012 ha ancora senso festeggiare la Repubblica con un rito così poco sentito dalla maggioranza dei cittadini? Ogni comunità ha bisogno di riti e di simboli. Ma sono le religioni che li mantengono inalterati nei secoli. Non gli Stati. Non tutti, almeno. Penso sommessamente che quest’anno il 2 giugno si onori di più la Repubblica andando fra i terremotati che fra i carri armati.

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