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terreni

E il maluomo non s’armolada

Secondo uno studio dell’Università di Padova il ghiacciaio della Marmolada nelle Dolomiti tra 15 anni potrebbe non esistere più. Ma il tema è pressoché assente dal dibattito pubblico. E la politica finge che non esista

Marmolada è diventato un verbo, un verbo di distruzione, un verbo di irresponsabilità, un verbo che dovrebbe ricorrere nei discorsi perfino quelli del bar, quelli che si fanno con leggerezza e che ultimamente sono abbastanza ingolfati di presunti vip fieri di essere infettati e di chiacchiericcio di fondo.

Secondo uno studio del Centro nazionale delle ricerche tra 25-30 anni il ghiaccio della Marmolada non esisterà più. Nel dicembre del 2019 gli studiosi scrivevano che in soli 10 anni il ghiacciaio della Marmolada, montagna iconica delle Dolomiti, ha ridotto il suo volume del 30%, mentre la diminuzione areale è stata del 22%. Il ghiacciaio, un tempo massa glaciale unica, è ora frammentato e suddiviso in varie unità, dove in diversi punti affiorano masse rocciose sottostanti. I terreni carsici, come la Marmolada, sono irregolari e costituiti da dossi e rilievi. Se il ghiaccio fonde gradualmente, le aree in rilievo affiorano, diventando fonti di calore interne al ghiacciaio stesso.

Ora un nuovo studio dei glaciologi dell’Università di Padova dicono che il Cnr probabilmente è stato fin troppo ottimista. «Negli ultimi 70 anni – afferma Aldino Bondesan, coordinatore delle campagne glaciologiche per il Triveneto – ha ormai perso oltre l’80% del proprio volume passando dai 95 milioni di metri cubi del 1954 ai 14 milioni attuali. Le previsioni di una sua estinzione si avvicinano sempre di più: il ghiacciaio potrebbe avere non più di 15 anni di vita». «Se estendessimo il trend di riduzione di superficie degli ultimi 100 anni (3 ettari/anno) – spiega Mauro Varotto – la fine del ghiacciaio è fissata per il 2060; se consideriamo il trend di contrazione degli ultimi 10 anni (5 ettari/anno), la fine viene anticipata al 2045. Ma il trend degli ultimi 3 anni è ancora più allarmante (9 ettari/anno) e potrebbe portare alla scomparsa di buona parte del ghiacciaio già nel 2031».

E non si tratta di un caso isolato: l’aumento delle temperature hanno ridotto nell’ultimo secolo del 50% i ghiacciai e il 70% di questo 50% è avvenuto negli ultimi 30 anni.

Marmolada è diventato un verbo. M’armolada molto che se ne parli solo negli articoli considerati scientifici come se non fosse un tema fortemente politico. M’armolada che nella campagna elettorale in corso non ci sia un solo accenno. M’armolada che i segretari di partito non sprechino mai una parola, non abbozzino mai una soluzione ogni volta che esce una notizia di questo tipo. M’armolada che quelli che promettono di spostare le montagne non si accorgono della loro sparizione. M’armolada che ancora si scriva e si dica del presunto maltempo senza capire che non è mai il tempo a essere malo ma tutto quello che accade è colpa piuttosto di un maluomo.

E il maluomo non s’armolada, continua a arrovellarsi sui problemi (reali e spesso inventati) che interessano il presente.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

I terreni dell’Expo

Hanno ripetuto centinaia di volte che “l’aspetto fondamentale è avere una visione lunga e pensare al dopo EXPO”, in tutte le salse, in tutte le riunioni e invece:

Deserta la gara per i terreni del dopo Expo, le banche già alla finestra

Ore 12 di Sabato 15 novembre 2014. L’ultima data disponibile per il primo bando di gara per l’assegnazione dei terreni su cui si terrà l’Expo nel 2015 a Milano. Insomma, nessun investitore vuole raccogliere l’eredità di ciò che l’esposizione universale lascerà. Un band da 315,4 milioni di euro messa in vendita a metà agosto da Arexpo, ovvero la società che nel 2011 ha acquisito le aree per l’esposizione e che ha il compito nel post-evento di “accompagnare” la trasformazione dei terreni che hanno ospitato i padiglioni.

Tutto da rivedere il piano che evidentemente non ha fatto abbastanza gola ai re del mattone. Stando al bando, si era prevista la vendita un lotto unico, la cui parte edificabile, sul totale di 105 ettari, non avrebbe dovuto superare i 479mila mq, mentre il 54% dei terreni doveva essere destinato al parco tematico. Forse troppo verde, forse un piano commerciale che non ha attirato, forse i tempi troppo stretti: fatto sta che ora si dovrà ricorrere a un piano B, nonostante il presidente di Arexpo Luciano Pilotti nelle scorse settimane ebbe a dire che «Siamo qui per il piano A, non per il piano B».

Nel frattempo sono arrivate però ad Arexpo richieste per appezzamenti minori tra i 20mila e i 50mila metri quadrati, ma, come riporta Il Sole 24 Ore “il rischio che il progetto venga “spezzettato” si scontra con il rischio che gli offerenti vogliano accaparrarsi solo le parti più prestigiose e con minori oneri sociali, lasciando fuori dal progetto parchi e opere di interesse collettivo. E al Comune di Milano non intende rinunciare all’obbligo, contenuto nel masterplan, di destinare il 56% dell’area a verde pubblico”.

Quindi? Quindi le vere protagoniste del piano B potrebbero diventare le banche. Già in agosto lo stesso presidente di Arexpo sottolineava come una volta andato deserto il primo bando si sarebbe potuta rivedere la «mission societaria di Arexpo», andando a fare nuove gare in lotti più piccoli e pianificando la riconversione dell’area in lotti più piccoli.

Non è infatti un caso che il quotidiano finanziario in rosa scriva «Un eventuale accordo con le banche potrebbe consentire ad Arexpo di trasformarsi in soggetto promotore e garantire l’operazione di sviluppo sull’area attraverso un’importante regia pubblica. La vera spada di Damocle, infatti, è il finanziamento delle banche che – salvo eventuali nuovi accordi da prendere nelle prossime settimane – potrebbero presto avanzare le loro pretese e diventare attori protagonisti del post-Expo».

E il pool degli istituti di credito bussano già alla porta: Arexpo ad aprile 2017 dovra alle banche (Intesa Sanpaolo, Banca Popolare di Sondrio, Veneto Banca, Credito Bergamasco, Banca Popolare di Milano, Banca Imi) 160milioni con la garanzia di andare a gara entro fine 2014. Termine rispettato, ma se entro la primavera 2015 non ci saranno le condizioni per aggiudicare bando e lotti, sosteneva già in agosto Pilotti «bisognerà rinegoziare termini nuovi con le banche», e ancora «In caso di gara deserta – dice il presidente di Arexpo – bisognerà rivedere la macchina organizzativa con il supporto delle banche». Insomma gli istituti di credito sembrano già aver messo un piede nell’affaire post-expo, che con le imminenti elezioni a Palazzo Marino è un affare tutto tranne che chiuso.

Una nuova assemblea dei soci si terrà nelle prossime settimane, perché il vincolo sulla cessione unica dell’intero lotto al momento sembra non interessare gli acquirenti.

[di Luca Rinaldi su Linkiesta]