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tor sapienza

Manifesto dell’antirazzismo (I e II parte)

Eccoci. In tanti chiedono (giustamente) le fonti dei dati che smentiscono questo incipiente razzismo italico tutto di pancia e allora vale la pena recuperare il puntuale lavoro di Angelo Cioeta. Queste sono le prime due parti:

(I parte)

Costruire una società migliore, basata sull’uguaglianza sostanziale (e non solo formale), sulla solidarietà tra le persone (concreta e non solo a parole), deve avere un punto di partenza imprescindibile: l’abbattimento dell’ignoranza di cui molte persone nutrono la loro pancia, facendo lievitare il consenso di politici la cui unica qualità è quella di saper urlare insulti od essere presenti in TV quasi come fosse casa loro. Si dirà che ciò è dovuto alla disperazione, alla fame, alla difficoltà di arrivare alla fine del mese etc. Evitiamo di non abusare di queste giustificazioni: non siamo la prima generazione che affronta questi problemi. Anzi, chi ci ha preceduto ha saputo molto spesso trasformare le sofferenze in benzina per le rivoluzioni, per conquistare diritti fondamentali (la nostra Repubblica è figlia delle macerie che il fascismo, molto gentilmente, ci ha lasciato) etc. Ma in passato c’era un senso di collettività molto più forte, la partecipazione politica non si riduceva al mero voto periodico per eleggere rappresentanti nelle istituzioni. Ora invece si tende a restare alla finestra, aspettare che passi sotto il primo problema e spendere quante più parole possibili per risolverlo (nella nostra testa però, non nella realtà). E poi, altra cruda realtà: la televisione, principale mezzo di comunicazione di massa, ha trasformato la società in un gruppo di persone il cui aspetto individuale è nettamente prevalente rispetto invece a quello di comunità. Peccato, perchè la TV inizialmente si era caratterizzata per un carattere educativo (il maestro Manzi, per chi ne può parlare, è un esempio eccezionale di ciò). Inoltre, ha standardizzato notevolmente le opinioni: basta che un politico furbo decida di monopolizzare l’etere ed ecco fatto che, nel giro di pochissimo tempo, ciò che dice diventa Vangelo. Poi, nessuno si preoccuperà di capire se tale Vangelo racconta verità o bugie (e quei pochi che lo fanno vengono subito emarginati). Così, ed eccoci arrivare al succo del post, gli immigrati diventano gli artefici dei nostri problemi socio – economici. Diventano una nuova Kasta che si ciba di soldi dei contribuenti pubblici senza far nulla (le famose storie dei 30, 40, 50… euro al giorno in hotel a 5 stelle etc.). Ok, se 25 anni fa i tedeschi si preoccuparono di abbattere il Muro di Berlino, a noi oggi spetta distruggerne uno più pericoloso: quello composto da mattoni di ignoranza e razzismo. A queste ultime due parole bisogna però aggiungerne un’altra: l’incoerenza del nostro popolo. Dunque, leggendo qualsiasi libro di storia si potrà comprendere che l’Italia è un Paese unito ed indipendente dal dominio straniero dal 17 marzo 1861, quindi da 153 anni. I valori risorgimentali della cacciata dello straniero, dell’indipendenza e, soprattutto dell’autodeterminazione dei popoli, in poco tempo sono evaporati, sostituiti da quelli prodotti dalla politica del colonialismo. Insomma, noi che più di tutti abbiamo sofferto l’occupazione straniera, decidiamo ad un certo punto di andare a colonizzare i Paesi africani, considerati inferiori rispetto all’Europa industriale e civile. In poche parole: non venite a casa nostra, però noi veniamo da voi anche senza permesso. Coerenza portami via. Certo, potrei anche ricordare esempi di superiorità italica clamorosi come Adua ma, lasciamo perdere, onde evitare di urtare le sensibilità patriottiche di qualcuno.

Prima ho utilizzato il termine Vangelo. Ovviamente, quando si dice tale parola, subito viene in mente la religione cattolica. Facendo una rapida ricerca, si comprenderà che l’Italia è un Paese con una netta prevalenza della religione cattolica (come potrebbe essere altrimenti, in quanto la Chiesa da sempre, nella nostra penisola, ha esercitato un’influenza notevolissima?). Il mio è un cattolicesimo molto flebile, ma da quel poco che ricordo, esistono comandamenti che dicono di amare il prossimo tuo come te stesso, parabole come quella del Buon Samaritano (di cui spesso si tende ad impersonare la parte del menfreghista e non di chi aiuta). Bene, sarebbe quindi utile raddrizzare le nostre contraddizioni storiche. Ora che ci penso, aggiungo un’altra notizia interessante. Nel lontano ‘500 in Francia si diffuse l’espressione machiavellico: era colui che si rendeva colpevole di diffondere nel Paese transalpino pratiche fino ad allora sconosciute, come la congiura, la truffa etc. Termine che ebbe origine in Niccolò Machiavelli e che fece degli italiani i principali bersagli di colpevolezza (d’altronde, in Francia, durante il ‘500 la Corte ebbe tra le sue fila alcuni nostri connazionali).

Abbiamo fatto una lunga premessa, un lungo lavoro di preparazione per realizzare l’abbattimento del muro. Adesso, immergendoci nella nostra attualità, provvederemo alle operazioni di distruzione dell’impianto, tappa dopo tappa, mattone dopo mattone.

(II parte)

Dunque, ci siamo lasciati dopo aver fatto una lunga copertina riguardo incomprensioni italiche che, in diversi modi, ci aiutano a comprendere che noi siamo un popolo che spesso ha cercato solidarietà all’estero (ma è restio a fare l’inverso), che ha nella sua storia e nella sua cultura elementi che dovrebbero favorire il processo di integrazione (invece si tende a dimenticare il nostro passato). Inoltre, abbiamo evidenziato come la politica per molti si è ridotta al mero voto periodico e a quanto passa la televisione, causando una standardizzazione dei propri pensieri. Ecco, conviene partire proprio da tale punto: gli effetti della comunicazione proveniente dai mezzi di informazione di massa. A partire dal 1994, anno della prima vittoria di Silvio Berlusconi, soprattutto la televisione è diventata un formidabile catalizzatore di voti, un mezzo che per vincere va assolutamente utilizzato. Ma, la politica è confronto, approfondimento, è arte del governare, è studio etc. E senza tali requisiti, forse occupare gli scranni delle istituzioni non conviene, se proprio si vuol bene alla collettività. Nell’ambito dell’immigrazione capita spesso che a parlare in tv sono politici che assolutamente nulla conoscono del fenomeno, facendolo passare per quello che non è. Sarebbe dunque più giusto far parlare gli esperti, coloro che, nel silenzio, sono a contatto tutti i giorni con la tematica interessata. Siate sinceri: quanti di voi hanno sentito parlare un rappresentate di un centro per rifugiati, un esponente dell’ UNAR (Unione Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) etc.? Ben pochi. Ecco, se ci si impegnasse di più ad informarsi presso gli organi competenti le cose andrebbero meglio per tutti. Detto questo, andiamo a smontare i tanti, troppi, tristi luoghi comuni sugli immigrati.

  • #FERMIAMOLINVASIONE

Nell’aria si percepisce una presenza di immigrati talmente elevata da poter dar vita ad una occupazione dello Stato italiano, ad una cacciata dei «nativi» da «casa loro». Stiamo tranquilli, stando al rapporto DossierImmigrazione2014 (Fonti: http://www.dossierimmigrazione.it/ / http://notizie.tiscali.it/articoli/cronaca/14/10/30/immigrati-meno-reati-di-italiani.html / http://www.unar.it ), attualmente in Italia sono presenti 5 milioni 364 mila persone su un totale di 60 milioni circa di anime presenti nella penisola. Nel giro di un anno si sono registrati circa 178mila nuovi arrivi.

  • #RUBANOILLAVOROAGLIITALIANI

Innanzitutto, diciamo subito una cosa: chi viene in Italia lo fa non per rubare, bensì per cercare lavoro. Un po’ come fanno i nostri connazionali all’estero. C’è anche da dire che, in buona parte dei casi, gli immigrati decidono di aprire attività inerenti i loro costumi, le loro tradizioni, la cultura che si portano dietro etc. Dunque, ecco fiorire ristoranti indiani, egiziani etc. Ci sarebbe poi un lungo discorso sulle persone che sfruttano la manodopera straniera, riducendola anche in schiavitù giusto per fare un esempio: http://www.uil.it/immigrazione/NewsSX.asp?ID_News=3370 ). Passiamo ora ad alcuni numeri: nel 2013 i visti per motivi di lavoro sono stati 25683 per il lavoro subordinato e 1810 per quello autonomo. Mentre ben 76164 sono stati rilasciati per “ricongiungimento familiare”. In sostanza, gli stranieri che ultimamente entrano in modo regolare in Italia hanno già un nucleo familiare radicato nel nostro Paese. L’Italia è una meta sempre meno ambita. Anche perchè gli stranieri sono pagati meno (la loro retribuzione media è di 959 euro contro i 1313 dei lavoratori italiani), perdono con più facilità il lavoro ed hanno difficoltà a trovarlo. Benchè i lavoratori stranieri occupati siano circa due milioni e 400mila (il 10 per cento del totale degli occupati), il loro tasso di disoccupazione ha superato il 17 per cento, contro l’11 per cento degli italiani. (Fonte: http://notizie.tiscali.it/articoli/cronaca/14/10/30/immigrati-meno-reati-di-italiani.html ).

  • #RESPINGIAMOLI

Giustamente, quando c’è un’invasione, questa deve essere respinta. E’ da capire con quali armi e con quale esercito, visto che stiamo parlando di persone normalissime che, nella stragrande maggioranza dei casi, entrano con regolare documentazione e, solo in minima parte hanno la fedina penale sporca. Dunque, respingere persone che rispettano la legge sarebbe abbastanza contraddittorio. C’è però la questione dei barconi provenienti dalle coste africane: questa è la situazione accusata di “invasione”. Ora, se delle carrette scassate, che (purtroppo) spesso finiscono il loro viaggio prima di arrivare a destinazione, sono motivo di pericolo, tanto vale evitare di definirci orgogliosi italiani (vabbè che poi noi soffriamo della sindrome di Adua). Di nuovo, la matematica interviene in nostro aiuto: dal 2008 al 2013 il numero dei migranti respinti dall’Europa si è quasi dimezzato (da 634975 a 327255). E le frontiere dove si è registrata la maggior pressione non sono state quelle marittime (dove si è registrato il 2,2 per cento dei casi), ma quelle terrestri (84,3 per cento) e gli aeroporti (13,5 per cento) (fonte: http://notizie.tiscali.it/articoli/cronaca/14/10/30/immigrati-meno-reati-di-italiani.html ). Altro sostegno ci viene dal diritto: “Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.” (dlgs 286, art. 2, c. 1). Dunque: diritto alla vita e alla salute, del diritto di asilo, del diritto alla libertà di manifestazione del pensiero, alla protezione della maternità, della famiglia e dell’infanzia etc. Ci sarebbero poi articoli della nostra Costituzione, del Trattato di Lisbona e tanto altro, ma fermiamoci qui. Aggiungo solo un’altra cosa: la legge del mare impone alle persone in difficoltà di essere portate in salvo, non di abbandonarle in braccio alla morte.

Ve lo meritate, Salvini

Un paese senza cultura facilmente si innamora dei briganti, convinto com’è che la prepotenza sia l’unica strada percorribile per affrontare tutte quelle dinamiche sociali che hanno la “lotta” come unica chiave di lettura. E così le bugie ripetute all’infinito alla fine diventano non solo vere ma addirittura veri e propri allarmi.

Andrea Colasuonno per Esse smonta le 9 balle più ascoltate sull’immigrazione:

1) “Vengono tutti in Italia” Gli stranieri in Italia sono poco più di 5 milioni e mezzo, ossia l’8% della popolazione. Solo 300 mila sono gli irregolari. Il Regno Unito è il paese europeo al primo posto per numero di nuovi immigrati con circa 560.000 arrivi ogni anno. Seguono la Germania, la Spagna e poi l’Italia. La Germania è invece il paese Ue con il maggior numero di stranieri residenti con 7,4 milioni di persone. Segue la Spagna e poi l’Italia. Siamo sesti inoltre per numero di richieste d’asilo (27.800). Da notare che il paese col più alto numero di immigrati è anche l’unico che in questo momento sta crescendo economicamente.

2) “Li manteniamo con i nostri soldi” Gli stranieri con il loro lavoro contribuisco al Pil italiano per l’11% , mentre per loro lo stato stanzia meno del 3% dell’intera spesa sociale. Inoltre gli immigrati ci pagano letteralmente le pensioni. L’età media dei lavoratori non italiani è 31 anni, mentre quella degli italiani 44 anni. Bisognerà aspettare il 2025 perché gli stranieri pensionati siano uno ogni 25, mentre gli italiani pensionati sono oggi 1 su 3. Ecco che i contributi versati dagli stranieri (circa 9 miliardi) oggi servono a pagare le pensioni degli italiani.

3) “Ci rubano il lavoro” “La crescita della presenza straniera non si è riflessa in minori opportunità occupazionali per gli italiani”, è la Banca d’Italia a parlare. Il lavoro straniero in Italia ha colmato un vuoto provocato da fattori demografici. Prendiamo il Veneto. Fra il 2004 e il 2008 ci sono stati 65.000 nuovi assunti all’anno, 43.000 giovani italiani e 22.000 giovani stranieri. Nel periodo in cui i nuovi assunti sono presumibilmente nati, negli anni dal 1979 al 1983, la natalità è stata di 43.000 unità all’anno. È facile vedere allora che se non ci fossero stati gli immigrati, 22.000 posti di lavoro sarebbero rimasti vacanti. Questo al Centro-Nord. La situazione è un po’ più problematica al Sud, perché in un’economia fragile e meno strutturata spesso gli stranieri accettano paghe più basse e condizioni lavorative massacranti, rubando qualche posto agli italiani. A livello nazionale, ad ogni modo, il fenomeno non è apprezzabile.

4) “Non rispettano le leggi” Negli ultimi 20 anni la presenza di stranieri in Italia è aumentata vertiginosamente, fra il 1998 e 2008 del 246% dice l’Istat. Eppure la delinquenza non è aumentata, ha avuto solo trascurabili variazioni: nel 2007 il numero dei reati è stato simile al 1991. Di solito si ha una percezione distorta del fenomeno perché si considerano fra i reati degli stranieri quelli degli irregolari che all’87% sono accusati di reato di clandestinità il quale consiste semplicemente nell’aver messo piede su territorio italiano.

5) “Portano l’Ebola” L’Africa è un continente enorme, non una nazione. Le zone in cui l’Ebola ha maggiormente colpito sono Liberia e Sierra Leone. Da queste zone non giungono immigrati in Italia dove invece arrivano da Libia, Eritrea, Egitto e Somalia. I sintomi dell’Ebola poi si manifestano in 3 o 4 giorni e un migrante contagiato non potrebbe mai viaggiare per settimane giungendo fino a noi. Infine il caso ebola è scoppiato ad aprile 2014, nei primi 8 mesi del 2014 in Italia sono arrivati circa 100 mila immigrati e neanche uno che ci abbia trasmesso l’Ebola.

6) “Aiutiamoli a casa loro” È la frase con cui i razzisti di solito si autoassolvono, come se aiutarli a casa loro non abbia dei costi e dei rischi, e come se i nostri governi non abbiano già lavorato per affossare questa possibilità. Nel 2011 il governo italiano ha operato un taglio del 45% ai fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo, stanziando effettivamente 179 milioni di euro, la cifra più bassa degli ultimi 20 anni. Destiniamo a questo ambito lo 0,2 del Pil collocandoci agli ultimi posti per stanziamenti fra i paesi occidentali. Nel 2013 il Servizio Civile ha messo a disposizione 16.373 posti di cui solo 502 all’estero, in sostanza il 19% di posti finanziati in meno rispetto al bando del 2011.

7) “Sono avvantaggiati nelle graduatorie per la casa” Ovviamente fra i criteri per l’assegnazione delle case popolari non compare la nazionalità. I parametri di cui si tiene conto sono il reddito, numero di componenti della famiglia se superiore a 5 unità, l’età, eventuali disabilità. Gli immigrati di solito sono svantaggiati perché giovani, in buona salute e con piccoli gruppi famigliari (poiché non ricongiunti). Nel bando del 2009 indetto dal comune di Torino il 45% dei richiedenti era straniero, solo il 10% di essi si è visto assegnare una casa. Nel comune di Genova, su 185 abitazioni messe a disposizione, solo 9 sono andate ad immigrati. A Monza su 100 assegnazioni solo 22 agli stranieri. A Bologna su 12.458 alloggi popolari assegnati, 1.122 agli stranieri.

8) “Prova a costruire una chiesa in un paese islamico” È l’argomento che molti usano perché non si costruiscano moschee in Occidente o perché si lasci il crocifisso nei luoghi pubblici. È un argomento davvero bislacco: per quale motivo se gli altri sono incivili dovremmo esserlo anche noi? E comunque gli altri non sono incivili. In Marocco i cattolici sono meno dello 0,1% della popolazione eppure ci sono 3 cattedrali e 78 chiese. Si contano 32 cattedrali in Indonesia, 1 cattedrale in Tunisia, 7 cattedrali in Senegal, 5 cattedrali in Egitto, 4 cattedrali e 2 basiliche in Turchia, 4 cattedrali in Bosnia, 1 cattedrale negli Emirati Arabi Uniti, 3 monasteri in Siria, 7 cattedrali in Pakistan e così via.

9) “I musulmani ci stanno invadendo” Al primo posto fra gli stranieri presenti in Italia ci sono i rumeni che sono oltre un milione. I rumeni per la maggior parte sono ortodossi. In seconda posizione ci sono gli albanesi, quasi 600 mila, per il 70% non praticanti (lascito della dominazione sovietica) e, fra i rimanenti, al 60% musulmani e al 20% ortodossi. Seguono i marocchini, quasi 500 mila, quasi totalmente musulmani, e ancora i cinesi, circa 200 mila, quasi tutti atei. Dunque in larga parte gli stranieri in Italia sono cristiani, oppure atei, solo in piccola parte professanti l’Islam.

#TorSapienza su da bravi, fatevi cavalcare dalle destre

Un articolo di Daniele Vicari:

L’ultima volta che sono venuto a Tor Sapienza è stato per sba­glio pochi mesi fa. Ero diretto alla prima comu­nione di Maria, figlia di un caro amico, alla Rustica, quar­tiere cusci­netto tra Tor Sapienza e l’autostrada Roma-L’Aquila. Distra­zione al tele­fono e mi ritrovo nell’anello di via Morandi. Fac­cio il giro degli enormi palazzi un paio di volte, senza tro­vare la via d’uscita, e come suc­cede nei film mi ritrovo nel pas­sato, quando con un gruppo di pazzi all’inizio dei ’90 ani­mammo l’estate per i bimbi pro­prio su que­sta via: gio­strine, clown, musica, pro­ie­zioni. «Meno male che cono­sco le strade» dico a mia figlia seduta accanto per tran­quil­liz­zarla. Esco dall’anello e rag­giungo facil­mente via Lon­goni, dritto per la Rustica. Ma mi ritrovo in un posto sco­no­sciuto, con decine di trans in pieno giorno che colo­rano la via, mia figlia è immersa nel suoi Ipod e non mi fa domande…

Ho vis­suto 25 anni a ridosso di que­sta zona di Roma, a Pie­tra­lata, nella parte oppo­sta dell’autostrada, ma quando l’altra notte le tv hanno tra­smesso l’ormai fami­ge­rato raid con­tro il cen­tro di acco­glienza, mi sono sve­gliato vagando per il quar­tiere con la testa. E al mat­tino ho twit­tato la mia ango­scia: #Tor­Sa­pienza torna alle cro­na­che. Il quar­tiere abban­do­nato da tutte le ammi­ni­stra­zioni, la “disca­rica umana”. Allora? Aspet­tiamo il #morto?

Sarà per que­sto quasi inspie­ga­bile attac­ca­mento a un quar­tiere che ho fre­quen­tato per anni, che ora ci cam­mino in mezzo, non me la sono sen­tita di risol­vere il mio per­so­nale rap­porto con que­sto mondo sem­pli­ce­mente con un twitt. Anche per­ché nella sem­pli­fi­ca­zione gior­na­li­stica mi sono ritro­vato a dire: «per­ché quei cen­tri non li met­tono ai Parioli?». Che come pro­vo­ca­zione magari fun­ziona, ma non è esat­ta­mente il mio pen­siero. Le chiac­chiere stanno a zero, que­sta è una zona sotto asse­dio: poli­zia ce n’è un bel po’; tanti capan­nelli di per­sone; grida scon­clu­sio­nate di donna che dice «Basta!» a ripe­ti­zione. Non la vedo, ma le sue grida inter­pre­tano que­sta atmo­sfera alla per­fe­zione. Ora che que­sto luogo è diven­tato tri­ste­mente famoso nel mondo per il raid con­tro la coo­pe­ra­tiva sociale «Un sor­riso», tutto è più dif­fi­cile, tutto è male­det­ta­mente sci­vo­loso. Qui le ragioni e i torti si mesco­lano fino a essere irri­co­no­sci­bili. L’unica cosa certa: troppi pro­blemi che si sovrappongono.

E’ legit­timo chie­dersi come si sia mai potuto pen­sare di inne­stare in un quar­tiere come que­sto l’ennesima forma di disa­gio sociale. Ma chi le pensa que­ste cose? Chi si prende certe respon­sa­bi­lità? Magari, invece, chi ha deciso que­sta cosa avrà avuto le sue ragioni, l’edilizia pub­blica viene uti­liz­zata per scopi sociali e magari ai Parioli non ci sono case pub­bli­che… Le strade ad anello sono senza scampo e gira gira mi ritrovo davanti al cen­tro di acco­glienza «Un sor­riso». C’è la poli­zia, ci sono i mili­tanti dei movi­menti che pro­teg­gono l’uscio. Dall’altra parte della strada musi lun­ghi che dicono no. Passo in mezzo come un fan­ta­sma. Nes­suno si accorge di me. Provo un bri­vido freddo, un ser­pen­tello mi scorre lungo la spina dor­sale: oltre quelle vetrate ci sono ragazzi che ven­gono da zone di guerra vere, dove la vita vale meno di zero. E sono stati ripe­scati in mare come tonni. Per loro quei musi lun­ghi sono l’Italia che non li vuole. E io sono ita­liano, sono coin­volto. Ma se la mia fami­glia fosse lassù, die­tro quei panni stesi al terzo piano? Asser­ra­gliata in casa per paura?

Qual­che mese fa rimasi imbot­ti­gliato nel traf­fico in via Col­la­tina, a un chi­lo­me­tro da qui. Ten­tando di capire dalla radio cosa stesse suc­ce­dendo, sco­prii che era in corso una pro­te­sta dei cit­ta­dini del quar­tiere, sen­tii quel gran pezzo di sin­daco che fu Ale­manno chie­dere iste­rico: «Marino dov’è?». Si era pre­sen­tato alla mani­fe­sta­zione e le tele­vi­sioni locali non man­ca­rono di immor­ta­larlo in mezzo alle mamme con le car­roz­zine e le maschere con­tro la dios­sina men­tre diceva nevro­ti­ca­mente: «Marino dov’è?». La “destra sociale”, quella che sa vin­cere le ele­zioni caval­cando il disa­gio popo­lare senza peli sullo sto­maco, e che quando governa demo­li­sce pezzo per pezzo il wel­fare, Ale­manno, era li in mezzo alla gente del quar­tiere. Le mamme e i bimbi pro­te­sta­vano per ogget­tive con­di­zioni inac­cet­ta­bili di vita. Non ricordo altri poli­tici di rango pre­senti. Con disa­stri di que­sto tipo, iper­me­dia­tiz­zati, come il ter­ri­bile stu­pro e l’uccisione della signora Reg­giani, si vin­cono e si per­dono le ele­zioni o peg­gio si inau­gu­rano cicli poli­tici. I cit­ta­dini pro­te­sta­vano per i roghi tos­sici su via Sal­viati, appic­cati dai rom. Ho visto spesso il fumo venire su pas­sando dall’autostrada. A via Sal­viati c’è un campo nomadi dove si dice risie­dano migliaia di per­sone anzi­ché le 300 pre­vi­ste. Recen­te­mente è stato fatto uno sgom­bero molto con­te­stato del campo, ma un gran numero di Rom pare sia ancora li. A que­sta pre­senza dif­fi­cile si aggiun­gono alcuni cen­tri di acco­glienza in zona, uno di que­sti è quello di Via Morandi preso di mira l’altra notte, e me lo sono appena lasciato alle spalle. Mi fermo per scri­vere, mi nascondo come un ladro die­tro un pilone di cemento.

Giro ancora in tondo e passo davanti alla sede di Antro­pos. Una asso­cia­zione capace di svi­lup­pare una quan­tità di atti­vità sociali incre­di­bile. 13 anni fa vi feci i pro­vini per il mio primo film: «Velo­cità Mas­sima». Vi tro­vai il pro­ta­go­ni­sta e alcuni dei ragazzi di Tor Sapienza fecero le com­parse nel film. Mi sem­bra chiuso il cen­tro, non sono nem­meno sicuro di rico­no­scerlo. Non mi va di par­lare con nes­suno, tiro dritto.

Biso­gna dire che pas­sarci a piedi si capi­sce molta della rab­bia dei cit­ta­dini. E’ sporco, ma come fanno i bam­bini a gio­care qui in mezzo? Mar­cia­piedi che improv­vi­sa­mente fini­scono nel nulla. Lam­pioni pian­tati al cen­tro degli sci­voli per disa­bili. Mon­nezza. Penso che se il posto in cui stai fa schifo, prima di pren­der­tela con l’ultimo dei rifu­giati, dovre­sti pren­der­tela con te stesso che ci abiti e fai poco o nulla per miglio­rare la situa­zione, e magari pisci anche tu in quel cespu­glio dove al mat­tino va a gio­care a nascon­dino tuo figlio. Mi do ragione da solo, ovvia­mente, come tutti i ben­pen­santi, ma c’è sem­pre il pic­colo det­ta­glio che io non abito qui. Non abito nem­meno più a Pie­tra­lata che rispetto a que­sto posto è un luc­ci­cante quar­tiere resi­den­ziale, e me ne sono andato qual­che anno fa per­ché spesso si ful­mi­na­vano i lam­pioni, e pas­savo le serate buie alla fine­stra per essere sicuro che la mia com­pa­gna par­cheg­giasse e tor­nasse a casa senza rot­ture. Ora sono su un altro pia­neta, quasi in cen­tro a San Giovanni.

Pen­sieri in libertà e mi ritrovo a leg­gere il nome della strada: via Luigi Nono! Provo un momento di entu­sia­smo, è un genio della musica del nove­cento, un uomo impe­gnato poli­ti­ca­mente, autore tra l’altro de «Il canto sospeso» musica lan­ci­nante e testi dalle «Let­tere dei con­dan­nati a morte della resi­stenza»… solo ora mi rendo conto che il tea­tro di que­sto dramma sociale è una via inti­to­lata al più iso­lato e mite tra i pit­tori ita­liani: Gior­gio Morandi. Me lo ripeto ad alta voce, per­ché il nome suona strano a guar­dami attorno, lui è stato uno dei geni della pit­tura del XX secolo, con le immor­tali nature morte dipinte nella sua stan­zetta bolo­gnese. Qui le strade por­tano nomi di grandi per­so­na­lità dell’arte con­tem­po­ra­nea, invo­lon­ta­ria­mente a sug­gel­lare la misera scon­fitta di una idea di civiltà e di poli­tica appic­ci­cata con lo sputo sulla pelle di una società che sotto un velo sot­tile di reto­rica fard nasconde puru­lenze mai sanate. Ecco.

A sprazzi mi andrebbe di par­lare con qual­cuno, anche per uscire da que­sto soli­lo­quio, ma mi freno, per­ché i media hanno già vam­pi­riz­zato le peg­giori nefan­dezze e irri­pe­ti­bili minacce che «i resi­denti» indi­riz­zano ai rifu­giati. Se ne potrebbe fare un cata­logo che non sfi­gu­re­rebbe nel dizio­na­rio del per­fetto fascio­le­ghi­sta. Infatti si parla di «infil­trati» di gruppi poli­tici di estrema destra o cose simili. Infil­trati? Cer­ta­mente gente che getta ben­zina sul fuoco ce n’è. Credo che i raid raz­zi­sti vadano non solo cri­ti­cati a parole, ma fer­mati senza ten­ten­na­menti, per­ché sono un cri­mine con­tro l’umanità, e mai come in que­sti casi va invo­cato lo stato di diritto (se esi­ste). Va bene tutto, ma in que­sta vicenda c’è un ma: MA per­ché qui ven­gono con­cen­trate tutte le con­trad­di­zioni del mondo, senza risol­verne nem­meno una?

Qui, nelle case dell’Ater (Azienda Ter­ri­to­riale per l’Edilizia Resi­den­ziale), trenta e più anni fa arri­va­rono migliaia di per­sone cari­che di sto­rie dif­fi­cili, vi furono con­cen­trate situa­zioni spesso ai limiti. Quando arri­va­rono «que­sti qui» delle case popo­lari che ora fanno i raid con­tro i rifu­giati, gli abi­tanti delle bor­gate limi­trofe, come la Rustica, pro­te­sta­rono. Lo ricordo con esat­tezza, per­ché alla Rustica ci vivono molte per­sone ori­gi­na­rie del paese in cui sono cre­sciuto, le case se le sono costruite negli anni ‘50 e ’60 con le loro mani, e su quelle case due o tre gene­ra­zioni hanno but­tato tutte le risorse fami­liari dispo­ni­bili. Quelle stesse case, abu­sive e poi sanate, sono diven­tate un cape­stro per i loro pro­prie­tari a causa di Ici o Tasi varie, ma sono pur sem­pre case pri­vate, «digni­tose», non case popo­lari prese «a sbafo», come si diceva degli inqui­lini di via Morandi: «Io lavoro, sudo e quelli si pren­dono la casa a gra­tis e poi vanno in giro con la mer­ce­des», così si diceva. Ora la ruota gira, e quelli che furono pro­te­stati trent’anni fa pro­te­stano gli ultimi arri­vati, che «man­giano a sbafo con i soldi nostri e but­tano nei sec­chi dell’immondizia il cibo…». E’ un assurdo espe­ri­mento psico-sociale quello rea­liz­zato in que­sta assurda peri­fe­ria, lon­tana dalle le zone «bene» della città, che si sono sem­pre sen­tite al riparo da ogni con­se­guenza diretta dai casini dei «bor­ga­tari». Però, come suc­cede nei film cata­stro­fici, da que­sto espe­ri­mento il virus potrebbe sfug­gire e ora lo sap­piamo tutti, siamo tutti avver­titi, le molo­tov con­tro il cen­tro di acco­glienza «Un sor­riso» par­lano chiaro.

E la poli­tica? Mistero… l’unica cosa evi­dente è che c’è chi ha molto fiuto per que­ste situa­zioni, come Sal­vini. S’è visto bene a Bolo­gna, è un ragazzo intel­li­gente che piace tanto ai salotti tele­vi­sivi, ma tanto tanto. Si dice che dreni i voti in libera uscita da Forza Ita­lia, quindi è utile… L’attivismo raz­zi­stoide della Lega ha già impo­sto per venti anni cam­pa­gne elet­to­rali su «legge e ordine» e con­tro «lo stra­niero». Lo ricor­diamo tutti, spero, che la Lega nac­que a ridosso dell’arrivo degli alba­nesi sulle coste pugliesi nel 1991? Per­sino la sini­stra «di governo» ha dato il suo bel con­tri­buto a quella ten­denza con l’invenzione dei Cie.

Fa il suo, Sal­vini, biso­gna dar­gliene atto: egli fa poli­tica. Ma a parte alcuni «amici» di twit­ter che danno del fasci­sta agli abi­tanti di un intero quar­tiere, e a parte qual­che per­so­na­lità della sini­stra non di pri­mis­simo piano, cosa fa il resto della poli­tica per scio­gliere que­sto garbuglio?

E senza accor­ger­mene i miei pen­sieri flui­di­fi­cati dalla rab­bia mi hanno tele­tra­spor­tato al Lory Bar. Mi prendo il caffè che non è nem­meno accio. Devo ammet­tere che è la prima volta che provo disa­gio nella «mia» peri­fe­ria. Guardo le per­sone che mi guar­dano, qui non passo inos­ser­vato. Sento dire che sta arri­vando o è arri­vata la Meloni, che i rifu­giati li hanno già tra­sfe­riti in parte sta­mat­tina. Vik­to­ria! Voglio andare via subito, a me certe «vit­to­rie» danno ai nervi, non vor­rei che si rive­las­sero delle immense débâcle.

Un po’ me lo merito con i miei miste­rici Ray-ban di essere un «osser­vato spe­ciale». Uso la taz­zina del caffè come scudo, mi pro­teggo dallo sguardo lim­pido di una ragaz­zina bionda seduta sul muretto, gio­va­nis­sima. Io farei cre­scere qui mia figlia?

Due anziani discu­tono degli acca­di­menti ultimi, uno dei due dice guar­dando me: «Qua a Tor Sapienza sémo ven­ti­mila abi­tanti ar mas­simo in tutta l’ottava zona dell’Agropontino, ma come fai tra rifu­giati, sban­dati e Rom, a met­te­cene den­tro n’antri due o tre­mila?». Per­ché l’ha detto a me? La cosa mi bru­cia. L’altro risponde solo «’nfatti», fumando una siga­retta elet­tro­nica. Men­tre penso che il vec­chio non ha tutti i torti anche se il suo discorso somi­glia ine­vi­ta­bil­mente a: «Non sono raz­zi­sta ma…», mi do anche la rispo­sta: «no, non ci farei cre­scere mia figlia qui»… non ci vivrei nem­meno io, piut­to­sto me ne andrei da Roma, forse tor­ne­rei a Col­le­giove, dove sono cre­sciuto, dove mia madre gesti­sce l’unico bar del paese. Ma improv­vi­sa­mente mi viene da ridere, non rie­sco a trat­te­nermi e credo di rischiare una col­tel­lata da un tipo con il giub­bot­tone di pelle nera che mi fissa, come fac­cio a spie­gar­gli che rido per­ché a Col­le­giove, un paese di un cen­ti­naio di abi­tanti, in pro­vin­cia di Rieti a 1.000 metri d’altezza, da qual­che mese ci sono 30 rifu­giati nell’albergo chiuso da sem­pre e aperto per l’occasione? 30 su 100. E come fac­cio a spie­gar­gli che sono clienti di mia madre, che sono gen­ti­lis­simi, brave per­sone con neo­nati al seguito scap­pate dalla Siria, e che pagano i loro pic­coli debiti, che non la chia­mano Gabriella, ma la chia­mano MAMMA, esat­ta­mente come la chiamo io? E che quando me l’ha detto qual­che giorno fa per tele­fono, mi sono pure un po’ inge­lo­sito? Ma forse il giub­bot­tone nero ha ragione, c’è poco da ridere, almeno qui a Tor Sapienza.

#TorSapienza

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(Per inciso, io la conosco proprio bene Tor Sapienza, sì, e conosco romani con il cuore negro di bile e romani emigrati già da un pezzo dall’isola dell’etica. Tor Sapienza è quel posto dove i consumatori di droga, appena passa l’effetto, manifestano contro lo spaccio. Per dire. Non tutti, certo, prima che si inizi con la solita solfa.)

Stefano Cucchi: cosa è successo nella caserma di Tor Sapienza?

Tor Sapienza è un quartiere periferico di Roma, frenetica zona di gare notturne clandestine e di cocaina nonostante le ripetute rimostranze di alcuni cittadini che hanno segnalato le piazze di spaccio, Piazza Giuseppe Raggio. Alcune fonti parlano di un’ampia indagine antidroga che riguarderebbe anche molti “intoccabili”, stimabili professionisti e insospettabili. La caserma dei carabinieri di Tor Sapienza è uno degli interrogativi da sciogliere obbligatoriamente nella vicenda di Stefano Cucchi:

“Procederemo a una rilettura di tutte le carte dell’inchiesta con riferimento alle posizioni che non sono state oggetto di indagine”: non potendo fare molto di più, in attesa della Cassazione e in virtù del principio giuridico del ne bis in idem (non si giudica una persona due volte per lo stesso reato), il procuratore capo di Roma ha annunciato di voler andare a spulciare gli atti che riguardano persone non toccate dall’inchiesta. In sei giorni 140 persone hanno avuto a che fare con lui. Per esempio i carabinieri. Già la sentenza di primo grado andava in questa direzione: “Non è certamente compito della Corte – prosegue – indicare chi dei numerosi carabinieri che quella notte erano entrati in contatto con Cucchi avesse alzato le mani su di lui”. Proviamo allora a ripercorrere quei terribili giorni. Cominciamo dalla notte dell’arresto.

“Il giorno 16/10/2009 ricevevo una telefonata alle ore 00.00 da personale del Gruppo di Roma che preannunciava l’accompagnamento presso le nostre celle di un detenuto poi identificato con Stefano Cucchi”. A parlare è il carabiniere scelto Gianluca Colicchio, impiegato presso la stazione di Tor Sapienza. Stefano era appena stato fermato all’uscita del Parco degli Acquedotti. Accanto a lui, su un’altra vettura, il suo amico Emanuele Mancini: “A entrambi due carabinieri chiedevano se avevamo droga. Io rispondevo che ero pulito ma non so se Stefano abbia risposto lo stesso. All’esito della perquisizione sulla macchina di Stefano i carabinieri trovavano hashish e altre pillole che loro pensavano fosse stupefacente, mentre invece Stefano gli diceva che erano pillole di ‘rivotril’ e lassativi. Sono a conoscenza che Stefano, che conosco da 11 anni, soffriva di epilessia”.

I due ragazzi vennero condotti nella stazione Appia. Ancora Emanuele: “I carabinieri in borghese mi dicevano che avrei dovuto firmare una dichiarazione che avevo acquistato lo stupefacente da Stefano, pur non essendo vero, in modo tale da uscire pulito da questa storia”. Così fu: Emanuele tornò a casa, Stefano rimase in camera di sicurezza. “Al momento dell’arresto – scrisse il carabiniere Francesco Tedesco – il Cucchi, di corporatura molto magra, camminava bene e non presentava alcun segno particolare sul volto se non delle occhiaie verosimilmente dovute all’eccessiva magrezza”.

Alle 3,20 del 16 ottobre Cucchi venne “tradotto” dalla stazione Appia a quella di Tor Sapienza. “Durante l’accompagnamento – mise a verbale il maresciallo Davide Antonio Speranza – il prevenuto non lamentava nessun malore, né faceva alcuna rimostranza in merito”. E invece poco dopo l’arrivo a Tor Sapienza, fu necessario chiamare il 118. “Trascorsi 20 minuti circa – riferì ancora Colicchio – il Cucchi suonava al campanello di servizio e dichiarava di avere forti dolori al capogiramenti di testatremore e di soffrire di epilessia”.

Stefano però si rifiutò di farsi visitare e si mostrò “poco collaborativo”. Erano le 4,50 del mattino. Alle 9:05, il carabiniere scelto Francesco Di Sano aprì la cella: “Il Cucchi riferiva di avere dei dolori al costato e tremore dovuto al freddo e di non poter camminare”. L’arrivo nelle celle di sicurezza del Tribunale di piazzale Clodio, quando il ragazzo fu preso in consegna dagli agenti penitenziari, avvenne alle 9,30. Il padre Giovanni lo vide per l’udienza di convalida, e lo trovò col viso gonfio, i lividi sotto gli occhi. Nel verbale d’arresto i militari scrissero che Cucchi era “nato in Albania il 24.10.1975, in Italia senza fissa dimora”.

L’assistente capo della penitenziaria Bruno Mastrogiacomo, in servizio presso Regina Coeli, dichiarò ai pm: “Io ho fatto spogliare il Cucchi, ho visto che aveva segni sul viso, sugli zigomi, rossi, tipo livido, e quando gli ho detto di piegarsi lui mi ha detto che non riusciva a fare la flessione perché gli faceva male all’altezza dell’osso sacro. Gli ho chiesto che cosa era successo e il Cucchi mi ha detto che era stato malmenato dai carabinieri quando è stato arrestato”. Un altro poliziotto, Fabio Tomei, mise a verbale che il detenuto Mario Torrenti, “che non è mai stato in cella insieme a Cucchi” riferì alla collaboratrice dell’onorevole Pedica, durante una sua ispezione, che “dovevano indagare sui carabinieri, che Cucchi era stato picchiato a Tor Sapienza”. I pm Barba e Loy hanno ritenuto, però, di non doverlo fare.

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