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Errare è umano, perseverare è Bertolaso

Come va in Lombardia? Va molto Bertolaso, purtroppo. Va Bertolaso perché non passa un giorno che non accada un vergognoso malfunzionamento che se la Lombardia non fosse la Lombardia (e se Bertolaso non fosse così tanto Bertolaso) sarebbe su tutti i giornali, sentiremmo Giletti urlare come un ossesso, vedremmo decine di speciali televisivi con giornalisti indignati che ficcano il microfono sotto la bocca di Fontana, di Moratti e del Bertolaso così tanto Bertolaso.

Negli ultimi giorni è accaduto che Letizia Moratti si è perfino spettinata urlando tutta la sua vergogna contro «l’inaccettabile» inadeguatezza di Aria, la società della Regione titolare della piattaforma degli appuntamenti per i vaccini. Avete letto bene: Letizia Moratti se l’è presa con una società di Regione Lombardia di cui lei è vicepresidente, in pratica è il tennista che incolpa il suo gomito per la sconfitta. Ha ragione il dem Pierfrancesco Majorino quando dice che ormai non rimane che stare in attesa del comunicato in cui Letizia Moratti si indigna contro Letizia Moratti, così poi il quadro è completo, il cerchio è chiuso.

Ma in Lombardia continua ad andare tutto molto Bertolaso perché nei giorni scorsi Fontana e la sua allegra combriccola sono riusciti addirittura a superarsi per il caos che sono riusciti a produrre: sabato l’hub vaccinale di Cremona al mattino si è apparecchiato con vaccini, medici e infermieri e si è ritrovato 80 cittadini invece dei 600 previsti per un errore sulle comunicazioni della piattaforma. L’Asst si è messa a telefonare ai sindaci della zona per chiedere di recuperare in fretta e furia gente disposta a correre per farsi vaccinare e non buttare via le fiale inutilizzate. Deve essere stata una scena in cui il caos è esploso in modo inaudito se l’azienda sanitaria è stata costretta a un certo punto a lanciare un appello del genere: «Non venite qui, aspettate di essere chiamati. Continueremo a vaccinare le persone nelle categorie previste da questa fase del Piano vaccinale e quindi over 80, insegnanti, forze dell’ordine, personale sanitario ed extraospedaliero. Presentandosi di propria volontà si contribuisce alla creazione di file e di affollamento».

È andata molto Bertolaso anche a Como e Monza dove di persone ne sono arrivate meno di 20 e invece il personale sanitario ne aspettava 700. Via ancora con le telefonate. Per garantire il massimo dell’erogazione possibile, ha spiegato la direzione ospedaliera, sono state utilizzate liste interne di asili, Protezione Civile, volontari Auser fornite da Ats Brianza, e vaccinato personale scolastico che si è autopresentato, d’intesa con l’Ats e la Dg Welfare che è stata avvisata della problematica.

Qualcuno potrebbe immaginare che domenica almeno sia andata meglio e invece domenica a Cremona a mezzogiorno non si era presentato nessuno. Avete letto bene: nessuno. Zero. Nisba. Il “piano vaccinale” ancora una volta si è risolto in un convulso giro di telefonate per riuscire a svuotare i frigoriferi.

Errare è umano, perseverare è Bertolaso.

Buon lunedì.

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Non irridere la paura

Il caos è evidente e non è, come qualcuno vorrebbe comodamente farci credere, un caos provocato dalla paura dei cittadini, quella che qualcuno chiama “irrazionalità della rete” o qualcun altro butta nel cestino dei “No vax”.

Al di là degli inevitabili complottisti di cui poco ci interessa (a proposito, notatelo: prima negavano che esistessero morti per Covid e oggi invece sono sicuri che esistano morti per il vaccino dappertutto, fenomenali) c’è una larga fascia di popolazione che ha paura, una paura alimentata dai messaggi contrastanti che arrivano in questi ultimi giorni, paura provocata dalla sensazione di non comprendere le decisioni di chi governa (per questo forse sarebbe stato il caso di ascoltare parole nette dal presidente del Consiglio uscendo da questo solito stolto silenzio), paura che è figlia anche di un anno usurante che ci propone una luce in fondo al tunnel che si allontana ogni giorno per un qualche motivo, paura per la stanchezza accumulata, paura per il futuro difficile non solo dal punto di vista sanitario.

E certo la paura non va alimentata, certo che no, e non va nemmeno sfruttata per fini di propaganda: la paura però merita risposte, va governata, bisogna affrontarne le cause e ha bisogno di assunzioni di responsabilità. La paura si governa con un trasparente dibattito democratico fatto di numeri, di prospettive e di credibilità messa in campo.

Irridere la paura significa in questo momento creare due opposte tifoserie, tra scetticismo e fideismo, e non serve assolutamente per tenere insieme il blocco sociale essenziale per uscire da questa crisi. Un percorso che costruisca fiducia (e ancora di più che la ricostruisca dopo questi giorni neri) ha bisogno di una naturale predisposizione all’ascolto. No, non è vero che tutti quelli che in queste ore sono tramortiti siano degli scellerati negazionisti. E non è nemmeno vero che la comunicazione politica e scientifica di questi giorni sia stata all’altezza.

La credibilità si costruisce giorno per giorno, si alimenta giorno dopo giorno, non si rivendica irridendo le preoccupazioni. Sarà un percorso lungo, ora ancora più difficile.

Buon mercoledì.

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Draghi, sullo stop ad AstraZeneca non puoi tacere: è stata una decisione politica, e va spiegata 

Alla fine viene il dubbio davvero che il silenzio sia una strategia, suggerita da qualche presunto esperto di marketing che probabilmente ne sa un po’ pochino di comunicazione istituzionale, di responsabilità di governo e soprattutto del fatto che la comunicazione è essa stessa politica, che il dovere di spiegare non è qualcosa che ha a che vedere con la morbosa curiosità ma che rientra nei doveri di un’affidabile classe dirigente.

Così siamo passati da un eccesso all’altro, usciamo da un reality show applicato alla politica che ogni giorno ci proponeva una nuova puntata di una storia anche piuttosto artefatta al silenzio totale in questa situazione di confusionario stallo che nessuno si sente chiamato a governare.

Qualcuno ripete che anche in Germania hanno sospeso le amministrazioni AstraZeneca e quindi questo dovrebbe bastare come spiegazione. Va bene, proviamo a partire proprio da qui: in Germania la comunicazione è stata data dai canali ufficiali del governo e il ministro alla Salute è apparso poco dopo in conferenza stampa. Incredibile, eh? Qui da ieri si naviga a vista nel tentativo di rivendere come decisione sanitaria una decisione che è sostanzialmente politica (Ema e OMS invitano a non sospendere le somministrazioni) ma non si vedono politici in giro che si prendano la responsabilità di dirci qualcosa.

Non si sente il presidente Draghi, non si vede il ministro Speranza, si scorgono in lontananza alcuni fragili ambasciatori che non riescono nemmeno a farsi notare. Allora forse conviene fare qualche piccola valutazione.

Ad esempio, non è che questa enorme risonanza che nelle ultime ore stanno avendo i social e la stampa sia dovuta anche al silenzio del governo che c’è tutto intorno? Non è “politica” proporre un’interpretazione dei fatti che accadono e delle decisioni che si prendono? E poi: si invita alla fiducia, e si fa benissimo, ma non è la fiducia qualcosa che va nutrita mettendo in gioco la propria credibilità? Perché qui il sospetto è che per non ripetere alcuni errori di “quelli di prima” si decida di scomparire seguendo il comodo imperativo di non dire niente per non sbagliare a dire qualcosa.

Non funziona come sui social, chi governa non può sperare in un tasto “ignora” per evitare il dibattito. Ci hanno detto “facciamo prima di parlare”, e va benissimo, ora hanno fatto e stiamo aspettando che ci dicano qualcosa. Fino a qualche mese fa qui eravamo tutti innamorati di domande scomode alla politica, pensa te, e ora sono sparite le domande.

Leggi anche: 1. “L’Italia non doveva sospendere il vaccino AstraZeneca, abbiamo agito per emotività o politica”. Intervista all’ex direttore generale dell’Aifa Luca Pani / 2. Invece di allarmarvi, chiedetevi a chi conviene se il vaccino AstraZeneca viene sospeso (di Luca Telese)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Ci sono anche buone notizie

Ieri la neo ministra della Giustizia Marta Cartabia è stata audita dalla commissione Giustizia della Camera sulle linee programmatiche del suo dicastero e si è avuta la netta sensazione di ascoltare finalmente parole nuove rispetto a certa giustizia turboferoce che abbiamo visto negli ultimi anni. Certo, dirà qualcuno, siamo solo alle parole ma le buone parole sono il preludio migliore per le augurabili buone azioni e mentre monta un certo cattivismo che vorrebbe “il carcere a vita” per qualcuno che viene processato direttamente sui social ascoltare un ritorno alla ragionevole umanità non può che essere una buona notizia.

La ministra ha chiarito che è impensabile pensare a una “riforma del sistema” vista l’enormemente larga maggioranza che sostiene questo governo (che sulla giustizia come su molti altri temi ha idee praticamente opposte) ma ha ribadito che vanno messi in campo «tutti gli sforzi tesi ad assicurare una più compiuta attuazione della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali». Cartabia ha anche parlato della «necessità che l’avvio delle indagini sia sempre condotto con il dovuto riserbo, lontano dagli strumenti mediatici per una effettiva tutela della presunzione di non colpevolezza, uno dei cardini del nostro sistema costituzionale».

Finalmente si sente anche una ministra che ha il coraggio di dichiarare «opportuna una seria riflessione sul sistema sanzionatorio penale che, assecondando una linea di pensiero che sempre più si sta facendo strada a livello internazionale, ci orienti verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato». Con un parallelo la ministra ricorda in audizione ala Camera che «la certezza della pena non è la certezza del carcere, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali. Un impegno che intendo assumere è di intraprendere ogni azione utile per restituire effettività alle pene pecuniarie, che in larga parte oggi, quando vengono inflitte, non sono eseguite. In prospettiva di riforma sarà opportuno dedicare una riflessione anche alle misure sospensive e di probation, nonché alle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che pure scontano ampi margini di ineffettività, con l’eccezione del lavoro di pubblica utilità».

Erano anni che non si sentivano parole così, pensateci.

(Ah, per tutti quelli che ci faranno notare che proprio qui sul Buongiorno abbiamo criticato aspramente Cartabia per le sue posizioni oscurantiste sui matrimoni gay e per la sua vicinanza a Cl: sì, lo pensiamo ancora. Ma nel nostro patto con i lettori ci eravamo ripromessi di giudicare i fatti, passo dopo passo. E passare dal giustizialismo a un’ipotesi di giustizia giusta è una buona notizia)

Buon martedì.

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Da lunedì 3 settimane chiusi in casa ma nessuno ha il coraggio di chiamarlo per quel che è: lockdown

Avete seguito la conferenza di stampa di Draghi in cui ha illustrato il peggioramento dei colori delle regioni che di fatto istituisce il (doveroso, vista la situazione) lockdown praticamente su quasi tutto il territorio nazionale e che prevede nuove restrizioni in occasione delle prossime festività pasquali? No, perché non c’è stata nessuna conferenza stampa.

Avete sentito le voci di sdegno dei giornalisti che rivendicano (giustamente) il diritto di porre delle domande e di ottenere delle risposte, quelli che lamentavano (giustamente) lo storytelling imposto da Casalino senza nessuna possibilità di contraddittorio? No, perché non ce ne sono state.

A proposito: cosa ne dite delle comunicazioni al Parlamento (lungamente invocate) sulle prossime chiusure e della ricchissima discussione parlamentare che ne è seguita? Niente, nemmeno qui. Non ci sono state. Avete sentito, a proposito, gli strepiti di Salvini che contesta la dittatura sanitaria e che invita il ministro Speranza (è sempre lui il ministro, eh) ad andare a casa perché incapace di prendere qualsiasi altra decisione che non sia una chiusura totale? Niente, niente di niente. Zero.

L’Italia è nel pieno della terza ondata, lo dimostrano i numeri e purtroppo coloro che sono stati apostrofati come “catastrofisti” hanno avuto ragione e ancora una volta il governo è costretto (come accade in tutti i Paesi del mondo) a correre ai ripari con nuove restrizioni.

Si può discutere per giorni se è stato fatto tutto il possibile per mettere in sicurezza il Paese, si può (e si deve) controllare passo per passo la campagna vaccinale e la prontezza delle risposte del sistema sanitario ma la grande differenza del governo Draghi (che inevitabilmente si ritrova a dover prendere le stesse misure di prima) sembra essere un condono comunicativo che si dovrebbe accettare in nome di una non precisata presenza di “tecnici” a cui è permesso non comunicare.

Così accade che qualsiasi provvedimento necessario ma impopolare scivoli liscio come se fosse un naturale meccanismo che non ha bisogno di spiegazioni e che gode di una silenziosa accondiscendenza. Ma il punto sostanziale rimane uno: essere presidente del Consiglio significa ricoprire un apicale ruolo politico e la politica ha il dovere di accompagnare le azioni con esaurienti spiegazioni e con l’assunzione di responsabilità per il presente e per il futuro.

Draghi può essere “un tecnico” ma non può permettersi di fare “il tecnico” nel ruolo che ricopre. Non durerà a lungo questo velo, no, qualcuno glielo dica, per il suo bene e per il bene del governo.

Leggi anche: 1. I ristori ancora non si vedono, ma c’è Draghi e va tutto bene / 2. Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene

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Tecnici dappertutto, perfino da asporto

Per capire quale sia la china che ha preso spedito il governo Draghi conviene mettere in fila un paio di cose… Come la scelta di affidare un incarico alla società di consulenza McKinsey per il Recovery Plan

Poiché sono in molti a fingere di non vedere e di non capire quale sia la china che ha preso spedito il governo Draghi allora conviene mettere in fila un paio di cose, impegnarsi ostinatamente nel controbattere ai minimizzatori o auto finti distratti che in queste ore sono tutti impegnati nel convincerci che tutto vada bene e che tutto sia normale perché basta annusare l’aria che c’è fuori per farsi un’idea sul progetto che c’è dietro.

Mario Draghi continua a rimanere sotto vuoto silenzioso nel suo caveau, mentre qui fuori si accavallano le predizioni sulla terza ondata in cui sembra di essere già finiti dentro. Che i Dpcm fossero uno strumento simbolo di “dittatura sanitaria” e che di Dpcm siamo ancora qui a dilagare ne abbiamo già scritto qualche giorno fa ma che qui tutte le regioni (se non addirittura taluni comuni) stiano andando per conto loro sembra sotto gli occhi di tutti. I vaccini continuano a mancare e anche le vaccinazioni faticano. Insomma: ci siamo liberati delle inutili primule, abbiamo tutte le mattine una bella adunata con tromba militare ma la “guerra” alla pandemia continua a sciogliersi nei rivoli di esperti dappertutto, è cambiato solo il mesto silenzio del governo.

In questi giorni si discute parecchio della scelta da parte di Draghi (l’ha scelto lui? Chi l’ha scelto? Come? Perché?) di affidare un incarico alla società di consulenza McKinsey, per aiutare il ministero dell’Economia nella fase di stesura del Recovery Plan. Destrorsi e turboliberisti ci sgridano perché ritengono questa polemica una cosa “da cialtroni”. Curioso che siano gli stessi che criticarono Conte per la sua intenzione di affidare i 209 miliardi del Recovery Plan a un gruppo di manager pescati dalle società controllate dal Tesoro. Curioso anche ricordare che un senatore toscano disse che c’era da fare cadere un governo che voleva decidere con gli esperti e ora rimane zitto zitto. Volendo vedere è anche piuttosto curioso che il governo dei competenti e dei super tecnici abbia bisogno di altri tecnici da asporto.

Pensare che il ministero delle Finanze ha anche un eccellente centro studi (a proposito di meritocrazia) e volendo ben vedere di competenze è anche pieno il centro studi di Banca d’Italia. Ma niente. Ieri Fabrizio Barca ha ricordato la sua esperienza personale: «Quando entrai nel ’98 al Tesoro – ha dichiarato in un’intervista al Fatto – insieme a tante persone di valore, provammo a liberarci di questa sudditanza strategica a consulenze di terzi, rafforzando l’amministrazione pubblica con contributi esterni, e quando necessario selezionando con cura consulenze specialistiche».

Quelli si difendono dicendo che si tratta di una consulenza praticamente gratis, solo 25mila euro e che questo dovrebbe bastare per tenerci tranquilli: peccato che il tema vero sia a quali informazioni avrà accesso la società di consulenza. Dicono: state tranquilli, è quasi gratis ma quando un servizio è gratis il prodotto sei tu, ormai l’abbiamo imparato tutti. L’ha scritto benissimo Stefano Feltri: «Nel fare consulenza a un governo, McKinsey può influenzare il contesto di regole che rendono possibile o vietano quel nuovo business, e quindi creare o meno le opportunità che poi potrà aiutare clienti aziendali a sfruttare». Non dovrebbe essere difficile per tutti questi grandi esperti di mercato, no?

A proposito di aria che si annusa: c’è un comunicato di Confindustria a proposito dello sciopero dei portuali di Genova che in un Paese normale avrebbe provocato dei brividi. «Si ricordino che una giornata di lavoro oggi costituisce un privilegio», ha scritto l’associazione degli imprenditori. Un comunicato stampa che sembra una testa di maiale lasciata appesa alla porta di casa. Il partito che avrebbe potuto alzare la voce per ora è senza dirigenza però ha dei ragazzini in tenda che si fanno fare delle foto bellissime per i loro profili social.

Tutto bene?

Buon lunedì.

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Se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa

Invece di rispondere in conferenza stampa sui suoi rapporti con l’Arabia Saudita (come aveva promesso), Matteo Renzi si è inventato l’autointervista. E che fa? Mischia le carte e naturalmente si dimentica di farsi domande importanti

«È così egocentrico che se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa, a un funerale il morto». Rubo le parole che Longanesi dedicò a Malaparte per provare a raccontare come Matteo Renzi abbia pensato di risolvere la questione dei suoi rapporti a pagamento con il principe ereditario Mohammed bin Salman.

Ricapitoliamo. Nel pieno della crisi di governo (da lui provocata) Matteo Renzi conduce un’intervista con il principe saudita in cui magnifica il regime, magnifica il principe (lo chiama più volte “amico mio” e “grande” principe), basta guardarsi il video dell’intervista, parla di un «nuovo Rinascimento» e addirittura ammette di invidiare “il costo della lavoro” dei sauditi. Tutto questo alla modica cifra di 80mila euro (o dollari, Renzi non ricorda esattamente) all’anno.

Quando esce la notizia del suo essere al soldo del principe saudita lui si difende, piuttosto goffamente, dicendo che rientra tutto nella sua normale attività di “conferenziere”: falso. Conferenziere non significa essere pagato per contribuire alla ricostruzione di una credibilità che i sauditi faticano a mantenere: molti grandi gruppi dei media – come New York Times e Cnn – dopo l’omicidio di Khashoggi, editorialista del Washington Post, hanno boicottato la Future Investment Initiative del principe bin Salman. L’ingaggio di Renzi evidentemente è tornato molto utile per coprire un buco che altri non erano disposti a coprire. È legale? Sì, purtroppo, perché in Italia (e solo in pochi altri Paesi) c’è un evidente buco legislativo. È legittimo? Ognuno ha la sua idea.

Poi accade che Renzi, incalzato, affermi letteralmente: «Prendo l’impegno di discutere con tutti i giornalisti in conferenza stampa dei miei incarichi internazionali, delle mie idee sull’Arabia saudita, di tutto; ma lo facciamo la settimana dopo la fine della crisi di governo».

La crisi di governo si è risolta e intanto Biden ha reso pubblico il rapporto dell’intelligence Usa che conferma la diretta responsabilità del principe saudita nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Una brutta botta per il leader di Italia Viva.

Arriviamo finalmente a questi ultimi giorni, Renzi risponde, bene, e come risponde? Intervistandosi da solo. Badate bene: aveva parlato di «discutere con tutti i giornalisti in conferenza stampa» ma furbescamente si inventa l’autointervista per avere a che fare con l’unica persona di cui è interessato e che stima davvero: se stesso. E che fa? Mischia le carte, come molti dei suoi fan sui social in queste ore, confondendo attività politica e attività professionale personale. Il trucco è quello di equiparare l’attività politica di rappresentanti politici in carica (su cui poi ci sarebbe parecchio da scrivere) con il suo lavorare per la propaganda di regime di un Paese straniero mentre è senatore pagato dai cittadini italiani. Peccato che su questo punto il Renzi giornalista non abbia avuto la prontezza di interrogare il Renzi intervistato. Scrive Renzi che è «giusto e anche necessario» avere rapporti con l’Arabia Saudita, Paese «baluardo contro l’estremismo islamico e uno dei principali alleati dell’Occidente da decenni» confondendo il lavoro diplomatico con l’attività di un privato cittadino. Insomma, il solito Renzi.

Nella sua risposta ovviamente non cita mai il principe (non sia mai, che non si irriti “amico mio”), spende ancora parole d’elogio per la famiglia reale saudita ma si dimentica di farsi la domanda sugli interessi economici dei sauditi in Italia e in Europa. Che distratto. Sarebbe stata una bella domanda. In compenso si fregia di pagare le tasse, come se fosse una cosa straordinaria. Grandioso.

E infine, come sempre, la butta sul vittimismo politico: questo però è sempre un classico. Renzi infine rivendica di essere sempre pronto a parlare di diritti umani ovunque sia necessario: benissimo, ma ci faccia sapere su mandato di chi e se poi emette fattura. Così ci viene più facile.

Buon lunedì.

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Tutti esaltano il silenzio di Draghi, ma se il Governo non parla si rischia solo più confusione

Nell’ubriacatura generale per l’arrivo di Draghi, quando qualcuno evidentemente poco abituato ai meccanismi di una democrazia parlamentare voleva convincerci che sarebbe bastato Draghi per risolvere tutti i problemi del Paese, per rilanciare l’economia, per bloccare l’epidemia, per impennare i vaccini, tra le varie inginocchiature che abbiamo avuto la sfortuna di leggere c’era il grido di giubilo per il nuovo “silenzio” che Draghi avrebbe imposto come forma di misura e di contenimento.

“Evviva!”, scrivevano tutti sui social. Tutti contenti che Draghi non usasse i social e nessuno sfiorato dall’idea che una buona comunicazione politica non debba per forza passare dal silenzio rivenduto come riserbo.

E così siamo passati dalle sparate quotidiane di membri del Comitato tecnico scientifico, dalle ramanzine regolari del turbo-commissario Arcuri, dalle puntualizzazioni cicliche di Speranza e dalle veline passate ai giornalisti alla sparizione completa dell’analisi dei dati.

In giro c’è un silenzio da lockdown addirittura rispettato. E qualcuno ci dice che, piuttosto che sentire “troppo”, sia meglio non sentire “niente”. Sarà, non mi convince.

Il fatto che le vaccinazioni in Italia e le consegne in Europa, solo per fare un esempio, siano molto in ritardo rispetto alle ottimistiche previsione di qualche settimana fa è un tema che forse qualcuno dovrebbe affrontare e su cui ci meriteremmo di ascoltare qualche spiegazione, qualche intenzione per invertire la tendenza, almeno qualche reclamo sugli accordi non rispettati.

Che Arcuri, per fare un altro esempio, non ci ammorbi con le sue conferenze stampa tronfie (e spesso che non rispondevano alle domande) non rischiara comunque i dubbi su una campagna di vaccinazione nazionale che meriterebbe qualche parola sullo stato attuale.

Che i numeri quotidiani dei contagi non vengano raccontati e interpretati per definire i possibili scenari futuri rischia di essere un boomerang in mano ai polemici per professione.

E infatti la voce che si leva oggi, quella che svetta per il silenzio tutto intorno, è quella del solito Salvini, che fa l’opposizione al governo di cui fa parte e che comincia con la tiritera della Pasqua che non merita restrizioni, con la solita superficialità che serve a solleticare le pance.

Mi chiedo: siamo sicuri che sia un valore “comunicare poco” quando invece basterebbe “comunicare bene”, essere coordinati, univoci nelle decisioni e nelle interpretazioni?

Siamo passati dal pollaio al deserto: attendiamo con ansia di trovare il senso della misura.

Leggi anche: 1. Tutti pazzi per Draghi, ma già a giugno i partiti potrebbero voltargli le spalle (di L. Zacchetti) / 2. Caro Renzi, ora chiarisca una volta per tutte i suoi rapporti con l’Arabia Saudita (di G. Cavalli)

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Sfascisti su Marche

«I genitori di una famiglia naturale hanno compiti espliciti: il padre deve dare le regole, la madre accudire». Parola di Carlo Ciccioli, testa di ponte di Fratelli d’Italia che nelle Marche sta tentando di distruggere diritti civili conquistati da anni

«I genitori di una famiglia naturale hanno compiti espliciti: il padre deve dare le regole, la madre accudire. Senza una di queste due figure i bambini rischiano di zoppicare andando avanti nella vita. Queste cose si studiano in psicoanalisi». Sono le ultime parole del capogruppo di Fratelli d’Italia nel consiglio regionale delle Marche Carlo Ciccioli, uno di quelli che come spesso capita dalle sue parti politiche ha bisogno di sparare una cretinata per meritare un po’ di dibattito e qualche uscita sui giornali. «La famiglia naturale, composta da padre, madre e figli è l’unica forma valida da proporre in società. I bambini hanno il pieno diritto ad avere una famiglia composta in questo modo», ha detto Ciccioli, tanto per rincarare la dose.

In discussione c’era una legge – la n.20 del febbraio 2021 – sulla famiglia che il centrodestra sta spingendo nelle Marche per una Regione che «riconosce, tutela e promuove diritti della famiglia società naturale fondata sul matrimonio». Sì, lo so. Sembra Medioevo ma è proprio così.

Ciccioli, tanto per capirsi, fu quello che aveva parlato di sostituzione etnica a proposito dell’aborto: «In questo momento di grande denatalità della società occidentale, sostenere con grande enfasi questa battaglia, che aveva un suo senso negli anni 60 e 70 è fuori posto – disse – La battaglia da fare oggi è quella per la natalità, non c’è ricambio e non riesco a condividere il tema della sostituzione cioè che siccome la nostra società non fa figli allora possiamo essere sostituiti dall’arrivo di persone che provengono da altre storie, continenti, etnie, da altre vicende».

L’uscita è stata talmente stonata che perfino i suoi compagni di partito hanno storto la bocca. Eppure nelle Marche l’avanzata di un piano per la distruzione dei diritti civili già conquistati da anni sembra proseguire senza sosta. E non può essere considerato solo un caso isolato, è qualcosa che va osservato con molta attenzione. Ovviamente dall’opposizione si sono levate voci di protesta, e per fortuna.

Lui, non contento ha anche risposto alle critiche, scrivendo: «Ennesimo attacco becero e strumentale da parte del Pd nei confronti miei e di Fratelli d’Italia! Privo ormai di argomentazioni spendibili il Partito democratico è costretto a queste manipolazioni senza fondamento. La verità è che io ho parlato di famiglia come nucleo fondante della nostra società e delle figure genitoriali dal punto di vista psicoanalitico, cioè simbolico. Invece di discutere nel merito di una proposta di legge utile a tutte le famiglie marchigiane, si decontestualizza completamente la mia analisi, senza portare a nulla di costruttivo!».

E invece, caro Ciccioli, la cosa più costruttiva è proprio sottolineare la tua miopia, tua e del tuo partito, nella gestione di diritti che dovrebbero essere molto più alti della limitatezza delle tue vedute. E si lotta, ancora.

Buon giovedì.

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Perquisita la solidarietà

La storia di Lorena e Gian Andrea va raccontata, contiene un monito che interessa tutti. A Trieste hanno un’associazione che aiuta i profughi della rotta balcanica. La polizia ha fatto irruzione nella loro casa alla ricerca di prove per un’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

A Trieste il 24 ottobre scorso l’estrema destra è scesa in piazza in diverse fazioni, piazza Libertà, si sono anche menati perché come si sa i fascisti hanno solo quel modo di comunicare e di esprimere idee politiche. Va così. Quando ha cominciato a circolare la notizia di perquisizioni in città ieri qualcuno avrà immaginato che finalmente si fosse deciso di prendere posizione contro l’apologia di fascismo, che finalmente si muovesse qualcosa, ma niente.

L’irruzione all’alba, nel perfetto stile con cui si stanano i latitanti più pericolosi, è avvenuta nell’abitazione di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir. Lorena ha 68 anni, è psicoterapeuta e vive con il marito Gian Andrea che di anni ne ha 84 ed è un professore di filosofia in pensione. Nel 2015 hanno attivato un piccolo presidio medico appena fuori dalla stazione per offrire un primo aiuto ai ragazzi che passavano il confine con la Croazia e che hanno piedi malconci e corpi segnati dalle torture. I due coniugi viaggiano anche spesso verso la Bosnia con scarpe, coperte, vestiti e medicinali per provare a lenire il terrore e il dolore. Per questo insieme ad altri hanno costituito l’associazione Linea d’Ombra ODV.

La loro nota racconta l’accaduto: «Questa mattina all’alba la polizia ha fatto irruzione nell’abitazione privata di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, nonché sede dell’associazione Linea d’Ombra ODV. Sono stati sequestrati i telefoni personali, oltre ai libri contabili dell’associazione e diversi altri materiali, alla ricerca di prove per un’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che noi contestiamo, perché utilizzata in modo strumentale per colpire la solidarietà».

E se ci pensate non è la prima volta che la solidarietà (o il buonismo, come lo chiamano alcuni) accenda indifferenza se non addirittura malfidenza. Tant’è che ogni volta che qualcuno compie un gesto “buono” senza nessun evidente ritorno economico o di altro tipo viene subito additato come “pericoloso”. La solidarietà che diventa “reato” o presunto reato è un crinale pericoloso. Per questo la storia di Lorena e Gian Andrea va raccontata: perché così piccola contiene un (preoccupante) monito che interessa a tutti.

Buon mercoledì.

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