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I numeri parlano

Contagi, tasso di positività, terapie intensive. Leggere i numeri è un esercizio utile per rendersi conto del punto in cui siamo

“Aumentano i positivi perché aumentano i tamponi”, dicono. Semplice così. Dopo mesi di pandemia ancora esistono quelli che contano il totale dei contagi e ci vorrebbero convincere che la situazione vada letta sul bollettino quotidiano. Se i contagi crescono ci si preoccupa, se i contagi calano ci si calma. Nemmeno il coronavirus ha insegnato l’arte della complessità, nemmeno tutti questi mesi, nemmeno tutti questi morti.

Però i numeri parlano, nella loro sostanziale inamovibilità e leggere i numeri è un esercizio utile. Sia chiaro: non si tratta di creare allarme ma si tratta almeno di rendersi conto del punto in cui siamo.

E il punto in cui siamo è sostanzialmente questo: il tasso di positività sulle persone testate (quindi quelle sottoposte a tampone per verificare la presenza del virus) 4 settimane fa era del 3,4%, 3 settimane fa era del 4,6%, 2 settimane fa era del 6,2%, settimana scorsa era del 7,7% e ieri del 14,2%. Qualcuno potrebbe dire: “mirano meglio”. Sul numero di tamponi processati totali ieri l’Italia ha superato la Francia con un tasso del 9,4%. Il giorno precedente era del 7,9%, prima ancora del 6,6%. Il tasso di positività è in crescita marcata da 10 giorni.

Sempre rimanendo sui numeri: la crescita dei posti occupati in terapia intensiva (a proposito di chi dice “sono tutti asintomatici”) negli ultimi giorni è stata esponenziale. Negli ultimi 12 giorni segue la formula x=(1,075^t)*358. In sostanza secondo la curva ci dice che le terapie intensive raddoppiano ogni 9,6 giorni.

Poi ci sono i fatti: i tracciamenti ormai sono sostanzialmente persi. Ieri l’Ats di Milano, solo per fare un esempio, per bocca del suo direttore sanitario Vittorio De Micheli ha dichiarato: «Non riusciamo a tracciare tutti i contagi, a mettere noi attivamente in isolamento le persone. Chi sospetta di aver avuto un contatto a rischio o sintomi stia a casa». Siamo a questo punto, ancora. Ieri Walter Ricciardi, ordinario di Igiene all’Università Cattolica del sacro Cuore di Roma e consulente del ministro della Salute ha detto «un’epidemia si combatte con i comportamenti delle persone e con il tracciamento, ma quando vai oltre 10.000-11.000 casi e non riesci più a tracciare». Crisanti lo spiega bene: «È saltato completamente il sistema di tracciamento. Le misure di contenimento sono inutili senza un piano organico per dotare l’Italia di un sistema che mantenga basso il numero dei contagi. È la vera sfida. Se invece di buttare soldi per acquistare i banchi a rotelle avessimo investito sul tracciamento e sulla capacità di eseguire i tamponi, oggi saremmo in una situazione differente. Non possiamo andare avanti altri sei mesi solo con le chiusure. Quest’estate – ricorda – eravamo arrivati a 300 contagi al giorno, avremmo dovuto porci il problema e organizzarci per evitare che quel dato tornasse a salire mettendo in campo un reale ed efficace sistema di tracciamento e tamponi. Invece non abbiamo fatto nulla.»

Stiamo discutendo dell’ultimo Dpcm quando è già superato dai fatti. E la sensazione, ascoltando anche dalle parti del governo dove con questa situazione ancora si discute di “movida”, è che la situazione attuale abbia bruciato tutti i mesi di vantaggio accumulati. E che non ci sia nemmeno il coraggio di dirlo chiaramente.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il tema da non farsi scippare

Un consiglio (umile ma spero utile) agli amici di centrosinistra che in questi giorni stanno “attaccando bottone” in Lombardia per raccontare quanto sarebbe importante cogliere l’occasione di segnare la discontinuità con Umberto Ambrosoli alla guida della regione Lombardia:

  • ricordarsi di ricordare che il Formigoni che è sopravvissuto a tutti gli scandali che uno scrittore di thriller avrebbe potuto immaginare alla fine è caduto sotto i colpi dei presunti contatti con la ‘ndrangheta del suo assessore alla casa Domenico Zambetti. Il tema mafioso è entrato (per la forza della sua gravità) dentro tutte le case dove prima si discuteva di Renzo Bossi e Minetti: potremmo dire che, purtroppo, il tema è diventato popolare.
  • ricordarsi di ricordare che ogni volta è una sfida anche contro una retorica dell’eccellenza: con il Celeste era l’eccellenza sanitaria (nonostante Don Verzè, San Raffaele, Daccò, Santa Rita etc.) ora con Maroni è la retorica dell’antimafia dei fatti (nonostante Dell’Utri, Cosentino, i contatti mafiosi del tesoriere leghista Belsito etc.).
  • ricordarsi di ricordare che il governo Formigoni è stato appoggiato, sostenuto e condiviso dalla Lega Nord. Ricordarsi di ricordare che la Lega ha detto che ormai il PDL era insostenibile per il nuovo corso maroniano. Ricordarsi di ricordare che oggi PDL e Lega sono ancora insieme.
  • ricordarsi di ricordare che l’antimafia è una cosa seria. Che ha bisogno di una preparazione almeno all’altezza della mafia. E che quando diventa slogan la politica ha già perso.
  • ricordarsi di ricordare di stampare questo articolo del Corriere della Sera sui risultati del rapporto «Gli investimenti delle mafie», realizzato dal centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica per il ministero dell’Interno, e tenerselo in tasca discutendone con i colleghi, gli amici, i parenti. Perché sarebbe ora di non farsi scippare il tema. Davvero.

 

grafico_pop_thumb[3]La mafia in Lombardia guadagna 10 milioni al giorno

La presenza di cosche a Milano è pari a Foggia o Trapani. Il mercato lombardo della droga è il più redditizio

Il Pil nero della Lombardia vale 3,7 miliardi di euro. E questo è il valore medio. Perché secondo la stima più elevata i ricavi complessivi dell’economia illegale in regione potrebbero essere superiori ai 5,2 miliardi. Per avere un termine di paragone: il bilancio dell’intera sanità lombarda, capitolo di spesa che assorbe gran parte del bilancio del Pirellone, ammonta a 16 miliardi.

Significa che le organizzazioni criminali italiane e straniere in regione ricavano circa 10 milioni di euro al giorno. Stringendo l’obiettivo, la provincia di Milano è la terza in Italia per numero di aziende confiscate alle mafie, indice significativo delle infiltrazioni criminali nell’economia legale. La radiografia delle penetrazioni mafiose in Lombardia (e in tutta Italia) è contenuta nel rapporto «Gli investimenti delle mafie», realizzato dal centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica per il ministero dell’Interno.
La presenza mafiosa – Il primo capitolo dello studio analizza l’indice di presenza mafiosa nelle province italiane, un indicatore ricavato dall’incrocio di dati su indagini giudiziarie, reati, denunce e confische di beni. Si scopre così che Milano ha un «indice di presenza mafiosa» pari a quello di zone a tradizionale insediamento criminale come Foggia, Brindisi o Trapani, la provincia del capomafia Matteo Messina Denaro. E se in molte altre realtà le infiltrazioni criminali sono più pervasive, Milano è anche l’unica provincia nella quale esiste un contemporaneo e significativo radicamento di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. E proprio a partire dall’analisi della ricchezza della mafia calabrese si può approfondire il tema degli investimenti: la ‘ndrangheta ricava il 23 per cento dei suoi profitti nella propria regione d’origine, il 21 per cento in Piemonte e il 16 per cento in Lombardia, a conferma del ruolo strategico ricoperto dalle «colonie» del Nord.
La ricchezza criminale – Il mercato lombardo della droga è in assoluto il più redditizio in Italia, con ricavi stimati tra gli 840 milioni e i 2,4 miliardi di euro. Un valore doppio rispetto alla seconda regione in «classifica», la Campania (nonostante i clan che trattano stupefacenti tra le province di Napoli e Caserta siano tra i più potenti al mondo). Incrociando le tabelle messe a punto dai ricercatori di Transcrime si scopre però un dato interessante: soltanto un terzo di quei ricavi in Lombardia finisce alle organizzazioni criminali «tradizionali» (Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta). È la dimostrazione che Milano è un hub della droga per buona parte dell’Italia e del Sud Europa, un luogo di vendita e stoccaggio degli stupefacenti dove operano e guadagnano molto anche gruppi mafiosi stranieri (albanesi, serbi, marocchini).
La Lombardia ha anche il primato dei ricavi collegati alla contraffazione: circa un miliardo di euro l’anno che arrivano dal commercio illegale di attrezzature elettroniche e informatiche, abbigliamento, cosmetici e accessori falsi. Ricavi simili arrivano dallo sfruttamento della prostituzione, «settore» nel quale la Lombardia è seconda soltanto al Lazio.
Infiltrazioni nell’economia – Spiegano i ricercatori di Transcrime: «Interessante notare che nel settore “alberghi e ristoranti” i tassi più alti di concentrazione delle organizzazioni mafiose si registrano nel Nord Italia. Il valore più alto in assoluto a livello nazionale è quello della provincia di Lecco, seguito da Milano». Ovviamente qui si parla soltanto di aziende confiscate, quelle entrate nell’obiettivo della magistratura. Il quadro sconta quindi una «cifra nera» di sommerso che resta sconosciuta. Milano è comunque la terza provincia in Italia per numero assoluto di aziende confiscate. Si legge nell’analisi: «Al Nord la maggior parte delle aziende mafiose si concentra in Lombardia, dove le province di Lecco (7,3 confiscate ogni 10 mila registrate), Milano (3,4) e Brescia (2,7) mostrano tassi anche superiori a quelle di altre aree del Sud, testimoniando il grado di infiltrazione e di diffusione delle organizzazioni mafiose anche nell’economia del Nord». E mentre nelle zone d’origine non esistono commistioni, in Lombardia le mafie sperimentano infiltrazioni attraverso «joint venture» tra diverse organizzazioni criminali o sfruttando la disponibilità delle imprese legali.

Gianni Santucci