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Cosa c’entra lo IOR con l’amore

Non è una notizia di poco conto quella di Papa Francesco che inserisce lo IOR tra gli uffici “che sono necessari fino ad un certo punto”. Una frase che assume rilievo anche in previsione della riforma della Chiesa che si sta preparando per fine anno e prevederebbe, secondo alcune indiscrezioni, lo snellimento degli “uffici necessari”.

Colpiscono le parole del Papa:

«La Chiesa – ha osservato Bergoglio – non è una Ong, è una storia d’amore», e dunque lo Ior come altri organismi vaticani, sono necessari «come aiuto a questa storia d’amore». Ma «quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore – ha ammonito Francesco – viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una Ong», cioè «diventa un po’ burocratica, perde la sua principale sostanza».

Chissà che faccia avrà fatto Andreotti.

Si sono persi l’IMU alla Chiesa. Ma va?

Doveva essere una svolta storica. Per ragioni di equità, ma anche per evitare la procedura d’infrazione dell’Unione europea per aiuti di Stato. Eppure la tanto invocata estensione dell’Imu alla Chiesa rischia di trasformarsi in un clamoroso flop. Il decreto del ministero dell’Economia, atteso per la fine di maggio, ancora non esiste. E senza, dal primo gennaio 2013, la Chiesa continuerà a non pagare l’Imu. Così partiti, sindacati, fondazioni, associazioni. Una beffa.

Lo scrive Repubblica oggi e la notizia rimbalza. Non è solo a questione dei 600 milioni di euro (cifra comunque notevole) a indignare ma, ancora una volta, il voltafaccia delle promesse che vengono puntualmente disilluse.

Se un governo ritiene giusto che la Chiesa non paghi l’IMU non ha che da dirlo e difendere (se ci riesce) le proprie posizioni: giustificare un privilegio che si nasconde dietro la mancata attività di lucro (come se gli italiani invece avessero esercizi commerciali nel proprio salotto, invece) e tenere la barra diritta; invece il governo Monti promette di rivedere la norma e poi senza giustificazioni finge di dimenticarsene l’attuazione.

Sarà che da un governo tecnico ti aspetteresti forse un po’ di serietà, almeno, del tipo che le norme vengano attuate e solo dopo propagandate (è la brutta politica di questi ultimi anni che ha fatto regolarmente il contrario) e sarà che ogni volta che si affronta il tema della Chiesa (si badi bene della Chiesa più che della religione cattolica) in Italia bisogna assistere a questo fastidioso fumo di non detto o di silenziosamente concordato che lascia l’amaro in bocca.

Non ditelo, piuttosto. E’ più dignitoso così.

La Chiesa che avrebbe voluto Martini

“Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo … Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, sopattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa.”

Carlo Maria Martini

La rivoluzione delle suore

Mi ispira una naturale simpatia.

Che l’attuale guardiano dell’ortodossia cattolica, amico e stretto collaboratore di Ratzinger, possa decidere per un’apertura di dibattito all’interno della chiesa, è un’ipotesi inesistente. Per ora si cercherà di ridurre al silenzio le suore femministe, poi si vedrà. Anche i dotti e anziani cardinali sanno che la storia non si ferma davanti a un portone, nemmeno a quello di San Pietro, per loro è sufficiente cercare di distrarla un po’, ci penseranno altri ad affrontarla.

Qui l’articolo di Aurelio Mancuso.

Con l’arte l’Italia fa le fusa al Vaticano

Per riflettere e per chiedersi perché in Italia sembri sempre così difficile pensare ad una serena ma reale battaglia per la laicità nel suo senso più pieno che passa per una libertà più consistente della Chiesa senza strane e sgradevoli garanzie. Lo segnala Tomaso Montanari.

Ma che senso ha prendere un quadro degli Uffizi e spedirlo in una cittadina della provincia di Milano per ‘impreziosire’ la visita del papa, che vi si reca a celebrare la Giornata della Famiglia? Per la nostra classe politica (affetta da congenito e inguaribile analfabetismo figurativo) i musei sono ormai depositi di attrezzeria scenica di lusso, da tirar fuori a comando per abbellire i mitici ‘eventi’.
In un primo tempo era stato il celeste Formigoni a chiedere al pio Ornaghi di estrarre da Brera nientemeno che lo Sposalizio della Vergine di Raffaello. Ma una funzionaria coscienziosa aveva fatto notare all’ignaro ministro che si trattava di una tavola assai delicata, a cui forse non era il caso di far correre rischi inutili. Così il ministro aveva eroicamente ripiegato su un Correggio (nientemeno), che sarebbe dovuto andare alla Regione: poi lo yacht di Daccò deve aver fatto il miracolo che la Costituzione non era riuscita a fare, e nessuno aveva più osato attentare alla tutela dei quadri di Brera.
Ma lo spirito del tempo evidentemente esiste davvero, e qualche altro genio deve aver detto che era scandaloso accogliere il papa senza tirar fuori almeno una ‘chicca’. E qui (ma vado per congetture) immagino che il direttore degli Uffizi Antonio Natali (uno dei pochi funzionari Mibac con le idee chiare) sia riuscito ad evitare che partissero Giotto, Raffaello o Leonardo e abbia tirato fuori dal cappello la meravigliosa e da poco splendidamente restaurata Madonna della Gatta di Federico Barocci. Con una generosa lettura iconografica, dagli Uffizi spiegano che il tema del quadro è perfettamente consono al tema della giornata (“La famiglia, il lavoro, la festa”): Giuseppe che lascia gli strumenti del falegname per accogliere Elisabetta e Zaccaria che portano il piccolo Giovanni a trovare il cuginetto Gesù, nato da poco. Al centro del dipinto c’è poi la famosa gatta, intenta ad allattare i suoi piccoli. Sul web non si manca di far notare che Benedetto XVI ama particolarmente i gatti: e certo fargli trovare un quadro con San Paolo primo Eremita nutrito dal corvo sarebbe stata una vera cattiveria, vista la fauna attuale dei Sacri Palazzi.
In questo deprimente aneddoto dell’Italia della decadenza ci sono almeno due morali, una culturale e una costituzionale.
La prima è che i quadri non sono soprammobili. Pochi mesi fa uno storico della chiesa e un prelato hanno usato una Madonna di Giotto per «impreziosire l’anno Italia/Russia» (parole loro): in un incredibile misto di arroganza e ignoranza si trattano i testi sacri della storia culturale occidentale alla stregua di bigiotteria. Si suggerisce che forse Barocci dipinse la Madonna della Gatta in occasione della visita di Clemente VIII ad Urbino: e allora? Barocci era intimamente legato alla sua Urbino, che lasciava assai malvolentieri e il cui Palazzo Ducale ritrae in moltissimi dei suoi quadri. Che senso ha collegare quell’episodio (vero o falso che sia) all’idea di spedire oggi il quadro a Bresso? Quella storiella non avrebbe dovuto (semmai) suggerire che non bisognava spogliare gli Uffizi (che col papa a Bresso c’entrano come il cavolo a merenda), ma rivolgersi ad opere e tradizioni di quella terra (se proprio era necessario tirar fuori un quadro da un museo: e non lo era)?
La seconda è che, entrando nei musei, le opere del passato hanno perso la loro funzione originaria (politica, religiosa, familiare…) acquistandone una puramente culturale (forse più alta, forse più libera: certo diversa). Esse sono uscite dal flusso degli scambi economici: ora non sono più in vendita, e grazie alla Costituzione appartengono a tutti i cittadini italiani, e in maniera più lata a tutta l’umanità. Un cittadino italiano di fede musulmana, o semplicemente ateo, ha tutto il diritto di disapprovare il fatto che un ‘suo’ dipinto venga piegato e strumentalizzato nei rapporti tra il potere politico italiano attuale e il Vaticano. Oltre al fatto che avrebbe tutto il diritto di trovare quel quadro appeso al suo chiodo, agli Uffizi.
Lo giudicherei comunque culturalmente insensato, ma perché non è la Pinacoteca Vaticana a far dono ai cittadini italiani dell’esposizione di qualche sua poco visibile opera? Perché l’Italia non perde occasione per autorappresentarsi come una grande periferia della Città del Vaticano?
Come in questi giorni ci ricordano le tragiche immagini dell’Emilia, il nostro patrimonio è il tessuto vivo e indifeso della nostra identità: ed è su questo che dovrebbero concentrarsi le poche energie economiche e mentali. E invece preferiamo baloccarci con musei ridotti a location di sfilate di moda, o a forzieri da cui estrarre gemme per compiacere i piccoli e grandi potenti del momento.

Cluedo Vaticano

E’ stato il maggiordomo dunque. E ‘analisi migliore è di Galatea:

Quindi alla fine, dopo mesi di sospetti e di veleni, hanno scoperto che a trafugare documenti segreti e a diffondere voci incontrollate era il maggiordomo del Papa. Il maggiordomo, capite? Insomma, sono in Vaticano. E non sono nemmeno in grado di inventarsi un complotto come Dio comanda.

E in pochi hanno notato che nessuno metta in discussione la veridicità dei contenuti, comunque.

 

La svolta bianca

Sta tutta nella necrofilia politica di un segretario di Stato Vaticano che scambia la fede per credito politico e coltiva una risiera bipartisan dove appoggiare la cosa biancaVia Marsala 42 a Roma. Parrocchia salesiana del Sacro Cuore di Gesù. Una delle basiliche minori più vistose di Roma. Dalla vicina stazione Termini entrano alla spicciolata una quarantina di persone. Sono i partecipanti ad un incontro “riservato” sul dopo Berlusconi promosso dal Vaticano per capire cosa fare. Un vertice “segretissimo” cui prendono parte rappresentanti dell’associazionismo ma anche politici cattolici di maggioranza e opposizione: come Pisanu (Pdl) e Fioroni (Pd). Un summit voluto, però, dalla Segreteria di Stato. Il delirante resto si legge qui.