Vai al contenuto

vedono

Kamala Harris e la Palestina

Ci sono, tra le dichiarazioni della vicepresidente degli Usa, frasi che fanno accapponare la pelle a chi come noi ha a cuore i diritti dei palestinesi

Sì, certo, ci sono anche le ombre. Due giorni fa nel mio #Buongiorno mi permettevo di sottolineare come fosse un vento buono quello che ha portato alla vicepresidenza degli Usa una donna che ha una visione dei diritti completamente lontana da quella dei diritti negati secondo Donald Trump. E il dibattito si è infiammato: qualcuno giustamente fa notare a noi di Left che Kamala Harris è troppo poco progressista poiché molto vicina, anzi vicinissima a Hillary Clinton (come se una vittoria, ai tempi, di Hillary Clinton su Donald Trump non sarebbe stata comunque una buona notizia rispetto a quello che abbiamo vissuto), qualcuno sottolinea i diversi errori (e qualche omissione) di Kamala Harris nel suo ruolo di procuratrice (i 1.500 arrestati per reati legati al fumo di marjuana, ad esempio, oppure la proposta di mettere in prigione i genitori di bambini che registravano un elevato tasso di assenze scolastiche). Ed è tutto vero, verissimo. Vero anche che Kamala Harris sia parte integrante dell’establishment democratico. Mi permetto di credere però che se esponenti molto progressiste femministe vedono nella sua elezione un ulteriore passo in avanti verso la caduta del tetto di cristallo ci saranno delle buone ragioni.

È estremamente preoccupante anche la posizione di Kamala Harris sulla questione palestinese, con la Palestina che ancora una volta non vede una gran luce dalle elezioni americane (Israele è corso subito alla corte di Biden). Ci sono, tra le dichiarazioni di Kamala Harris, frasi che fanno accapponare la pelle a chi come noi ha a cuore i diritti dei palestinesi.

«L’ultima raffica di attacchi missilistici da Gaza contro israeliani innocenti non può essere tollerata: Israele ha il diritto di difendersi da questi orribili attacchi. Mi unisco agli altri nell’esortare contro un’ulteriore escalation», ha detto a JewishInsider il 15 novembre 2019. Sul fatto che Israele soddisfi o meno gli standard dei diritti umani: «Nel complesso, sì» ha detto al New York Times, 19 giugno 2019. E poi: «Per questo motivo sostengo fortemente l’assistenza alla sicurezza dell’America a Israele e mi impegno a rafforzare il rapporto americano di sicurezza e difesa israeliana… Credo che quando una qualsiasi organizzazione delegittima Israele, dobbiamo alzarci in piedi e parlare apertamente contro di essa. Israele deve essere trattato allo stesso modo, ed è per questo che la prima risoluzione che ho co-sponsorizzato come senatore degli Stati Uniti è stata quella di combattere i pregiudizi anti-israeliani alle Nazioni Unite e di affermare e riaffermare che gli Stati Uniti cercano una soluzione giusta, sicura e sostenibile per due Stati» (intervento al Comitato ebraico americano, 3 giugno 2019).

Le debolissime politiche di Biden sui diritti dei palestinesi sembrano avere trovato un ottimo appiglio in Kamala Harris. Purtroppo per noi e purtroppo per tutti quelli che tengono alla situazione mediorientale. Sarà un’altra presidenza americana dura dalle parti di Gaza, senza dubbio. E su questo ci sarà da lottare.

Poi, mi sia concesso, il profumo dell’assenza di Trump è una vittoria politica. Una vittoria breve? Può essere. Noi siamo qui proprio per questo, per osservare e informare, osservare e informare, osservare e informare.

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Che brutto Paese ha in testa Bonomi

Lavoro, scuola, sanità: la visione dell’Italia del futuro proposta da Confindustria. E com’è? Pessima, disuguale e sempre più precaria

Sempre lui: Carlo Bonomi, il turbopresidente di Confindustria, quello che almeno ha il coraggio di non nascondere di odiare i poveri, quello che difende a oltranza i capitalisti che fanno i capitalisti con i capitali degli altri (quelli pubblici) e che chiama lo stato sociale “assistenzialismo” per racimolare applausi gaudenti. Ne abbiamo scritto lungamente nel numero di Left del 9 ottobre e ora Bonomi torna alla ribalta presentando un bel tomo di 385 pagine dal goloso titolo Il coraggio del futuro in cui non si limita a rappresentare gli industriali ma addirittura propone la visione del Paese del futuro, con la sua solita innata modestia.

E com’è l’Italia vista da Confindustria? Pessima, disuguale e sempre più precaria. Partiamo dal lavoro: dice Bonomi di volere un «mercato del lavoro più libero e leggero» che in sostanza si traduce in licenziamenti più facili, facendo sempre meno ricorso al giudice del lavoro e sostituendo i diritti con compensazioni economiche. Soldi, soldi, soldi, siamo sempre lì: i diritti si comprano, come al mercato. Eccola la visione. Ma la chicca sul mondo del lavoro sta lì dove Confindustria spiega che «occorre avere il coraggio di affrontare in modo equilibrato anche il tema dei licenziamenti per motivi oggettivi, in modo tale che non costituiscano più un evento traumatico ma possano essere vissuti dal lavoratore in un quadro di garanzie tali da renderlo un possibile momento fisiologico della vita lavorativa». Chiaro? Allevare una nuova generazione di lavoratori sempre pronti a essere licenziati. È la turboprecarietà come ricetta per rilanciare l’economia. Roba da pelle d’oca. E non è tutto: «lo smart working può essere un terreno ideale per portare avanti questa maturazione culturale che chiede di “essere” partecipativi: non è certamente foriero di risultati stabili pensare la partecipazione in termini di “avere” – cioè ottenere attraverso la contrattazione – se poi la mentalità di fondo è e rimane quella antagonista», scrive Confindustria. In sostanza i lavoratori maturi sono quelli che non avanzano pretese. A posto così.

Poi c’è il sogno di Confindustria e di Bonomi: il lavoro a cottimo. Però le argute menti degli industriali chiamano il lavoro a cottimo “purezza”. Scrivono infatti: «Occorre disciplinare questo rapporto non restando rigidamente ancorati a tutte le caratteristiche del contratto di lavoro classico, connotato da uno spazio e da un tempo di lavoro. Serve una regolamentazione che consenta, da un lato, di vedere il lavoro “in purezza” come creatività, sempre più orientato al risultato, e, dall’altro, di remunerarlo per il contributo che porta all’impresa nel processo di creazione del valore». Fenomenale l’idea di cancellare anni di lotte sindacali e sociali, non c’è che dire.

Poi c’è la scuola, che Bonomi e i suoi associati vedono unicamente (ma va?) come fabbrica per produrre lavoratori, mica persone. Per farlo addirittura scomodano il vecchio (e fallimentare) pensiero dell’homo faber. Scrive Confindustria: «il sapere, il saper fare, il saper essere insiti nelle risorse umane, combinati insieme, influiscono positivamente sulla produttività del lavoro a livello di singola azienda e, per aggregazioni successive, innalzano il potenziale di crescita del sistema nel suo complesso». La scuola come fabbrica (di Stato) che produce lavoratori in serie, mica persone.

E poi la sanità. Sanità che per Confindustria non significa “salute” ma mera economia. Si legge: «è necessario misurare gli effetti delle politiche sanitarie in base al loro impatto sulla struttura industriale (occupazione e produzione) e sulla capacità di attrarre investimenti (…) Occorre valutare le prestazioni, non solo in base al costo, ma anche al rendimento, quindi ai risultati generati, che nel caso della sanità sono di natura clinica, scientifica, sociale, ma anche economica. Abbandonare modelli di gestione che non tengono conto delle forti interazioni nei percorsi di cura e determinano costi molto elevati per le imprese, a danno dell’innovazione e della sostenibilità industriale». Una salute che Bonomi vede sempre più verso il privato (ma va?) e che addirittura viene rivenduta ai dipendenti dalle aziende come pacchetti di welfare.

E questo è solo un assaggio.

Buon martedì.

Per approfondire: Left del 9-15 ottobre 2020

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Li vedono i mezzi pubblici? (E le tre T)

Dunque il governo si sta preparando a emanare regole più stringenti per l’incremento di casi di positivi al Covid e per frenare l’aumento dei contagi. La nuova convivenza con il virus, lo sapevamo, ci costringerà ancora per un bel po’ a stringere e allargare le maglie dei nostri comportamenti per riuscire a convivere con il virus. È inevitabile, lo sapevamo. Chi finge di essere stato colto impreparato dal ritorno del virus probabilmente non ha letto un giornale negli ultimi sei mesi, chi sperava che il virus fosse scomparso è un fatalista piuttosto pericoloso se si ritrova in un ruolo di governo.

Ora, vedrete, ripartirà la caccia all’untore, che infatti comincia a puntare sui bar, sul calcetto e sulle feste private. Manca però un particolare che non è di poco conto: non si capisce, e non ci dicono, quale sia il reale peso dei contagi in queste circostanze e forse una comunicazione più chiara aiuterebbe anche un’informazione meno basata sulla paura che di certo non aiuta, no.

C’è però un punto che sembra essere scomparso dal radar del dibattito pubblico e che continua a martellarmi in testa: ma li vedono i mezzi pubblici? Li vedono i mezzi che portano i ragazzi a scuola (quelli che vengono additati come colpevoli per gli assembramenti poi ma di entrare in classe ma hanno viaggiato tutti belli assembrati per arrivare fin lì)? Li vedono i mezzi dei lavoratori che tutte le mattine si spostano per andare sul posto di lavoro? Le immagini sono centinaia e si moltiplicano ogni giorno: tram, metropolitane, treni che sono fuori da qualsiasi norma perfino di buonsenso, gente accalcata che si infila in carrozze strapiene per non perdere l’orario di ingresso al lavoro.

La sottosegretaria ala Salute Sandra Zampa l’ha detto a chiare lettere in un’intervista a La Stampa: «Fissare all’80% il limite massimo di capienza dei bus è stato rischioso. Avere una soglia così alta, senza un controllo effettivo a bordo, vuol dire lasciare la possibilità che si arrivi facilmente a mezzi pubblici pieni al 100%». Per questo propone di abbassare la capienza massima dei mezzi pubblici al 50% e di utilizzare i guanti. Tutto benissimo, per carità: ma se ora sono strapieni e le corse non vengono aumentate come farà la gente ad andare a lavorare o a scuola? Questo è il tema.

Poi c’è la vecchia storia delle tre T (tamponi, tracciamento e trattamento) che sembra fare acqua in più di qualche regione. L’ex candidato alla Regione Liguria Ferruccio Sansa racconta sul suo profilo Facebook la sua esperienza con un figlio positivo: «Alla fine per avvertire i miei contatti ho dovuto fare un post su Facebook. Altro che Immuni. Altro che tracciamento. Vi promettono che tracciano i contatti dei malati: balle. Vi raccontano che useranno Immuni: fantascienza. Vi dicono che vi seguiranno mentre siete malati a casa: aspetta e spera». E aggiunge: «Consola sapere che altre centinaia di persone in Liguria oggi sono nella nostra stessa situazione. Nella stessa solitudine. Gente che non fa il calciatore e non può fare migliaia di tamponi ogni weekend. Gente che non si chiama Trump, Berlusconi o Briatore e sa di poter contare su scorte di remdesivir come Dom Perignon. Ma se io faccio un post magari qualcuno interviene. In fondo conosco medici e pneumologi per i casi di emergenza. Ma tanti altri che sono davvero soli che cosa possono fare? È tanto diverso il Covid visto da un letto se per dire che stai male devi usare Facebook».

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Esclusivo TPI – Beppe Sala risponde alla lettera del M5S: “Dialoghiamo per la Milano del futuro”

TPI pubblica in esclusiva la lettera scritta dal sindaco di Milano, Beppe Sala, in risposta a Massimo De Rosa, capogruppo del Movimento 5 Stelle lombardo, che ieri – sempre in esclusiva su TPI – aveva a sua volta indirizzato una lettera al primo cittadino milanese in cui auspicava un confronto sui programmi per combattere insieme le destre.

La lettera del M5S lombardo muoveva dalle dichiarazioni fatte nei giorni scorsi da Sala sui Cinque Stelle (li aveva definiti “poco competenti“). Nel 2021 nel capoluogo lombardo si terranno le comunali e proprio qualche mese fa il sindaco di Milano aveva incontrato il garante del Movimento Beppe Grillo.

Esclusivo TPI – La lettera di Beppe Sala al M5S lombardo

“Caro Massimo,
ho letto con attenzione la tua lettera. Il Movimento 5 Stelle è un soggetto vivo, complesso e variegato. L’altro giorno, quando ho fatto riferimento al tema delle competenze, ho semplicemente sottolineato che i milanesi le apprezzano e le pretendono dalla politica, ma non intendevo certo denigrare o sottovalutare un movimento giovane che sta facendo esperienze importanti e passi in avanti nella formazione dei suoi gruppi dirigenti.

Come sai, ho sempre guardato con rispetto la strada intrapresa dal Movimento 5 Stelle e non è un mistero che già in tempi non sospetti io auspicassi un dialogo virtuoso tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle. Lo dicevo proprio perché ero consapevole che su tanti temi l’elettorato di sinistra e una parte consistente dell’elettorato del Movimento si “parlassero” già, tanto da essere spesso vicini e persino coincidenti. Condivido ciò che dici sulle competenze: esse passano sicuramente dalle battaglie che si fanno, ma anche dalle esperienze e dalle capacità personali, che si formano nel percorso di vita di ciascuno di noi.

Noi riteniamo di avere le idee chiare sulla Milano del futuro, ma ciò non toglie che vogliamo confrontarci rispetto alla costruzione di una città policentrica e in continuo dialogo con le metropoli europee, una città che valorizzi sempre di più il lavoro e che accompagni, con azioni coraggiose e di medio-lungo periodo, la transizione ambientale e la transizione digitale. La nostra amministrazione in questi anni è andata in questa direzione.

Su questi argomenti come su tanti altri ascolterò con piacere le vostre proposte. Confrontiamoci, come peraltro spesso già avviene in Consiglio Comunale, per il bene della città, anche se non siamo parte della stessa coalizione.

Parliamoci, pubblicamente, sui tanti temi che riguardano il futuro dei milanesi. Dialoghiamo, consapevoli delle differenze e dei rispettivi ruoli ma anche dei punti e valori che ci vedono uniti: questo sarà davvero utile per la nostra città, più che ogni discussione a tavolino sulle alleanze elettorali”.

Leggi anche: 1. Esclusivo TPI – Milano, la lettera del M5S a Sala: “Confrontiamoci sui programmi contro le destre”; // 2. L’unico governo oggi possibile (di Giulio Gambino)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Castra la Casta

Il governo del fare ha risolto tutti i nostri problemi. Finalmente. C’è voluto tempo ma hanno trovato finalmente la soluzione a tutti i nostri mali. Per risollevare il Paese bastava tagliare i parlamentari. E in effetti il risparmio è notevole e ora davvero le casse dello Stato possono stare tranquille: parliamo dello 0,0000258% del Pil nazionale. Su uno stipendio di mille euro da domani tutti avranno in tasca 2 euro e 58 centesimi in più. Si prevedono ingenti investimenti e un appuntito rilancio dei consumi e delle assunzioni. Era ora.

Certo ora rimane semplicemente da studiare una riforma elettorale che garantisca la rappresentatività di tutti i cittadini, di tutte le zone d’Italia. Bisogna semplicemente ridisegnare l’architettura parlamentare perché tutte le opinioni possano avere la possibilità di avere voce. Ma è una cosa da poco: questi hanno dimostrato di essere dei geni di leggi elettorali e di contrappesi democratici. Niente di cui preoccuparsi, quindi.

Poi ci sarebbe da capire come assicurare le pensioni a una generazione che le vede come una chimera, senza mandare in fallimento lo Stato. Ma ci penseremo con calma.

C’è da ristrutturare il mondo della scuola che chiede la carta igienica da casa. Ma con due euro in tasca in più per ognuno di noi vedrete che in giro si troverà qualche buona offerta.

Ci sarebbe da rimpinguare una sanità pubblica ormai allo sbando e senza abbastanza medici per coprire il fabbisogno futuro. Ma vuoi mettere la soddisfazione di ammalarti con il Parlamento dimezzato?

Ci sarebbe anche da discutere del fatto che di questo passo nel pianeta Terra non ci sarà più il clima per avere un Parlamento. Ma non ha senso inseguire gli allarmi della scienza. Dai, su.

Ci sarebbe anche un mondo del lavoro che diventa sempre più stretto, sempre più povero e sempre assassino. Ma non è elegante parlare di soldi, no.

Comunque abbiamo risparmiato 2 euro a testa. Per chi dice che l’importante è iniziare da qualche parte: vero, tipo dimezzare gli stipendi dei parlamentari, ad esempio solo per non citare corruzione, mafie, malaffare e evasione fiscale delle multinazionali, che diventa troppo complicato.

Solo che di questi argomenti non è il caso di parlarne ora che c’è in ballo il referendum. La soddisfazione di colpire la casta è un’occasione imperdibile, e chi ce lo dice? Loro, loro stessi. Come se ammettessero di essere in troppi troppo incapaci e chiedessero a noi di intervenire riducendo il coefficiente di probabilità che vengano eletti degli idioti. Qualcuno potrebbe sommessamente fare notare che dovrebbero essere loro, quelli che ci dicono sì, a occuparsi di selezione della classe dirigente. Ma è un discorso troppo lungo, troppo difficile, troppo da professoroni.

E allora via: un bel referendum per tagliare il Parlamento e al resto ci penseremo dopo. Un po’ come quelli che tolgono l’ascensore prima di avere pensato di costruire le scale. Ma vuoi mettere che risparmio, non avere l’ascensore.

Noi qui a Left abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza con un ebook che trovate qui.

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Ora attenzione ai restauratori e ai roditori

Ci sono 209 miliardi sul piatto. Piaccia o non piaccia Giuseppe Conte ha fatto ciò che doveva fare e ha ottenuto ciò che doveva ottenere mentre l’Europa si è dimostrata all’altezza della situazione. L’Italia avrà 146 miliardi nei prossimi due anni e i restanti 63 miliardi arriveranno nel 2023. In mezzo ci sono da fare le riforme che l’Europa chiede da tempo e c’è da dimostrare competenza e intelligenza sulla gestione dei soldi. I precedenti non fanno ben sperare ma augurarsi il malaugurio non è una mossa intelligente.

Fantastica la reazione dell’opposizione (se così si può chiamare un centrodestra in cui ormai ognuno va per conto suo sempre intento a mangiarsi il suo alleato più vicino): Giorgia Meloni dice che si doveva fare “di più” (di più di cosa non si capisce e come si avrebbe dovuto fare non si capisce nemmeno), Salvini è praticamente impazzito accusato perfino dai suoi di essersi impegnato in panzerotti e mozzarelle mentre quelli in Europa trattavano e Berlusconi invece invoca addirittura il Mes segnato una distanza siderale rispetto alla Lega. Il caos che regna da quelle parti non si vedeva da mesi: l’opposizione è senza leader per troppo affollamento di presunti leader. A posto così.

Decidere come spendere i soldi è politica: le priorità, le promesse, gli obbiettivi e le visioni si vedono nella ripartizione dei capitoli di spesa. Non si può promettere attenzione a un settore a parole e senza finanziamenti. La ripartizione di questi soldi sarà la carta di identità di questo governo. Ma c’è un rischio, anzi due, dietro l’angolo: i restauratori e i roditori.

Dei restauratori ne abbiamo lungamente parlato nel numero di Left in edicola: sono quelli che di tutta questa storia vedono solo una marea di soldi da poter usare per i propri interessi personali, per le proprie prebende e per potere accontentare i propri gruppi di potere. L’Italia, nelle sue classi dirigenti e nelle sue lobby, è un Paese che è cambiato molto meno dei governi che si sono succeduti e l’idea di un largo governo nazionale nasconde la voglia dei soliti noti di poter mettere mani su quei soldi. Questi vorrebbero sembrare conservatori e invece sono arraffatori, semplicemente.

Attenzione anche ai roditori: sono quelli incapaci di piantare alberi che vivono per creare buchi sugli alberi degli altri e rivendere come vittorie le disfatte altrui. Non serve nemmeno fare i nomi. Anche di questo ne abbiamo parlato in un buongiorno di qualche giorno fa.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Piccolo manuale di discontinuità

Rispetto ai disperati che stanno in mezzo al Mediterraneo e che vengono torturati in Libia, rispetto agli schiavi che lavorano nei campi, rispetto all’Egitto, non basta dire di essere discontinui, bisogna agire in modo differente (se non addirittura opposto) rispetto al governo precedente

Per essere discontinui non basta dirlo, non basta ripeterlo, non basta annunciarlo. Quello vi rende annunciatori e, alla lunga, ipocriti. Per essere discontinui bisogna agire in modo differente (se non addirittura opposto) rispetto al governo precedente. Il resto sono moine da narrazione tossica.

Essere discontinui rientra nel campo del fare e non in quello del dire: se volete tenere un atteggiamento diverso rispetto ai diritti dei disperati che stanno in mezzo al Mediterraneo e che vengono torturati in Libia non basta (vi do questa terribile notizia) trattenersi dal dire che devono essere affondati, no. Bisogna tenere un atteggiamento diverso rispetto ai diritti dei disperati che stanno in mezzo al Mediterraneo e che vengono torturati in Libia. Sembra facile ma evidentemente vi sfugge.

Per essere discontinui non si può attaccare il proprio avversario politico perché ha lasciato una barca in mezzo al mare e poi lasciare una barca in mezzo al mare. Lo capirebbe perfino un fesso. E infatti lo sta capendo benissimo anche quello che prima contestavate a gran voce, e lo sta dicendo in giro.

Per essere discontinui non bisogna andare a teatro e al cinema per mostrare la differenza rispetto a quelli che vedono come massima espressione culturale la sagra della salsiccia. Per essere discontinui bisogna aiutare il teatro e il cinema e tutte le persone che ci lavorano. Tra l’altro, a bene vedere, è un mondo che non ha proprio bisogno di testimonial, di quelli ne ha in abbondanza.

Per essere discontinui non basta dire “adesso che ci siamo noi con l’Egitto cambia tutto” ma bisogna fare in modo che cambi qualcosa, se non tutto, con l’Egitto. Anche questa sembra banale ma pare sfuggire ai piani alti del governo.

Per essere discontinui non basta dire che fanno schifo i caporali sporchi e cattivi che schiavizzano le persone nei campi ma bisogna sostenere gli schiavi che lavorano nei campi.

Per essere discontinui bisogna avere il coraggio di essere diversi, ma diversi davvero, e per essere diversi bisogna avere il coraggio di parlare a quelli che non si sono sentiti rappresentati nel governo precedente. Badate bene: fare più o meno quello che facevano gli altri ma con buone maniere vi rende al massimo educati, mica discontinui

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Uomini incompiuti (solo dopo, separati)

Un esempio fulgido l’abbiamo avuto con il titolo de Il Mattino. I fatti, intanto: Mario Bressi decide di punire la moglie che ha deciso di lasciarlo uccidendo i loro due figli e togliendosi la vita. Un infanticidio che in fondo è un femminicidio ancora più vigliacco: uccidere i figli per condannare una moglie è un gesto che nasconde tutta la ferocia possibile. Bressi prima di compiere il suo gesto, nella perfetta premeditazione di chi vuole provocare l’inferno, ha anche scritto alla ex moglie.

Torniamo al titolo de Il Mattino: «Il dramma dei papà separati», titolano piuttosto stupidamente. Ovviamente la narrazione è sempre la stessa, quella patriarcale dell’uomo ferito che viene giudicato per il suo dolore come se potesse essere una giustificazione. I figli ammazzati alla fine sono colpa della donna, ovviamente.

Si alza lo sdegno e Il Mattino ci riprova, corregge e scrive «Devastato dalla separazione» dimostrando che la stupidità è banale ma è anche soprattutto ripetitiva. Vengono sommersi ancora una volta dagli insulti, ci riprovano: «Papà separato, ha ucciso i figli nel sonno» dimostrando di non capirci proprio niente.

C’è solo il dramma dell’uomo, del forte, del padrone che ha deciso di togliere i figli per rivendicarne il possesso dopo avere perso il possesso della moglie. Non esistono i drammi dei bambini uccisi nel sonno, non uccide la distruzione di una madre punita in un modo così orribile. Niente. Tutti gli altri dolori che non siano quelli del maschio sono effetti collaterali tristi, certo, ma solo consequenziali.

E in fondo si tratta sempre degli stessi stoltissimi maschi, quelli costruiti in serie secondo le logiche peggiori della fallocrazia, quelli che vengono lasciati e non si chiedono mai cosa hanno sbagliato ma che trovano comodo, vigliacchi come sono, dire che lei “ha rovinato la famiglia”, che lei “si è venduta per un pompino”, che lei la rovineranno, gliela faranno pagare e sono felici solo la vedono sola, povera e pazza.

Sono uomini che non hanno fatto i conti con se stessi, incapaci di vedersi completi al di là della punta del proprio organo riproduttivo (su cui sono solitamente fissati) e che non transigono sul fatto di potere avere di fianco persone che si autodeterminano con le proprie scelte. Uomini che di facciata sembrano puliti e che spesso hanno mostri pelosi (che le loro ex mogli hanno provato a curare).

Non parliamo del dramma di padri separati (e ce ne sono tanti anche di padri separati che vivono drammi veri, senza bisogno di arrivare all’omicidio) quando ci sono di mezzo assassini. Il dramma vero è quello di certo giornalismo che si appiattisce sulla banalità del male. E come sono ripetitivi e banali tutti questi fallocrati che cercano la giustificazione per giustificare l’ingiustificabile. Mentre il bene, al contrario, si rinnova ogni giorno, si sceglie tutti i giorni e si reinventa se serve per non soffocare.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Bel colpo, Djokovic

Il campione serbo, idolo dei No vax per le sue uscite antiscientiste, è l’ottava vittima del focolaio di coronavirus acceso dall’Adria Cup, il torneo da lui stesso organizzato a Belgrado e Zara senza rispettare le norme anti Covid

«Sono contrario alla vaccinazione contro il coronavirus e non vorrei essere costretto a vaccinarmi per poter viaggiare: se dovesse diventare obbligatorio, dovrei prendere una decisione».

E poi.

«Se hai pensieri ed emozioni specifiche, nel caso siano pensieri felici, buoni pensieri, questi creano una struttura molecolare che ha un geoprisma basato sulla geometria sacra, il che significa che c’è equilibrio. Al contrario, quando si dà all’acqua dolore, paura, frustrazione o rabbia, quell’acqua si rompe».

Parole, opere e omissione del numero 1 al mondo, il tennista Novak Djokovic che dei No vax è diventato l’idolo perché evidentemente da quelle parti sapere giocare a tennis dà la patente per essere ottimi virologi.

Peccato che Djokovic abbia poi deciso di organizzare perfino un torneo di tennis, l’Adria Tour, fottendosene altamente di tutte le precauzioni che tutto il mondo sta mettendo in atto per il Covid. Che c’è di meglio che esibire il proprio coraggio contro il virus con un bel torneo tra amici. In tutto questo il tennista è anche stato pescato mentre festeggiava con altri tennisti in una discoteca serba. Nel filmato si vedono lo stesso Djokovic, assieme a Dominic Thiem, Alexander Zverev e Grigor Dimitrov al Lafayette cuisine cabaret club di Belgrado.

Perfetto: Novak Djokovic ha il coronavirus. Anche la moglie Jelena è risultata positiva al tampone. Tra domenica e lunedì anche i tennisti Grigor Dimitrov, Viktor Troicki e Borna Coric sono risultati positivi al Covid. Contagiati anche Kristijan Groh, allenatore che fa parte del team di Dimitrov, Marco Panichi, preparatore atletico italiano di Djokovic, e la moglie di Troicki, incinta.

La conclusione migliore è del presidente dell’Atp Andrea Gaudenzi al New York Times: «Questa situazione è come quando dici ai tuoi figli che per imparare ad andare in bicicletta devono indossare un casco. Ti dicono di no. Poi vanno in bicicletta, cadono e da lì iniziano a indossare il casco».

Bel colpo, Novak.

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Tante promesse per nulla

Niente, gli è andata male anche questa: Salvini ci teneva così tanto a fare il martire per il suo processo che avrebbe dovuto cominciare il prossimo 4 luglio, quello che lo vede imputato per sequestro di persona per il cosiddetto “caso Gregoretti” quando 131 migranti rimasero per quattro giorni su una nave militare italiana prima dello sbarco ad Augusta il 31 luglio del 2019. Ci teneva moltissimo Salvini perché avrebbe potuto mettere in scena la trama del povero perseguitato che viene messo all’angolo dalla magistratura cercando un legame (che non c’è) con la vicenda delle orrende intercettazioni del magistrato Palamara. E invece niente. «C’è mezza Italia ferma però mi è arrivata una convocazione a Catania per il 4 luglio», aveva dichiarato il leader leghista e invece il presidente dell’ufficio del giudice dell’udienza preliminare Nunzio Sarpietro è stato costretto al rinvio: «I nostri ruoli sono stati travolti dallo stop per l’emergenza coronavirus, ci sono migliaia di processi rinviati che hanno precedenza e ho dovuto spostare l’inizio del processo che vede imputato il senatore Salvini ad ottobre», spiega. E anche sui dubbi di un processo ingiusto Sarpietro tranquillizza l’ex ministro: «Stia tranquillo il senatore Salvini, avrà un processo equo, giusto e imparziale come tutti i cittadini. Né io né nessun giudice che si è occupato di questo fascicolo abbiamo nulla a che spartire con Palamara. E sono d’accordo con lui: quelle intercettazioni tra magistrati sono una vergogna».

Tutto fermo, quindi e niente scontro giudiziario come quelli che piacciono così tanto al centrodestra eppure l’ombra di Salvini, al di là delle vicende processuali, continua a pesare su questo governo e a essere un macigno per questo centro sinistra che si ritrova alleato con gli stessi alleati che furono di Salvini, con lo stesso presidente del Consiglio che celebrò proprio i decreti sicurezza e con un’aria stagnante per quello che riguarda il futuro prossimo sul tema. “Discontinuità”, avevano promesso proprio all’inizio del Conte bis. In molti si ricordano che le due leggi estremamente restrittive sull’immigrazione furono ampiamente contestate da buona parte del Partito democratico, in molti si ricordano le promesse che furono fatte e poi ripetute e in molti si ricordano che furono proprio i maggiorenti democratici a dirci di stare tranquilli che sarebbe cambiato tutto e che si sarebbe cancellato presto quell’abominio. Niente di niente. I decreti sicurezza sono lì e dopo otto mesi non sono stati cambiati. Non sono nemmeno state apportate le modifiche che addirittura il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva chiesto in una sua comunicazione ufficiale. E se è vero che il numero di persone che cercano di attraversare il Mediterraneo è diminuito in questi primi mesi dell’anno è altresì vero che dopo la pandemia sicuramente ci si ritroverà di fronte allo stesso identico problema, con le stesse identiche strumentalizzazioni di Salvini (e della ringalluzzita Meloni) e ancora una volta si assisterà al cortocircuito del governo che tiene insieme quelli che andavano a visitare le barche tenute alla deriva di Salvini e quegli stessi che con Salvini definivano «taxi del mare» le navi delle Ong. Sono diverse le proposte di modifica depositate nei mesi: la riduzione delle multe che i decreti prevedono per le navi Ong impegnate nei salvataggi in mare (su cui anche Mattarella aveva avuto da ridire), il ripristino di alcune forme di protezione internazionale per rendere più facile la regolarizzazione delle persone sbarcate nonché maggiori investimenti nel sistema di accoglienza diffusa, quella che ha sempre funzionato meglio coinvolgendo piccoli gruppi in piccole strutture sparse sul territorio italiano. Niente di niente. Rimane solo qualche parola delle poche interviste rilasciate dalla ministra dell’Interno Lamorgese, l’ultima all’inizio di questa settimana, che ha più volte ripetuto di non essere favorevole allo stravolgimento delle leggi. A posto così. Figuratevi, tra l’altro, se in un contesto del genere si possa anche solo lontanamente parlare di ius soli o di ius culturae che erano altri capisaldi di una certa sinistra progressista che urlava ad alto volume contro Salvini e che ora si è inabissata in un penoso silenzio.

Ma è rimasto tutto fermo? No, no, è andata addirittura peggio di così: all’inizio di aprile il governo ha stabilito che i porti italiani non possono più essere definiti “porti sicuri” per le persone soccorse in mare e di nazionalità diversa da quella italiana, di fatto impedendo l’accesso delle navi delle Ong, riuscendo nel capolavoro di fare ciò che nemmeno Salvini era riuscito a fare con tutte le carte a posto. Nonostante la sanatoria approvata dal Consiglio dei ministri per rimpinzare di braccia i campi dell’ortofrutticolo e per garantire l’ingrasso della grande distribuzione il governo non ha nemmeno trovato il tempo di rivedere la legge Bossi-Fini del 2002 che di fatto rende impossibile trovare lavoro regolare per qualsiasi straniero extra comunitario. A metà dello scorso aprile dodici persone sono morte per sete e per annegamento (mentre altre cinquantuno sono state riportate nei lager libici) e anche l’indignazione per i morti sembra ormai essersi rarefatta. Il giornalista Francesco Cundari il 18 aprile ha colto perfettamente il punto: «Il governo ha abbandonato anche quel minimo di ipocrisia che ancora consentiva di accreditare una qualche differenza, almeno di principio, tra le parole d’ordine di Matteo Salvini e la linea della nuova maggioranza in tema di immigrazione, sicurezza e diritti umani», ha scritto per Linkiesta. Ed è proprio così: ormai la sinistra non finge nemmeno più di essere sinistra e spera solo che non si sollevi troppa polemica. Tutto si trascina in un desolante silenzio spezzato solo dalle inascoltate parole di qualche associazione umanitaria e dalla interrogazione parlamentare di Rossella Muroni sui respingimenti illegali, di cui leggerete nell’inchiesta di Leonardo Filippi che apre questo numero. Mentre in Parlamento ci si inginocchia in memoria di George Floyd qui ci si dimentica di quelli che senza ginocchio si riempiono i polmoni d’acqua per i criminali accordi che l’Italia continua a sostenere con la Libia e ci si dimentica di quelli che muoiono nelle baracche di qualche borgo di fortuna per schiavi.

Poi, in tutto questo, vedrete che arriverà il tempo in cui Salvini tornerà a fare il Salvini e tutti si mostreranno stupiti, ci diranno che vogliono fare tutto e che vogliono farlo presto e intanto sarà troppo tardi, intanto la gente muore, intanto gli elettori si allontanano e si ricomincia di nuovo daccapo.

L’editoriale è tratto da Left in edicola dal 19 giugno

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.