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vincenzo marcianò

‘Ndrangheta a Imperia: merde in gabbia

“È meglio se da qui non mi fate più uscire, perché se esco vi taglio la gola a tutti”. Vincenzo Marcianò, il figlio intemperante del presunto boss della ‘ndrangheta di Ventimiglia, Peppino Marcianò, non è nuovo a sparate del genere e quando oggi, il tribunale di Imperia lo ha condannato, insieme al padre, rispettivamente a 13 e 16 anni, ha inveito contro la corte: “Ti sei venduto il processo. Sei un coso lordo – ha imprecato contro il presidente del collegio giudicante, Paolo Luppi-. Sei un infame. Ti sei messo d’accordo con il pm. L’homo sapiens! Sa tutto lui!”

La sentenza è storica: per la prima volta un tribunale ligure ha sancito l’esistenza di un’organizzazione mafiosa dislocata sul territorio, dopo anni di inchieste (Roccaforte, Colpo della Strega, Spi.Ga, Maglio e Maglio 3, Crimine, e infine non a caso quella soprannominata La Svolta) che coinvolgevano gli stessi personaggi, senza mai riuscire a portare a casa il risultato in sede giudiziaria.

Associazione mafiosa per dodici degli imputati, fra i quali, Peppino Marcianò, condannato a 16 anni e Antonio Palamara, da alcuni collaboratori di giustizia indicato come il vero capo di Ventimiglia e, per questo, condannato a 14 anni. Tredici anni, per Vincenzo, Marcianò, figlio di Peppino e 7 anni e sei mesi al suo omonimo, nato nel ’48. Sette anni ad Annunziato Roldi ed Ettore Castellana, colpevoli dell’attentato intimidatorio ai danni dell’imprenditore Piergiorgio Parodi. Condanne pesanti anche per i fratelli Pellegrino, già implicati anche in altri processi: 16 anni per Maurizio e 10 anni e sei mesi per Giovanni e Roberto.

Condanne che, se non hanno accolto in pieno le richieste del pm, Giovanni Arena, (che era arrivato a chiedere fino a 22 anni) hanno comunque accolto la sua tesi. Con la sola e importante eccezione degli apporti politici. Assolti, infatti, ai sensi dell’articolo 530 del codice penale, l’ex sindaco di Ventimiglia Gaetano Scullino e il suo city manager, Marco Prestileo. Secondo l’accusa decaduta, i due avrebbero agevolato la cooperativa Marvon, controllata da Marcianò, nell’assegnazione di alcuni appalti attraverso la controllata comunale Civitas. Resta il fatto inquietante che, la notte dopo la deposizione in tribunale di Marco Prestileo, l’auto intestata alla moglie ha preso fuoco, in quella che oramai viene definita la “Riviera dei fuochi”.

Nonostante le condanne pesanti, la situazione in aula si era mantenuta accettabile (solo il grido di dolore della madre dei fratelli Pellegrino) fino alla lettura del dispositivo di risarcimento alle parti civili: 600mila euro al comune di Ventimiglia, e 400mila a quello di Bordighera. La richiesta dei danni, insieme con la con la confisca dei beni alla famiglia Pellegrino, ha dato fuoco alle micce: “Ecco dove volevate arrivare. A prendervi i nostri soldi” – è sbottato il solito Vincenzo. Da lì è stato un crescendo di minacce e tentativi di uscire dalla gabba, fino al rifiuto di essere condotti fuori in manette, perché – ha spiegato uno dei detenuti – noi siamo gente onesta e vogliamo rispetto”.

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