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Violenza

La violenza sulle donne (e il populismo)

Il fulcro del problema risiede nella mancata consapevolezza che non si sta parlando semplicemente di reati, bensì di violazioni di diritti umani, che si insinuano laddove non vi è un tessuto sociale in grado di respingerli.

Non è sufficiente un Ministero per le pari opportunità se queste istanze non sono inserite tra le priorità dell’agenda politica dei nostri amministratori e dei nostri partiti politici. Non è sufficiente una legge sullo stalking se non si sostengono le donne che trovano il coraggio di denunciare.

È, allora, necessaria una seria formazione per le forze dell’ordine che, spesso, sono il canale di denuncia delle vittime di violenza. È utile un reale aiuto psicologico ed economico, che non si perda nelle pieghe della burocrazia e della solidarietà.

Appare imprescindibile un serio lavoro sul tessuto sociale e questo deve essere compito delle associazioni, dei sindacati, dei partiti e di ogni singolo cittadino. Dobbiamo chiedere con forza che il problema della violenza sulle donne rientri in un serio programma politico e non possiamo attendere che, ancora una volta, forze reazionarie si impossessino strumentalmente di questa battaglia.

Avere lo spessore culturale per affrontare il problema: questo è il nodo. In Regione Lombardia seguiamo la legge anti violenza che abbiamo voluto con forza ma la strada è lunga. Ne parla Odetta Melazzini nel suo post sul sito di NonMiFermo.

La mattanza delle donne

Di solito a botte o a coltellate, quasi sempre per mano di mariti, fidanzati o ex. In Italia c’è una vittima ogni tre giorni, e va sempre peggio.

Se Laura sappia o meno che l’omicidio è la causa principale di morte per le donne, non glielo leggi in faccia. Quello che vedi chiaramente invece, mentre racconta l’incubo di quasi dieci anni di violenze subite da parte del marito, è il sollievo per esserne uscita. Perché, alla fine, quel che resta non sono le botte, ma la consapevolezza di essersi ripresi la propria vita. 

Certo, c’è pure la paura che l’epilogo della storia potesse essere diverso, come è stato per Stefania Noce, attivista 24enne di “Se Non Ora Quando” di Catania, accoltellata dal fidanzato che non si rassegnava ad essere ex. Anche per Maura Carta le cose sono andate diversamente, presa a pugni fino ad essere uccisa dal figlio schizofrenico, una delle 19 vittime dall’inizio dell’anno al 15 febbraio. 

E se i numeri sono questi, non c’è da aspettarsi niente di buono per il 2012, “considerando anche il fatto – sottolinea Cristina Karadole dell’associazione Casa Delle Donne Per Non Subire Violenza – che è dal 2006 che l’elenco dei femicidi aumenta costantemente, superando la media di 120 l’anno”. 

Omicidi che lasciano la scia di storie tutte diverse tra loro, eppure tutte uguali: violenze fisiche e psicologiche come copione fisso di una vita, che vorrebbero rimettere in riga la donna che ha osato troppo. “E’ così che succede – spiega Laura -, ti spengono poco a poco: prima ti fanno sentire una nullità, ti umiliano anche davanti agli altri, ti privano del tuo stipendio. Poi arrivano i cazzotti, e ti illudi che quella sia l’ultima volta”. E non sarà un caso – fanno notare le associazioni femminili – se la maggiore concentrazione di violenze hanno luogo nel più emancipato nord Italia.

L’inchiesta di Valeria Abate per L’Espresso accende la luce su una strage che non ha niente del rosa ma vira sempre sul rosso rame del sangue. Nel bel libro di Marco Cavina “Nozze di sangue”  (ed. Laterza) si legge ‘la violenza domestica rappresenta l’anima nera del matrimonio, il suo versante demoniaco, la sua irriducibilità agli schemi tranquillizzanti e coartanti dell’armonia del focolare’. Il punto cruciale sta nel ritenere la violenza sulle donne un argomento osceno, uno di quelli che non riesce ad entrare nel dibattito pubblico per un pudore arcaico di cui non riusciamo a spogliarci. Troppo possibile e troppo vicino per aprirsi alle analisi, troppo doloroso frantumare l’ideale di ‘famiglia’ (così ciellinamente formigoniano, qui da noi) che in fondo serve un po’ a tutti per rassicurarsi. Se la famiglia è l’ultimo welfare in un tempo di sostegni delegati alla parentela e al buon cuore e abbandonati dalla politica, raccontarne i contorni più oscuri può diventare l’ultimo passo prima del baratro.

I dati dei femicidi sono una mattanza che ha il profilo della guerra eppure si consuma in silenzio. Oggi il governo Monti potrebbe cominciare firmando la Convenzione Europea per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, nata a maggio a Istanbul, che costituisce il punto più alto raggiunto in questo lunghissimo percorso di armonizzazione delle leggi, delle politiche e delle strategie di intervento, sottoscritta già 16 paesi europei, con l’impegno di superare la violenza di genere. Noi (nel nostro piccolo) in Regione Lombardia lavoriamo al Progetto di Legge num. 136: INTERVENTI DI PREVENZIONE, CONTRASTO E SOSTEGNO A FAVORE DELLE DONNE VITTIME DI VIOLENZA (lo trovate qui) e ci facciamo carico di parlarne, di costringere a dire e farsene carico. Perché, saremo idealisti, la politica ha l’obiettivo di spegnere la violenza, tra le altre cose, anche se (come diceva bene Friedrich Hacker) la violenza è semplice; le alternative alla violenza sono complesse.

 

Lo spontaneismo è sempre controproducente

A vederlo assaltare un autoblindo, ti viene il sospetto che si tratti di un infiltrato. Solo quando è morto, e gli scopri il volto, t’accorgi che si trattava di un ragazzo. Anche un bravo ragazzo, a detta di sua madre e dei suoi amici. Dovresti sentirti un verme: come hai potuto sospettare che si trattasse di un agente mandato in piazza a creare disordini? Devi deciderti: o smetti di sospettare che una pacifica protesta possa degenerare in altro solo a causa di un piano ordito da chi vuole sabotarla, e allora con coerenza devi mandare a cagare la madre e gli amici del ragazzo morto, o con animo sereno e onesto accetti l’evidenza che nessuna protesta può essere tanto pacifica da dare piena assicurazione che resti tale. In altri termini: o metti in discussione le ragioni della protesta, quali che siano, o metti in discussione il dogma della nonviolenza. Malvino sui fatti di ieri.

Fine di un mondo

Perché mentre Londra è una Troia che brucia sembra che non si riesca a leggere un passo più in là della cronaca. Perché ci hanno educato a pensare che qualsiasi manifestazione di piazza o violenza organizzata sia o legittima o delinquenza. Ma abbiamo perso il palato per leggerne i motivi che stanno nel mezzo. Così leggere Gramellini sulla Stampa di oggi è una boccata di ossigeno.
Quando i teppisti diventano un esercito e mettono a ferro e fuoco una metropoli occidentale, significa che è successo qualcosa che non si può più combattere solo aumentando il numero dei poliziotti e delle celle. E’ il segnale di un mondo, il nostro, che si sgretola. Un mondo senza politica, senza cultura, senza solidarietà. Il teppista griffato non si rivolta per ottenere un impiego, del cibo o dei diritti civili. Reclama soltanto l’accesso agli status-symbol della pubblicità acquistabili attraverso il denaro. Dal giorno infausto in cui il capitalismo dei finanzieri ha soppiantato quello dei produttori, il denaro si è infatti sganciato dal merito, dal lavoro e dall’uomo, trasformandosi in un valore a sé. L’unico. Quel ragazzo è il prodotto di questa bella scuola di vita. Mettiamolo pure in galera. Ma poi affrettiamoci a ricostruire la scuola.