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Governare l’incertezza

Ci ripetono che dobbiamo convivere col Covid. Ma il governo fatica a dare risposte chiare, a partire dalla scuola. Mentre l’opposizione propone di “tornare come prima”. Come se il virus non esistesse più

La sfida è esattamente questa: governare l’incertezza. E l’incertezza è un sentimento che rende un popolo irrequieto, inevitabilmente spaventato, che rende difficili le giornate e soprattutto che rende complicata la programmazione. E questa epoca, così ferocemente incastrata al millimetro, ci chiede di essere perfettamente programmati, noi, le nostre giornate, i nostri figli, i nostri affetti, i nostri mestieri, i nostri rapporti, le nostre cose. E la sfida, lo si diceva già in tempi non sospetti, è esattamente questa.

Nel dibattito tra catastrofisti e negazionisti sembra sparita la via di mezzo: convivere con il virus, che è quello che ci continuano a ripetere, non è per niente semplice se non c’è una guida chiara con regole certe e con limiti definiti. Accade con la scuola, ad esempio: non sapere cosa accadrà a scuola e come si muoverà la scuola a poche settimane dall’inizio (ma inizierà davvero?) ripropone quello stesso sentimento che ha appiattito anche sentimentalmente e dal punto di vista vitale molte persone durante il periodo del lockdown: intorno a un figlio c’è tutta un’organizzazione famigliare che coinvolge moltissimi elementi e che modifica le proprie abitudini. E sarà così anche per il lavoro, che in questo periodo vacanziero è sparito dal dibattito pubblico e invece si riproporrà con forza: milioni di persone aspettano di sapere se avranno un rinnovo di contratto e le loro aziende cercano di leggere un mercato che rimane con la spada di Damocle del virus.

Il fatto è che ci avevano detto che avremmo dovuto imparare a convivere con il virus e invece qualcuno propone come soluzione quella di tornare esattamente come prima, come eravamo prima quando non ci ammalavamo mica se qualcuno ci respirava in faccia in un posto qualsiasi. E noi la convivenza con il virus, mesi dopo, non abbiamo ancora imparato nemmeno a immaginarla, non sappiamo darle una forma e un nome e continuiamo a aspettare che passi, banalmente, semplicemente.

Eppure governare l’incertezza e leggere il presente e il futuro è esattamente il compito della politica: è la stessa politica che ha avuto sei mesi (sei mesi) per programmare il ritorno nelle aule e che non ci ha spiegato nulla di più dei banchi, che sono ancora oggi l’argomento principe della discussione. Intanto dall’altra parte l’opposizione insiste nel dire irresponsabilmente “torniamo come prima”.

Ed è una discussione che diventa tifo, così bassa, così triste, così pericolosa.

Buon venerdì.

 

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Sardegna, mentre i contagi aumentano Solinas fa lo scaricabarile col governo (in stile Fontana)

Ricomincia lo scaricabarile e sarà un storia che durerà ancora per molto: mentre in Italia destano preoccupazione i casi di importazione di Covid che stanno facendo alzare il numero dei contagi giornalieri, ora le Regioni partono all’attacco del governo lamentando ritardi e incomprensioni. Sembra di essere tornati ai tempi dello scontro tra governo e Lombardia, quando il presidente Fontana chiudeva qualcosa in meno rispetto ai decreti governativi o apriva qualcosa in più tanto per farsi notare, giusto per chiarire che esistono anche loro.

L’ultimo attacco arriva dalla Sardegna e diventa ancora più incomprensibile alla luce delle testimonianze che arrivano dall’isola, dove al di là delle discoteche ormai chiuse si nota una movida (come in quasi tutte le località vacanziere) assolutamente fuori controllo. Il governatore della Sardegna, Christian Solinas, in un’intervista al Corriere della Sera chiarisce che “la Sardegna non ha mai avuto una circolazione virale autoctona”. “Tutti i casi – dice – sono di importazione o di ritorno, persone già positive testate una volta giunte in Sardegna o sardi infettati durante le vacanze all’estero”.

Come se ancora una volta il punto centrale sia quello di trovare un untore piuttosto che governare una situazione con cui si dovrà convivere probabilmente ancora a lungo, almeno fino all’arrivo del vaccino. Solinas rimarca la sua ostilità al governo: “Se il governo – dice – avesse accolto il modello che avevo proposto già mesi fa per accompagnare l’ingresso sull’isola di ciascun passeggero con un certificato che attestasse l’esito negativo del tampone, oggi non ci sarebbe la recrudescenza del virus”.

E, quando gli si fa notare che i controlli sono partiti solo ad agosto inoltrato, il governatore risponde: “Questo deve chiederlo a Roma. Quando noi lo abbiamo proposto a maggio, tutti si sono stracciati le vesti, attaccandomi con una violenza inaudita da tutti i fronti: politico, mediatico e scientifico”. E siamo al punto di partenza, ancora una volta, dopo tutti questi mesi: nonostante il ministro Boccia insista nel dire che il grado di collaborazione tra governo e Regioni è alto, continuiamo ad assistere al sovranismo del contagio, alla rivendicazione dell’uno contro l’altro come in una brutta operetta con tutti gli attori in commedia, con strali lanciati sui giornali piuttosto che nelle sedi opportune. Con la politica che diventa solo polemica. E mentre la polemica infiamma le diverse fazioni il virus gira, continua a girare.

Leggi anche: 1. Dopo i runner e i migranti, tocca alla discoteche: perché siamo sempre a caccia dell’untore? (di G. Cavalli) / 2. Il Governo decida: conta più la salute o il lavoro? (di G. Cavalli)

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La discocrazia

È l’immagine di questa destra che si è involuta nel tempo, che è invecchiata male ballando al Billionaire e al Twiga, allo Smaila’s e al Papeete che negli anni hanno voluto trasformare come simbolo di un Paese che esiste solo nelle loro tasche, nelle loro teste e nella loro ristretta cerchia di amicizia che non ha niente a che fare con il mondo reale e nemmeno con la situazione reale.

Se c’è qualcosa di più stupido di quelli che temono di avere in futuro un microchip sotto pelle iniettato con un vaccino allora è sicuramente questa discocrazia che viene proposta, tra l’altro, mica da giovani che reclamano la propria libertà, ma da attempati signorotti della politica, che di politica hanno vissuto e continuano a vivere, che vorrebbero risultare giovanili e invece sono semplicemente patetici. Daniela Santanchè che balla per fare opposizione è una scena da film dell’orrore che tra qualche anno riguarderemo con disgusto.

È la destra che da anni si propone come il partito del “rispetto delle regole” e invece ora vorrebbe crescere nei sondaggi invitando gli altri a non rispettarle. Badate bene: non propone una nuova regolamentazione e non propone nemmeno una soluzione strutturale a un problema strutturale (perché il virus chiede un nuovo paradigma piuttosto che una serie di interventi tardivi e isolati), no, la destra italiana chiede il “diritto di ballare” dimostrando tutta la sua distanza dalla realtà.

Agli elettori della discocrazia non interessa poi nemmeno troppo in fondo ballare, vivono questa battaglia di resistenza culturale perché qualcuno gli dice che si comincia così, vietando i balli, imponendo le mascherine e poi togliendo i diritti civili. E i leader della discocrazia hanno pensato bene che essere liberi significhi praticare la propria libertà di ammassarsi in nome della loro nuova rivoluzione.

Dalla mignottocrazia di Berlusconi alla discocrazia di Meloni e Salvini il passo è stato breve e, se guardate bene, i protagonisti sono sempre gli stessi.

A un mese dall’apertura delle scuole, nel pieno della discussione sul Mes, mentre si dovrebbe discutere di come ripensare il Paese con i soldi che arrivano dall’Europa, qui si continua a discutere da giorni di discoteche. Nell’anno di una pandemia mondiale.

Ma vi sembra normale?

Buon mercoledì.

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Il Governo decida: conta più la salute o il lavoro?

Coronavirus, il Governo decida: conta più la salute o il lavoro?

Proviamo a stare un po’ più alti, ad alzarci da questa discussione che si è accesa sulle discoteche che dovrebbero essere i nuovi avamposti della libertà. Siamo d’estate, d’estate le persone si sono mosse e per fortuna si è mossa l’economia, quell’economia che è rimasta stagnante durante il lockdown ed è terrorizzata dal ritorno della seconda ondata del Coronavirus.

Lasciate perdere i milionari che ci insegnano dai loro troni cosa sia il lavoro o dai patetici ballerini che vorrebbero costruire una nuova resistenza sulla libertà di ballare. Parliamo dei lavoratori, quelli veri, quelli che con il proprio mestiere mantengono la propria famiglia a fatica e che a fatica si stanno trascinando in questo anno di pandemia, sono loro che ci interessano, sono loro che spariscono da questo assurdo dibattito di questi giorni. I governi, mica solo quello italiano, hanno deciso che quest’estate dovesse essere apparentemente normale con tutta la normalità che si può pensare con un virus sopra la testa. È una scelta legittima ma si gioca su un equilibrio sensibile, un equilibrio che richiede un’ampia riflessione etica: salute contro lavoro, sostentamento economico contro nuovi contagi.

Il Covid impone con forza uno dei vecchi dissidi su cui la politica si deve misurare: ha più valore il lavoro o la salute, conta di più non morire di virus o non morire di fame, qual è l’equilibrio esatto? Perché in fondo l’estate italiana è tutta qui, in una stagione che non ci si poteva permettere di perdere e che comunque inevitabilmente avrebbe provocato un innalzamento dei contagi. Forse una politica più alta, più onesta, più capace discuterebbe di questo, a carte scoperte, decidendo da che parte stare e ponendo dei paletti etici su cosa è giusto e cosa no, su cosa possiamo tollerare e cosa no.

È una decisione squisitamente politica che andrebbe discussa mettendoci la faccia. Alzano Lombardo e Nembro, ne abbiamo le prove, non sono state chiuse per non fermare le fabbriche della zona e abbiamo visto come è andata a finire. Il tema si riproporrà per diverse attività produttive finché non sarà finalmente pronto un vaccino e l’argomento su cui ci spenderemo nei prossimi mesi sembra difficile da inquadrare nel suo complesso con una chiave di lettura collettiva, così ci si perde nei particolari e si perde il senso generale. Ed è una discussione chiave perché finché non si capisce che si sta parlando di questo i poteri economici potranno agire più facilmente sotto traccia. Parliamo di questo, parliamone chiaramente.

Leggi anche: 1. Coronavirus, le nuove decisioni del governo: discoteche chiuse in tutta Italia e mascherine anche all’aperto dalle 18 alle 6 / 2. Chiusura discoteche, Sileri a TPI: “Si è scelto il principio di massima precauzione” / 3. Santanché a TPI: “La mia discoteca resta aperta, l’unica cosa vietata è ballare” / 4. Il proprietario del Papeete a TPI: “La chiusura delle discoteche una mossa per sabotare la campagna elettorale” / 5. Dopo la denuncia di TPI sui mancati tamponi agli italiani positivi tornati da Mykonos, la replica di Ats Milano: “Raddoppieremo disponibilità” / 6. Covid, Crisanti a TPI: “Altro che discoteche, la vera mazzata dei nuovi casi arriverà con l’apertura delle scuole”

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Lo strabismo di Salvini

Non è una barzelletta. Lo ha detto sul serio: Per impedire che il coronavirus si diffonda, vanno chiusi i porti e non le discoteche

Fermi tutti, c’è un vincitore. Dice Salvini che chiudere le discoteche e prendersela con i giovani non ha senso. E uno si domanda: perché non ha senso? Risponde Salvini: perché bisogna chiudere i porti. E uno si domanda: e che c’entrano i porti con le discoteche? Niente di niente. Ma c’entra Salvini.

La propaganda sovranista finalmente ha trovato un gancio dove appoggiare il suo maiale sgozzato: i casi di positività al Covid di alcuni migranti sbarcati ha reso possibile il solito martellante, incessante logorio di propaganda di Salvini, Meloni e di tutta la loro allegra brigata. Avviene quello che accade ogni volta che un nero compie un reato: prenderlo, amplificarlo e renderlo un manifesto politico.

Così mentre il mondo (e le persone serie) si occupano di come risistemare la vita in tempi di Covid, avendo il coraggio di prendere decisioni strutturali che non si perdano dietro all’ultimo tweet indignato, da noi è una gara al “sempre uno più di te” come i bambini che giocano a trovare il numero più grosso.

Peccato che lo strabismo di Salvini in questo caso sia ancora più lampante. Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, ha detto al Corriere della Sera: «A seconda delle Regioni, il 25-40% dei casi sono stati importati da concittadini tornati da viaggi o da stranieri residenti in Italia. Il contributo dei migranti, intesi come disperati che fuggono, è minimale, non oltre il 3-5% sono positivi e una parte si infettano nei centri di accoglienza dove è più difficile mantenere le misure sanitarie adeguate». L’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) scrive: «Dall’inizio dell’emergenza a oggi sono state meno di un centinaio le persone straniere giunte irregolarmente via mare in Italia e trovate positive al nuovo coronavirus. Il numero va confrontato con i 6.469 migranti sbarcati sulle coste italiane tra inizio marzo e il 14 luglio. In tutto, dunque, solo circa l’1,5% dei migranti sbarcati è risultato positivo. Da non dimenticare inoltre che le positività sono state certificate su gruppi di migranti che avevano condiviso la stessa imbarcazione durante il viaggio, dando credito all’ipotesi che un numero significativo di essi si sia infettato nel corso della traversata».

C’è dell’altro: tutti i migranti che sbarcano vengono sottoposti a tampone e quarantena. Pratica che risulta difficile invece negli aeroporti. E poi c’è la chicca finale: racconta Salvini di una ex caserma in provincia di Treviso dove dei migranti ammassati sono risultati positivi in larga parte e che il sindaco della città voglia fare causa al governo. E chi ha voluto concentrare i migranti in vecchie caserme demolendo l’accoglienza diffusa? I decreti Sicurezza. Di chi? Di Salvini.

A posto così.

Buon martedì.

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Un Ferragosto dedicato

Ai morti di coronavirus, ai malati, ai lavoratori che stanno in bilico. Nel giorno di festa di metà agosto, quest’anno, è inevitabile riservare loro un pensiero

Un Ferragosto dedicato agli invisibili che non sanno che farsene del Ferragosto, in questo duemila e venti che è una ferita che molti vorrebbero rimarginare e che invece sanguina ancora.

Mi viene in mente, per questo Ferragosto, a quanto presto ci siamo dimenticati dei nonni che se ne sono andati. Sarà che il caso ha voluto che fossi nel mezzo della pandemia eppure il Ferragosto qui, più di tutto, sono i genitori anziani e i nonni che mancano al pranzo di Ferragosto, quelli che se ne sono partiti senza l’occasione di salutare, quelli che avrebbero tenuto il vino buono in fresca, quelli che avrebbero preparato il piatto che ti piace tanto e che invece adesso sono un posto lasciato vuoto, un piatto e un bicchiere in meno.

Il duemila e venti è l’anno degli spazi che si stringono e pare che qualcuno voglia rimuovere il lutto e lo sfacelo come se fosse una pellicina disturbante sopra un dito. Il Ferragosto dedicato ai genitori che devono spiegare ai propri figli la partenza del nonno o della nonna che sono partiti senza una ciao, incellophanati come nei film, tornati a casa solo a forma di un tetro certificato.

Un Ferragosto dedicato a chi aveva pensato che questo Ferragosto forse avrebbe potuto ritagliarsi qualcosa che somigliasse a una vacanza e invece conta le macerie. Lavoratori e professionisti che stanno in bilico davvero, che assistono sgomenti alle discussioni di questo giorno mentre si aggrappano e continuano a aggrapparsi consapevoli che a settembre scivoleranno. Sono molto più di quelli che si raccontano, anzi a guardare bene non li racconta nessuno e invece ne siamo pieni. Sono sopravviventi che non rientrano nelle statistiche finché non mollano la presa.

Un Ferragosto dedicato alle coppie che sono scoppiate, le famiglie che questo Ferragosto pensavano di meritarsi un po’ di tranquillità e invece raccolgono i cocci. Un Ferragosto dedicato ai disabili che hanno passato mesi ancora più da invisibili. Un Ferragosto dedicato ai malati bloccati, quelli che hanno dovuto aspettare mentre la loro malattia non aspetta mica.

Un Ferragosto dedicato a quelli che scelgono di non rimuovere e invece vivono tutto, se lo vivono addosso, con tutti gli attrezzi per costruirsi speranza tutti i giorni.

Buon Ferragosto.

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Gli arraffoni

Cinque deputati hanno fatto richiesta all’Inps del bonus da 600 euro previsto dai decreti Cura Italia e Rilancio per sostenere partite Iva e autonomi in difficoltà durante l’emergenza coronavirus

La Direzione centrale Antifrode, Anticorruzione e Trasparenza dell’Inps ha scoperto che cinque deputati della Repubblica Italiana, gente che ha uno stipendio lauto e assicurato perfino in tempi di pandemia, hanno pensato bene di fare richiesta (e ottenere, come sancisce la legge) il bonus dei 600 euro che il governo aveva varato con i decreti Cura Italia e Rilancio e che erano destinati alle partite Iva e ad alcune specifiche categorie di autonomi. I bonus erano stati pensati per venire incontro alle partite Iva che scontavano il calo di lavoro durante il periodo di lockdown e che avrebbero potuto avere un po’ di ossigeno.

Sia chiaro: vi basta avere un amico commercialista per sapere che le pratiche dei bonus alle partite Iva sono state preparate per persone che non hanno avuto nessun problema economico e perfino per ricchi imprenditori che quella stessa cifra la spendono per un sostanzioso aperitivo in terrazza con gli amici. I furbi ormai non stupiscono più da un bel pezzo e in Italia (come nel resto del mondo) molto dell’impegno legislativo si consuma più nel non dare accesso ai furbi piuttosto che dare sostegno ai bisognosi. Anche questa è una stortura a cui siamo abituati.

I cinque parlamentari però sono degli arraffoni tutto tondo per due motivi almeno. Primo: mentre migliaia di persone hanno rinunciato al bonus (volontariamente) perché hanno ritenuto più giusto che finisse ad altri questi hanno dimostrato di avere un’etica che li rende indegni di essere cittadini, prima che parlamentari. Secondo: sono quegli stessi parlamentari che avrebbero potuto (e dovuto) riflettere sul fatto che il decreto così com’era scritto presentava evidenti falle e risultava iniquo e invece hanno sfruttato quelle falle.

Ma non preoccupatevi, diranno che è tutta colpa dei loro commercialisti. Andrà così.

E la bocca degli avidi non dirà mai: mi basta.

Buon lunedì.

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Conte ci spieghi perché Alzano e Nembro non si potevano chiudere, ma tutto il territorio nazionale sì

C’è più di qualcosa che va spiegato alla luce dei verbali che fioccano pubblicati sui giornali in queste ore. Qualcosa che va spiegato per bene perché la politica sta tutta nella responsabilità del prendere decisioni ma anche e soprattutto spiegarle, le decisioni, raccontarne il filo logico, rendere pubblico il dibattito e il ragionamento che sta dietro a certe scelte e motivarle anche, come succede in questo caso, a posteriori. Se c’è stato un tempo delle prese di posizioni urgente ora è il tempo dell’analisi delle responsabilità. È evidente.

Allora partiamo dalla cautela, che per qualcuno è stata troppa e per qualcuno è stata troppo poca, che appare piuttosto schizofrenica su due decisioni contrapposte prese nel giro di pochi giorni. Il 3 marzo nella bergamasca la situazione è ormai precipitata: nella provincia di Bergamo si registrano 372 contagiati, 56 a Nembro e 26 ad Alzano Lombardo e il Comitato tecnico scientifico si riunisce e scrive: “Nel tardo pomeriggio sono giunti all’Istituto Superiore di Sanità i dati relativi ai Comuni di Alzano Lombardo e Nembro. Al proposito è stato sentito per via telefonica l’assessore Gallera e il direttore generale Cajazzo che confermano i dati relativi all’aumento. I due Comuni si trovano in stretta prossimità di Bergamo e hanno una popolazione rispettivamente di 13.639 e 11.522 abitanti. Ciascuno dei due paesi ha fatto registrare attualmente oltre 20 casi, con molte probabilità ascrivibili a un’unica catena di trasmissione. Ne risulta pertanto che l’R0 è sicuramente superiore a 1, il che costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio. In merito il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della zona rossa al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue”.

Il governo e Regione Lombardia non prendono decisioni: rimane tutto aperto. Conte davanti ai magistrati dichiara addirittura di non avere “mai visto” quel documento. La linea è quella del rischio calcolato. Il 7 marzo il Comitato tecnico scientifico propone al governo di “adottare due livelli di misure di contenimento: uno nei territori in cui si è osservata maggiore diffusione del virus, l’altro sul territorio nazionale”. Due giorni dopo viene deciso il lockdown nazionale. La linea è quella dell’eccesso di cautela.

Cos’è cambiato nella linea del governo? Perché si è deciso di adottare due così diversi comportamenti nei confronti delle osservazioni del Comitato tecnico scientifico? Perché si è deciso di non chiudere ad Alzano e Nembro e invece si è deciso, pochi giorni dopo, di chiudere addirittura tutto il territorio nazionale quando le zone a rischio erano limitate al nord? In sostanza: non notate una diversa cautela nella chiusura delle zone industriali del nord rispetto a un sud che segue a ruota invece il settentrione pur non avendo numeri a alto rischio? Le risposte possono essere molte, molto condivisibili e figlie di due diversi ragionamento. Il tema però è fortemente politico: qualcuno deve spiegare perché il “supporto” del Comitato tecnico scientifico sia stato usato così diversamente. È il senso della politica, questo.

Leggi anche: 1. E se il focolaio fosse stato al sud, la Lombardia avrebbe chiuso tutto?  / 2. “Su Alzano e Nembro toccava a Conte chiudere, ma Fontana doveva insistere”: a TPI parla il consigliere lombardo che ha divulgato il verbale Cts 

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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Bisogna anche voler stare bene

Il buongiorno di oggi me l’ha mandato Letizia. Letizia è un’infermiera e, come spesso accade, si ritrova ad avere a che fare con la speranza e con la disperanza. Il suo racconto è uno spaccato di vita che fa bene al cuore. Il racconto è del tempo in cui il Covid mieteva centinaia di vittime al giorno ma questo brano non parla solo di Coronavirus: parla di un modo di intendere la vita.

G. è un uomo alto quasi 2 metri, 74 anni ma la malattia gliene ruba una decina. Il dolore nello sguardo implacabile. Da giovane è stato certamente molto affascinante.

Con parecchie infermiere è stato un po’ brusco nei gg. precedenti. Anche con me all’inizio.

Quando ha suonato il campanello ero da un altro paziente. La collega viene a riferirmi che vuole parlare proprio con me, l’infermiera riccia e bionda.

Mentre percorro il corridoio per andare verso la sua stanza ripenso al suo referto: cure solo palliative… metastasi ovunque…

Entro nella stanza.

Lui è seduto sul bordo del letto, le mani sulla ferita, rivolto verso la finestra a guardare fuori, verso le montagne. È solo in stanza, gli altri due letti sono vuoti.

Mi guarda e sorride appena.

Gli dico:

– Chiamo il medico per farle prescrivere qualche altro farmaco più efficace, sta soffrendo troppo.

– No, non lo faccia, infermiera. Davvero. Non chiami il medico, ho ancora un po’ di male ma non sto morendo di dolore. Resti un pochino qui a parlare con me la prego.

Sono le 3 di notte, chiacchieriamo per circa mezz’ora. Lui è tranquillo, accenna a un altro sorriso per il mio accento romano, piano piano mi dà del tu, come parlasse a sua figlia o a sua nipote. Prima di lasciarlo riposare gli chiedo:

– Come sta? Ha ancora dolore?

– No, sto meglio, grazie..

Si sistema nel letto, tira su le coperte..

– …sto meglio, grazie, ma ricordati che bisogna anche voler stare bene. Bisogna anche volerlo…Ripete con un lieve sorriso.

Alle 7,40 stacco, vado a casa. Potrei dormire finalmente. Ma non voglio e non posso. Penso e ripenso. Penso a quanta vita in quella chiacchierata…

Sì, perché quando la vita ci sfugge viviamo avidamente ogni minuto e ogni secondo che passa. Ne percepiamo l’importanza. E quando hai questa consapevolezza, spesso, è troppo tardi.

Bisogna anche voler stare bene.

Questo è accaduto circa un anno fa, lo scrissi di getto e oggi lo condivido. Oggi mi sono tornate in mente le sue parole: “bisogna anche voler stare bene”. Oggi G. non è più con noi.

Ma quanti “G” ci sono ancora in ospedale? Tanti. Tantissimi, con le stesse paure e gli stessi bisogni, con quel senso di stanchezza indefinita, verso tutto e tutti.

Non dobbiamo dimenticare che alle solite paure, probabilmente se ne sarà aggiunta un’altra. Quella che i loro riferimenti in ospedale pensino solo al Coronavirus e che siano troppo impegnati dalla situazione di emergenza, per comprendere anche la loro paura di morire… che per alcuni è una certezza, inesorabile, anche se “vogliono stare bene”…

Non sono spariti questi pazienti. Ci sono, c’erano prima e ci saranno ancora in futuro. Dobbiamo continuare a comprendere anche la loro paura, adesso raddoppiata, triplicata..

Per questo dico che voglio far trapelare il mio sorriso da dietro la mascherina. Anche quando ho paura. Voglio che si vedano le rughe ai lati degli occhi e che questi siano più sottili, come quando sorridi, appunto. Voglio imparare a sorridere solo con gli occhi. Adesso e ancora nei prossimi gg., perché sarà lunga e sarà ancora più difficile di oggi, per noi Infermieri, Medici, Oss e per tutti. E anche quando tra un annetto dovremo ricucire ogni ferita, tangibile o meno. Adesso non dobbiamo mollare e non molleremo.

#Celafaremo per molte persone è quasi fastidioso da sentire, con il bollettino dei morti che incombe ogni giorno. Per noi #Infermieri, invece, è un mantra che ci sostiene gli uni gli altri, che ci fa resistere, ci dà la forza per cercare di superare con una angoscia calibrata questo momento difficile per tutti. Il senso non è sminuire il problema, ma rafforzare la soluzione, con “boccate di ottimismo”. Anche per questo, spesso, scherziamo tra di noi nei momenti di pausa e di solitudine forzata.

Quando ne usciremo non sarà perché siamo eroi, siamo forti, siamo bravi, siamo angeli… Niente di tutto questo. #Celafaremo perché, uniti, ognuno avrà fatto la sua parte: chi al lavoro, per il bene di tutti, chi restando a casa, per il bene di tutti.

“Bisogna anche voler stare bene.”

E impareremo a sorridere solo con gli occhi.

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