(13 gennaio 1985, intervista a Primo Levi)
Che cosa le chiedono?
Mi chiedono otto cose, adesso non so se riesco a ricordarle tutte, la prima, che non manca mai, è perché questo libro che denuncia azioni atroci da parte di una forte percentuale del popolo tedesco contro il popolo ebreo, è privo di odio.
Cosa risponde a questa prima domanda?
Con imbarazzo. Non so per quale motivo, ma io sono fisiologicamente incapace di odiare, è una cosa che non conosco, come non conosco la collera, non è uno stato d’animo a cui io sia propenso. Ho provato collera pochissime volte in vita mia, odio praticamente mai, il che non vuol dire che non provi e abbia provato allora e non provi tuttora un intensissimo bisogno di giustizia. Se fossi un giudice non esiterei a condannare in modo estremamente severo, e spesso con la morte, alcune di quelle persone. Sono stato soddisfatto della condanna a morte di Eichmann, mi è sembrata giuridicamente contestabile anche se non sono giurista, però, come uomo, mi ha umanamente soddisfatto, benché non possa dire neppure di avere odiato Eichmann. Davanti al personaggio Eichmann, come a molti altri, e a tutti i condannati di Norimberga, la mia prima reazione non è odio, ma piuttosto curiosità. Questo potrà forse sorprendere, forse fa parte della mia preparazione di tecnico, di chimico, mi piacerebbe, e mi piace, andare a vedere dentro alle cose, ma anche alle persone. Da allora, un mio interesse “naturalistico”, come quello di chi studia un insetto o un uccello, è rivolto a quelli dell’altra parte. Sono molto avido, mi intossico di letture, di biografie di quelli dell’altra parte, non necessariamente nazisti. Allo stesso modo mi interessa l’itinerario mentale di un brigatista rosso. Mi interessa l’uomo e anche l’anti-uomo, cioè quello che si è pervertito o lasciato pervertire, che perverte.
La perversione, la mostruosità riesce a essere così totale come sembra a noi e ai suoi lettori più giovani?
No, e infatti non c’è. Direi che il risultato di questa mia ricerca, che non è sistematica ma saltuaria (avvenuta attraverso ricerche fatte da altri e tramite anche mie osservazioni, poiché – durante e dopo – ho avuto a che fare con persone così) è che il mostro non c’è. Oppure, è rarissimo, io non ne ho mai visto uno. La sorpresa di questa ricerca è che sono gente come noi, hanno però preso, sono stati incanalati su una strada che perverte, che è quella dell’abdicazione alla legge morale, ma anche alla ragione, perché perlopiù sono tutte persone che hanno fatto dei calcoli sbagliati. Oltre alla colpa, al peccato (lo dico benché non sia un religioso) c’è anche uno sbaglio, un errore di calcolo. Pensavano perlopiù di ottenere vantaggi che non hanno ottenuto.
Altre domande che le fanno?
Ce n’è una molto singolare, che deve pure avere un significato profondo, perché non manca mai: chi sarei io se non fossi stato in un lager o, più precisamente, se avrei scritto e cosa, se in lager non ci fossi stato. Per me è una domanda che non ha senso, perché sarebbe come chiedere l’avvenire.
Altre domande?
Una immancabile è “Perché questo è successo?” o, con formulazioni più ingenue (spesso a scrivermi sono domande fatte da lettori dell’edizione scolastica del libro, ragazzi di tredici, quattordici anni), “perché Hitler voleva male agli ebrei?” o “perché i tedeschi odiavano gli ebrei?”, però la domanda è tremendamente viva e pesante e difficile da spiegare. La situazione che si è determinata nella Germania di Hitler, e non solo in quella, (ne parlo non perché la ritenga un fenomeno unico della storia, ma solo perché ne sono stato coinvolto, sono un esperto di questo) è stata creata da una convergenza di molti fattori storici, in cui, a mio parere e contro quello che dicono i teorici marxisti, la personalità di Hitler, l’uomo Hitler e alcuni scelti da lui, hanno pesato in modo determinante. Tentativamente, io rispondo che se al posto di Hitler ci fosse stata un’altra persona, le cose sarebbero andate in modo sensibilmente diverso e probabilmente non si sarebbe arrivati a questi estremi. La mia impressione personale, avendo conosciuto molti tedeschi, è che veramente incarnasse – c’è qualcosa di vero in quello che mi scrivono molti lettori tedeschi – che Hitler era il diavolo. Io rifiuto la demonizzazione, credo però che qualcosa di sostanzialmente distinto dalla specie umana ci fosse in quest’uomo, e che la mia risposta di poco fa – che di mostri non ce ne sono – comporti delle eccezioni, di cui questa è una. Questo era veramente un mostro.
Mi è venuta in mente un’altra domanda fondamentale, è una domanda polemica: “Perché tu, Primo Levi, parli di lager nazisti e non dei lager sovietici?”. Io non ne parlo solo perché non ci sono stato. Se ci fossi stato ne parlerei e ne parlo, anzi, fa parte della mia “droga” l’occuparmi di queste cose; ho letto quanto ho potuto anche dei lager russi di allora e di adesso. Sono stato in grado di fare un confronto, ho letto un libro che spererei fosse tradotto in italiano, della Margarethe Buber Neumann, nuora di Martin Buber, comunista, che era stata scaraventata in lager da Stalin perché era un’attivista comunista al tempo delle grandi purghe, stava in Spagna col marito. È stata internata in Siberia a lungo e poi col patto Ribbentropp-Molotov ceduta ai tedeschi, che l’hanno messa ad … Credo sia una delle cinque-dieci persone che abbiano potuto fare quest’esperimento, comparare il regime carcerario, di internamento sovietico con quello hitleriano. Sarebbe stupido e ottuso dire che nei lager della Siberia si stesse bene, non si stava bene affatto, però c’è una differenza fondamentale, che non erano fatti per uccidere la gente. La gente ci moriva ugualmente, anche molto, anche con quote di mortalità terrificanti, del 10-20-25%, con tempi folli di detenzione, di dieci, vent’anni, ne parla anche Solgenitsin, in cui però la morte era in qualche modo accidentale, avveniva per il freddo, per la fame, per la fatica, ma non era l’obiettivo. Mentre la novità finora unica, perché non credo che si sia ripetuta mai, salvo forse in Cambogia …, lo scopo dello strumento lager nella Germania di Hitler era proprio quello di uccidere. Erano macchine per uccidere in cui invece si capovolgeva il lavoro servile, che era un sottoprodotto. Il prodotto principale era la morte e questo mi pare vada ripetuto, non per scagionare Stalin né i suoi successori, ma solo per segnare una differenza che ha la sua importanza.
(leggetela per intero, è tutta qui su Doppiozero)