Vai al contenuto

Prende corpo la Commissione Ue, il ruolo dell’Italia resta un rebus

Con il rinnovo della Commissione Europea all’orizzonte, i Paesi membri stanno avanzando le loro proposte per i nuovi commissari. La presidente Ursula von der Leyen ha richiesto ai governi di proporre sia un uomo che una donna, con l’obiettivo di mantenere l’equilibrio di genere raggiunto nel 2019.

I candidati in gioco: equilibri di genere e conferme strategiche

Diversi Stati membri hanno già avanzato i propri candidati. La Slovacchia ha confermato Maroš Šefčovič, mentre la Lettonia ha ribadito il sostegno a Valdis Dombrovskis. La Spagna propone Teresa Ribera, attuale ministra della Transizione Ecologica, e la Svezia ha indicato Jessika Roswall, ministra per gli Affari Europei. La Danimarca potrebbe scegliere l’ex primo ministro Lars Løkke Rasmussen e il Belgio confermare Didier Reynders, attuale commissario alla Giustizia.

Altri possibili candidati includono Kaja Kallas per l’Estonia e Tytti Tuppurainen per la Finlandia, entrambe figure di spicco nei rispettivi governi. Kallas è sostenuta dai leader Ue per guidare la politica estera, assegnandole di fatto quindi anche il ruolo di vicepresidente della Commissione. L’Ungheria, invece, potrebbe cercare di mantenere Olivér Várhelyi come commissario, vista l’aria non proprio favorevole a Bruxelles dopo le intemperanze di Orbàn alla guida del Consiglio europeo. 

Diversi governi hanno scelto di evitare una brutta lotta interna riproponendo i commissari della scorsa legislatura per Berlaymont, il quartier generale della Commissione. Oltre a Maroš Šefčovič (Slovacchia) e Valdis Dombrovskis (Lettonia) dovrebbero essere confermati Dubravka Šuica (Croazia) e Wopke Hoekstra per l’Olanda. Rimangono in bilico le eventuali conferme di Thierry Breton (Francia) e Margaritis Schinas (Grecia). 

La sfida italiana: Meloni tra tensioni interne e pressioni europee

L’Italia, sotto la guida di Giorgia Meloni, si ritrova in una posizione difficile dopo l’isolamento già evidente nella scelta dei presidenti e vice presidenti delle commissioni parlamentari. Meloni spera di ottenere un portafoglio di rilievo ma le tensioni politiche interne e le controversie con Bruxelles su temi come l’immigrazione potrebbero ostacolare le sue ambizioni. 

I nomi più discussi per l’Italia includono Elisabetta Belloni, attuale capo del Dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza,, Antonio Tajani, ministro degli Affari Esteri ed ex presidente del Parlamento Europeo (che comunque smentisce) e il ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il PNRR Raffele Fitto. 

Ma la partita italiana per la prossima Commissione non è sui nomi. È una questione di portafoglio. Von der Leyen starebbe pensando all’Italia per il ruolo del nuovo commissario dedicato al Mediterraneo, figura più simbolica che operativa. Negli uffici di Bruxelles si teme che un nome italiano in quel ruolo potrebbe essere una leva per la propaganda contro l’immigrazione che Meloni e Salvini agitano abitualmente. Per questo si preferirebbe dall’Italia un nome forte che garantisca anche spessore e autonomia rispetto alla maggioranza di governo. Nome che la destra italiana non ha, escluso Tajani. 

Una volta terminato il lavoro di von der Leyen nella scelta dei nomi i nuovi commissari dovranno comunque passare dal voto del Parlamento Ue. Il voto parlamentare potrà bocciare i candidati commissari e a quel punto toccherebbe al Paese in questione avanzare nuove proposte. Nel 2019 furono bocciati il candidato francese, romeno e ungherese. 

Von der Leyen punta a terminare il giro di audizioni con i candidati tra settembre e la prima settimana di ottobre per passare dal voto del Parlamento e avere la Commissione definita e operativa entro il primo novembre. A quel punto per l’Italia potrebbe essere il giorno di ufficializzare l’ennesima sconfitta europea. 

L’articolo Prende corpo la Commissione Ue, il ruolo dell’Italia resta un rebus sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Il criminale di guerra Benjamin Netanyahu al Congresso Usa

Se si dovesse tradurre l’intervento del criminale di guerra Benjamin Netanyahu al Congresso Usa in un’immagine si potrebbe partire dai familiari degli ostaggi israeliani che indossavano magliette con la scritta “Accordo subito” e sono stati allontanati dalla polizia per non disturbare. 

Nella retorica di Bibi gli ostaggi, così come le vittime del 7 ottobre del 2023, sono crudelmente la leva per incassare più armi e per garantirsi più stabilità politica. Un capo di Stato che si porta sulle spalle l’uccisione di 37 mila persone di cui un terzo sono bambini non ha il vocabolario cardiaco per empatizzare con gli essere umani, che siano “suoi” o che appartengano ai “nemici”. 

Se si dovesse tradurre l’intervento del criminale di guerra Benjamin Netanyahu si potrebbero prendere in prestito le parole dell’ex presidente della Camera Usa Nancy Pelosi – che non è certo Sanders – quando dice “di gran lunga il peggior intervento di qualsiasi dignitario straniero invitato e onorato del privilegio di rivolgersi al Congresso degli Stati Uniti”. 

Si potrebbe sottolineare che tra gli assenti alla ridda di applausi per il criminale di guerra c’era quella Kamala Harris che una parte di mondo vede come salvezza democratica del mondo occidentale. Si potrebbero sottolineare che a non presentarsi sono stati 80 deputati democratici e almeno sei senatori democratici. 

Per dare una cifra del senso del diritto di Netanyahu si potrebbe citare quel patetico passaggio del suo discorso in cui accusa la Corte penale internazionale (Cpi) di “voler mettere le mani su Israele”. Proprio lui che sogna di scippare la Palestina tenendone la popolazione sotto il tacco. 

Se si dovesse tradurre la cifra politica del criminale di guerra Benjamin Netanyahu al Congresso Usa si potrebbe scrivere che il capo di Israele ha colto l’occasione per soffiare sulla candidatura di Donald Trump. 

Il resto – la propaganda e la retorica – la potete leggere invece negli altri quotidiani in giro. 

Buon giovedì.  

Nella foto: frame del video sulle proteste di migliaia di manifestanti davanti al Campidoglio

L’articolo proviene da Left.it qui

Cara Giorgia le cose stanno così

Alla fine i nodi vengono al pettine. Il rapporto annuale della Commissione Ue sullo Stato di diritto era stato rinviato per le elezioni e leggendolo si capisce perché. Il governo di Giorgia Meloni ne esce peggio di quanto si potesse immaginare. Al paragrafo IV di pagina 31 Bruxelles analizza la cosiddetta riforma del premierato sottolineando come la riduzione dei poteri previsti per il presidente della Repubblica (che qui le destre continuano sfacciatamente a negare) sollevi “preoccupazioni”. Oltre ai “dubbi” sul fatto “che possa portare più stabilità”.

Il testo cita anche i rilievi sollevati dall’Associazione nazionale costituzionalisti secondo i quali il capo dello Stato risulterebbe “indebolito”. A questi appunti è associato anche l’eccessivo ricorso ai decreti legge che sta provocando effetti sul corretto rapporto tra governo e Parlamento. Critiche anche al rapporto tra politica e giustizia per le “dichiarazioni di politici” che possono “compromettere l’indipendenza della magistratura”. Allarme sull’abolizione dell’abuso d’ufficio e sul “ruolo della criminalità organizzata nell’impossessarsi dei fondi del Pnrr”.

Era prevedibile anche la critica sulla libertà di stampa per le aggressioni ai cronisti e “un possibile effetto agghiacciante sui giornalisti che sono maggiormente esposti alle querele per diffamazione”. Un capitolo anche sulla Rai in cui si esprime “inquietudine”. No, le critiche al governo non sono un’invenzione dei “nemici” che Meloni vede dappertutto. Sono un fatto, anche politico.

L’articolo Cara Giorgia le cose stanno così sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Nascosti sotto al tappeto, ecco dove sono finiti i poveri

Il governo Meloni ha trovato la soluzione perfetta alla povertà in Italia: nasconderla sotto il tappeto. Come per magia, oltre 7 miliardi di euro destinati al contrasto dell’indigenza sono svaniti nel nulla. Un vero e proprio trucco da illusionista. Ma attenzione: i poveri non sono spariti. Sono ancora lì, 5,6 milioni secondo l’Istat, anche il governo gioca a nascondino. Via il Reddito di cittadinanza, dentro l’Assegno di inclusione e il Supporto formazione lavoro.

Strumenti che, guarda caso, servono più a far risparmiare lo Stato che ad aiutare chi è in difficoltà. I numeri parlano chiaro: 697.640 domande accolte per l’Assegno di inclusione, circa un milione e 700mila persone coperte. E gli altri 4 milioni di poveri? Evidentemente non esistono. Forse si sono volatilizzati o sono stati inghiottiti da un buco nero. Il Supporto formazione lavoro? Un miraggio nel deserto: 96.161 domande accolte in 10 mesi. Ma quanti hanno trovato realmente lavoro? Non si sa.

Nel frattempo, mezzo milione di famiglie che prima ricevevano il Reddito di cittadinanza ora si ritrova con un pugno di mosche. E che dire dei lavoratori poveri? Tre milioni e mezzo di invisibili, che non hanno diritto né al sostegno per la povertà né a un salario minimo dignitoso. In questo teatrino dell’assurdo, il governo Meloni recita la parte del prestigiatore maldestro: cerca di far sparire la povertà, ma si dimentica che sotto il palco ci sono milioni di italiani che quella povertà la vivono sulla propria pelle ogni giorno Alla fine, l’unica cosa che davvero scompare sono i diritti e la dignità di chi fa fatica ad arrivare a fine mese. La povertà è solo un’illusione ottica ma ci credono solo i non poveri.

L’articolo Nascosti sotto al tappeto, ecco dove sono finiti i poveri sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Pianeta forno: la Terra batte un nuovo record di caldo e si avvia verso un futuro infernale

Il termometro del pianeta continua inesorabilmente a salire, segnando nuovi allarmanti record. Domenica scorsa potrebbe essere stato il giorno più caldo mai registrato dagli scienziati, con la temperatura media dell’aria superficiale che ha toccato i 17,09°C secondo i dati preliminari del Copernicus Climate Change Service.

Un nuovo picco che supera, seppur di poco, il precedente record di 17,08°C stabilito appena un anno fa, il 6 luglio 2023. Una differenza minima, statisticamente quasi indistinguibile, ma che conferma la drammatica accelerazione del riscaldamento globale a cui stiamo assistendo.

Temperature da capogiro: il termometro globale segna nuovi record di caldo

“Ciò che è veramente sconcertante è quanto sia grande la differenza tra la temperatura degli ultimi 13 mesi e i precedenti record”, ha dichiarato Carlo Buontempo, direttore di Copernicus. “Ora siamo in un territorio davvero inesplorato e mentre il clima continua a riscaldarsi, siamo destinati a vedere nuovi record battuti nei mesi e negli anni futuri”.

Parole che suonano come un sinistro presagio per il futuro del nostro pianeta, sempre più stretto nella morsa di un caldo asfissiante che non accenna a dare tregua. Un caldo alimentato dall’inquinamento da carbonio prodotto dalla combustione di combustibili fossili e dall’allevamento intensivo, che sta trasformando intere regioni del globo in vere e proprie fornaci.

Gli effetti di questa “cottura” accelerata sono già drammaticamente visibili: incendi che divorano case e foreste, ondate di calore mortali che mettono a dura prova ospedali e case di riposo, eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e devastanti.

Un futuro incandescente: gli scenari previsti dagli esperti

Zeke Hausfather, scienziato del clima del progetto Earth Data di Berkeley, definisce il nuovo record “certamente un segno preoccupante” e avverte: “Si rende anche ancora più probabile che il 2024 batterà il 2023 come l’anno più caldo mai registrato”.

Una prospettiva che fa tremare, considerando che stiamo già vivendo 13 mesi consecutivi con temperature superiori di 1,5°C rispetto all’era pre-industriale, come rilevato da Copernicus all’inizio di luglio. Un dato che ci avvicina pericolosamente alla soglia critica fissata dagli accordi di Parigi, oltre la quale gli effetti del cambiamento climatico potrebbero diventare irreversibili.

Il professor Peter Thorne dell’Università di Maynooth, coautore di un rapporto IPCC che ha attribuito all’attività umana la responsabilità del riscaldamento globale dal 1850 ad oggi, lancia un monito: il record di domenica potrebbe un giorno essere considerato “anomalamente freddo” se non raggiungeremo rapidamente le emissioni nette zero.

“Solo una rapida occhiata alla gamma di eventi che si stanno verificando in tutto il mondo in questo momento – incendi, inondazioni, ondate di calore – ci dice che non siamo lontanamente preparati per gli estremi che questo mondo più caldo ci ha comprato”, ha affermato Thorne. “Siamo ancora meno preparati per ciò che verrà”.

Le tabelle di marcia dell’IPCC e dell’Agenzia Internazionale per l’Energia indicano chiaramente la necessità di tagli drastici alla domanda di combustibili fossili per raggiungere zero emissioni nette entro il 2050. Uno studio pubblicato lo scorso anno ha stimato che, per centrare gli obiettivi climatici, tra il 2020 e il 2050 l’offerta di carbone dovrebbe ridursi del 99%, quella di petrolio del 70% e quella di gas dell’84%.

Numeri che sembrano fantascienza di fronte all’inerzia dei governi e alle resistenze delle lobby dei combustibili fossili. Eppure, come sottolinea la professoressa Vanesa Castán Broto dell’Università di Sheffield, non possiamo permetterci di arrenderci: “Mantenere i cambiamenti nelle temperature medie globali al di sotto di 1,5°C non è impossibile, ma sembra un’impresa disperata. A volte, è come svegliarsi sepolti sotto terra: puro orrore”.

L’articolo Pianeta forno: la Terra batte un nuovo record di caldo e si avvia verso un futuro infernale sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Che ne dice La Russa, fa ridere anche così?

Sono convinto che in cuor suo Ignazio Maria Benito La Russa sia convinto di essere un politico brillante. La seconda carica dello Stato ha coniato la figura retorica del larussismo che consiste nell’esprimere solidarietà canzonando le vittime. Anche ieri La Russa probabilmente si è addormentato sornione pensando di essere riuscito a esprimere contemporaneamente la dovuta solidarietà al giornalista de La Stampa Andrea Joly e l’interessata simpatia verso i fascisti che l’hanno pestato. 

Le regole lessicale del larussismo ci sono tutte. Si comincia dal “condanna totale” a cui si aggiunge sempre un “ma”. Poi La Russa indossa la maschera del busto di Mussolini per aggiungere che non crede che «il giornalista passasse lì per caso» per poi aggiungere che ha «letto» che «non si è dichiarato giornalista». 

Usiamo la sua stessa figura retorica al contrario. Nel centro di Torino dei fascisti fuorilegge hanno occupato la strada con una festa non autorizzata sparando fumogeni mentre intonavano canzoni dedicate a Mussolini. Un cittadino – fingiamo che non sia un giornalista – è rimasto colpito dalla decadenza del Paese in cui vive e ha voluto raccogliere prove di un reato che si consumava in mezzo alla strada. 

I manigoldi, come al solito vigliacchi, gli hanno intimato di cancellare le foto del loro crimine in pubblico assalendolo per le vie della città, a dimostrazione degli effetti dell’invasione di clandestini della Costituzione che per colpa di un governo incapace di chiudere i porti e i tombini ai fascisti di ritorno. La seconda carica dello Stato se l’è presa con il cittadino per nascondere le responsabilità morali del governo di cui fa parte. 

Che ne dice La Russa, fa ridere anche così?

Buon mercoledì. 

L’articolo proviene da Left.it qui

A grandi passi verso l’irrilevanza

Giorno dopo giorno cresce l’irrilevanza politica dell’Italia in Europa. Il pastrocchio di Giorgia Meloni che per mesi ha oscillato tra von der Leyen e sovranisti finendo nel guado dell’insignificanza sta dando i suoi frutti amari. 

Al Parlamento europeo l’Italia ha ottenuto una sola presidenza di commissione finita all’ex sindaco di Bari Antonio Decaro (Pd) mentre Forza Italia perde la guida della commissione Affari costituzionali che fu di Salvatore De Meo e ora invece passa al tedesco Sven Simon. Anche il Pd perde la presidenza di una commissione di peso come quella Economia che nella scorsa legislatura era presieduta da Irene Tinagli e ora è passata socialista francese Aurore Lalucq.

Non è nemmeno un caso che la presidenza della sottocommissione per le questioni fiscali sia finita a Pasquale Tridico, capo delegazione del Movimento 5 stelle. Un esponente dell’opposizione in Italia e in Europa è ritenuto più credibile di patrioti e sovranisti che reclamano una poltrona. Un’immagine che dice tutto. 

Che la capa del governo italiano stia dentro un partito ritenuto impresentabile in Europa non è solo il giudizio vezzoso di qualche giornalista ritenuto nemico dalla maggioranza. È un dato politico che condiziona il peso del nostro Paese all’interno dello scacchiere europeo. Le regole della politica, soprattutto quelle tra nazioni, sono molto più semplici di come qualcuno si ostini a raccontare. La credibilità è il capitale politico di un Paese. E se ci pensate bene accade così per ciascuno di noi. 

L’articolo A grandi passi verso l’irrilevanza sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Altro che rinascita, in Italia crollano le case

Roberto Abbruzzo, 28 anni, macellaio della zona, sposato e padre di una bimba piccola, e Margherita Della Ragione, di 35 anni sono le vittime del crollo del ballatoio della Vela celeste di Scampia. In gravi condizioni c’è una ragazza di 25 anni. Altri feriti non sono in pericolo di vita. I bimbi feriti con traumi ricoverati sono 7 ed hanno un’età compresa tra gli 8 ed i 2 anni. I bambini hanno fratture multiple, contusioni e diverse lesioni d’organo. Due sono in gravissime condizioni per lesioni multiple del cranio. Sulla Vela celeste c’era un cantiere che avrebbe dovuto rafforzare le paratie del piano terreno e i varchi di accesso. Troppo tardi. Gli 800 abitanti attendono da tempo le nuove case che gli sono state promesse dopo la decisione di abbattere le Vele. Troppo tardi. La tragedia è stata più veloce del progetto Re-Start Scampia.

Nel frattempo il cosiddetto decreto Caivano che avrebbe voluto essere il primo passo per la rinascita del Sud sta facendo scoppiare le carceri di minorenni mentre coloro che compiono i 18 anni in cella vengono traslocati con gli adulti. La sicurezza sventolata da Giorgia Meloni durante la sua passerella a Caivano non ha niente a che vedere con la difesa delle dignità delle persone. Da queste parti la sicurezza consiste nel non morire schiacciati da case pericolanti, non avere nessun’altra opportunità oltre al degrado. La vera sicurezza consiste nell’opportunità di avere speranza, non punizioni. L’arresto del ragazzino spacciatore sfruttato dalla mafie è omeopatia penale qui dove le case cadono in testa agli inquilini. E no, non è solo Napoli, non è solo il Sud, non è solo Scampia.

L’articolo Altro che rinascita, in Italia crollano le case sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Orbán e Borrell ai ferri corti, cordone sanitario Ue all’Ungheria

Il giochetto di Orbán antieuropeista da presidente del Consiglio dell’Ue rischia di essere già al tramonto. Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri, ha riperso la pazienza nei confronti del primo ministro ungherese Viktor Orbán. Il motivo è la cosiddetta “missione di pace” di Orbán, che includeva incontri con Vladimir Putin a Mosca e Xi Jinping a Pechino, durante il semestre di presidenza ungherese del Consiglio dell’Ue. Borrell ha definito il comportamento di Orbán “puramente vergognoso”, sottolineando che la Russia è l’aggressore e l’Ucraina sta esercitando il suo diritto all’autodifesa.

La critica di Borrell alle politiche di Orbán

Borrell ha ribadito che tutti i membri dell’Ue devono sostenere attivamente la politica estera comune, in linea con l’articolo 24.3 dei Trattati dell’Ue, e che le azioni di Orbán rappresentano una mancanza di cooperazione leale. Ha inoltre annunciato che la riunione informale dei ministri degli Esteri, originariamente prevista a Budapest, si terrà a Bruxelles, aggiungendosi al boicottaggio già annunciato dalla Commissione Europea.

Orbán e il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjártó, hanno criticato le forniture di armi dell’Ue a Kiev, definendole una “politica a favore della gUerra”. Borrell ha risposto che l’unico favorevole alla gUerra è Putin, non l’Unione Europea. Ha anche denunciato il perenne veto dell’Ungheria all’assistenza militare dell’Ue per l’Ucraina, che attualmente blocca 6,6 miliardi di euro di rimborsi.

L’annuncio di Borrell è stato un colpo significativo per l’Ungheria, che da tempo è in disaccordo con Bruxelles su vari temi, tra cui lo stato di diritto e la libertà di stampa. La presidenza ungherese del Consiglio dell’Ue, iniziata con grandi aspettative, ha subito un duro colpo con qUesto boicottaggio. I funzionari dell’Ue hanno espresso preoccupazione per l’indipendenza giudiziaria in Ungheria e le violazioni dei diritti umani, sottolineando che qUesti problemi mettono in discussione la capacità dell’Ungheria di guidare l’Unione.

Borrell ha concluso dichiarando di aver “perso la speranza” che Budapest cambi posizione a breve, avvertendo che l’assenza di rimborsi potrebbe disincentivare ulteriori aiuti militari a Kyiv. Ha insistito sulla necessità di un fronte unito e coerente all’interno dell’Ue per affrontare le sfide geopolitiche, specialmente con l’aggressione russa in corso.

Il futuro dell’Ungheria nell’UE

La presa di posizione di Borrell riflette una crescente impazienza all’interno dell’Ue verso le azioni di Orbán, che spesso sembrano andare contro i principi fondamentali dell’Unione. Mentre l’Ungheria cerca di mantenere relazioni diplomatiche bilaterali con la Russia e la Cina, molti stati membri dell’Ue vedono qUeste mosse come una minaccia alla solidarietà e alla sicurezza collettiva dell’Unione.

L’atteggiamento di Orbán ha sollevato interrogativi sul futuro dell’Ungheria nell’Ue e sulla sua capacità di rispettare i valori e le regole comuni. I prossimi mesi saranno cruciali per determinare se l’Unione riuscirà a mantenere la coesione interna di fronte a queste sfide, o se le divisioni interne porteranno a un ulteriore indebolimento della sua posizione globale.

Dopo giorni di speculazioni, Borrell ha confermato che il prossimo incontro informale dei ministri degli Esteri, noto come Gymnich, originariamente previsto a Budapest alla fine di agosto, sarà invece ospitato a Bruxelles. Il cambiamento si aggiunge al boicottaggio già annunciato dalla Commissione europea, che consiste nell’inviare funzionari pubblici, anziché commissari, agli incontri informali in Ungheria.

Orbàn si conferma il capo ideale per i patrioti europei. Utilizza l’istituzione europea per fomentare la propaganda e poi si lamenterà – sicuro – di essere stato messo ai margini. Possiamo già indovinare la retorica sui “poteri forti”, incapace di riconoscere le regole della democrazia. 

L’articolo Orbán e Borrell ai ferri corti, cordone sanitario Ue all’Ungheria sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui