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La vera minaccia per la Catturandi di Palermo è la solitudine

Le minacce mafiose ai quattro agenti della Squadra Catturandi della Questura di Palermo (come raccontato da Repubblica Palermo) sono un simbolo. Bavoso, selvaggio e infernale come solo la depravazione criminale di Cosa Nostra mentre mostra le unghie riesce a raggiungere, ma comunque un simbolo. Un seme che cade come una ferita sulla moglie di uno degli agenti ma che sa benissimo che coltiverà erba amara in tutto il gruppo. Un gruppo che da sempre ha fatto della propria compattezza (che nei momenti più caldi delle indagini sfiora consapevolmente l’isolamento dal resto del mondo) l’arma migliore sia per l’attacco che per la propria difesa. Cosa Nostra teme lo spigolo più appuntito delle forze dell’ordine siciliane perché, inevitabilmente, ne riconosce la schiena dritta, la testa alta e (il dato potrebbe essere preoccupante) l’autonomia.

Eppure quelle foto dei quattro colleghi fatte scorrere come un album di oscuri presagi al suono sinistro della frase “”Che bei mariti avete, che belle famiglie” sono un attacco agli uomini e agli affetti. E questo angolo delle forze dell’ordine impegnate in prima linea forse ce lo stiamo dimenticando.

Ce lo siamo perso sotto l’offuscamento dei proclami altisonanti dei nostri governanti sempre pronti a sfilare in telegenica solitudine durante i festeggiamenti dopo gli arresti, ce lo siamo perso nelle rivendicazioni sindacali e negli appelli finiti sempre in un trafiletto dei giornali, ce lo perdiamo tutti i giorni nelle macchine lucidate e lavate per il servizio del telegiornale mentre sullo sfondo si cerca di fare camminare l’ultima “carretta buona” per le indagini, ce lo lasciamo sfilare dalle mani da un’attenzione maniacale per l’immagine e per la forma e mai per la sostanza. Il cuore buono della Catturandi ce lo siamo mangiati nei soldi che mancano per le fotocopie, nella benzina che deve essere anticipata di tasca propria e negli straordinari per la cattura di Provenzano pagati anni dopo; solo dopo che si era posata l’ultima briciola dell’euforia di quell’arresto.

Allora sarebbe da chiedersi perché Matteo Messina Denaro abbia deciso proprio ora di rilassarsi dalla sua villeggiatura da “boss” per scomodarsi a fare circolare dentro il carcere dell’Ucciardone di Palermo le foto dei quattro agenti, perché proprio ora abbia deciso attaccare la punta di diamante della polizia palermitana. Sarebbe da chiedersi perché rischiare di rendere quel pugno di uomini ancora più serrato e duro. E sarebbe da chiederci quanto abbiamo potuto (consapevolmente e inconsapevolmente) lasciare che sugli uomini delle forze dell’ordine sia caduto un velo di solitudine. Pronti ad applaudirli o a condannarli mai più che per un battito di secondo, dimenticando quanto sia gravosa la “resistenza” nella quotidianità che si costruisce in mesi per sciogliersi in qualche minuto dentro un comunicato stampa dopo l’arresto.

Se Cosa Nostra alza la voce così vicino alla Catturandi è perché ne ha una paura fottuta o non ne ha paura per niente. In entrambi i casi tutto intorno la politica, le istituzioni, i cittadini, noi, stiamo lasciando che alla fine sia una cosa loro, un affare tra guardie e ladri, una battaglia da giocarsi muso a muso in un confine non più grande dei duellanti, delle loro mogli e dei loro figli. In qualsiasi caso abbiamo lasciato soli i cattivi (e soprattutto) i buoni: in quella solitudine che concimiamo “per delega” per una Cosa che non è mica Cosa Nostra ma rimane Cosa Loro.

Ho diviso serate giù a Palermo con i ragazzi della Catturandi mentre si sorrideva di una battaglia che è lunga ma fatta sempre con fierezza. Abbiamo parlato di mafia e di vita, ci siamo incrociati negli incontri nelle scuole, abbiamo fatto serate con la gente. E proprio adesso mi accorgo (io che tutto il giorno tutti i giorni annuso uomini in divisa che con me dedicano tempo, forze e professionalità per una vita sicura e “normale”) che non gli ho mai detto: grazie. Grazie con quella gratitudine che più delle cerimonie sfratta la solitudine.

Mondadori: mi sono giocato un sogno per un po’ di coerenza

Lo ammetto. Ho sempre sognato di scrivere un libro per Einaudi. Per due motivi: il primo, per nulla di spessore, è che sono rimasto appiccicato con la faccia per anni a quella magnifica copertina vuota del Giovane Holden di Salinger e alla fine mi è rimasta una voglia matta di avere il mio nome su quella grafica profumata così essenziale e un buon cappello a becco d’anatra da cacciatore vecchio stile, il secondo per amore di quello struzzo che Picasso regalò a Giulio Einaudi nel 1951 durante una visita dell’editore ad Antibes.

Sono stato contattato da una gentilissima lavoratrice di Einaudi (Gruppo Mondadori) che mi ha illustrato e proposto un nuovo progetto editoriale. Fin qui, dico, ha tutti i lustrini per essere l’inizio di una favola stellata. Anche perché bisogna dire che in quei mesi rispondevo perfettamente al prodotto editoriale perfetto: le minacce, la scorta, l’intimido perfetto per l’antimafia da souvenir. Quella tutta suppellettili e scaffali che ti soffia in viso e ti trasforma in icona. Eppure scrivere un libro e lavorare con le parole è sempre una presa di posizione, la costruzione inevitabile di un credito e di un debito: con sé stessi, con i lettori e con gli editori. Un manifesto in cui dichiari di riconoscerti il più pienamente possibile. Così come la buona politica che, mica per niente, Plutarco definiva la più alta delle arti. Ho declinato gentilmente l’offerta. Non mi vedevo negli scaffali con la matricola di un editore che “strozzerebbe” chi parla di mafia, non mi vedevo nemmeno a criticare in giro per le piazze un fascismo morbido mentre mi allattavo alla mammella del re e cagliavo nelle sue stalle. Per una questione di igiene e di bellezza.

Ammetto pure che non mi sono nemmeno sentito nemmeno per un secondo né eroico né resistente. Ma coerente sì. E la coerenza costa (e mi costa), ma è una coperta comoda la sera. Qualcuno mi dice che iniziare una carriera di scrittore con una testata sulla porta del re è il modo peggiore per costruirsi una carriera eppure, dopo l’ultima legge “ad aziendam”, ripenso con un sorriso al “filo sottile del compromesso” che riuscivano a cavalcare così bene i giullari che rifiutavano di abitare la corte del Re e preferivano le piazze. Anche se talvolta ci potevano rimettere la testa.

Ho grande ammirazione per molte delle firme del Gruppo Mondadori (penso a Corrado Augias, Pietro Citati, Federico Rampini, Roberto Saviano, Nadia Fusini, Piergiorgio Odifreddi, Michela Marzano e altri) e ho molta ammirazione per centinaia di professionisti seri e preparati che lavorano nel gruppo ma non amo gli arzigogolati professionisti della giustificazione. Quelli no. Ogni scelta è un’azione.

Ad ottobre uscirà il mio libro. Il mio editore (che non me ne vorrà ma di cui mi sembra inelegante fare il nome) è a capo di una piccola casa editrice che lavora e sogna di fare qualcosa di buono. E’ spettinato, dice troppe parolacce e non è per niente telegenico. Non ha l’amicizia o il parente giusto per evitarsi nemmeno un mese di spese condominiali eppure per me è stato il migliore editore possibile. Quando Corrado Stajano l’8 giugno del 2003 si dimise dal Corriere della Sera nella sua lettera d’addio scrisse “Mi dimetto per protesta. Contro l’arroganza del governo e dei suoi ministri, contro una Proprietà subalterna, contro le interferenze, difficili da negare, piovute dall’alto ai danni di un possibile libero giornalismo. In un momento grave per la Repubblica in cui non è certo il caso di fare gli struzzi”. Gli struzzi, appunto.

CARTA CANTA: tutti i documenti dell’attività in Regione

Ad là delle valutazioni, delle osservazioni e dei pensieri, l’attività politica è fatta di documenti e azioni politiche. E’ il “lavoro”. Chiaro, pulito e ovviamente consultabile. Tutti i documenti li trovate qui (i documenti si riferiscono a quelli di questi primi tre mesi di attività già depositati e protocollati):

INTERROGAZIONI 2010

INTERPELLANZE 2010

ITR QUESTION TIME 2010

MOZIONI 2010

PROPOSTE DI LEGGE 2010

Marcisce la scuola ma fioriscono i prezzi dei libri

Anche quest’anno i libri di testo per gli studenti subiscono rincari “inaspettati” che gravano sulle tasche delle famiglie. Se acquistare un libro è da sempre un piacere per la mente e un seme per la cultura, lucrare sui testi “obbligatori” per legge è un giochetto sporco sulla pelle della formazione e dell’educazione.

Dopo i disastri della riforma Gelmini che ha creato una finta “meritocrazia” a suon di burocratismi e tagli rivenduti come riorganizzazione, oggi le famiglie si trovano a pagare profumatamente quello che dovrebbe essere (secondo la Costituzione) un diritto che ha sempre di più le forma di un privilegio. Ora la politica (e la Regione Lombardia) hanno una sola strada. Intervenire immediatamente con un aiuto economico concreto all’acquisto dei testi e (soprattutto) indagare e studiare quanto il business della scuola sia un giochetto in mano ai pochi. La mozione sarà pronta immediatamente al rientro delle vacanze. La responsabilità è un risposta che attendiamo. Subito.

da http://www.tecnicadellascuola.it

Malgrado i rigidi tetti ministeriali, i blocchi sessennali di rinnovo e l’introduzione graduale delle versioni on line, anche quest’anno con l’avvio della nuova stagione scolastica si torna a parlare di aumenti dei libri di testo. A lanciare l’allarme è bastata una piccola inchiesta, pubblicata il 18 agosto su un quotidiano nazionale: confrontando le liste dei testi di dieci istituti superiori di tutta Italia con i tetti imposti dal Miur, Il Messaggero’ha dovuto prendere atto che “su 78 classi visionate ben 48 superano il limite indicato da viale Trastevere, oltre il 60% del totale. Si va da pochi spiccioli, 10-20 euro di sforamento, a oltre 100, una mazzata per mamma e papà. Avviso ai genitori: in vista della ripresa della scuola dovranno armarsi di calcolatrice, santa pazienza e un pizzico di rassegnazione. Il caro-libri, infatti, quest’anno sarà pressoché inevitabile, in particolar modo per chi ha un figlio iscritto in prima superiore , dove partono i nuovi indirizzi della riforma Gelmini con nuovi programmi e, dunque, anche libri nuovi di zecca”. E a ben poco è servita la novità, prevista dalla Legge 133/08, che nel 2011 avrebbe dovuto portere all’adozione di testi completamente, o in parte, scaricabili da Internet. Per il quotidiano l’editoria elettronica si starebbe rivelando, almeno sino ad oggi, a dir poco deludente. “L’anno scorso fu il flop del libro misto, quest’anno ce ne sono di più, soprattutto per le materie scientifiche, confermano dalle librerie. Ma costano più o meno quanto un libro normale. Anche per questo ci sono liste che sforano di molto i tetti ministeriali come quella della I B del liceo Albertelli di Roma: per 19 testi parliamo di 426,6 euro, oltre 100 sopra il limite. Sempre a Roma, al liceo scientifico Kennedy, la spesa ammonta, in I A, a 397,45 euro, il che fa quasi 93 euro di sforamento”. La ciliegina sulla torta dei rincari è poi arrivata con i nuovi programmi delle superiori, che ha portato fuori commercio tutti i testi sinora utilizzati dagli studenti.

l prezzo dei libri di testo: un gioco logico

di Reginaldo Palermo

Il tetto di spesa c’è, ma gli editori sono liberi di fissare il prezzo di copertina: lo sostiene il Ministero, Sembra un paradosso logico, ma le famiglie non hanno nessuna voglia di scherzare.

Puntuale come un orologio svizzero arriva anche quest’anno la consueta polemica post-ferragostana sulla questione del costo dei libri di testo.

Il copione è quello solito: le associazioni dei consumatori denunciano che in molte, troppe, scuole il tetto di spesa non è rispettato, il Ministero annuncia controlli e ispezioni e rassicura le famiglie. Il Ministero parla addirittura di risparmi fino al 30% , ma le associazioni non ne sono affatto convinte.

Quest’anno, però, il consueto comunicato del Ministero contiene una novità importante rispetto al passato.

Questo il passaggio curioso e del tutto nuovo: “A differenza di quanto previsto per la scuola primaria, la normativa per la scuola superiore non attribuisce al Ministero alcun potere di fissare il prezzo dei libri scolastici, che negli ultimi tre anni è rimasto invariato, e che è invece soggetto alle scelte degli editori”.

Detto in parole più semplici il Ministero chiarisce un punto centrale di tutta la questione: il tetto di spesa c’è, ma gli editori sono liberissimi di fissare il prezzo di copertina seguendo le regole di mercato. Insomma: il prezzo di vendita è libero (e non potrebbe essere diversamente), ma le scuole devono stare dentro il tetto ministeriale. Sembra uno scherzo, un gioco di parole o di prestigio, un problema logico (“Io mento sempre”: ma se mento sempre anche la frase “io mento sempre” è una menzogna; e quindi: sto mentendo o sto dicendo la verità ?) da affrontare dopo aver studiato qualche buon libro di Bertrand Russell.

Peccato che il comunicato ministeriale non è un gioco enigmistico da risolvere sotto l’ombrellone o seduti a tavolino, armati di un manuale di logica.

Il comunicato tocca direttamente le tasche delle famiglie che, soprattutto in questo momento, non hanno nessuna voglia di giocare con il proprio portafoglio.

Ma di questo, al Ministero, sembrano non rendersi conto e continuano a ripetere che le famiglie risparmieranno e che, al tempo stesso, gli editori non ci rimetteranno neppure un euro.

A sentire questi ragionamenti persino al vecchio Adam Smith, padre dell’economia liberale, verrebbe l’orticaria.

19/08/2010

Tranquilli, hanno ragione: da noi a Lodi la mafia non esiste

Lodi è una piccola città a forma di paesello che fa finta di essere in provincia di Lodi. Marudo è un paesello che nemmeno finge di essere provincia ma si ritrova in provincia di Lodi. A Lodi la mafia non esiste e comunque se esiste non se ne parla perché è maleducazione. Qui è passato praticamente indenne Giampiero Fiorani che, in fondo, è una brava persona che fatto del bene per la propria città. Dicono i benpensanti che nelle ultime operazioni di ‘ndrangheta Lodi è stata schivata: è vero, il boss dei gelesi collegati a Ri ha nzivillo scorrazza come un lodigiano qualunque nel centro di Lodivecchio. La mafia è così: se non ne scrivi o ne parli, in fondo non esiste.

Questa storia che sto per raccontare è una storia da tre soldi e, per molti, una delle solite invenzioni dei professionisti antimafia. Per questo sono sicuro che verrò convocato al più presto per pagare le mie falsità.
Ma andiamo con ordine. A Marudo in provincia di Lodi c’è bella fabbrichetta a forma di cartiera. In alcuni locali in affitto c’è la lei di una bella coppia di famiglia da Mulino Bianco. Lei sposa lui, cavallo bianco, castello e tutti felici e contenti, residenti a San Angelo Lodigiano. Un giorno, però, sfogliando con commozione il proprio album di nozze lei riconosce tra i propri invitati la crema degli arrestati e latitanti casalesi e gelesi. Proprio un bel regalo di nozze, a Lodi dove la mafia è un’invenzione e la provincia ne è immune. Lui, messo alle strette, si dice che in questi giorni si sia redento. Non proprio per amore, ma forse per i trent’anni di condanna che gli ciondolano sul gozzo. E comincia a parlare, l’infame. È amico intimo di Casalesi non proprio modello di giustizia e legalità, se la spassa con i 4 ridicoli picciotti di Lodivecchio che giocano a fare i boss gelesi amici di Rinzivillo e che probabilmente si incontrano ancora tutti come ai vecchi tempi (fino a qualche tempo fa al ristorante Cà Bianca di Castiraga Vidardo). Lei trema per l’eroismo parlante del marito convertito. Casalesi, gelesi e un pizzico di Calabria. Nessuno sa, nessuno ne parla. L’importante è che scorra tranquilla la vita della provincia immune dalle mafie in questo soleggiato ferragosto. Adesso aspettiamo che ne parlino tutti o smentiscano. O no?

*Siccome rimane immutato il mio disprezzo per qualsiasi consorteria criminale ma allo stesso modo ci tengo alla gente che lavora; mi preme precisare che l’azienda a cui si fa riferimento nell’articolo nulla ha a che vedere con la Lodigiana Maceri srl. Se non per una “prossimità geografica”. Tanto dovevo, per onestà intellettuale, ad un paese che (come spesso succede in queste zone) si ritrova a dover “subire” la presenza di questi personaggi che pascolano nell’oscurità.

Sabato 4 settembre: Giulio Cavalli con lo spettacolo NOMI, COGNOMI E INFAMI alla festa di Varesenews

Come ogni anno VareseNews è pronta ad incontrare i suoi lettori con una lunghissima festa, che durerà dal 3 al 5 settembre. È la settima edizione di ANCHE IO e la location rimane la stessa: l’area eventi della Schiranna.

Ma cosa faremo in questi tre giorni? Finalmente abbiamo la possibilità di svelare il nostro programma, che vi offrirà incontri, musica, spettacoli e molto altro. Ecco gli eventi:

VENERDÌ

18:00 Si comincia!
Inaugurazione e brindisi

18:15 “1, 2, 3, 4, dieci figli in quattro. Le madri lo sanno”
Incontro con Concita De Gregorio, direttrice dell’Unità. Sarà un evento decisamente speciale, perché si parlerà di famiglia: ad intervistare Concita De Gregorio saranno tre firme femminili di VareseNews, Stefania Radman, Alessandra Toni e Roberta Bertolini.

dalle 18:00 alle 22:00 Bambini
Animazione all’area bambini con VareseCreativa. Tutti i bimbi di tutte le età potranno creare e trasformare bottiglie di plastica in fiori, collane e pesciolini.

21:00 Uniposka e We The Modern Age
La prima di giornata di festa si chiuderà con i concerti delle due band varesine che hanno partecipato al concorso per gruppi emergenti “Va sul Palco”.

SABATO

dalle 15:00 alle 17:00 Bambini
Animazione con Varese Creativa e la Fonderia delle Arti.

16:00 Cooking Jamming Session
Pizze e biscotti al microonde. Lezione di cucina con i blogger del progetto Blogger al Forno. Parteciperanno Pierre Ley (critico gastronomico), Luca Viscardi (deejay e direttore di Radio Number One), e Paolo Franchini (scrittore di romanzi noir).

17:00 Bambini
Merenda per tutti offerta da Latte Varese.

dalle 17:30 alle 19:30 Bambini
Il GiocaFiaba, laboratorio per la costruzione di un libro, con Zattera Teatro e Martin Stigol.

18:00 Tra sacro e profano, tra locale e globale, tra web e carta. Qual è la salute del giornalismo?
Incontro con Concita De Gregorio, direttore de L’Unità e altri ospiti in via di definizione. Conduce Marco Giovannelli, direttore di VareseNews.

19:00 Aperitivo blogger varesini
Un volto un blog: l’aperitivo dei blogger
Ospite speciale Tommaso Labranca

Dei blogger ma anche delle comunità internet varesine come flickr, myspace, twitter e facebook: insomma di chi è varesino, si incontra in rete e per una volta ha voglia di conoscersi al di là del virtuale. A raccontare la sua esperienza ci sarà uno dei più famosi scrittori pop, da sempre affascinato dalla rete.

dalle 20:00 alle 22:00 Bambini
Giochiamo con l’Happy Mais
Laboratorio in collaborazione con Ecotoys

21:00 Nomi Cognomi e Infami
di e con Giulio Cavalli

Produzione:
Bottega dei Mestieri Teatrali
con il contributo di
Next Regione Lombardia e
Fondazione Cariplo-Etre

DOMENICA 5

dalle 11:00 alle 12:30 Bambini
Coloriamo insieme un grande striscione per la festa
Laboratorio creativo con Associazione Culturale Fonderia delle Arti

11:30 Aperitivo giornalisti e LombardiaNews
LombardiaNews è un quotidiano che aggrega news di giornale locali lombardi, è l’ultimo nato in casa VareseNews. Sono invitati all’aperitivo giornalisti e direttori delle testate che partecipano a questa nuova avventura.

14:00 Caccia al tesoro fotografica
A cura di Fotofficina – partecipazione gratuita
Pensi di conoscere bene il lago di Varese? Allora porta la macchina fotografica e partecipa alla nostra caccia al tesoro!

dalle 14:00 alle 16:00 Bambini
La magia delle tue mani: giochiamo con l’argilla
Laboratorio creativo con Associazione Culturale Fonderia delle Arti

16:00 Bambini
Spettacolo Teatrale “Tanti ombrelli per giocare”
Spettacolo della compagnia Arteatro, di Chicco e Betty Colombo

16:00 Made in Varese: anche voi vi inventate le notizie?
Saranno presenti diversi giornalisti varesini arrivati al successo

17:00 Bambini
Merenda per tutti offerta da Latte Varese

18:00 Truzzi Volanti
Esibizione acrobatica con le star dello sport varesino, che hanno spopolato ad Italia’s Got Talent.

19:00 Aperitivo

20:30 I Beans in concerto
Gruppo musicale varesino che compie 30 anni

21:30 Gli Shakers in concerto
Gruppo musicale varesino, specializzato in atmosfere vintage dell’epoca di Elvis, Chuck Berry e Little Richards. Sapore di surf, twist e boogie woogie in chiave moderna.

Da venerdì sera a domenica sera saranno serviti pranzo e cena nel nostro stand gastronomicodove, per tradizione, a servirvi ai tavoli saranno gli stessi giornalisti di VareseNews. Giornalisti che potrete conoscere anche alla redazione all’aria aperta, dove potrete curiosare per scoprire come lavoriamo. E poi ci sarà uno stand per registrare i messaggi di Anche Io, il negozio di libri e tante altrearee dedicate alle associazioni (Informagiovani, Arci, Emergency. Legambiente, Libera, Yacouba e molti altri).

Per saperne di più confermate la vostra partecipazione su Facebook e seguite la pagina ufficiale!

La mafia che gocciola dai polsini del Re

La notizia dei 100 milioni versati da Silvio Berlusconi alla mafia secondo il foglio dattiloscritto e controfirmato da Vito Ciancimino secondo quanto scritto da Felice Cavallaro sul Corriere della Sera sarebbe una notizia solo in un Paese con la memoria andata in prescrizione dove un Governo ricattabile gioca a confondere i fatti con le opinioni, e a curare il cancro delle mafie con i cerotti. Quindi è una notizia.

Eppure, nell’Italia dell’informazione trasformata in vassoio per raccogliere le bave del re, l’ultima rivelazione di Massimo Ciancimino (e, per la prima volta, di sua madre Epifania Scardino) è passata come una brezza di ferragosto perfettamente inscatolata tra i “complotti” e le “invenzioni” che sono la ciclica difesa del fedele Ghedini a tutela servile del premier. Non importa nemmeno che l’anziana moglie di Don Vito dica «Si, mio marito incontrava negli anni Settanta Berlusconi a Milano… Ma alla fine si sentì tradito dal Cavaliere…». Eppure di un assegno di 25 milioni dato dal Cavaliere ai Ciancimino se ne parla ormai da sei anni, dopo un’intercettazione in cui il figlio Massimo parla della regalìa berlusconiana alla sorella dichiarando di avere ricevuto quei soldi direttamente dalle mani di Pino Lipari. Sarebbe una notizia, in un Paese normale. In questo ferragosto di battibecchi e divorzi è diventata invece una voce di corridoio.

O forse non è una notizia perché la memoria non si è appassita come qualcuno vorrebbe e ci si ricorda che nel processo Dell’Utri si legge che ogni anno arrivavano milioni in regalo direttamente da Arcore. Dichiarazioni di più pentiti ma (poiché il cecchino Feltri ci insegna che solo la “carta canta”) anche ben documentati: durante le indagini negli anni novanta sulla famiglia mafiosa di San Lorenzo infatti si ritrova un appunto nel libro mastro del pizzo che dice “Can 5 5milioni reg”. O forse ci si ricorda perfettamente che che i fratelli Graviano furono spediti a Milano a partire dal ’92 dove “avevano contatti importanti” e dove incontrarono più volte anche Marcellino Dell’Utri. Lo dice il pentito Gaspare Spatuzza ma (siccome vi diranno che Spatuzza non è credibile e i pentiti non possono deviare il corso della politica) lo dice anche l’ex funzionario della DC Tullio Cannella, politico per nulla pentito. E ci si ricorda che Gaetano Cinà, uomo d’onore della famiglia di Malaspina (un clan vicinissimo a Provenzano), visitava spesso gli uffici di Milano 2 e l’ex fattore di Arcore Vittorio Mangano sia un condannato mafioso con il tratto per niente eroico della vile omertà.

Nonostante il premier si affanni a scrivere pizzini a Cicchitto in cui gli raccomanda in Aula di parlare di mafia (avendo già altri nel partito che si occupano a parlare “con la mafia”), nonostante anche nel centrosinistra qualcuno insista per scambiare la mafia come sceneggiatura buona per le fiction piuttosto che cancro delle istituzioni, oggi Cosa Nostra può guardare dall’alto i frutti della propria strategia di tensione e poi cooperazione con le istituzioni: tra il ’95 e il 2001 sono state approvate alcune leggi che sono fatti, mica opinioni. Sono state chiuse le carceri di massima sicurezza di Pianosa e dell’Asinara. Con la scusa della privacy si è imposta la distruzione dei tabulati telefonici più vecchi di cinque anni. In modo bipartisan è stata riformata la legge sui collaboratori di giustizia con il risultato di una diminuzione sensibile dei pentiti (calpestando il modello di Falcone e Borsellino). Si è pressoché smantellato il 41 bis e con la riforma del “giusto” processo si è concessa la facoltà di non rispondere, elevando l’omertà ad un (eroico) diritto di stato. Alcuni parlamentari hanno anche provato a parlare di “dissociazione” mafiosa. Il ministro Alfano ha proposto una riforma che consentirebbe alle difese di chiamarei in tribunale un numero illimitato di testimoni, per ingolfare ancora meglio la palude dei processi. L’onorevole Gaetano Pecorella ha proposto il ricorso alla Convenzione Europea per la revisione dei processi (guarda caso, idea del vecchio Vito Ciancimino per annullare la sentenza del maxi processo di Palermo). Sempre ricalcando l’idea del vecchio boss Don Vito la Lega propone l’elezione dei giudici. Ad abbattere le difficoltà del riciclaggio ci ha pensato lo “scudo fiscale”.

Cosa dobbiamo aspettare perché sia un diritto (e soprattuto un dovere) raccontare e dire del rapporto adultero tra le mafie e questa Seconda Repubblica? Quando si riuscirà a gridare che il marcio di questo Stato sta uscendo dai polsini dei nostri governanti?

Mafia é mafia. Senza sinonimi, senza moderazioni.

Si sfilaccia il Governo, fuori i contenuti

Abbiamo passato anni a sentirci dire che nel lato “democratico” del Paese era necessario (e utile) smussare gli angoli e democristianare gli animi per non rimanere schiacciati dal berlusconismo. E mentre tutti si esercitavano in un opposizione sempre più pia e a tratti reverenziale abbiamo reso possibile che un uomo come Mister B. e le sue cricche diventassero un “sistema” stabile, collaudato e proprietario delle istituzioni. In una lenta e nemmeno sotterranea OPA lanciata con successo alla res publica.

Alla mia generazione hanno detto di stare tranquilli, di non fare colpi di testa, di non scialacquare la nostra giovinezza in attesa di ottenere il certificato DOC dello spettatore prematuramente disarmato mentre vede e commenta i giochi di Palazzo. Ci hanno raccontato che non bisognava attaccarlo frontalmente ma giocare di sponda (chissà, forse per un attaccamento alle buone maniere) in un’opposizione che a guardarla oggi ha l’odore acre del “concorso interno”. Ci hanno fatto raccontato che erano tutti impegnati nell’esercitare la propria “vocazione maggioritaria” per costruire visioni e progetti per il paese e oggi, al primo spiraglio, balbettano Tremonti come neo statista salvifico e una coalizione “magna” (nel senso latino e romanesco del termine) con centristi adescatori di niente e neo legalitari con la firma in calce alle leggi-regalo alla mafia e al riciclaggio di questi ultimi anni.

Abusare della pazienza degli onesti è un gioco vile e codardo tanto quanto opprimerli e, ora, la misura è colma. Quello che stiamo vivendo non è né uno sfascio né una crisi: è un’opportunità. Il momento che si aspettava per esporre i modi e i contenuti. In poche parole per raccontare e illustrare la propria identità. E allora dica il PD se è voglioso di andare a braccetto con questo “nuovo” centro che cambia i simboli ma mai le facce, ci dicano i finiani quanto oltre a pentirsi sono disposti a correggere, scendano in campo i movimenti con il proprio diritto costituzionale a manifestare e (finalmente) anche a pretendere.
Con chiarezza, onestà intellettuale e senza remore. Ognuno con la fierezza della propria posizione, se serve. Ma non perdiamo l’occasione del riassestamento per pescare ancora una volta nelle zone d’ombra, ritrovandoci con una valigia di consenso che non possiamo e non vogliamo rappresentare. Il Governo bollito racconta la fine della strategia del grigio e della chiarezza ad intermittenza. Qui fuori c’è il partito più grande d’Italia, senza colonnelli né nominati: il Partito degli astensionisti. Costruiamo coerenza, concretezza e partecipazione e ripartiremo a discutere di lavoro, famiglia, scuola e salute. Con fuori tutti i corrotti e i corruttori di una mignottocrazia che oggi non interessa a nessuno.
È saltato il tappo, fuori i contenuti.

Una barba di storia: Nino Agostino. Ammazzato per niente.

Durante un matrimonio, matrimonio mica da persone normali, ma tra fecce di mafia. Quei matrimoni con il sapore acre del gangsterismo e per di più nel dorato Canada. A sposarsi è Nicola Rizzuto, uomo di Cosa Nostra trapiantato nel profondo nord americano, e tra un flute di champagne e una mezza ostrica e saliva Oreste Pagano intercetta un bisbiglìo: “Ero al matrimonio di Nicola Rizzuto, in Canada. C’era un rappresentante dei clan palermitani, Gaetano Scotto. Alfonso Caruana mi disse che aveva ucciso un poliziotto perché aveva scoperto i collegamenti fra le cosche ed alcuni componenti della questura. Anche la moglie sapeva, per questo morì.” Una storia di desolazione mica normale, quella del poliziotto Nino Agostino ammazzato con la moglie Ida Castellucci a Villagrazia di Carini il 5 agosto del 1989. Con una nascitura di cinque mesi nel grembo morta prima di nascere, come quelle storie che finiscono sempre per essere di seconda mano. Perché se muori ammazzato d’agosto sulle strade che portano al mare senza favole o poesie ma solo a forma di due cadaveri e mezzo e un cespuglio folto di punti di domanda, nel nostro disperato Paese, finisce che sei pure un morto ammazzato di serie b. Nella gogna del ricordo che divora vittime come fosse un gorgo. Eppure Nino Agostino era un poliziotto di quelli che ci credono al proprio lavoro, di quelli che in missione ci sono da sempre, senza decreti di governo o premi in busta paga, in una Sicilia assolata che in quegli anni passa sui morti come fossero un colpo di sole. Eppure Nino Agostino, da vivo prima che da morto, è una storia italiana con tutti gli ingredienti della melma: un collega e (presunto amico) Guido Paolilli, oggi in pensione, che indaga sul caso e chiude il faldone parlando di “delitto passionale”. Come nelle più becere e scontate storie di pavidità d’indagine; una presunta collaborazione di Nino con i servizi segreti e un coinvolgimento nelle indagini per la cattura del boss dei boss Bernarso Provenzano; un foglietto, stropicciato, nel portafoglio in cui si legge “Se mi succede qualcosa andate a cercare nell’armadio di casa”, e nell’armadio di casa, ovviamente, arriva prima di tutti una perquisizione che verbalizza di non avere trovato nulla di interessante.

Oggi Nino Agostino è un fantasma. Un fantasma con in tasca una storia sempre troppo poco conosciuta e un serie di incroci che lambisce anche Bruno Contrada. Suo padre Vincenzo, insieme alla moglie Augusta, caracolla per l’Italia raccontando di una famiglia sparata prima ancora di sbocciare rivendicando la giustizia. Ha la rabbia degli onesti traditi senza risposte e lo sguardo lieve di chi non ha mica smesso di voler essere padre di suo figlio, e una barba lunga che gli si appoggia all’altezza del cuore che non taglierà finché non avrà risposte.

Nel calderone altisonante della mafia epica la storia di Nino e Ida Agostino é una barba di storia. Nella quotidianità della memoria esercitata la storia di Nino e Ida Agostino é una storia da tenersi in tasca. Per ricordarsi almeno quante storie ci dimentichiamo, dimenticandoci che non ce le hanno nemmeno raccontate per intero.

Lustratevi gli occhi: la politica del “favore” del PDL in Lombardia

A raccontarlo al bar sarebbe una storiella che strappa una pacca sulla spalla. E subito dopo si ordina un secondo giro senza pensarci più. Ma poiché (e per fortuna) carta canta qui ci sarebbe da scrivere più un trattato di antropologia politica piuttosto che prenderla come una barzelletta.

Il Governo nazionale (guidato dalla forzuta e ultimamente un po’ sfilacciata compagine del PDL) conclude il varo dell’ultima manovra finanziaria. Una manovra sventolata come (l’ennesima) vittoria sugli sprechi, sulle burocrazie e sull’inutilità dei piccoli comuni che vengono declassificati come sparuti e sparsi comitati elettorali della holding del Presidente del Consiglio. Una sorta di franchising aziendalista piuttosto che di istituzioni con l’obbligo di vicinanza ai cittadini. Nella manovra c’è un articolo (14 del DL 78 del 31.05 scorso) che mette nero su bianco che i comuni con meno di 5000 abitanti debbano “esercitare le funzioni fondamentali unicamente in forma associata con altri enti e non più singolarmente”. Qui si potrebbe essere d’accordo o meno, come sempre spetta al libero esercizio delle opinioni politiche.

Ma qui viene il bello: il coordinatore del PDL di Campione d’Italia non ci sta e, piuttosto che aprire un dibattito all’interno del proprio partito (padre di questo articolo di legge) pensa bene di chiedere una mano all’amico Onorevole Alessio Butti per emendare la norma. Per tutti? ovviamente no. Per il proprio prestigioso comune. Ottenuta la gratificazione (degna del più becero particolarismo e miope egoismo), piuttosto che tenersi la soddisfazione della vittoria nel silenzio più intimo decide di sventolare il tutto in questa lettera (scaricabile in pdf qui) parlando di come solo il PDL sia garanzia di difesa di Campione d’Italia contro sè stesso. Una masturbazione con i coriandoli finti di un innamoramento. E giù scroscianti gli applausi.

Ora sarebbe bello inviare questa lettera a tutti i comuni lombardi sotto i 5000 abitanti che hanno la sfortuna di non avere santi in paradiso o amici in Parlamento. Almeno per sentire la loro opinione, due paroline, un mezzo giudizio anche al bancone del bar, su quale sia oggi il valore della “collettività”.

Io, nel mio piccolo, giro prossimamente la domanda al Presidente del Consiglio Lombardo Davide Boni, fiero rappresentante della Lega. Risposta prevista al rientro dalle ferie. Sempre che i valligiani bresciani e bergamaschi non se li siano mangiati di rabbia prima.