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La differenza tra Lega e nutelle

Stefano-Galli-capogruppo-Lega-al-PirelloneTre case sequestrate e un’accusa di truffa aggravata mediante erogazione indebita di fondi pubblici per l’ex capogruppo della Lega  nord in Regione Lombardia, Stefano Galli. Il provvedimento del gip Chiara Valori riguarda una consulenza da 200mila euro affidata dal politico leghista a suo genero. Galli è già indagato per peculato in merito ai rimborsi illeciti al Pirellone e di lui si era parlato nei mesi scorsi quando si era saputo che si era fatto rimborsare anche una ricevuta da oltre seimila euro per il banchetto nuziale della figlia. Poi l’ex capogruppo si era scusato con dichiarazioni pubbliche e aveva annunciato la restituzione di quei soldi

Il sequestro ai fini di un’eventuale confisca – richiesto dal procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo e dai pm Paolo Filippini e Antonio D’Alessio – è stato disposto per un importo equivalente alla presunta “finta consulenza”. Stando alle indagini, Galli, quando era capogruppo del Carroccio, ha affidato a suo genero Corrado Paroli (un operaio che ha come titolo di studio la terza media) una consulenza per la “valutazione dell’attività legislativa attinente i rapporti tra Regione ed enti locali con particolare attenzione alla provincia di Lecco a supporto dell’attività del consigliere Stefano Galli”. Valore, oltre 196 mila euro in due anni.

Chissà se siamo riusciti a raccontarle, le differenze.

Pippo scrive a Beppe

beppe-grillo-lodo-alfano-3-770x513Il dibattito di questi giorni sul ruolo del Movimento 5 Stelle è politica. Lo scrivo perché sembra che qualcuno voglia convincerci che siano chiacchere da bar: la politica è nelle scelte, non nelle campagne elettorali (quelle servono per raccontare le scelte fatte o non fatte, e infatti chi non sceglie succede che perda). Non credo che il Movimento 5 Stelle si prenderà la responsabilità di lasciare inerme un potenziale governo (anche solo “di scopo”) per lucrare sul proprio consenso tra qualche mese (anche perché, appunto, si tratterebbe di scegliere e di risponderne: fare politica insomma); credo però che alcuni dei presunti “pontieri” di questo dialogo con Grillo e il Movimento oggi forse si pentiranno degli sfanculamenti senza senso in risposta a sfanculamenti senza senso, dei sorrisini compiaciuti di scherno verso i “grillini” e di questa idea tutta antidemocratica che i voti per qualcuno valgano meno dei voti ad altri: l’avevo già scritto qui (che fortuna, la memoria della rete) che qualificarsi squalificando il Movimento 5 Stelle non era una grande strategia.

Oggi Pippo Civati (sì ,sempre lui, e allora?) scrive sul suo blog una lettera a Grillo che è più che tra questo vociare parla di politica, appunto:

Allora, caro Beppe, la situazione è quella che auspicavi: questa politica è stata presa a pallonate. La tua campagna elettorale, capace di sedurre gli elettori di tutti i generi e tipi, ha funzionato. Lo tsunami non è riuscito per un pelo, ma – come hai detto anche tu – è solo rinviato di qualche mese, perché poi lo tsunami ci sarà davvero, secondo le vostre previsioni ‘meteorologiche’ (rispetto alle quali è giusto conservare qualche dubbio, ma che vanno certamente osservate con rispetto, visto che le previsioni nostre erano così palesemente sbagliate).

Vorrei dire a te e ai tuoi che è legittimo pensarla così: siete stati votati e ora potete fare con i vostri voti quello che volete. Le forze che ti sostengono sono arrivate al terzo posto, sbaragliando la concorrenza del tecnico-che-saliva-e-che-è-un-po’-sceso e avvicinandosi nei consensi ai politici dei principali partiti.

Ciò che mi chiedo è però se non sia un azzardo buttarla in caciara, proprio ora. Certo, mi si può rispondere che in Italia l’azzardo paga sempre. E che hai vinto e, quindi, va bene la disintermediazione, va bene la rete, va bene che siete portavoce di una voce che di volta in volta svelerete prima di tutto a voi stessi e poi agli italiani. Abbiamo capito (qualcuno lunedì, qualcuno un po’ prima, diciamo così).

Però c’è un però: un però che alla fine è questo Paese. Siamo sicuri che non far niente ora per farlo tra sei mesi sia la cosa più giusta da fare? Siamo sicuri che tutti siano uguali, in quel Parlamento, e che non ci sia proprio niente da fare di buono, per cambiare le cose, nelle condizioni date? E che sia il caso di chiamarsi fuori, di chiamare fuori i cittadini che vi hanno votato, per lasciare campo all’ennesima riedizione di un governo di larghe intese e, temo, di corte vedute. Capisco la tua libidine, ma un po’ mi preoccupa il quadro che si delineerebbe.

Te lo chiedo rivolgendomi al leader che sei, perché lo sei anche se fai finta di essere un capo-per-caso, e me lo chiedo, perché è del tutto evidente che se non si riuscisse, si tornerebbe a votare. E magari vinceresti tu, magari Berlusconi, magari il centrosinistra. O, più probabilmente, nessuno di questi. Perché nessuno di questi, nemmeno la prossima volta, avrà i numeri per governare. E ci ritroveremmo a scrivere la stessa identica cosa che sto scrivendo ora. Che è la cosa peggiore che possa capitare, soprattutto perché è già capitata.

Continua qui. E continua un filo e un dibattito da tenere alto.

Stare a passo di marcia con i cambiamenti

  • Mantenere lo stesso nome e la propria autonomia, strutturarsi in un partito vero e proprio e tentare di aumentare il consenso intorno al programma attuale.
  • Tentare di riunirsi con delusi del PD, gli sconfitti di Rivoluzione civile e altri movimenti in un partito unico della sinistra radicale.
  • Accentuare la componente ambientalista e europeista del proprio programma, avvicinarsi (come osservatore o membro) al Partito verde europeo, tentare di ottenere consenso al di fuori dello zoccolo duro della sinistra.
  • Confluire nel Partito democratico come ala sinistra.

Le quattro alternative di SEL che nessuno oggi ha il coraggio di dire. Le scrive (bene) Angelo Scotto sul suo blog con una conclusione chiara: Se non lo faranno, allora il declino che ha già travolto i comunisti e minaccia il PD toccherà anche noi e sarà irreversibile (per dirla in termini più concreti: i militanti che hanno dato tanto in questa campagna elettorale se ne andranno, me compreso).

Ecco, noi siamo qui.

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Le battaglie sono giuste anche quando si perdono

elezioni-regionali-lombardia-indagini“Le battaglie sono giuste anche quando si perdono” è la frase (bellissima) che Umberto Ambrosoli racconta di avere detto a suo figlio ed è la caratura di una persona che dal punto di vita etico, umano e di storia personale ha da insegnare molto, a tutti.

Poi c’è il lato politico, ma questo è meglio valutarlo appena si abbassa la polvere perché a caldo si rischia di non riuscire a vederne tutti i lati. Roberto Maroni ha vinto con più di 4 punti di scarto, sostenuto dalla tenuta di PDL, Lega e la sua lista civica mentre nel centrosinistra tiene il PD e la Lista Civica di Ambrosoli, Albertini sparisce e Il Movimento 5 Stelle incassa un 13,62 per niente inaspettato anche se più basso della media nazionale. La sconfitta non ha bisogno di appello ed è una sconfitta che arriva in una Lombardia che già si era sbriciolata nella credibilità: una traversa a porta vuota, mi scriveva ieri qualcuno.

SEL si attesta sul 1,80%: una percentuale con cui non si può fare politica. Punto. Al di là della scomparsa del partito dal Consiglio Regionale (quindi non sono stato eletto, no) rimane il senso del progetto politico che ora è da considerare sul serio. Abbiamo fatto una campagna elettorale difficile e intensa ma perdente e riconoscere la sconfitta è il punto da cui ripartire per un’analisi collettiva.

Io posso intanto ringraziare i tanti che mi hanno votato e dato fiducia e chi si è speso con tutte le forze ( penso a Odetta, Leonardo). Ora è il tempo di pensare. Con calma.

Almeno

EMICICLIEvitiamo di mandare in televisione facce al soldo di fallimentari gerarchie che ci dicono che comunque è andata bene. Il progetto politico di questo centrosinistra non ha funzionato e non ha convinto. Almeno la lucidità, eh.

Oggi aspettiamo di leggere i risultati della Lombardia. E ci aggiorniamo qui.

 

Un voto smoderato

VolantinoA5_GiulioAlla fine si vota. E lo abbiamo voluto, qui in Regione Lombardia, per provare a respirare con la testa fuori da questo formigonismo che ci si è attaccato addosso come un’aria che sembrava inevitabile. Oggi chiudiamo una campagna elettorale che abbiamo annusato sotto questa coda d’inverno tra un’indolenza alla politica come risultato degli ultimi anni.

Sarebbe da scrivere un appello, mi dicono. Sarebbe da chiudere la campagna con il messaggio di fine anno, qualcosa con il vestito presidenziale e l’ottimismo quanto serve per essere leggero, leggibile, spendibile.

E’ stata una campagna elettorale per riattivare il meglio di una Lombardia addormentata tra le braccia di un’economia che sembrava infallibile, sempre abbastanza pronta a superare anche le crisi più dure e disposta (per qualcuno) a rinunciare al dovere dell’etica in nome del dio profitto. Il profitto lombardo che è diventato il paravento dietro al quale i politici si sono evoluti in profittatori, i disagiati sono solo costi, le mafie ottimi soci in affari, i partiti sono le cameriere disinibite delle lobby e le persone sono diventate numeri: numeri a forma di persone da catalogare, da indirizzare, da pesare un tanto al chilo, cose come persone a forma di numeri.

C’è una Lombardia che mi sta nel cuore come le favole dei bambini: la Milano capitale morale che adagia la paglia per rendere più silenziosa e leggera la morte del suo Maestro Giuseppe Verdi, la Lombardia che coltiva le proprie terre e insieme alleva anche la propria storia, la Lombardia dell’impresa che aveva un senso comune dai consigli di amministrazione fino all’ultimo apprendista dove l’impresa era fare impresa per il lavoro, dove il lavoro era l’esercizio della dignità che sta nell’avere diritto e dovere del proprio futuro.

E’ stata una campagna elettorale dove i cittadini mi hanno stupito ancora come due anni fa con il senso della speranza per non accettare una Regione che sembra impaurita e stanca, con l’energia pulita (ed economica) che abbiamo incontrato tante volte nelle commissioni regionali mentre i comitati di cittadini attivi smutandavano il dirigente di turno che abbozzava un mezzo sorriso di dispiacere di fronte alle bugie che non avevano gambe. 

Mi dicevano di non farlo, due anni fa. Di non candidarmi perché non ce l’avrei fatta e perché alla fine mi sarei inquinato anch’io. Mi dicevano che non funzionava la politica. Me lo ripetevano mentre abbiamo messo le mani dentro gli appalti, mentre abbiamo rimosso dirigenti inaccettabili in questi anni, mentre abbiamo percorso chilometri dalle valli ai centri metropolitani a raccontare che la solidarietà lombarda formigoniana è pericolosa e falsa: una solidarietà solo fra sodali, come un clan. Adesso sono ancora qui, per chiedervi se sono stato all’altezza del compito che mi era stato assegnato, se davvero il mio programma si legge in quello che abbiamo già fatto e se abbiamo la fiducia per continuare ancora. Insieme. A cambiare la Lombardia, ostinatamente smoderati e fieri delle nostre differenze. Perché le cose cambiano se siamo disposti a cambiare. E l’aria inevitabile sta cambiando direzione e soffia quasi come un vento.

Se volete votarmi, sarà un voto smoderato. Ostinatamente smoderato. Davvero.

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Sonia Alfano per Giulio Cavalli in Regione Lombardia

Oggi desidero rivolgermi a tutti quei cittadini e quelle cittadine che tra pochissimi giorni andranno a votare per rinnovare il consiglio regionale della Lombardia: Giulio Cavalli ha portato le vostre istanze all’interno del consiglio regionale. Giulio ha continuato a denunciare il malaffare, la ‘ndrangheta. Io vi chiedo pensare a voi, al vostro futuro, al futuro dei vostri figli: soltanto votando per chi ha messo la propria vita a disposizione degli altri potremo pensare di rialzare la testa e rinnovare una classe dirigente che non sempre è stata all’altezza della situazione. Continuate a sostenere Giulio Cavalli, candidato con Sel. Giulio continuerà a portare in Regione quel fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale. (Sonia Alfano)

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Carceri e diritti

Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni. Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo, 1866

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