La Giornata della Memoria significa ricordare che le vittime sono stati un numero impensabile: 6 milioni di ebrei, da 3 a 6 milioni di civili slavi, da 2 a 4 milioni di prigionieri di guerra, da 1 a 1milione e mezzo di dissidenti, 200-800 mila tra rom e sinti, 300 mila disabili, da 10 mila a 250 mila omosessuali, 2 mila Testimoni di Geova.
Per me significa ricordarmi di una donna che intervistai nel ’95 e che mi disse di essersi sentita male vedendo alla Tv Erich Priebke. Si chiamava Enrichetta Comincioli e in Priebke che scendeva dalla scaletta dell’aereo dopo l’estradizione dall’Argentina aveva riconosciuto il suo aguzzino, il capitano delle SS (ancora oggi incapace di pentirsi) che nel ’44 la tenne prigioniera a Villa Brignetti, a Brescia, prima di mandarla, dopo giorni di torture, a Ravensbruck, numero 49556… fame, freddo, pidocchi, corrente elettrica nel filo spinato, forni crematori… E significa ricordare gli orrori di quell’Ante Pavelic che a Curzio Malaparte mostrò un paniere di vimini e che alla domanda se erano ostriche disse: “E’ un regalo dei miei fedeli ustascia: sono venti chili di occhi umani” (da Kaput).
(Francesco Lo Piccolo, qui)