Perché a volte le notizie sono buone e hanno così tanto senso che vale la pena di darle e ricordarle a lungo:
La violenza era quotidianità. Ma l’inferno, quello vero, lo aveva conosciuto dopo che suo marito, Antonio Cacciola, si era suicidato. Da quel momento per Giuseppina Multari, Giusy come la chiamavano in famiglia, era iniziato un incubo infinito. Sequestrata per mesi, assieme alle sue tre bambine, nel girone dantesco del clan di cui era parte e vittima allo stesso tempo. Fin quando ha deciso di scappare affidandosi ai carabinieri e ai magistrati della Dda che l’hanno protetta e ascoltata. Un lungo racconto che ha prima portato alla scoperta delle armi da guerra della cosca e di un bunker che aveva ospitato il boss Gregorio Bellocco. E che poi, all’alba di stamattina, ha consentito l’arresto dei suoi aguzzini. Gente che per anni l’aveva vessata e che quando era fuggita l’aveva cercata per tappargli la bocca.
Le manette ai polsi di 16 persone sono scattate a Rosarno, in Olanda e Germania. I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno chiuso il cerchio attorno ud un’organizzazione criminale che aveva fatto del traffico di droga il suo business principale, e di cui facevano parte quegli stessi Cacciola che avevano costretto “in condizioni di schiavitù” Giusy. Un’ipotesi di reato terrificante, accolta dal Gip di Reggio Calabria, Antonio Scortecci, su richiesta del Pm della Dda Alessandra Cerreti.
La storia di Giuseppina Multari, 35 anni e tre figlie piccole, è contenuta nelle carte dell’inchiesta “Mauser”. Poco più di 500 pagine di ordinanza di custodia cautelare nelle quali la donna racconta la sua vicenda all’interno della famiglia Cacciola. L’incontro con il marito Antonio quando aveva 16 anni, il matrimonio a 20 e un rapporto coniugale fatto di umiliazioni e botte. Un uomo fragile, racconta la collaboratrice di giustizia, dedito all’alcol e forse anche alla droga. Ma un uomo che amava nonostante tutto, perché quando era lucido si trasformava in un’altra persona. Poi, nel 2005, il suicidio “o presunto tale” dell’uomo, spiega ancora al Multari.
Da quel momento viene accusata di essere lei la causa di quella morte e costretta a vivere in schiavitù. Chiusa in casa, controllata dai suoceri e dai cognati, obbligata ad ogni forma possibile di violenza psicologica, compresa la minaccia di levarle le figlie. Un anno dopo la donna tenta di togliersi la vita lanciandosi in mare. Un suicidio fallito grazie all’intervento di suo fratello Angelo che la soccorse in spiaggia. Poche settimane dopo anche Angelo sparirà per sempre, molto probabilmente ammazzato. Disperazione che si somma a disperazione, contenuta in una lettera che Giusy scrisse al padre che, sia pure terrorizzato dalle possibili rappresaglie dei Cacciola, decise di portare ai carabinieri. Da allora Giusy è sotto protezione. E da allora racconta non solo la sua storia, ma anche gli affari della “famiglia”. Droga e armi, legami e alleanze con i boss della ‘ndrangheta di Gioia Tauro. Centinaia di pagine di verbale che si sono tradotte in richieste di arresto. Un’ordinanza di custodia cautelare che riguarda il suocero di Giusy, Domenico Cacciola, e il cognato Gregorio. E ancora Francesco, Maria, Vincenzo e Giovanni Battista Cacciola.
Nell’inchiesta, con ruoli e responsabilità diverse, ci è finita l’intero clan familiare donne comprese. Accusati delle vessazioni e delle minacce ai Giuseppina. Poi c’è anche il filone del traffico di droga. Decine, forse centinaia di chili di cocaina, che si spostavano tra Germania e Italia. Da Dussendorf venivano importate ingenti quantità di cocaina da piazzare poi sul mercato nazionale.