Allo stato attuale, il sistema educativo è lontano dal raggiungimento dei suoi obiettivi fondamentali. È sul piano della mobilità sociale che i risultati sono più desolanti: come già notato dai sociologi degli anni Settanta (Boudon analizza ampiamente la questione) e come confermato da uno studio della London School of Economics nel 2005[6], e poi naturalmente dal lavoro ormai celebre di Thomas Piketty sul Capitale al XXI secolo, le società occidentali hanno smesso di fare progressi in questo senso malgrado l’aumento complessivo della media degli anni studio[7]. Certo, le statistiche mostrano ovunque che la media del reddito individuale aumenta con il numero di anni di studio[8], anche se talvolta seguendo una curva a U[9] che penalizza i risultati intermedi. Generalmente, nella maggior parte dei paesi occidentali studiare resta vantaggioso per chi può permetterselo. Tuttavia il dato in sé segnala semplicemente che il mercato del lavoro usa l’educazione come criterio di selezione (o di «signalling») entro una determinata popolazione, e non che i diplomi producono nuovi posti di lavoro o che incidono positivamente sulla distribuzione ineguale della ricchezza. Il meccanismo di selezione è un gioco a somma a zero e la competizione formativa è una specie di costosissima «conta» per allocare il capitale umano.
Ribadiamo il concetto, semplicissimo eppure evidentemente difficile da assimilare se non si dispone di un minimo di senso logico: il fatto che esista una correlazione tra livello di educazione e reddito individuale non implica in nessun modo che debba esserci, globalmente, un’influenza dell’educazione sulla crescita economica. Illustriamo questo paradosso con un esempio: se un’ipotetica società ripartisce la ricchezza in funzione dei risultati a una corsa, il più veloce avrà un guadagno superiore a quello del più lento. Ma questo non implica che correndo si sia creata della ricchezza, né che correndo tutti più veloce si possa influire sulla ricchezza complessiva. Senza dubbio bisogna tenere in considerazione anche gli effetti dell’educazione sulla produttività e gli effetti della produttività sulla crescita, ma questi effetti possono essere sia positivi che negativi. In effetti l’investimento eccessivo o male allocato produce cali di produttività o addirittura fenomeni di «controproduttività» (il concetto è di Illich), come mostra anche il fatto che il mercato del lavoro sanziona la forza-lavoro sovraistruita — una popolazione caratterizzata da elevati tassi d’insoddisfazione, assenteismo, sabotaggio industriale e uso di droghe![10] Anche in questo caso, il problema sta tutto in quella curva a U che sanziona chi fallisce in maniera più severa di chi non partecipa.
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